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DEPISTAGGIO BORSELLINO / NON SOLO POLIZIOTTI, ORA DUE MAGISTRATI

Fonte: http://www.lavocedellevoci.it/2019/06/12/depistaggio-borsellino-non-solo-poliziotti-ora-due-magistrati/

Per la prima volta indagati due pm che si sono occupati della strage di via D’Amelio. L’accusa è da novanta: depistaggio e calunnia aggravata.

Fino ad oggi erano finiti sotto i riflettori, e quindi a processo, soltanto tre poliziotti. Ora la procura di Messina, guidata da Maurizio De Lucia, punta più in alto e vuol vederci chiaro su uno dei più grossi buchi neri della nostra storia.

IL TAROCCAMENTO DI SCARANTINO

Tutto ruota intorno al taroccamento del pentito Vincenzo Scarantino, perché sulla base delle sue accuse inventate di sana pianta furono condannate sette persone, che hanno scontato 16 anni di galera da innocenti. Mentre killer e mandanti rimanevano regolarmente a volto coperto, beati uccel di bosco fino ad oggi.

Ricostruiamo quelle prime battute bollenti. Le indagini partono alla procura di Caltanissetta, feudo governato dal procuratore Gianni Tinebra, morto due anni fa.

La scena si affolla subito di toghe. Si rimbocca le maniche il procuratore aggiunto Paolo Giordano, si attivano i pm Carmine Petralia e Roberto Sajeva, quindi gli applicati Ilda Boccassini e Fausto Cardella; segue a ruota Anna Maria Palma, poi entra in campo Nino De Matteo. Insomma, uno squadrone.

Il plotone, col passare dei mesi, si sfoltisce, e rimangono ad occuparsene a tempo pieno Palma, Petralia e Di Matteo.

Circa il ruolo di quest’ultimo molti hanno sostenuto: “Ma era di primo pelo, non aveva alcuna esperienza di mafia”. Suscitando le ire di Fiammetta Borsellino, la figlia di Paolo, la quale ha sempre chiesto con forza che si indagasse tutto campo, non solo sul ruolo dei poliziotti, ma anche su quello dei magistrati che, di tutta evidenza, avevano una logica supervisione sull’inchiesta.

“Ma se Di Matteo non aveva alcuna esperienza di mafia, perché mai lo hanno messo ad indagare sull’uccisione di mio padre e della scorta?”, è stato alcuni mesi fa il j’accuse di Fiammetta, al quale Di Matteo ha risposto ricordando il suo successivo pedigree antimafia.

TUTTI A DIGIUNO DI MAFIA!

E oggi cerca di mettere una pezza a colori anche l’allora aggiunto Giordano: “Sia io che Tinebra che Petralia, nessuno di noi aveva esperienze per quanto riguarda le organizzazioni criminali di Palermo”.

E che ci facevano allora in procura, a prendere la tintarella?

Da rammentare, comunque, che quando Ilda Boccassini è stata trasferita a Milano, ha poi inviato una missiva ai magistrati impegnati nella gestione del pentito Scarantino, in cui li metteva in guardia dal prestargli credito, ritenendolo del tutto inattendibile e inaffidabile.

Ilda Boccassini

Parole finite al vento, quei pm se ne sono altamente fregati.

Ma vediamo cosa ha raccontato Scarantino circa il ruolo da lui stesso giocato.

Un mago delle versioni tutte diverse una dall’altra, il pentito taroccato, capace di dire un giorno una cosa e quello seguente la cosa diametralmente opposta.

Tre anni fa dichiara a processo di essere stato totalmente costruito a tavolino. Racconta di tutte le minacce, le intimidazioni subite. La paura per il destino della moglie, la paura di quanto gli può succedere. Da gulag.

Punta l’indice sui poliziotti (e tre sono ora sotto processo a Caltanissetta) e sull’allora coordinatore del team, Arnaldo La Barbera, ex questore di Palermo. Ma La Barbera oggi non si può difendere, perché è morto 15 anni e passa fa.

Fornisce dettagli inediti. Gli insegnavano il copione passo passo, doveva mandarlo a memoria, ripeterlo un paio di volte al giorno in vista del dibattimento. Quando non si ricordava bene cosa dire, doveva alzare la mano e chiedere di andare in bagno, dove avrebbe trovato un poliziotto-suggeritore pronto ad imbeccarlo.

VERSIONI MULTIPLE

Versioni ogni volta diverse sul ruolo dei magistrati. In prima battuta parla di Anna Palma, individuando in lei la regista dell’operazione. Degli altri non fa menzione.

Fino all’ennesima versione di un paio di settimane fa, quando scagiona da ogni accusa Di Matteo e Petralia. “Il dottor Di Matteo non mi ha mai suggerito niente, il dottor Petralia neppure. Mi hanno convinto i poliziotti a parlare della strage”.

La solita colpa scaricata sugli anelli deboli. Come se un’inchiesta potesse svolgersi all’insaputa dei magistrati. Come se il pool di toghe non agisse sempre in strettissimo, fisiologico coordinamento.

Fiammetta Borsellino

L’inchiesta di Messina adesso si allarga a Palma e Petralia, accusati di “calunnia aggravata, con l’aggravante di aver favorito l’organizzazione mafiosa”. Parti lese coloro i quali hanno dovuto scontare l’incredibile condanna, con 16 anni in galera da innocenti.

Dal prosieguo, si dovrà capire come mai il pm Di Matteo non ha ricevuto un trattamento simile, avendo condiviso la stessa inchiesta in quei primi anni. “Ci sarà di certo un motivo tecnico oppure di merito”, commentano a Messina, “lo si dovrà appurare nelle prossime settimane”.

E fra pochi giorni, per il 19 giugno, è previsto lo svolgimento di un esame irripetibile che potrà portare forse a qualche chiarimento o comunque qualche elemento significativo in più.

Si tratterà di ascoltare i nastri di 19 cassette dei primi anni ’90, contenenti la voce intercettata di Scarantino. Dal momento che i supporti magnetici sono vecchissimi e si possono rovinare, per questo si tratta di esame ‘irripetibile’, che si svolgerà alla presenza di tutti i legali delle parti coinvolte.

FIAMMETTA BOLLENTE

Dichiara Fiammetta Borsellino. “E’ un punto di inizio. E’ un atto più che dovuto l’attivazione di un procedimento di accertamento delle responsabilità dopo tutto quello che è emerso nei dibattimenti: le anomalie e le omissioni, che potranno pur avere avuto una regia occulta, ma chi doveva fare la sentinella non ha impedito che tutto ciò accadesse”.

E attacca il Csm, la figlia di Paolo: “Dopo la mia audizione di un anno fa, non è arrivata alcuna risposta. Forse erano impegnati a fare altro”.

E ora si capisce bene cosa erano impegnati a fare, i super togati del Consiglio Superiore della Magistratura

E i media? Come al solito dormienti o quasi. Solo il Fatto quotidiano dedica mezza pagina alla fresca inchiesta sulle due toghe siciliane per uno dei più grandi buchi neri della nostra storia. Repubblica e il Corsera appena due brevi, un riquadratino e un colonnino.

Molto meglio tuffarsi negli stravolgari gossip Rai sui neomelodici siciliani che offendono la memoria di Falcone e Borsellino.

Per la Voce ha scritto memorabili articoli e inchieste, proprio sul caso Scarantino, Sandro Provvisionato, lo storico fondatore di “Misteri d’Italia”.

Già cinque ani fa, infatti, Provvisionato ha ricostruito per filo e per segno il taroccamento di Scarantino, facendo nomi cognomi e indirizzi di tutti i protagonisti di quel gigantesco depistaggio di Stato. Che solo ora, parzialmente, sta venendo alla luce.

Ucciso leader indigeno in Costa Rica

Fonte: https://www.salvaleforeste.it/it/popoli-indigeni/4461-ucciso-leader-indigeno-in-costa-rica.html

Nella notte di lunedì 18 marzo è stato assassinato con 15 colpi di pistola il dirigente indigeno costaricano Sergio Rojas. Da anni Sergio si batteva in difesa del suo popolo e contro l’usurpazione dei loro territori nella zona sud del Paese. Un impegno durato anni, marcati dalla repressione e dalla persecuzione nei confronti del popolo Bribri di Salitre. Negli ultimi anni Sergio è stato incarcerato, minacciato e infine ucciso.

L’associazione britannica Global Witness segnala una crescente ondata di omicidi di difensori dell’ambiente, in gran parte leader indigeni, segnalandone circa duecento ogni anno, anche probabilmente il numero degli omicidi passati sotto silenzio è molti più alto. La pressante corsa all’occupazione di terre, alimentata dalla crescente domanda di prodotti per il mercato internazionale, ha portato il conflitto sempre violento verso le terre delle comunità indigene

DEPISTAGGIO BORSELLINO / LE RIMEMBRANZE DI NINO DI MATTEO, E IL PROCESSO COMINCIA Il 5 NOVEMBRE

Scritto da: Andrea Cinquegrani
Fonte: http://www.lavocedellevoci.it/2018/09/30/depistaggio-borsellino-le-rimembranze-di-nino-di-matteo-e-il-processo-comincia-il-5-novembre/

Neanche il tempo di una sentenza (quella sulla ‘Trattativa’) e la super toga antimafia, l’icona del popolo delle agendine rosse si trova in libreria con un già cult, “Il patto sporco. Il processo Stato-Mafia nel racconto di un suo protagonista: Nino Di Matteo”. Non poteva che essere Chiarelettere l’editrice a pubblicare la lunga (oltre 200 pagine) intervista all’Eroe dei due Mondi raccolta da Saverio Lodato, per una vita inviato dell’Unità a Palermo e firma di punta del plotone di penne antimafia.

Non abbiamo letto il prestigioso volume, ma scorrendo il reportage che firma Corrado Stajano per il Corriere della Sera sembra di saperne molto, ma molto meno di prima. Soprattutto eclissando letteralmente dei fatti di sostanza che – vivaddio – in questi maledetti 35 anni sono stati acquisiti. Invece sembra di volteggiare, leggendo il libro, in una bolla perfetta, in un nulla metafisico e metastorico: una vertigine che ti può dare il senso del più totale spaesamento.

TRA I RICORDI DI NINO DI MATTEO

Il libro di Lodato. In apertura Giancarlo Caselli e sullo sfondo il covo di Totò Riina

Qualche cenno ai 200 chili di tritolo che Cosa nostra aveva ordinato per far fuori Di Matteo, le imprecazioni carcerarie di Totò Riina (che certo sapeva bene di essere ‘ascoltato’ da chi doveva sentire). E poi i soliti interrogativi senza risposta, e che il libro non contribuisce certo a darne neanche una briciola: “chi fece sparire – scrive Stajano – quasi del tutto i file informatici di Giovanni Falcone dopo la sua morte? Quali furono i motivi dell’accelerazione dell’assassinio di Paolo Borsellino? Che cosa avrà scoperto il magistrato nei tragici 57 giorni dopo Capaci?”.

Quindi uno dei punti bollenti: “La cattura di Riina nel gennaio ’93, poi la mancata perquisizione del covo sono smaccate prove dell’accordo tra le parti per ‘evitare che saltassero fuori atti e documenti compromettenti proprio su quella fase della trattativa’”.

C’è da augurarsi che nel libro ci sia qualche elemento in più su quel maxi buco nero del covo di Riina (che si collega alla mancata cattura di Bernardo Provenzano). Cosa c’era veramente in quel covo trovato ritinteggiato e messo a nuovo dopo due settimane di mancato controllo? E la cassaforte portata via in tutta tranquillità? Quell’archivio dei 3000 nomi di cui parla addirittura il capitano Ultimo – il braccio destro del capo Ros Mario Mori – che potrebbe essere finito nella mani di Matteo Messina Denaro per ricattare mezza Italia?

Beh, qualche spiegazionicina in più ce la saremmo aspettata dalla nostra Icona antimafia. Come anche sullo scarso controllo operato dal neo procuratore capo Giancarlo Caselli, arrivato da appena due settimane. Per non parlare della improvvisa, misteriosa e soprattutto mai indagata  morte (ecco un altro buco nero della nostra malastoria di cui nessuno parla) del procuratore Gabriele Chelezzi, che su quelle connection stava lavorando da mesi.

 

ARCHIVI & AGENDE

Da un archivio a un’agenda, quella rossa di Paolo Borsellino, il passo non è poi così lungo. Come mai nessun elemento in più – da parte di uno degli inquirenti di punta per la strage di via D’Amelio – viene partorito? Nessuna nuova pista per quel passaggio di mano della bollente agendina – quasi un’azione rugbistica – dal carabiniere accusato, processato e assolto, fino a Giuseppe Ayala e poi a chissà chi?

Come mai nessun cenno a quel famigerato Castel Utveggio che sovrasta Palermo e che domina sul palcoscenico di via D’Alemio? Non interessa sapere chi lo usava? Per chi non lo ricordi, è stato per anni un centro studi che faceva capo ai gesuiti di padre Pintacuda, poi s’è trasformato nel Cerisdi, un altro centro studi, ma stavolta per questioni militari, di sicurezza, tanto da essere riconducibile – secondo alcune attendibili fonti della procura di Palermo – ai Servizi Segreti. Per alcuni anni è stato presieduto da uno degli uomini più potenti della Sicilia: Elio Adelfio Cardinale, per anni rettore di Medicina a Catania, radiologo di fama, marito di Anna Maria Palma.

Ecco che un primo cerchio si chiude: il magistrato che per primo ha avuto in mano il fascicolo ancora fumante delle indagini sul tritolo di via D’Amelio è la consorte di Cardinale, il quale – va rammentato – è stato sottosegretario alla Salute nel governo Monti. Uno che quindi se ne intende.

E siamo al domandone? Come mai Nino Di Matteo, nel suo lungo sfogo con l’amico giornalista, non fornisce uno straccio di spiegazione (stando almeno all’articolo di Stajano) sul più grande depistaggio della nostra storia giudiziaria, di cui si è appena discusso davanti al Csm e che sarà oggetto dell’ennesimo processo che comincia il 5 novembre a Caltanissetta, dedicato proprio al Depistaggio?

Quel depistaggio è cominciato prima, con l’agendiana rossa e via dicendo, sostiene Di Matteo.

Ma sta di fatto che qualcuno l’avrà pure pensato, ideato, organizzato, messo in pratica, o no?

I tre poliziotti oggi accusati non possono che essere di tutta evidenza l’ultimo anello della catena, lo capirebbe anche un bambino. Fabrizio Mattei, Michele Ribaudo e Mario Bò non possono che essere i burattini che qualcuno o alcuni hanno manovrato. Elementare.

E allora? Tutti – o molti – hanno scaricato la montagna delle responsabilità sull’allora capo della Squadra Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, morto oltre 15 anni fa, nel 2002 e che difficilmente può più difendersi né fornire lumi.

C’è solo da sperare che qualcuno parli, come si augura Fiammetta Borsellino? “Ci sono grossi pezzi dello Stato – sottolinea – implicati nella strage che ha ucciso mio padre e i ragazzi della scorta”. E rivolta ai poliziotti, in occasione delle sedute davanti al Csm, tormentata ha continuato a chiedersi: “Perchè non parlano, perchè non dicono da chi ebbero l’ordine di ammaestrare Scarantino (Vincenzo Scarantino, il teste taroccato, ndr) con degli appunti molto dettagliati? E come è possibile che nessun magistrato si sia accorto del depistaggio messo in atto da un gruppo di poliziotti?”.

Perfino Nino Caleca, il legale di uno dei poliziotti oggi sotto accusa, Mario Bò, afferma: “Il mio assistito era convinto di avere fatto la cosa più bella dellla sua vita con quella indagine. Agì alle dipendenze dei superiori e di chi coordinava l’inchiesta”.

 

MA CHI ERANO I VERI DIRETTORI D’ORCHESTRA

Ma chi erano i ‘superiori’? Chi ‘coordinava’? Semplice come bere un bicchier d’acqua: i magistrati inquirenti. Quindi Anna Maria Palma poi affiancata da Carmelo Petralia e, 5 mesi dopo, da Nino Di Matteo. Questo il tris d’assi che ha diretto l’orchestra. Ma attenzione al nome del procuratore capo di allora: Giovanni Tinebra, il cui ruolo – in questa vicenda – è ancora tutto da scoprire

Possibile che Palma, Petralia e Di Matteo abbiano perso la memoria? Che tutti   contemporaneamente non sappiano e non ricordino?

Possibile che dei poliziotti abbiano pensato un bel giorno di rovinarsi la vita e la carriera per inventare un falso pentito? E’ mai credibile?

L’abbiamo scritto diverse volte: la Palma era una toga ‘rossa’, ai tempi di quelle militanze, ed era anche molto amica di Borsellino, secondo quanto ricordano i cronisti siciliani. Anni dopo l’inversione a U, quando viene chiamata dal berlusconiano Renato Schifani a dirigerne il Gabinetto ai tempi della sua presidenza del Senato.

Come mai tutti minimizzarono le parole di giudici come Ilda Boccassini e Roberto Sajeva i quali avevano messo in guardia da Scarantino, giudicandolo un teste del tutto inaffidabile e inattendibile? Come mai, invece, nelle mani di Palma, Petralia e Di Matteo diventa l’Oracolo di Delfo? La fonte di tutte le Verità sulla strage di via D’Amelio? Perchè cadono tutti in trappola?

Forse l’ennesimo processo sul depistaggio che si apre a Caltanissetta potrà darci qualche lume in più per arrivare a che – come implora Fiammetta Borsellino – Verità e Giustizia dopo tanti anni siano fatte, e uno dei buchi più neri e vergognosi dello Stato venga cancellato per sempre.

Verranno interrogati, oltre evidentemente i poliziotti, tutti i magistrati che hanno gestito il fascicolo e quindi ordinato e coordinato l’inchiesta e poi il primo processo che ha mandato all’ergastolo 6 innocenti? I quali, poi, hanno trascorso in carcere ‘solo’ 16 anni e adesso ovviamente si sono costituiti parte civile chiedendo un ovvio risarcimento. Per la serie: mafiosi parti civili contro dei poliziotti dello Stato. Il mondo capovolto.

Mentre – udite udite – fino ad oggi non si è costitutito parte civile il ministero degli Interni: per la serie, Matteo Salvini se ne frega. Si costituirà, invece, quello della Giustizia.

Nell’iniziare formalmente il  processo (che decollerà come detto il 5 novembre) il pm, Stefano Luciani, ha tuonato: “Non fu per ansia di giustizia che venne costruito ad arte il falso pentito Vincenzo Scarantino”. Nè per fare in fretta e sbattere il mostro in prima pagina, come furono le prime accuse lanciate contro La Barbera.

“Qualcuno dei miei amici mi ha tradito”, disse alla moglie Agnese Paolo prima di essere trucidato.

Il giallo continua.   

UN ELICOTTERO ITALIANO SOSTITUIRA’ LO HUEY. L’AGUSTA BELL MH 139

Scritto da: Fabio Lugano
Fonte: https://scenarieconomici.it/un-elicottero-italiano-sostituira-lo-huey-lagusta-bell-mh-139/

Un pezzo di italia sostituirà il famoso “Huey”, l’elicottero simbolo del Vietnam. Agusta Westland, gruppo Leonardo) ha vinto la gara d’appalto per la fornitura di elicotteri all’Aviazione USA con il MH 139 , elicottero multiruolo  che sarà costruito in joint venture con Boeing in 84 esemplari, ma di progettazione italiana. Bimotore, ultimo di una famiglia di elicotteri che vede la sua versione italiana AW 139 già in servizio nell’Esercito Italiano, avrà tra i suoi compiti quello di collegamento e di protezione con le basi nucleari sparse per gli Stati Uniti, diventando l’elicottero “Nucleare ” che, in caso di necessità, trasporterà testate nucleari, oltre a provvedere alla difesa con armi convenzionali come due mitragliatrici ai lati della fusoliera, missili etc. Inoltre ha la possibilità di mondare un vasto assortimento di telecamere e di sensori necessari per le attività ri ricerca, pattugliamento e ricognizione.

Il contratto ha un valore complessivo di 2,4 miliardi di dollari i cui primi 375 sono legati alla consegna dei 4 semplari iniziali. Anche se la costruzione avverrà negli USA la progettazione è completamente tricolore.


Siria, ultimo atto della demolizione del diritto internazionale

Fonte: https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-siria_ultimo_atto_della_demolizione_del_diritto_internazionale/82_23723/

L’attacco che l’associazione (a delinquere) USA/FR/GB ha sferrato nei confronti della Siria con il bombardamento della notte tra il 13 e 14 aprile 2018, non può che rinnovare il dubbio sulla effettiva esistenza di un diritto internazionale che regoli l’uso della forza bellica e se, ormai, la proibizione dell’utilizzo della forza per la risoluzione delle controversie internazionali abbia perso il suo valore di jus cogens, valore supremo essenziale e inderogabile.

Da anni siamo in presenza, infatti, di una continua, ed a nostro giudizio, del tutto illegittima, attenuazione dell’equiparazione tra guerra e crimine. L’introduzione di concetti come quello di ‘operazione di polizia internazionale’ di ‘guerra preventiva’ (unilaterale, anche in assenza di minacce dirette); di “intervento umanitario” tendono, anche teoricamente e non solo di fatto, a legittimare la guerra come strumento di tutela e affermazione dei diritti umani oppure come ‘guerra al terrorismo’ criminalizzando Stati sovrani, definendoli “Stati canaglia” accusati, nella maggior parte senza prove o con prove poi dimostratesi false, di supportare il terrorismo o di preparare l’uso di armi di distruzione di massa. Naturale conseguenza di questo inganno semantico è la crisi, se non la vera e propria distruzione, di tutto l’apparato di norme scritte o consuetudinarie che a partire dal patto Briand-Kellogg hanno tentato di limitare il diritto alla guerra e con esso gli organismi come il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Assad e come prima di lui, Gheddafi e Saddam, o chiunque gli Stati Uniti ed i suoi complici decidano di colpire, rappresenta, nella visione di Trump, May e Macron, un hostis generis humani nei confronti dei quali tutto è legittimo e non è quindi importante accertare se abbia o meno realmente fatto uso di armi chimiche o preoccuparsi di ottenere previamente una mandato dal Consiglio di sicurezza della ONU o sentirsi obbligati al rispetto del diritto internazionale. D’altra parte, salvo la Russia e l’Iran nessuno ha preso posizione su quella che è una palese violazione di ogni regola dello jus ad bellum, eppure il bombardamento della Siria rappresenta un vero e proprio atto di aggressione. Aggressione che la sentenza di Norimberga definiva il “crimine internazionale supremo”. Oltre a ciò il bombardamento rappresenta una palese violazione del trattato sulle armi chimiche che all’art. IX espressamente prevede, nel caso di dubbi sul rispetto dell’accordo, il ricorso al Consiglio Esecutivo 1 che può anche disporre delle ispezioni “su sfida” come disposto dal comma 6 del medesimo articolo: in loco di qualsiasi impianto o sito sul territorio o in ogni altro luogo sotto la giurisdizione o il controllo di ogni altro Stato Parte”.

La medesima convezione, poi, all’articolo XII disciplina espressamente i provvedimenti per risolvere una situazione ed assicurare l’osservanza, ivi comprese le sanzioni da adottare2, prevedendo nel caso di accertate violazioni ed in presenza di casi di particolare gravità il ricorso all’Assemblea Generale ed al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Nessun diritto quindi avevano gli Usa ed i suoi complici di intervenire militarmente ma solo di richiedere l’ispezione per l’accertamento della realtà dei fatti e di richiedere, l’intervento del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Sia gli Usa che la Gran Bretagna che la Francia ed anche la Siria sono firmatari dell’accordo sulle armi chimiche e, quindi, come recita la convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969 all’art. 26 “Pacta sunt servanda Ogni trattato in vigore vincola le parti e deve essere da esse eseguito in buona fede.”

Ma ormai ne l’ONU né il suo Consiglio di Sicurezza né tantomeno qualsivoglia altro sistema di risoluzione dei conflitti contenuto in convenzioni internazionali, hanno più un senso difronte a quella che, per citare Carl Schmitt è diventata una “guerra civile mondiale” in cui gli Stati Uniti si sono arrogati il diritto di decidere unilateralmente ciò che è giusto e legittimo ciò che non lo è.

Claudio Giangiacomo

  1. Ciascuno Stato Parte avrà il diritto di chiedere al Consiglio Esecutivo di ottenere chiarimenti da un altro Stato Parte su qualunque situazione che possa essere considerata ambigua o che possa far sorgere preoccupazioni riguardo alla eventuale inosservanza della Convenzione. In tal caso, è disposto quanto segue:

a. il Consiglio Esecutivo inoltrerà la richiesta di chiarimenti allo Stato Parte interessato tramite il Direttore Generale non oltre 24 ore dopo averla ricevuta;

b. lo Stato Parte richiesto fornirà i chiarimenti al Consiglio Esecutivo il prima possibile ma in ogni caso non oltre 10 giorni dopo aver ricevuto la relativa richiesta;

c. il Consiglio Esecutivo prenderà nota dei chiarimenti e li inoltrerà allo Stato Parte richiedente non oltre 24 ore dopo averli ricevuti;

d. se lo Stato Parte richiedente ritiene che i chiarimenti sono insufficienti, avrà diritto di chiedere al Consiglio Esecutivo di ottenere dallo Stato Parte richiesto ulteriori chiarimenti;

e. al fine di ottenere gli ulteriori chiarimenti richiesti secondo il capoverso d), il Consiglio Esecutivo può invitare il Direttore Generale a costituire un gruppo di esperti provenienti dal Segretariato Tecnico o, se un personale appropriato non è disponibile presso il Segretariato Tecnico, di altra provenienza per esaminare tutte le informazioni ed i dati disponibili pertinenti alla situazione che è causa della preoccupazione. Tale gruppo di esperti sottoporrà al Consiglio Esecutivo una relazione sui fatti investigati;

f. se lo Stato Parte richiedente considera che i chiarimenti ottenuti in base ai capoversi d. ed e. sono insoddisfacenti, avrà il diritto di richiedere una sessione speciale del Consiglio Esecutivo alla quale gli Stati Parte coinvolti che non sono membri del Consiglio Esecutivo avranno diritto di partecipare. In tale sessione speciale, il Consiglio Esecutivo prenderà in considerazione la questione e potrà raccomandare qualsiasi provvedimento che ritiene appropriato per risolvere la situazione.

  1. Ciascuno Stato Parte avrà anche il diritto di chiedere al Consiglio Esecutivo di chiarire qualunque situazione che è stata considerata ambigua o che ha fatto sorgere preoccupazioni circa un’eventuale inosservanza della presente Convenzione. Il Consiglio Esecutivo risponderà fornendo tutta l’assistenza appropriata.
  2. Il Consiglio Esecutivo informerà gli Stati Parte circa qualsiasi richiesta di chiarimento fornita nel presente Articolo.
  3. Se i dubbi o la preoccupazione di uno Stato Parte circa un’eventuale non conformità non sono stati risolti entro 60 giorni dopo la presentazione della domanda di chiarimenti al Consiglio Esecutivo, o se tale Stato Parte ritiene che i suoi dubbi giustificano un’immediata considerazione del problema, fermo restando il suo diritto di richiedere un’ispezione su sfida, esso può richiedere una sessione speciale della Conferenza in conformità con l’Articolo VIII, paragrafo 12 c.. In tale sessione speciale la Conferenza esaminerà la situazione e potrà raccomandare qualsiasi provvedimento che ritiene appropriato per risolvere la situazione.

Procedure per le ispezioni su sfida

  1. Ciascuno Stato Parte ha il diritto di chiedere un’ispezione su sfida in loco di qualsiasi impianto o sito sul territorio o in ogni altro luogo sotto la giurisdizione o il controllo di ogni altro Stato Parte, unicamente al fine di chiarire e di risolvere ogni questione relativa ad un’eventuale inosservanza delle disposizioni della presente Convenzione, e che questa ispezione sia condotta ovunque, senza indugio, da una squadra ispettiva designata dal Direttore Generale ed in conformità con l’Annesso sulle Verifiche.
  2. Ciascun Stato Parte ha l’obbligo di limitare la richiesta d’ispezione all’ambito della presente Convenzione e di fornire nella richiesta d’ispezione tutte le informazioni appropriate in base alle quali sorta una preoccupazione riguardo ad una eventuale inosservanza della presente Convenzione, come specificato nell’Annesso sulle Verifiche. Ciascuno Stato Parte si asterrà da richieste d’ispezione senza fondamento, curando di evitare gli abusi. L’ispezione su sfida sarà effettuata unicamente allo scopo di determinare i fatti relativi all’eventuale inosservanza.
  3. Al fine di verificare l’osservanza delle disposizioni della presente Convenzione, ciascun Stato Parte consentirà al Segretariato Tecnico di condurre ispezioni su sfida in loco secondo il paragrafo 8.
  4. A seguito di una richiesta di ispezione su sfida di un impianto o di un sito, ed in conformità con le procedure disposte nell’Annesso sulle verifiche, lo Stato Parte ispezionato avrà:

a. il diritto e l’obbligo di fare ogni ragionevole sforzo per dimostrare la sua osservanza della presente Convenzione, ed a tal fine, mettere in grado la squadra ispettiva di adempiere al suo mandato;

b. l’obbligo di fornire l’accesso all’interno del sito richiesto unicamente allo scopo di determinare i fatti pertinenti alla preoccupazione circa l’eventuale inosservanza;

c. il diritto di adottare provvedimenti per proteggere gli impianti sensibili ed impedire la divulgazione di informazioni e di dati riservati, non connessi alla presente Convenzione.

  1. Per quanto riguarda gli osservatori, è disposto quanto segue:

a. lo Stato Parte richiedente può, con riserva dell’accordo dello Stato Parte ispezionato, inviare un rappresentante il quale può essere un cittadino sia dello Stato Parte richiedente o di uno Stato Parte terzo, per osservare la conduzione dell’ispezione su sfida;

b. lo Stato Parte ispezionato in tal caso concederà l’accesso all’osservatore in conformità con l’Annesso sulle Verifiche;

c. lo Stato Parte ispezionato, di regola, dovrà accettare l’osservatore proposto; qualora lo Stato Parte ispezionato manifestasse un rifiuto, tale fatto dovrà essere segnalato nel rapporto finale.

  1. Lo Stato Parte richiedente presenterà una richiesta d’ispezione per un’ispezione su sfida in loco al Consiglio Esecutivo, e contestualmente al Direttore Generale per immediata trattazione.
  2. Il Direttore Generale si accerterà immediatamente che la richiesta d’ispezione è conforme ai criteri specificati alla Parte X, paragrafo 4 dell’Annesso sulle Verifiche e, se necessario, fornirà assistenza allo Stato Parte richiedente per compilare in maniera adeguata la richiesta d’ispezione. Quando la richiesta d’ispezione soddisfa i criteri stabiliti, possono aver inizio i preparativi per l’ispezione su sfida.
  3. Il Direttore Generale trasmetterà la richiesta d’ispezione allo Stato Parte ispezionando non meno di 12 ore prima dell’arrivo previsto della squadra ispettiva al punto di entrata.
  4. Dopo aver ricevuto la richiesta d’ispezione, il Consiglio Esecutivo prenderà conoscenza dei provvedimenti del Direttore Generale relativi alla richiesta e manterrà il caso sotto esame per l’intera durata della procedura d’ispezione. Le sue deliberazioni tuttavia non ritarderanno il processo d’ispezione.
  5. Il Consiglio Esecutivo, non oltre 12 ore dopo aver ricevuto la richiesta d’ispezione, può decidere a maggioranza di tre quarti di tutti i suoi membri di opporsi allo svolgimento dell’ispezione su sfida qualora consideri che la richiesta d’ispezione sia frivola, abusiva o che esuli chiaramente dall’ambito della Convenzione come prescritto al paragrafo 8. Lo Stato Parte richiedente e lo Stato Parte ispezionato non hanno voce in capitolo in questa decisione. Se il Consiglio Esecutivo decide contro l’ispezione su sfida, i preparativi saranno interrotti, nessuna ulteriore azione connessa alla richiesta d’ispezione sarà intrapresa e gli Stati Parte interessati saranno informati in merito.
  6. Il Direttore Generale emetterà un mandato d’ispezione per la conduzione dell’ispezione su sfida. Il mandato ispettivo consiste nella richiesta d’ispezione di cui ai paragrafi (8) e (9) tradotta in termini operativi, e dovrà essere conforme alla richiesta d’ispezione.
  7. L’ispezione su sfida sarà condotta in conformità con la Parte X, oppure, in caso di uso asserito secondo la Parte XI dell’Annesso sulle verifiche. La squadra ispettiva sarà guidata dal principio di condurre l’ispezione su sfida con la minore intrusione possibile, compatibilmente con l’adempimento effettivo e tempestivo della propria missione.
  8. Lo Stato Parte ispezionato assisterà la squadra ispettiva durante tutta l’ispezione su sfida ed agevolerà il suo compito. Se lo Stato Parte ispezionato propone, secondo la Parte X, Sezione C dell’Annesso sulle Verifiche, procedure per dimostrare l’osservanza della Convenzione, alternative ad un accesso completo e globale, esso dovrà fare ogni ragionevole sforzo, attraverso consultazioni con la squadra ispettiva, per raggiungere un accordo sulle modalità per determinare i fatti, al fine di dimostrare la propria osservanza.
  9. Il rapporto finale dovrà riportare le risultanze fattuali delle investigazioni nonché una valutazione da parte della squadra ispettiva del grado e della natura dell’accesso e della cooperazione concessi per una soddisfacente attuazione dell’ispezione su sfida. Il Direttore Generale trasmetterà prontamente il rapporto finale della squadra ispettiva allo Stato Parte richiedente, al Consiglio esecutivo ed a tutti gli altri Stati Parte. Il Direttore Generale inoltre trasmetterà prontamente al Consiglio Esecutivo le valutazioni dello Stato Parte richiedente e dello Stato Parte ispezionato, nonché le opinioni degli altri Stati Parte che potranno essere inoltrate al Direttore Generale a tal fine, e successivamente le farà avere a tutti gli Stati Parte.
  10. Il Consiglio Esecutivo, in conformità con i propri poteri e funzioni, esaminerà il rapporto finale della squadra ispettiva non appena gli sarà stato presentato e prenderà in esame ogni eventuale preoccupazione riguardo al fatto che:

a. si sia effettivamente verificata una inosservanza;

b. la richiesta rientrava nell’ambito della presente Convenzione;

c. vi siano stati abusi del diritto di chiedere un’ispezione su sfida.

  1. Qualora il Consiglio Esecutivo addivenga alla conclusione, nell’ambito dei propri poteri e funzioni, che ulteriori provvedimenti potrebbero essere necessari riguardo al Paragrafo 22, esso adotterà tutte le misure appropriate per risanare la situazione e garantire l’osservanza della presente Convenzione, comprese raccomandazioni specifiche alla Conferenza. In caso di abusi, il Consiglio Esecutivo esaminerà se lo Stato Parte richiedente debba farsi carico di eventuali oneri economici derivanti dall’ispezione su sfida.
  2. Lo Stato Parte richiedente e lo Stato Parte ispezionato avranno il diritto di partecipare al processo di esame. Il Consiglio Esecutivo porterà a conoscenza degli Stati Parte e della successiva sessione della Conferenza i risultati dell’esame.
  3. Se il Consiglio Esecutivo ha effettuato specifiche raccomandazioni alla Conferenza, la Conferenza prenderà provvedimenti in conformità con l’Articolo XII.

 

  1. 2 La Conferenza adotterà le necessarie misure stabilite ai paragrafi 2, 3 e 4 per assicurare l’osservanza della presente Convenzione e risolvere e portare rimedio ad ogni situazione che contravvenga con le disposizioni della presente Convenzione. Nel considerare i provvedimenti da adottare in conformità con il presente paragrafo, la Conferenza terrà conto di tutte le informazioni e raccomandazioni sui problemi presentati dal Consiglio Esecutivo.
  1. Nei casi in cui uno Stato Parte sia stato richiesto dal Consiglio Esecutivo di adottare provvedimenti per risolvere una situazione che presenta problemi per quanto riguarda l’osservanza della Convenzione, e qualora lo Stato Parte manchi di eseguire la richiesta entro il termine specificato, la Conferenza potrà, tra l’altro, dietro raccomandazione del Consiglio Esecutivo, limitare o sospendere i diritti ed i privilegi dello Stato Parte in base alla presente Convenzione fino a quando non avrà intrapreso le azioni necessarie ad adempiere ai suoi obblighi in base alla presente Convenzione.
  2. Qualora gravi danni all’oggetto ed allo scopo della presente Convenzione derivino da attività proibite in base alla presente Convenzione, in particolare dall’Articolo I, la Conferenza potrà raccomandare misure collettive agli Stati Parte in conformità con il diritto internazionale.
  3. La Conferenza sottoporrà, in casi di particolare gravità, la questione, comprese le informazioni e le conclusioni pertinenti, all’attenzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. “

La guerra di Libia entra in Stallo davanti a Tripoligrad. Causa “the human factor”

Fonte: https://corrieredellacollera.com/2011/03/31/la-guerra-di-libia-entra-in-stallo-davanti-a-tripoligrad-causa-the-human-factor/

La Guerra  di Libia sta diventando  la  dimostrazione che la teoria del generale Giulio Douhet sulla supremazia aerea, ha una falla di recente costruzione.

Per chi non lo sapesse, Douhet è un generale italiano  ( di Caserta, classe 1869) che negli anni trenta ha scritto un bel libro in cui ha spiegato che nella guerra  moderna la supremazia aerea sarebbe stato  l’elemento fondante di ogni vittoria.

Questo stesso concetto è stato espresso negli anni cinquanta da Alexander De Severesky ( origine russa, americano,  progettista di elicotteri) che scrisse il libro :  “Supremazia aerea chiave della sopravvivenza” in cui identificò  per primo anche  il fenomeno de “l’isterismo atomico”  basandosi sulle foto di Hiroshima e Nagasaki  che mostrano   manufatti in cemento a seicento metri dal punto di scoppio erano rimasti quasi intatti.

Non teneva conto che i giapponesi dentro l’edificio erano morti comunque. Non aveva considerato il “fattore Umano”.

E’ stata la prima di una serie di sottovalutazioni delle persone cui la politica USA ci ha abituato, specie se si tratta di arabi. ( vedi blog di ieri sulla galassia degli arabi).

La falla che ha causato il buco strategico alleato in Libia,  si chiama l’esmpio della  Serbia.

Gli alleati – tra cui l’Italia –  piegarono la Serbia  con una serie di bombardamenti mirati a infrastrutture, impianti industriali, ponti  e persino l’ambasciata cinese che un analista della CIA  non sapeva avesse traslocato.  La guerra di Serbia si esaurì senza morti per l’alleanza. Questo portò alle stelle l’entusiasmo USA circa le lezioni da infliggere ai  “dittatori prepotenti”.

La Serbia, guidata da un mezzo dittatore, era comunque  un paese industrializzato , antiquato, ma industrializzato. I serbi, europei non rozzi.  Il dittatore, privo di carisma ed assurto ai fasti del potere attraverso la trafila della nomenclatura del partito  unico.  Per far carriera non ebbe bisogno di carisma o delle doti, anche militari,  che fanno di  un uomo, un uomo  di carattere.

Vedendosi impotente a reagire militarmente e non riuscendo a difendersi dalla guerra elettronica a distanza ,  Milosevic si arrese. Anche nei Balcani  la popolazione non fu entusiasta del trattamento, ma  il prezzo della libertà prima o poi si deve pagare.  Pagarono, sia pure imbrogliando sul resto. All’appello manca  ancora Mladic e qualche altro spiccio.

La lezione era servita e l’obbiettivo di ottenere la resa,  raggiunto. La coalizione inviò le truppe a occupare Serbia  e Kosovo  facendo la cosiddetta “guerra col gesso” ( il detto  nasce dalla invasione di Carlo VIII di Valois  in Italia, che richiese – all’andata – solo lo sforzo logistico di segnare col gesso i luoghi di rifornimento delle truppe).

Nel caso libico, il fatto che delle persone avessero in animo di resistere, fu considerata una stranezza da dittatore folle, che sarebbe presto stato abbandonato  dai più, sotto la pressione psicologica creata dalle defezioni provocate  dall’intelligence e dell’opinione pubblica mondiale guidata dall’ONU, con una buona dose di bombe.

La  situazione libica si è invece mostrata  radicalmente diversa:

  •  intanto non è un paese industriale e  i soli impianti petroliferi sono proprio quelli che servono intatti agli attaccanti, che tendono a risparmiarli.
  •  non ci sono ponti abbattuti  che non si possano aggirare con i 4X4 che tutti posseggono , bombardare il deserto è come bombardare il mare.
  •  l’idea della strategia di  guerra con zero morti  – lanciata durante la campagna di Serbia –  ha fatto invece  due vittime: una è la verità e l’altra è la strategia stessa. Infatti la pubblica opinione mondiale,  adesso vuole sempre bombardamenti senza vittime e questo ha rallentato la forza di persuasione dei bombardamenti, che è forte su territori industrializzati e ricchi di infrastrutture e debole in zone popolate e inermi.  La foto di un bambino morto tra le braccia di una mamma può far cadere un governo.

Alla coalizione è mancata la corretta valutazione del fattore umano: hanno sottovalutato il nemico e sopravvalutato gli “alleati”, inrealtà un branco di “smandrappati” e mi si perdoni la definizione romanesca. Quella letteraria : “putant quod cupiunt” In italiano: sono poco realistici.

I caratteri  valutati realisticamente sono i seguenti:

Il dittatore : non è un  burocrate anche se la sua carriera militare non annovera impegni superiori all’accompagnamento della nazionale militare ai giochi militari del Mediterraneo. Però già allora dimostrò di non essere sciocco.

Realizzò un colpo di Stato senza sparare un colpo e con quattro gatti. Si impose col carisma, non con le primarie o lanci di palloncini colorati  o, peggio  con un   grigio congresso di partito. In più , da bravo arabo innamorato dell’idea del nomadismo, ha uno spiccato  senso dell’onore ( vedi “la galassia degli arabi alla voce beduini, sottovoce, Sharaf) e qualcuno non ha calcolato che Gheddafi  poteva decidere di resistere per dignità ( tema  peraltro già accennato da Mubarak , dal presidente yemenita e culminato ieri dalla frase di Assad ” se ci sarà da combattere, combatteremo”).  L’ex allenatore della nazionale sportiva militare, si è rivelato un buon motivatore e un tattico furbo e deciso. Il suo esempio – anche questo lo avevamo scritto – è stato contagioso.

Il popolo: i libici hanno notoriamente un carattere non facile, negli affari sono dei ricattatori, sono rozzi,  ma  hanno dimostrato di sapersi battere e di saper incassare colpi senza afflosciarsi.  Hanno  fatto una guerra sgangherata,  ma  l’hanno fatta.   La  strategia di Gheddafi   è semplice : sa che le democrazie non possono permettersi perdite umane e non vogliono scendere a terra per combattere  e sa che alla fine di ogni bombardamento la fanteria deve avanzare occupando. Ha convinto i suoi ad aspettarli con le armi in pugno.

In Serbia ci vollero 60mila soldati  NATO sia pure  in assenza di cenni  resistenza. Quanti ce ne vogliono per snidare i libici? Lui ha persone disposte a morire, magari solo i suoi figli, ma li ha. Anche chi si sentiva suddito , adesso si sente un patriota che combatte da uomo contro quelli che Omero chiamerebbe “guerrieri da balestra” che non osano affrontare il corpo a corpo e fidano nel potere della guerra a distanza.

La pubblica opinione internazionale: viziata oltremisura da una comunicazione globale ,  specie pubblicitaria,   che privilegia i punti di vista culturali femminili. Le donne  sono le responsabili degli acquisti delle famiglie  e il mondo si regola ormai  quasi solo sui consumi e l’individualismo che non premia i sacrifici per idealità , i governi  della coalizione non riescono a  imporre una linea di sacrifici e di guerra, sia pure temporanea e a basso costo di vite: La pubblica opinione  vuole la pace a gratis e non  in offerta speciale.

I governi della coalizione, comprati molti diplomatici in sedi estere – in saldo anche il ministro degli Esteri –  bombardate le truppe, devono  fare l’ultimo sforzo per vincere questa guerra per procura, ma   – causa la sopravvalutazione degli alleati locali – sembra che ormai  debbano decidere di  farsi avanti di persona con truppe NATO.   Le foto dei morti, deprimono le vendite al consumo e  fanno cadere i governi. E’ per queste ragioni che la “conferenza di Londra” è stata un minuetto privo di  senso.

Amman, per la prima volta cristiani e musulmani celebrano insieme la Festa dell’Annunciazione

Fonte: http://www.asianews.it/notizie-it/Amman,-per-la-prima-volta-cristiani-e-musulmani-celebrano-insieme-la-Festa-dellAnnunciazione-43458.html

Avverrà il 28 marzo, con la partecipazione di rappresentanti istituzionali, religiosi e civili. Vicario patriarcale ad Amman: parte del “dialogo teologico, religioso, spirituale” che accompagna quello “esistenziale di ogni giorno”. “Vogliamo mostrare i punti comuni fra cristiani e musulmani, riguardanti quest’evento dell’Annunciazione, al quale anche i musulmani credono”.

Amman (AsiaNews) – Quest’anno anche la Giordania terrà la prima celebrazione interreligiosa per la festa dell’Annunciazione di Maria: il 28 marzo, rappresentanti delle autorità, leader religiosi musulmani, vescovi cristiani e civili di entrambe le fedi si riuniranno in una grande sala della capitale per celebrare la festività.  Mons. William H. Shomali, vicario patriarcale del Patriarcato latino ad Amman, spiega che l’evento servirà per parlare “dell’importanza di Maria nel Corano, e del valore della narrativa dell’Annunciazione nel Vangelo di Luca. Vogliamo mostrare i punti comuni fra cristiani e musulmani, riguardanti quest’evento dell’Annunciazione, al quale anche i musulmani credono”.

In Libano, da 12 anni la festa dell’Annunciazione del 25 marzo ha valore di festività nazionale, con congedo dal lavoro per tutti i cittadini e come punto di forza sul dialogo fra cristiani e musulmani

Un evento, afferma il prelato, che fa parte del “dialogo teologico, religioso, spirituale” fra cristiani e musulmani, che si “aggiunge al dialogo esistenziale di ogni giorno”.

Nel settembre del 2016, il re Abdullah II aveva sottolineato davanti all’Assemblea delle Nazioni Unite l’importanza delle figure di Gesù e Maria nel Corano, citate 25 e 35 volte. Maria è “chiamata ‘la migliore di tutte le donne del creato’ [e] c’è un capitolo del Corano chiamato ‘Mayam’. I khawarej [musulmani estremisti che nella storia islamica si erano distaccati dall’Islam, ndr] nascondono deliberatamente queste verità per separare musulmani e non musulmani. Non possiamo permettere che ciò accada”.

P. Rifat Bader, dando notizia dell’evento sul quotidiano online Abouna, ricorda che dal 2000, il sovrano di Giordania ha reso il Natale una festa nazionale e aggiunge: “Ora chiediamo di celebrare la Festa dell’Annunciazione, così che il suo significato religioso serva come incentivo ad arricchire la nostra unità nazionale e coesione sociale”.

Iran, a bordo dell’aereo precipitato

Scritto da: Monica Mistretta
Fonte: http://www.articolotre.com/2018/03/iran-a-bordo-dellaereo-precipitato/

È giovedì 1 marzo. In un incidente stradale nella provincia di Bushehr, sul Golfo Persico in Iran, muoiono due fratelli. La notizia affiora su qualche giornale locale, sembra un fatto di cronaca come tanti altri. Ma Mohammad Bagher e Mohammad Sadegh Yusefi non sono due iraniani qualsiasi. Sono due studiosi dell’ambiente, gli ultimi a morire in una lunga catena di decessi nelle fila degli amanti della natura in Iran.

A sollevare i dubbi sull’incidente stradale che toglie la vita ai due fratelli è l’associazione ambientalista iraniana Battito della Terra che parla apertamente di omicidio.

Poco più di dieci giorni prima in Iran erano morti altri sedici ambientalisti. Erano tutti a bordo del volo 3704 della Aseman Airlines precipitato il 18 febbraio nell’area montuosa di Semirom, a 4.000 metri di altitudine, nella zona centro meridionale dell’Iran. Erano partiti da Teheran ed erano diretti a Yasuj, una città a 2.000 metri sui monti Zagros, poco distante dal luogo dell’impatto.

Nell’incidente aereo non c’erano stati superstiti. I soccorsi erano arrivati solo due giorni dopo. Causa maltempo, avevano detto le autorità. Ma Davood Karimi, dissidente iraniano, racconta un’altra storia: l’aereo sarebbe stato fatto precipitare con tutti i 65 passeggeri a bordo per disfarsi dell’equipe di ambientalisti.

I dubbi sul disastro aereo avevano cominciato a circolare già dalle prime ore dell’incidente. Quel giorno, secondo l’agenzia iraniana Irna, diversi voli erano stati cancellati per il mal tempo. Non è chiaro perché il volo 3704 avesse ricevuto luce verde. Di sicuro, aveva destato notevoli perplessità il fatto che le autorità avessero immediatamente dato per morti tutti i passeggeri prima di aver ritrovato i resti dell’aereo. I familiari delle vittime sostenevano di aver potuto parlare a cellulare con alcuni sopravvissuti nei minuti successivi all’incidente.

A poche ore dal disastro anche il ministro iraniano Mohammad Reza Tabesh, legato alla commissione ambientale del Parlamento di Teheran, aveva fatto notare l’alto numero di ambientalisti deceduti sull’aereo della Aseman Airlines.

Non risulta che sul luogo dell’incidente siano stati recuperati i corpi delle vittime. “Le autorità iraniane hanno trovato solo pochi pezzi di carne umana, che hanno portato via in due zainetti” ci fa sapere Karimi.

Sul perché questi ambientalisti fossero così scomodi per il governo iraniano è possibile fare solo ipotesi. Lavoravano nella stessa equipe del professor Kavous Seyed Emami, noto ambientalista. Anche lui deceduto agli inizi di febbraio. Era morto nel carcere di massima sicurezza di Evin, a Teheran. Suicida, diceva il comunicato ufficiale.

Emami, passaporto iraniano e canadese, era stato arrestato il 24 gennaio con l’accusa di spionaggio. Era un appassionato della fauna selvatica. Era direttore della Persian Wildlife Heritage Foundation. Insegnava sociologia all’Università Imam Sadegh, dove vengono istruiti i nuovi dirigenti del regime. Karimi racconta che la moglie, quando ha ricevuto la salma del marito, ha dovuto firmare un documento nel quale prometteva di non rilasciare interviste sul caso. A lei le autorità avrebbero consegnato anche un breve filmato nel quale si vedeva che Emami era in procinto di suicidarsi.

Il professore aveva installato alcune telecamere nei boschi e nei campi per osservare gli effetti delle sperimentazioni militari e missilistiche iraniane sulla fauna selvatica e sulla popolazione. Con la sua equipe studiava anche l’inquinamento delle acque sotterranee. Aveva mandato alla Commissione parlamentare per l’Ambiente di Teheran una relazione con il frutto delle sue scoperte poco prima dell’arresto. Secondo l’accusa, passava informazioni a Israele e agli Stati Uniti. Il procuratore di Teheran, Abbas Jafari-Dolatabadi, ha accusato Emami di raccogliere informazioni classificate nel settore della difesa e dei missili: lo faceva con le telecamere installate nei boschi.

Con la sua morte il computo dei decessi tra gli ambientalisti sale a diciannove. Due sono morti nell’incidente stradale di pochi giorni fa. Sedici sull’aereo precipitato. Di alcuni di loro e degli studi sull’ambiente che stavano conducendo, ci sono tracce sul web: Mohammad Fahimi, Ali Farzaneh, Seyed Reza, Fatemi Talab, Ahmad Ciarmiani, Khalil Ahangaran, Mojgan Nazari, Behnam Barzegar, Ahmad Nazari, Gholamali Ahmadi, Salman Sharifazari, Mehdi Javidpoor, Hamed Amiri, Seyed Behzad Siadati, Ardeshir Rad, Mostafa Rezai, Ali Zare.

Intanto in Iran ci sono stati altri arresti tra le file degli ambientalisti. L’elenco è lungo. Morad Tahbaz, con passaporto iraniano e americano, è membro della direzione ‘Mirase Parsian’, ‘Eredi dei Persiani’.  Human Jokar è il direttore progetto ‘Tutela dello Juspalange Asiatico’. Il giovane scienziato Taher Ghadirian, fa parte dell’associazione dell’Unesco ‘L’uomo e la terra’. Sam Rajabi è un esperto ambientale. Amir Hossein Khaleghi e Niloofar Bayani sono due studiosi della fauna selvatica. La signora Sepideh Kashani è la moglie del direttore delle ricerche ed ex consigliere del Progetto ambiente dell’Onu, Human Jokar.

A Teheran la notizia delle morti degli studiosi sta circolando su qualche giornale locale e nei bollettini delle associazioni ambientaliste. Per il resto, tutto tace. Questa storia di morti, ambiente e presunto spionaggio per ora resta un mistero. Qualcosa ha detto il ministro iraniano Reza Tabesh. Molto ha raccontato il dissidente Karimi. Sui media internazionali solo qualche breve accenno.