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TRUMP BIDEN: POLITICAL CIVIL WAR!

Fonte: https://icebergfinanza.finanza.com/2020/09/30/trump-biden-political-civil-war/

Partiamo dal nostro Keynes e il suo concorso di bellezza, non importa chi è il più bravo, chi più ci rappresenta, il più intelligente, il più adatto, importa solo come voteranno i giudici. Quindi evitate di fare commenti o scrivere fesserie su come finiranno queste elezioni al sottoscritto nulla importa se vince Trump o Biden, perché ambedue i personaggi, vista la loro storia, sono il peggio che l’America può ritrovarsi.

Con il livello di manipolazione mediatica di sondaggi e previsioni esistente, fa sorridere che qualcuno cerchi di suggerire chi ha vinto il dibattito di ieri.

Il dibattito di ieri ha fatto capire che tipo di elezioni saranno le prossime, frodi, manipolazioni e tanto altro ancora saranno all’ordine del giorno, il risultato sarà tale che ci vorranno giorni e forse mesi per conoscere il nuovo presidente degli Stati Uniti.

La prima sintesi unanime è che si tratta del peggior dibattito presidenziale della storia degli Stati Uniti, una serie di insulti e attacchi che prefigura la guerra civile politica che accompagnerà l’America nei prossimi mesi e forse anni.

Se qualcuno non ha ancora compreso l’aria che tira, suggerisco di ascoltare Trump, un assaggio ve lo abbiamo già dato nei giorni scorsi…

… potremmo non conoscere per mesi il risultato delle elezioni!

Dopo un inizio incoraggiante, slogan, insulti, interruzioni, sovrapposizioni, attacchi alle famiglie, nulla di più, se proprio vogliamo trovare un mossa sbagliata a testa per Trump è stata il rifiuto di negare il cosiddetto “suprematismo bianco” i pericolosi militanti armati, della destra più estrema, che porterà via parecchi voti dall’elettorato di colore, qualunque esso sia, mentre per Biden, quella di prendere le distanze dal Green NEW DEAL dell’ala sinistra radicale democratica.

Del resto, sull’economia nessuna novità, il NULLA da entrambi.

Quindi in attesa di valutare meglio quello che potrebbe accadere a novembre e nei mesi successi nel fine settimana, insieme al nostro Machiavelli, consiglio ancora una volta di non sottovalutare il caos che accadrà dopo le elezioni, visto che Trump ha invitato durante il dibattito la sua base a presidiare i seggi, dando per sicuri i brogli elettorali.

Ci vediamo nel fine settimana, noi insieme al nostro Machiavelli ci siamo già fatti un’idea di quello che accadrà, non nel concorso di bellezza, non su come voteranno i giudici, ma sul CAOS o meglio CHAOS che seguirà, per quello siamo già pronti, nuove strategie ci attendono nelle prossime settimane.

Un rapporto indipendente conferma: i salvataggi bancari hanno distrutto la Grecia, ma hanno salvato l’Euro

Fonte: http://movisol.org/un-rapporto-indipendente-conferma-i-salvataggi-bancari-hanno-distrutto-la-grecia-ma-hanno-salvato-leuro/

Un rapporto indipendente commissionato dai governatori del MES ha evidenziato i gravi danni causati dal programma di salvataggi bancari dell’UE, che ha imposto all’economia greca un debito di 210 miliardi di euro e disastrose misure di austerità sociale. Il rapporto è stato preparato dall’ex commissario europeo Joaquín Almunia (foto), che ha ammesso che anche se i salvataggi hanno mantenuto la Grecia nell’Eurozona salvando l’Euro, “il Paese e i suoi cittadini hanno subìto le conseguenze di otto anni di duro aggiustamento economico”. Ciò solleva “preoccupazioni”, ha aggiunto che tali programmi debbano essere pensati con priorità sociali quando vengono stilati (fonte: Euractiv).

Il rapporto di 167 pagine chiarisce questo punto, affermando che l’Eurogruppo, assieme alla Commissione Europea, al MES, alla Banca Centrale Europea e al Fondo Monetario Internazionale, che ha progettato il programma, non prestarono “sufficiente attenzione alle esigenze sociali di fondo della popolazione greca”. Gli obiettivi fiscali non erano “favorevoli a una crescita inclusiva e mancavano di prospettive economiche a lungo termine”. Il programma del MES non è riuscito a perseguire in modo sistematico e vigoroso l’obiettivo della sostenibilità macroeconomica e della resilienza a lungo termine”.

In un ovvio riferimento alla prepotente influenza della Germania, dei Paesi Bassi e di altri Paesi, il rapporto ha rilevato le forti richieste di austerità di alcuni di essi, che “a volte hanno ostacolato la capacità delle istituzioni di progettare e negoziare efficacemente misure politiche”. Cercando di minimizzare, il rapporto afferma che la sostenibilità del debito greco non è stata “ripristinata completamente”, con il debito pubblico che quest’anno dovrebbe salire al 196% del PIL. Inoltre, il settore bancario rimane “debole” e la disuguaglianza tra i redditi è superiore alla media dell’area dell’euro, con tassi di povertà complessivi e disoccupazione che rimangono elevati.

La risposta dei governatori del MES nel loro comunicato stampa è stata tipicamente insensibile: “Pur rilevando i notevoli costi economici e sociali della crisi per la Grecia, essi sottolineano il beneficio complessivo del programma nel fornire un indispensabile sostegno finanziario alla Grecia a seguito della perdita di accesso al mercato e nel preservare l’integrità dell’area dell’Euro”. In altre parole, l’Euro è stato salvato, ma a spese della vita dei greci.

ALGERIA: STANZIATI 260 MILIARDI PER LO SVILUPPO. FRANCIA E GERMANIA CI PUNTANO MENTRE NOI DILAPIDIAMO L’EREDITÀ DI MATTEI

Scritto da: Antonio de Martini
Fonte: https://corrieredellacollera.com/2014/09/01/algeria-stanziati-260-miliardi-per-lo-sviluppo-francia-e-germania-ci-puntano-mentre-noi-dilapidiamo-leredita-di-mattei-di-antonio-de-martini/

Il Consiglio dei Ministri algerino, nella riunione del 26 agosto ha deciso un piano di rilancio della economia ed aumentato il bilancio 2015 del 15,9% rispetto all’anno in corso, annunziando un piano complessivo da 260 MLD di dollari.

Rimasti ancorati al sistema socialista appreso del piano quinquennale lo stanziamento dei 260 MLD è previsto a tutto il 2019.

L’obiettivo , secondo il primo ministro Abdelmalek Sellal,

è di creare una economia ” produttiva e diversificata”.
Poiché sono – oltre che socialisti- mediterranei, hanno fatto come noi italiani: il primo piano quinquennale ( 2001) è partito con quattro anni di ritardo ( noi, all’epoca, con tre).

Il Presidente Abdelaziz Boutlefika , ormai al suo secondo piano di sviluppo ( il suo primo, iniziato nel 2010 era di 286 MLD) , ha stabilito che il piano vada finalizzato e presentato in Consiglio entro la fine dell’anno e in Parlamento subito dopo.

Notevole il fatto che essendo per legge ( recente) proibito allo stato di indebitarsi, il deficit di bilancio 2015, previsto in 59,4 miliardi, verrà finanziato con le riserve ad oggi stimate in 200 MLD di dollari.

Oltre ad essere il paese africano di maggior estensione ( dopo la partizione del Sudan) l’Algeria è anche il paese più “liquido” e di questi tempi…

Algeri è la sola città straniera in cui la SACE ( assicura i crediti dell’export) abbia aperto un ufficio, esiste una associazione Italia-Algeria presieduta dall’Ambasciatore Antonio Badini che è stato tra l’altro responsabile Africa al ministero e Ambasciatore presso la Lega Araba ed è in piena efficienza.
La classe dirigente algerina oggi al potere, un po’ vecchiotta, è ancora quella ” allevata” da Enrico Mattei e dall’ENI. La guerra di indipendenza algerina è stata consacrata dalla bella pellicola di Gillo Pontecorvo ” La battaglia di Algeri”.

Insomma esistono tutte le premesse per una comune attività di sviluppo reciproco, oscurata soltanto dalla conflittualità provocata dall’avventurismo di piccoli imprenditori nostrani convinti di poter gestire a modo loro i rapporti.

Ad oggi esistono nei tribunali italiani ben 1200 contenziosi tra società pubbliche e private algerine e società italiane provocati spesso da furbacchioni che cercano di dilazionare impegni presi con leggerezza e senza cognizione del contesto culturale in cui sono stati chiamati ad operare.

Una disposizione non scritta algerina prescrive ormai di negoziare in coppia quando l’interlocutore è un italiano per scoraggiare tentativi di corruzione, anche goffi, dovuti alla insofferenza per le lungaggini burocratiche inevitabili in un paese socialista con tradizioni mutuate dalla burocrazia francese.

Gli spagnoli, più morigerati, attenti e rispettosi, stanno incrementando il loro interscambio a ritmi di due cifre all’anno benché le loro tecnologie siano inferiori alle nostre.

Francia e Germania stanno sforzandosi in ogni modo di incrementare i loro affari , ma i tedeschi vengono visti con un misto di rispetto e sospetto , un residuo francese, mentre i francesi sono l’ex potenza coloniale con la quale ci sono stati otto anni di guerra feroce.
L’aggressione di Sarkosy alla Libia ( che gli algerini furono i soli ad aiutare) e l’intesa recente di Hollande con l’Arabia Saudita ( finanziatrice della recente guerra terroristica che ha provocato oltre centomila morti) sono due pesanti handicap per lo sviluppo dei rapporti bilaterali peraltro favoriti dalla francofoni a e dal conseguente interscambio demografico.

Con Enrico Letta ministro dell’industria una visita con un centinaio di imprenditori ebbe successo non seguito da adeguato sfruttamento commerciale.

Credo sia giunto il momento di presentarsi a reclamare l’eredità di Mattei.
Con imprenditori, tecnologie e progetti di sviluppo.
Le persone serie , dopo un momento di valutazione, saranno ben accolte.
Ci sono da raccogliere due punti di PIL.

Il governo cinese riconosce mons. Pietro Jin Lugang vescovo coadiutore di Nanyang

Scritto da: Peter Zhao
Fonte: http://www.asianews.it/notizie-it/Il-governo-cinese-riconosce-mons.-Pietro-Jin-Lugang-vescovo-coadiutore-di-Nanyang-46118.html

La cerimonia presieduta dal vice presidente del Consiglio dei vescovi cinesi, mons. Yang Yongqiang, di Zhoucun. Per il Vaticano mons. Jin è l’ordinario della diocesi fin dal 2010 e mons. Zhu Baoyu è vescovo emerito. Per il governo, il primo è coadiutore e l’altro è l’ordinario. Mons. Zhu è diventato da sotterraneo a ufficiale nel 2010 e istallato dal governo come vescovo ordinario di Nanyang all’età di 89 anni.

Nanyang (AsiaNews) – Questa mattina, nella cattedrale di Nanyang (Henan) si è svolta una cerimonia di riconoscimento di mons. Pietro Jin Lugang ((foto1)  come vescovo coadiutore della diocesi, a sostegno del vescovo ordinario, mons. Giuseppe Zhu Baoyu, 98 anni (foto 2). Per la Santa Sede mons. Zhu doveva essere vescovo emerito già nel 2010 e mons. Jin, già ordinato nel 2007 come vescovo coadiutore non ufficiale, accettato dal Vaticano come ordinario.

La cerimonia è stata presieduta da mons.  Yang Yongqiang, vescovo di Zhoucun (Shandong), vice-presidente del Consiglio dei vescovi cinesi [un organismo non riconosciuto dalla Santa Sede perché mancante della presenza dei vescovi sotterranei]. Assieme a lui, erano presenti mons. Zhu e mons. Zhang Yinlin di Anyang (Henan), circa 250 fedeli, sacerdoti e suore.

Una fonte di AsiaNews ha detto che “tutto si è svolto in modo tranquillo”. Altre affermano che il controllo attorno alla chiesa era molto forte: non si poteva portare con sé cellulari, né borse e tutti gli invitati erano perquisiti. Una suora ha detto di non essere stata avvertita della cerimonia, forse perché “è stata imbastita velocemente e quasi in silenzio”.

Il comunicato ufficiale recita che il vescovo coadiutore aiuterà i fedeli “a rispettare la costituzione cinese, a salvaguardare l’unità nazionale e la stabilità sociale, ad amare la Patria e amare la Chiesa, camminando nella direzione scelta dalla Chiesa cattolica in Cina”.

Il riconoscimento di mons. Jin Lugang viene a sanare una difficoltà creatasi negli anni passati. Fino al 2010 mons. Zhu era un vescovo sotterraneo, che aveva passato molti anni in prigione e nei campi di lavoro forzato (rieducazione attraverso il lavoro). È stato ordinato vescovo in segreto nel 1995. Nel 2010, avendo egli compiuto 89 anni, Benedetto XVI ha accolto le sue dimissioni e stabilito vescovo ordinario mons. Jin Lugang, che era stato ordinato vescovo coadiutore nel 2007.

Ma subito dopo le dimissioni, mons. Zhu ha chiesto – altri dicono “ha ricevuto pressioni” – per essere riconosciuto dal governo. Ciò è avvenuto, e il governo lo ha insediato come vescovo ordinario, non tenendo conto delle sue dimissioni presentate al Vaticano. Alcune fonti dicono che la mossa di mons. Zhu aveva come scopo avere più forza nell’esigere dal governo il ritorno delle proprietà della Chiesa, sequestrate durante la Rivoluzione culturale.

Fino ad oggi, mons. Jin Lugang era considerato dal governo come un semplice prete e ha subito spesso restrizioni nel suo ministero. Ora è vescovo coadiutore, senza tener conto che per la Santa Sede egli è già l’ordinario della diocesi di Nanyang da quasi 10 anni.

La cerimonia presieduta dal vice presidente del Consiglio dei vescovi cinesi, mons. Yang Yongqiang, di Zhoucun. Per il Vaticano mons. Jin è l’ordinario della diocesi fin dal 2010 e mons. Zhu Baoyu è vescovo emerito. Per il governo, il primo è coadiutore e l’altro è l’ordinario. Mons. Zhu è diventato da sotterraneo a ufficiale nel 2010 e istallato dal governo come vescovo ordinario di Nanyang all’età di 89 anni.

Nanyang (AsiaNews) – Questa mattina, nella cattedrale di Nanyang (Henan) si è svolta una cerimonia di riconoscimento di mons. Pietro Jin Lugang ((foto1)  come vescovo coadiutore della diocesi, a sostegno del vescovo ordinario, mons. Giuseppe Zhu Baoyu, 98 anni (foto 2). Per la Santa Sede mons. Zhu doveva essere vescovo emerito già nel 2010 e mons. Jin, già ordinato nel 2007 come vescovo coadiutore non ufficiale, accettato dal Vaticano come ordinario.

La cerimonia è stata presieduta da mons.  Yang Yongqiang, vescovo di Zhoucun (Shandong), vice-presidente del Consiglio dei vescovi cinesi [un organismo non riconosciuto dalla Santa Sede perché mancante della presenza dei vescovi sotterranei]. Assieme a lui, erano presenti mons. Zhu e mons. Zhang Yinlin di Anyang (Henan), circa 250 fedeli, sacerdoti e suore.

Una fonte di AsiaNews ha detto che “tutto si è svolto in modo tranquillo”. Altre affermano che il controllo attorno alla chiesa era molto forte: non si poteva portare con sé cellulari, né borse e tutti gli invitati erano perquisiti. Una suora ha detto di non essere stata avvertita della cerimonia, forse perché “è stata imbastita velocemente e quasi in silenzio”.

Il comunicato ufficiale recita che il vescovo coadiutore aiuterà i fedeli “a rispettare la costituzione cinese, a salvaguardare l’unità nazionale e la stabilità sociale, ad amare la Patria e amare la Chiesa, camminando nella direzione scelta dalla Chiesa cattolica in Cina”.

Il riconoscimento di mons. Jin Lugang viene a sanare una difficoltà creatasi negli anni passati. Fino al 2010 mons. Zhu era un vescovo sotterraneo, che aveva passato molti anni in prigione e nei campi di lavoro forzato (rieducazione attraverso il lavoro). È stato ordinato vescovo in segreto nel 1995. Nel 2010, avendo egli compiuto 89 anni, Benedetto XVI ha accolto le sue dimissioni e stabilito vescovo ordinario mons. Jin Lugang, che era stato ordinato vescovo coadiutore nel 2007.

Ma subito dopo le dimissioni, mons. Zhu ha chiesto – altri dicono “ha ricevuto pressioni” – per essere riconosciuto dal governo. Ciò è avvenuto, e il governo lo ha insediato come vescovo ordinario, non tenendo conto delle sue dimissioni presentate al Vaticano. Alcune fonti dicono che la mossa di mons. Zhu aveva come scopo avere più forza nell’esigere dal governo il ritorno delle proprietà della Chiesa, sequestrate durante la Rivoluzione culturale.

Fino ad oggi, mons. Jin Lugang era considerato dal governo come un semplice prete e ha subito spesso restrizioni nel suo ministero. Ora è vescovo coadiutore, senza tener conto che per la Santa Sede egli è già l’ordinario della diocesi di Nanyang da quasi 10 anni.

La cerimonia presieduta dal vice presidente del Consiglio dei vescovi cinesi, mons. Yang Yongqiang, di Zhoucun. Per il Vaticano mons. Jin è l’ordinario della diocesi fin dal 2010 e mons. Zhu Baoyu è vescovo emerito. Per il governo, il primo è coadiutore e l’altro è l’ordinario. Mons. Zhu è diventato da sotterraneo a ufficiale nel 2010 e istallato dal governo come vescovo ordinario di Nanyang all’età di 89 anni.

Nanyang (AsiaNews) – Questa mattina, nella cattedrale di Nanyang (Henan) si è svolta una cerimonia di riconoscimento di mons. Pietro Jin Lugang ((foto1)  come vescovo coadiutore della diocesi, a sostegno del vescovo ordinario, mons. Giuseppe Zhu Baoyu, 98 anni (foto 2). Per la Santa Sede mons. Zhu doveva essere vescovo emerito già nel 2010 e mons. Jin, già ordinato nel 2007 come vescovo coadiutore non ufficiale, accettato dal Vaticano come ordinario.

La cerimonia è stata presieduta da mons.  Yang Yongqiang, vescovo di Zhoucun (Shandong), vice-presidente del Consiglio dei vescovi cinesi [un organismo non riconosciuto dalla Santa Sede perché mancante della presenza dei vescovi sotterranei]. Assieme a lui, erano presenti mons. Zhu e mons. Zhang Yinlin di Anyang (Henan), circa 250 fedeli, sacerdoti e suore.

Una fonte di AsiaNews ha detto che “tutto si è svolto in modo tranquillo”. Altre affermano che il controllo attorno alla chiesa era molto forte: non si poteva portare con sé cellulari, né borse e tutti gli invitati erano perquisiti. Una suora ha detto di non essere stata avvertita della cerimonia, forse perché “è stata imbastita velocemente e quasi in silenzio”.

Il comunicato ufficiale recita che il vescovo coadiutore aiuterà i fedeli “a rispettare la costituzione cinese, a salvaguardare l’unità nazionale e la stabilità sociale, ad amare la Patria e amare la Chiesa, camminando nella direzione scelta dalla Chiesa cattolica in Cina”.

Il riconoscimento di mons. Jin Lugang viene a sanare una difficoltà creatasi negli anni passati. Fino al 2010 mons. Zhu era un vescovo sotterraneo, che aveva passato molti anni in prigione e nei campi di lavoro forzato (rieducazione attraverso il lavoro). È stato ordinato vescovo in segreto nel 1995. Nel 2010, avendo egli compiuto 89 anni, Benedetto XVI ha accolto le sue dimissioni e stabilito vescovo ordinario mons. Jin Lugang, che era stato ordinato vescovo coadiutore nel 2007.

Ma subito dopo le dimissioni, mons. Zhu ha chiesto – altri dicono “ha ricevuto pressioni” – per essere riconosciuto dal governo. Ciò è avvenuto, e il governo lo ha insediato come vescovo ordinario, non tenendo conto delle sue dimissioni presentate al Vaticano. Alcune fonti dicono che la mossa di mons. Zhu aveva come scopo avere più forza nell’esigere dal governo il ritorno delle proprietà della Chiesa, sequestrate durante la Rivoluzione culturale.

Fino ad oggi, mons. Jin Lugang era considerato dal governo come un semplice prete e ha subito spesso restrizioni nel suo ministero. Ora è vescovo coadiutore, senza tener conto che per la Santa Sede egli è già l’ordinario della diocesi di Nanyang da quasi 10 anni.

Fonte:

La cerimonia presieduta dal vice presidente del Consiglio dei vescovi cinesi, mons. Yang Yongqiang, di Zhoucun. Per il Vaticano mons. Jin è l’ordinario della diocesi fin dal 2010 e mons. Zhu Baoyu è vescovo emerito. Per il governo, il primo è coadiutore e l’altro è l’ordinario. Mons. Zhu è diventato da sotterraneo a ufficiale nel 2010 e istallato dal governo come vescovo ordinario di Nanyang all’età di 89 anni.

Nanyang (AsiaNews) – Questa mattina, nella cattedrale di Nanyang (Henan) si è svolta una cerimonia di riconoscimento di mons. Pietro Jin Lugang ((foto1)  come vescovo coadiutore della diocesi, a sostegno del vescovo ordinario, mons. Giuseppe Zhu Baoyu, 98 anni (foto 2). Per la Santa Sede mons. Zhu doveva essere vescovo emerito già nel 2010 e mons. Jin, già ordinato nel 2007 come vescovo coadiutore non ufficiale, accettato dal Vaticano come ordinario.

La cerimonia è stata presieduta da mons.  Yang Yongqiang, vescovo di Zhoucun (Shandong), vice-presidente del Consiglio dei vescovi cinesi [un organismo non riconosciuto dalla Santa Sede perché mancante della presenza dei vescovi sotterranei]. Assieme a lui, erano presenti mons. Zhu e mons. Zhang Yinlin di Anyang (Henan), circa 250 fedeli, sacerdoti e suore.

Una fonte di AsiaNews ha detto che “tutto si è svolto in modo tranquillo”. Altre affermano che il controllo attorno alla chiesa era molto forte: non si poteva portare con sé cellulari, né borse e tutti gli invitati erano perquisiti. Una suora ha detto di non essere stata avvertita della cerimonia, forse perché “è stata imbastita velocemente e quasi in silenzio”.

Il comunicato ufficiale recita che il vescovo coadiutore aiuterà i fedeli “a rispettare la costituzione cinese, a salvaguardare l’unità nazionale e la stabilità sociale, ad amare la Patria e amare la Chiesa, camminando nella direzione scelta dalla Chiesa cattolica in Cina”.

Il riconoscimento di mons. Jin Lugang viene a sanare una difficoltà creatasi negli anni passati. Fino al 2010 mons. Zhu era un vescovo sotterraneo, che aveva passato molti anni in prigione e nei campi di lavoro forzato (rieducazione attraverso il lavoro). È stato ordinato vescovo in segreto nel 1995. Nel 2010, avendo egli compiuto 89 anni, Benedetto XVI ha accolto le sue dimissioni e stabilito vescovo ordinario mons. Jin Lugang, che era stato ordinato vescovo coadiutore nel 2007.

Ma subito dopo le dimissioni, mons. Zhu ha chiesto – altri dicono “ha ricevuto pressioni” – per essere riconosciuto dal governo. Ciò è avvenuto, e il governo lo ha insediato come vescovo ordinario, non tenendo conto delle sue dimissioni presentate al Vaticano. Alcune fonti dicono che la mossa di mons. Zhu aveva come scopo avere più forza nell’esigere dal governo il ritorno delle proprietà della Chiesa, sequestrate durante la Rivoluzione culturale.

Fino ad oggi, mons. Jin Lugang era considerato dal governo come un semplice prete e ha subito spesso restrizioni nel suo ministero. Ora è vescovo coadiutore, senza tener conto che per la Santa Sede egli è già l’ordinario della diocesi di Nanyang da quasi 10 anni.

Le bugie contro Cina, Russia e Trump provengono dagli stessi ambienti britannici che hanno provocato la crisi

Fonte: http://movisol.org/le-bugie-contro-cina-russia-e-trump-provengono-dagli-stessi-ambienti-britannici-che-hanno-provocato-la-crisi/

Con tutto il successo che la Cina ha avuto nell’innalzare i livelli di vita della sua popolazione negli ultimi quarant’anni, come mai viene sottoposta a una campagna di “maliziose falsità” (in Affari esteri, nel documentario ARTE e nei media in generale), in particolare perché sta aiutando le altre nazioni a ottenere risultati simili, con la sua iniziativa Belt-and Road? Perché i costanti attacchi a Putin e in Russia? E perché l’escalation di Mueller contro Trump, visto che non è riuscito a provare nessuna “collusione”, come sosteneva il Russiagate?

Nella videoconferenza del 20 dicembre, Helga Zepp LaRouche invita gli spettatori a studiare le opere dei grandi filosofi, tra cui Platone, Cusano, Leibniz, Schiller, Einstein e di suo marito Lyndon LaRouche, per sviluppare la propria capacità di giudizio, in modo di poter rispondere a queste domande da soli. Mentre al Parlamento inglese non piace la prospettiva della fine del “rapporto speciale” tra Gran Bretagna e Stati Uniti, Trump ha compiuto due passi in avanti importanti contro il vecchio paradigma, accettando di collaborare con il Messico in progetti di sviluppo economico in America centrale e annunciando la fine dell’ intervento militare in Siria.

Sconfitto il partito della guerra alle elezioni di metà mandato

Fonte: http://movisol.org/sconfitto-il-partito-della-guerra-alle-elezioni-di-meta-mandato/

L’”ondata blu” di voti per il Partito Democratico, che era stata preannunciata e promossa dai media dominanti negli Stati Uniti, non si è materializzata alle elezioni di metà mandato del 6 novembre. I democratici hanno ripreso la maggioranza alla Camera, ma a un livello ben inferiore a quelli generalmente raggiunti dal partito di opposizione nel corso di tutte le elezioni di metà mandato. Quanto al Senato, i repubblicani hanno incrementato la maggioranza conquistando tre o quattro seggi in più, a seconda dell’esito del conteggio dei voti ancora in corso. Per contrasto, i democratici di Bill Clinton avevano perso otto seggi al Senato nel 1994, e quelli di Obama sei nel 2010.

Il fatto che Donald Trump e i repubblicani a lui fedeli ce l’abbiano fatta, dopo due anni di calunnie e vituperii, a partire dalla falsa accusa che Trump si fosse fatto aiutare dalla Russia per vincere le elezioni del 2016, è dovuto in larga parte al fatto che il Presidente sia sceso in campo personalmente nella campagna per il Senato. Trump ha condotto la campagna elettorale per undici candidati repubblicani e, finora, otto di loro hanno vinto. La campagna personale di Trump viene accreditata, perfino dai suoi oppositori, come l’elemento determinante che ha arginato l’ondata blu dei democratici.

Anche se si potrebbe dire molto di più nell’analizzare il risultato del voto, due aspetti risaltano. La vittoria al Senato rende molto improbabile un tentativo di impeachment, che richiede due terzi dei voti, ovvero 67. Che l’inchiesta dell’inquirente speciale Mueller non abbia prodotto prove serie di interferenze russe o della collusione di Trump con la Russia nel 2016, garantisce che Trump resterà Presidente per il resto del mandato di quattro anni.

In secondo luogo, una volta completato il conteggio dei voti, Trump ha teso la mano ai democratici, invitandoli a lavorare con lui invece di proseguire fanaticamente la campagna per un cambiamento di regime. Ha telefonato a Nancy Pelosi, che probabilmente diventerà la Presidente della Camera, per congratularsi con lei e suggerirle sforzi comuni su temi cruciali, come la ricostruzione delle infrastrutture e la riduzione dei prezzi troppo alti dei farmaci da prescrizione. Alcuni nell’Amministrazione hanno indicato che Trump potrebbe tornare alla promessa, fatta durante la campagna per le presidenziali, di ripristinare la legge Glass-Steagall, sostenuta da molti democratici. Pur offrendo un rametto d’ulivo, ha ammonito i democratici che se proseguiranno con le inchieste contro di lui, la sua famiglia e le sue imprese, la risposta “sarà simile a una guerra” e gli elettori daranno la colpa ai democratici per non aver affrontato i problemi reali del Paese.

Durante la campagna elettorale Trump aveva chiarito la sua intenzione di attenersi ai temi che portarono alla sua vittoria nel 2016, inclusi quello di cercare la cooperazione con Vladimir Putin e con la Russia, quello di difendere la sovranità americana e quello di porre fine agli accordi di “libero scambio” della globalizzazione che hanno portato al quasi smantellamento del settore industriale americano. Se insisterà nell’offerta di collaborare sulla politica economica, i democratici si troveranno di fronte al momento della verità: lavoreranno con lui, nell’interesse di quello che Franklin D. Roosevelt definiva il “forgotten man”, l’uomo dimenticato, o continueranno a essere il partito di Wall Street e della City di Londra, difendendo un sistema finanziario in bancarotta e promuovendo il cambiamento di regime e la guerra, in particolare contro Russia e Cina?

The Week – La Guerra autodistruttiva dell’Europa all’Italia

Scritto da: Malachia Paperoga
Fonte: http://vocidallestero.it/2018/10/31/the-week-la-guerra-autodistruttiva-delleuropa-allitalia/

Anche sul sito americano The Week, si sottolinea come la manovra economica proposta dal Governo Italiano sia perfettamente ragionevole e in linea sia con la volontà di abbandonare le fallimentari politiche di austerità, sia con il notissimo parametro del 3% (deficit/PIL) imposto da Bruxelles. La BCE dovrebbe sostenere le politiche nazionali di aiuto alle economie in difficoltà, fino a quando non si raggiunge la piena occupazione e l’inflazione non minaccia di salire eccessivamente. Invece, gli euroburocrati stanno dichiarando guerra al Governo Italiano, col probabile risultato di far ripiombare l’intera eurozona in una crisi esistenziale. 

Di Jeff Spross, 25 ottobre 2018

L’Italia e l’Unione europea si avviano verso uno scontro frontale. Il nuovo governo italiano vuole aiutare i suoi cittadini, dopo anni di pesante impoverimento economico. Ma l’UE è determinata a fermarlo, nel nome della disciplina fiscale neoliberista.

Si tratta di uno spettacolo incredibile, che mette a nudo la sconfinata stupidità e l’autodistruttiva prepotenza della leadership UE.

L’Italia è stata colpita duramente dalla crisi economica globale del 2008 e dalla seguente crisi dell’eurozona. La disoccupazione italiana ha raggiunto il 13%, e dopo anni di sofferenza sotto le misure di austerità imposte dall’Europa, la disoccupazione si trova ancora intorno al 10%. Non sorprende quindi che gli Italiani si siano infine stancati dello status quo; in giugno, si sono ribellati votando un’improbabile coalizione di populisti di destra e di sinistra perché andasse al governo.

Questo nuovo governo ha prontamente proposto un ambizioso bilancio nazionale, che include un reddito minimo garantito, la cancellazione dei tagli effettuati in precedenza al sistema pensionistico, una serie di tagli della pressione fiscale, e altro. Non occorre dire che questo notevole pacchetto di spese, insieme alla riduzione delle entrate fiscali, richiederebbe l’aumento del deficit. L’Italia prevede una differenza tra entrate ed uscite fiscali del 2,4% del PIL nel 2019.

Perché farlo? Molto semplicemente, il governo italiano vuole ridurre la povertà e offrire ai suoi cittadini un po’ di aiuto mentre l’economia continua ad arrancare. Ma si tratta anche di una buona politica economica: con una disoccupazione del 10% e il PIL che è sceso – da quasi 2.400 miliardi di dollari nel 2008 a 1.900 miliardi di dollari oggi – l’Italia sta chiaramente soffrendo una grossa carenza di domanda aggregata. La maniera per risolvere la carenza è che il governo spenda più di quanto tassi; in particolare spenda in programmi che mettano soldi nelle tasche dei consumatori. Gli italiani di conseguenza spenderebbero questi soldi aggiuntivi, creando così nuovi posti di lavoro.

I Baroni tecnocrati dell’Unione Europea non sono a favore di questo piano, per usare un eufemismo.

La UE proibisce alle sue nazioni di avere deficit di bilancio superiori al 3% del PIL. Questa limitazione è già folle, ma tuttavia l’Italia la rispetta. La complicazione è questa: la Commissione Europea ha ottenuto nel 2013 il potere di porre il veto ai bilanci degli Stati membri della UE. Il debito pubblico italiano è già intorno al 132% del PIL. Inoltre, lo scorso luglio, il Consiglio dei Ministri UE ha emesso una raccomandazione vincolante all’Italia di tagliare il proprio deficit strutturale dello 0,6% del PIL (il deficit strutturale è il deficit di bilancio escludendo gli effetti del ciclo economico e altri eventi estemporanei). Al contrario, il bilancio proposto dall’Italia aumenterà il deficit strutturale dello 0,8% del PIL.

Tutto considerato, la Commissione Europea ha concluso che i progetti dell’Italia costituiscono una “grave inosservanza degli obblighi di politica di bilancio previsti dal Patto di Stabilità e Crescita”. La Commissione vuole che l’Italia riscriva il suo bilancio, altrimenti applicherà multe e sanzioni.

Il Consiglio dei Ministri UE è formato dai ministri degli Stati membri UE – in qualche modo è equivalente ai segretari di gabinetto negli Stati Uniti. La Commissione Europea invece, è un organo di governo i cui membri sono nominati dal Parlamento Europeo (è il Parlamento Europeo che opera nel modo classico degli organi legislativi, con i paesi membri UE che eleggono i loro rappresentanti). Per quale strano motivo, se non l’esistenza delle regole bizantine della UE, queste persone dovrebbero poter dire al governo italiano democraticamente eletto di affossare il proprio piano e imporre più austerità ai propri cittadini?

Come spesso in questi casi, la risposta sono i soldi.

Se il governo italiano controllasse la propria moneta, la sua banca centrale potrebbe semplicemente comprare il debito governativo creato dal suo deficit e tenere bassi i tassi di interesse. Ma l’Italia è un membro dell’Unione monetaria dell’eurozona. E la quantità di euro emessa è controllata dalla Banca centrale europea (BCE), che a sua volta ha la supervisione delle banche centrali nazionali dell’eurozona. Il sistema della BCE prevede ogni sorta di regole e limiti sui casi in cui può  acquistare i titoli di debito emessi dagli Stati membri dell’eurozona e sulla quantità che è possibile comprarne.

Perciò sono gli investitori privati a dare al Governo Italiano gli euro di cui ha bisogno per coprire il suo deficit. Non sorprende che i battibecchi politici li rendano scettici, quindi i tassi di interesse sul debito italiano stanno salendo.

Ma i tassi di interesse in salita dell’Italia sono il risultato di decisioni politiche arbitrarie che sono sia congenite alla struttura di governo della UE sia imposte dai tecnocrati al governo della UE. La BCE potrebbe semplicemente dare il mandato alla Banca Centrale Italiana di iniziare a fornire euro freschi e usarli per comprare il debito italiano, sostenendo così la spesa a deficit del governo. L’unico vero limite economico a questo tipo di politica è il tasso di inflazione. Al momento, il tasso è intorno al 2%, che è il valore che piace alla BCE (in realtà l’ultimo valore registrato in Italia è addirittura dell’1,4%, ed in calo,  NdVdE). Ma perché l’aiuto monetario all’Italia inizi a far crescere l’inflazione, non solo la disoccupazione  italiana dovrebbe prima diminuire drasticamente, ma la disoccupazione dovrebbe diminuire drasticamente in tutta l’eurozona.

In breve, l’Unione europea e la BCE hanno entrambe uno spazio enorme di manovra per sostenere la spesa a deficit italiana, senza alcuna ripercussione economica. Il problema è solo che non vogliono farlo.L’Italia, nel frattempo, sembra pronta a giocare duro contro i baroni UE. “Questi provvedimenti non servono a sfidare Bruxelles o i mercati, ma devono compensare il popolo italiano di molti torti” ha detto all’inizio di questo mese il Vice Primo Ministro Italiano Luigi Di Maio. “Non c’è un piano B perché non ci arrenderemo”.

In passato, la Commissione europea in realtà non si era mai spinta a rigettare il bilancio di uno Stato membro. Ha tempo fino al 29 ottobre per decidere se prendere questa decisione formale. Se lo fa, e la lotta conseguente finisce per distruggere le fondamenta del Progetto Europeo, i leader della UE non avranno altri da incolpare se non sé stessi.

11 novembre 2018: il mondo sull’orlo della Terza Guerra Mondiale

Fonte: https://www.nibiru2012.it/11-novembre-mondo-orlo-terza-guerra-mondiale/

L’11 novembre 2018 si terrà a Parigi un incontro molto particolare tra Putin e Trump, il presidente russo recapiterà un messaggio capace di sconvolgere il pianeta stesso.

Circa tre giorni fa il consigliere per la sicurezza nazionale americana John Bolton ha incontrato Putin. Il meeting non è andato bene, per nulla. Così raccontano i siti cospirazionisti americani sul possibile scontro USA-RUSSIA dell’11 novembre. Vediamo i dettagli:

Durante il colloquio Putin ha detto personalmente a Bolton che se gli USA non smetteranno di effettuare operazioni “clandestine” in Siria sarà la volta della Russia di iniziare a compiere “operazioni”.

Putin ha specificato che questo avvertimento verrà dato un ultima volta da lui stesso, direttamente al Presidente Trump l’11 di novembre a Parigi. Il leader russo vuole essere sicuro che il messaggio arrivi forte e chiaro a Trump, e sarà l’ultimo avvertimento.

11 novembre terza guerra mondiale
L’incontro tra Putin e Bolt

America regina di sotterfugi?

Bolton ha replicato che qualsiasi azione di guerra contro l’esercito americano sfocerà in un conflitto aperto. Putin ha ricordato agli Stati Uniti d’America quello che hanno fatto di recente:”Voi avete costruito basi missilistiche tutto intorno alla Russia anche se avevate promesso di non muovervi di un passo verso Est quando è crollata l’Unione Sovietica. State giocando a fare esercitazioni di guerra in Finlandia lungo i nostri confini proprio in questi giorni. Avete rovesciato il governo Ucraino perchè Yanukovich (l’ex presidente) aveva scelto di rimanere vicino alla Russia piuttosto che all’Unione Europea, continuate a rifornire gli Ucraini con armi e munizioni per esasperare ancora di più la situazione. Voi avete causato tutti i problemi siriani a causa del gasdotto che collega il Qatar all’Europa. Avete inserito sistemi missilistici in Romania e Polonia per difendervi dagli stati “canaglia” come Iran e Nord Corea anche se tutti i radar di quei complessi puntano unicamente verso la Russia. Tutto quello che gli USA e la NATO hanno fatto negli ultimi 20 anni punta direttamente allo scontro con noi. Se è la guerra che volete, l’avrete”.

Quando i due leader si incontreranno l’11 di novembre a Parigi le cose potrebbero cambiare in modo drammatico, non ci resta che aspettare e verificare se queste informazioni sono l’ennesima bufala o hanno un fondamento di verità.

Sul fallimento della Turchia e l’opportunità dell’Italia di uscire dall’euro

Fonte: http://vocidallestero.it/2018/10/12/sul-fallimento-della-turchia-e-lopportunita-dellitalia-di-uscire-dalleuro/

Charles Gave, sul blog francese dell’Institut des Libertés, parla dei guai finanziari della Turchia, che si trova di fronte all’improbabile sfida di dover rinnovare una quota di debito estero pari al 30 percento del proprio PIL entro un anno. Molte grandi banche europee sono esposte verso la Turchia, e potrebbero subire pesanti perdite. In questo contesto, la necessità dei governi di ricapitalizzare alcune delle proprie banche potrebbe cozzare con le “regole europee”. L’Italia, con un forte surplus sia nei conti con l’estero sia nel bilancio primario (e con un governo spregiudicato),  avrebbe i migliori incentivi a uscire dall’euro, dato che nella situazione attuale non avrebbe la necessità di finanziarsi sui mercati internazionali. L’articolo è di fine maggio,  ma ancora attuale.

di Charles Gave, 28 maggio 2018

Qualche mese fa spiegavo ai lettori dell’Institut des Libertés che il prossimo paese a saltare sarebbe stata la Turchia – il paese del buon Erdogan, ben noto difensore dei diritti umani, posto che si parli di Palestina e non di Siria.

Adesso ci siamo.

Qualche cifra: circa 180 miliardi di dollari di debito estero della Turchia giungeranno a scadenza nel corso dei prossimi 12 mesi. A questo importo dobbiamo aggiungere circa 50 miliardi di deficit delle partite correnti, che dovranno a loro volta essere finanziati. La somma totale è pari a circa il 30 percento del PIL turco, mentre le riserve valutarie interne ed esterne ammontano a poco meno del 20 percento del PIL.

Oops…

Questo sembra indicare che c’è un problema di “liquidità” a breve, brevissimo termine.

E improvvisamente la lira turca comincia ad accartocciarsi su se stessa, e questo aggrava il problema, perché il debito è denominato in dollari o in euro, i tassi d’interesse a breve termine sono ai massimi, e a mio avviso il FMI è sul punto di prenotare dei biglietti (di prima classe, ovviamente, perché queste persone viaggiano esclusivamente in prima classe) per fare visita al caro Receip nel suo gran palazzo alle porte di Ankara.

In un certo senso è tutta routine.

Può essere.

Ma le cose cominciano a diventare davvero interessanti quando in tutta questa equazione si inseriscono le banche europee.

Secondo le statistiche ufficiali (che ancora sottovalutano la realtà) la Turchia è indebitata verso le banche per 450 miliardi di dollari… principalmente si tratta di banche europee, e indubbiamente che tra queste ci saranno i soliti sospetti come Deutsche Bank, Crédit Agricole, ING, Unicredit e Socgen.

E con un debito del genere ciò che si profila all’orizzonte non è solo un problema di liquidità, ma anche un problema di solvibilità.

Liquidità + Solvibilità = grossi guai in vista. E ci saranno elezioni anticipate a giugno in Turchia, destinate a consolidare il potere già assoluto del signor Erdogan.

Sembra dunque probabile che le banche non riavranno indietro che una piccola parte del denaro che avevano prestato alla Sublime Porta [metafora per indicare il governo dell’Impero Ottomano, NdT], e che nessuno sappia esattamente quando questi ipotetici rimborsi saranno effettuati.

Le suddette banche saranno costrette a subire perdite sulle loro esposizioni verso la Turchia fino al 50 percento del valore, ovvero circa 225 miliardi di dollari. Si tratterebbe di un duro colpo alla già precaria solvibilità delle nostre care (oh, certo!) istituzioni finanziarie, perché tali esposizioni saranno detratte dai loro propri fondi, che per alcune sono già quasi in negativo.

In effetti, come già tutti dovrebbero sapere, i crediti in sofferenza di queste stesse banche sono di circa 1000 miliardi di euro, una cifra già mostruosa.

Nel caso di un fallimento della Turchia si passerebbe ad almeno 1200 o 1300 miliardi di euro.

Poiché una tale somma sarebbe più grande del capitale delle banche stesse, ciò renderebbe sempre più difficile nascondere il fatto che una gran parte di essere è praticamente già fallita.

E quando i depositari se ne accorgeranno, è probabile che andranno a fare un salto in banca a prelevare tutti i loro risparmi. Avremmo dunque una “corsa agli sportelli” come nel diciannovesimo secolo…

Inoltre mi chiedo se queste banche europee, non contente di concedere prestiti alla Turchia anziché alle piccole e medie imprese francesi o italiane, non si siano avventurate anche a prestare fondi in… dollari statunitensi. Niente di più facile: la filiale americana della banca emette carta commerciale sul mercato di New York, poniamo all’uno percento, e la ripropone alle istituzioni turche al due percento. Ma se l’istituzione turca fallisce, allora la banca si troverà a corto della cifra in dollari che ha prestato. E allora la banca dovrà iniziare a coprire le proprie posizioni convulsivamente, generando un aumento del valore del dollaro, che non fa che fiaccare ancor di più la povera Turchia.

E di colpo il valore dei titoli bancari europei crollano con un tonfo, e questo rende del tutto impossibile qualsiasi aumento di capitale. Non vedo chi potrebbe sottoscrivere un aumento di capitale quando la gran parte di queste banche si trova tecnicamente in bancarotta, con un ammontare di fondi propri inferiore alla somma dei crediti in sofferenza. In effetti, perché dovrei pagare oggi per sottoscrivere un aumento del capitale o comprare una banca in Europa coi tempi che corrono?

E quindi non è affatto impossibile che le nostre élite finanziarie siano obbligate a fare un saltino a Bruxelles per chiedere nuovi aiuti vari ed eventuali in termini di ricapitalizzazioni, vantaggi fiscali, autorizzazioni alla fusione con un concorrente, sotto la semplice condizione di trasferire qualche migliaio di piccoli impiegati o altro del genere.

E tutte le persone del vecchio continente si renderanno conto da sole che i cosiddetti sforzi fatti da loro e solo da loro per “salvare” le banche dopo i disastri del 2008-2009 e del 2011-2012 non saranno serviti assolutamente a nulla.

Ed è qui che rischia di intervenire il nuovo governo italiano, il terzo personaggio di questo antico dramma, la cui condizione passa da interessante ad appassionante.

I due partiti arrivati oggi al potere in Italia hanno fatto una campagna elettorale usando un messaggio semplice e di buon gusto, che riassumo liberamente così:

Le élite europee sono incompetenti e corrotte, il progetto monetario comune (l’euro) è un’indicibile idiozia, ed è prioritario cambiare le prime e abbandonare il secondo. Di fatto e di diritto, le decisioni importanti in materia di moneta, di credito e banche, devono essere tolte a Bruxelles e riportate a livello nazionale”.

Ecco qui qualcosa di cui sono ben sicuro e di cui la maggior parte dei lettori dell’Institut des Libertés è convinta.

Immaginiamo ora che una grande banca italiana sia pesantemente esposta verso la Turchia.

Immaginiamo che questa banca italiana si trovi in difficoltà e chieda al governo italiano di essere salvata. Questo è formalmente vietato da quei geni che ci governano da Bruxelles.

Sarebbe una vera provocazione per il nuovo governo italiano, che in nessun caso potrebbe lasciar crollare una delle sue banche senza innescare una vera depressione in Italia.

Ecco la situazione dell’Italia oggi:

– Un avanzo dei conti con l’estero pari al 3,5 percento del PIL

– Un avanzo primario di bilancio (vale a dire prima di dover pagare gli interessi sul debito) pari al 2 percento del suo PIL

– Un debito la cui durata è aumentata significativamente dopo il 2012

– Un debito che è per la maggior parte detenuto da italiani

Vale a dire, in caso di uscita dall’euro i nostri cugini latini non avrebbero assolutamente bisogno di finanziarsi sui mercati internazionali.

E questo è ben lungi dall’essere il caso della Francia…

L’Italia non è mai stata in una posizione così favorevole per uscire dall’euro e dall’Unione Europea.

Senza dubbio la Gran Bretagna sarebbe ben lieta di iniziare immediatamente dei negoziati con il nuovo governo italiano per un trattato commerciale.

Ho sempre detto e scritto che sarà l’Italia a suonare la campana dell’uscita dall’euro.

Potremmo essere vicini a quel punto.

Il momento di comprare massicciamente in Europa si sta avvicinando. Ma per ora tenete la vostra polvere all’asciutto, bene all’asciutto, e tenetela dovunque ma ben lontana dall’euro.

 

LA CONTRAPPOSIZIONE TRA GOVERNO E PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA videointervista ad Antonio de Martini da ” La Finanza sul web”

Fonte: https://corrieredellacollera.com/2018/09/24/la-contrapposizione-tra-governo-e-presidenza-della-repubblica-videointervista-ad-antonio-de-martini-da-la-finanza-sul-web/

Molti, a partire da Eugenio Scalfari e Sabino Cassese, gridano allo scandalo ed invocano un intervento risolutivo del Presidente della Repubblica per fermare il ciclone Salvini ed il “governo scassaburocrati” loro amici.

E’ la posizione diametralmente opposta a quella che costoro assunsero nel 1964  con le accuse di Golpismo fatte al Presidente Segni, al presidente del Senato Merzagora ed all’on Pacciardi che volevano un intervento del Presidente per impedire lo sviluppo dell’Idra del centrosinistra che , proprio a partire da quell’anno ( vedasi l’intervento di Pacciardi alla Camera sul bilancio dell’interno).

La sola costante è che sia nel 1964 che nel 2018 il centrodestra era fortemente maggioritario.

Ecco alcune ragioni che mi inducono a chiedere le dimissioni di Sergio Mattarella. Dovesse seguire una polemica, sono pronto a fornire altri elementi probanti.

Nella foto, la prima pagina dell’ESPRESSO, di quando Scalfari e Cassese consideravano un colpo di Stato promuovere un governo del Presidente.  Buona visione.

Copertina Espresso sul golpe de lorenzo