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Samhain: l’antica festa celtica da cui deriva Halloween

Scritto da: Chiara Boracchi
Fonte: https://www.lifegate.it/persone/stile-di-vita/samhain_la_fine_dell_estate

zucche halloween

l’usanza di scolpire le zucche con volti di mostri, o di abbigliarsi con costumi terrificanti appare quasi un esorcismo per allontanare le cattive presenze.

Shamain è un antica festa celtica. Si festeggiava a inizio novembre e serviva per prepararsi ai mesi freddi e a celebrare gli spiriti delle persone care.

Zucche vuote con sorrisi mostruosi, cavalieri senza testa, costumi sintetici per finte streghe e aspiranti zombi, fantasmi, lupi mannari, e ancora feste a tema, coriandoli, caramelle, dolci e scherzetti a volontà. Un secondo carnevale per grandi e piccini. Halloween, insomma. O, se preferite, la vigilia di Ognissanti.

Ma dietro la festività ludica si nasconde una tradizione pagana antica di secoli e ricca di significati, materiali e spirituali, che tuttora viene ricordata e celebrata. È la festa celtica di Samhain.

Quando si festeggiava Samhain

I Celti celebravano questa festa all’inizio del “periodo buio” dell’anno, all’incirca verso i primi giorni di novembre, quando la presenza in cielo delle Pleiadi, costellazione invernale, annunciava la supremazia della notte sul giorno e del buio sulla luce, dando così inizio ufficiale all’inverno. Dal punto di vista letterale, infatti, il termine Samhain significa “festa di fine estate”.

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Cosa significava la festa di Samhain

Come ogni festività celtica, anche Samhain aveva un doppio significato. Dal punto di vista prettamente materiale, rappresentava la preparazione “fisica” ai mesi freddi: si macellava la carne, si metteva da parte l’ultimo raccolto. I frutti della Terra che rimanevano nei campi dopo Samhain venivano lasciati lì come offerta agli dei per propiziarsi l’inverno. Zucche e mele erano interrate appositamente per lo stesso motivo.

Dal punto di vista spirituale, rappresentava il momento il cui la linea sottile tra i vivi e i defunti veniva oltrepassata.  In un’epoca in cui la realtà della morte era spesso tragica, legata a guerre o epidemie, questa festività era particolarmente importante.

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Samhain è anche l’inizio del nuovo anno iniziatico: dal punto di vista dell’antica tradizione celtica, infatti, è da considerare come il momento in cui è più facile mettersi in contatto con la nostra identità più profonda e autentica.

Da Samhain a Halloween

I primi cristiani ritenevano che, a Samhain, i Celti evocassero gli spiriti maligni. La nuova religione, tuttavia, non riuscì ad estirpare del tutto l’usanza, ben radicata, di festeggiare Samhain, che dovette essere assimilata ed adattata al cristianesimo, divenendo così la notte della vigilia di Ognissanti, All Hallow’s Eve, ovvero Halloween. La credenza negativa, che associava questa festività agli spiriti maligni, è però rimasta, divenendo preponderante nei paesi anglosassoni.

Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, prima donna laureata al mondo

Scritto da: Pietro Greco
Fonte: https://ilbolive.unipd.it/it/news/elena-lucrezia-cornaro-piscopia-prima-donna

Dal verbale di laurea di Elena Lucrezia Cornaro Piscopio, prima donna al mondo a conseguire una laurea.

Sabato 25 giugno 1678,

            Convocato il Sacro collegio per l’esame di filosofia dell’illustrissima Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, per la moltitudine di gente e per l’angustia del solito luogo fu necessario portarsi nella cattedrale e riconvocare il collegio nel sacello della beatissima Vergine Maria davanti agli illustrissimi ed eccellentissimi rettori della città, il podestà Girolamo Basadonna e il capitano Alvise Mocenigo, il reverendissimo vicario Alessandro Mantovano e al generosissimo vicesindaco, nel quale erano presenti …

E giù, una caterva di nomi, tra i più accreditati della nobiltà e della cultura patavina e veneziana, accorsi a Padova per assistere e benedire l’evento. Cosicché la discussione della tesi può iniziare, come da verbale:

E nel predetto sacello e in pieno collegio la suddetta illustrissima Elena Lucrezia Cornaro Piscopia recitò, more nobilium, i due punti di filosofia ieri mattina assegnatele per estrazione a sorte, nella spiegazione dei quali si condusse in maniera tanto egregia ed eccellente che, concluso l’esame della nobile giovane, che rappresentò una prova rara e ammirevole, furono portate come di consueto le urne al …

Elena Lucrezia ha discusso i due puncta che le sono stati assegnati dopo un’estrazione a sorte tra diversi temi. Si tratta di due tesi di Aristotele, che la ragazza discute in maniera così magistrale da meritare per acclamazione il titolo di magistra et doctrix in philosophia. È la prima volta che questo titolo viene assegnato a una donna nella storia vecchia ormai di mezzo millennio delle università europee.

Le furono pertanto consegnate le insegne del suo grado, del tutto simili a quelle dei colleghi maschi: il libro, simbolo della dottrina; l’anello per rappresentare le nozze con la scienza; il manto di ermellino, a indicare la dignità dottorale, e la corona d’alloro, contrassegno del trionfo.

Dell’evento si parlò a lungo a Padova, a Venezia e in tutto il continente. E conviene ricostruirlo più in dettaglio, perché dovranno passare molti e molti decenni perché si possa ripetere. E dovranno passare quasi due secoli perché la laurea di una donna diventi un fatto normale,

Elena Lucrezia ha 32 anni quando entra nel «sacello della beatissima Vergine Maria» per discutere la sua tesi di laurea. Figlia di Giovanni Battista Cornaro e di Zanetta Boni, era infatti nata nel 1646. Fin da piccola aveva mostrato un’inclinazione per lo studio, che la madre non aveva ostacolato e il padre decisamente incoraggiato. Superati i trent’anni, è nota ormai per la sua profonda conoscenza del greco, delle scienze, della filosofia e della teologia. Tra i suoi maestri c’è Carlo Rinaldini: autore di un apprezzatoDe resolutione et compositione matematicae, soprattutto docente di filosofia presso l’Università di Padova. Rinaldini ha servito due papi, ha insegnato a Pisa, reso edotto Cosimo III, Granduca di Toscana, e ha scritto un libro, Philosophia rationalis, atque entità naturalis, che lo ha reso oltremodo degno di salire sulla prestigiosa cattedra patavina.

È lui, Carlo Rinaldini, che frequentando casa Cornaro a Venezia si convince prima e più di ogni altro, che è ora di farlo il gran passo e chiedere che Elena Lucrezia possa infrangere la tradizione e laurearsi a buon diritto in teologia.

Rinaldini avanza dunque l’inedita proposta al Sacro Collegio dell’Università di Padova. Non è il solo. Concorda con lui un altro maestro che insegna – in realtà, che discute da pari a pari – con Elena Lucrezia: padre Felice Rotondi, che a Padova è docente di teologia. È lui, un teologo, l’unico che può tecnicamente presentare la domanda di laurea da parte di Lucrezia ai Riformatori. Ed è quello che padre Rotondi fa.

Non sono certo la norma, Felice Rotondi e Carlo Rinaldini, tra i docenti delle università di Padova, d’Italia e d’Europa. Mostrano di avere un coraggio intellettuale non da poco proponendo, per la prima volta in quasi mezzo millennio, la laurea per una donna. Addirittura in teologia.

Ma, anche loro, non sono fulmini in un cielo sereno. La cultura europea nel Seicento si sta rapidamente modificando e i due docenti ne rappresentano un’avanguardia. Certo, poi hanno incontrato una donna di eccezionale cultura e il loro coraggio è stato, per così dire, facilitato a esprimersi. Di qui l’inedita proposta.

Ma, come scrive Patrizia Carrano, autrice di un libro, Illuminata, che è una biografia, a tratti romanzata, ma fedele nelle componenti essenziali della Cornaro Piscopia, l’iniziativa suscita «molto scalpore e alcune perplessità: mai alcuna donna era stata laureata in qualsivoglia università d’Europa, dunque del mondo. In più la richiesta riguarda il dottorato in teologia, considerata materia di esclusivo appannaggio del genere maschile. E questo ha «ulteriormente sorpreso i Riformatori dello Studio di Padova».

Ma Rinaldini è ottimista. Lui conosce bene la macchina e i macchinisti dell’università di Padova. Compreso il cancelliere vicario dell’ateneo, Alessandro Mantovani. Confida che ogni ostacolo possa essere superato. E, infatti, i Riformatori nulla oppongono alla richiesta. L’iter per il conferimento della laurea procede spedito.  Nessuno si oppone, neppure Mantovani. Che però, prima di dare il suo assenso definitivo, intende chiedere l’autorizzazione esplicita del cardinale Gregorio Giovanni Gaspare Barbarigo, che di Padova è il vescovo. E, dunque, la massima autorità religiosa.

Il diniego del cardinale giunge come una doccia fredda, più per Carlo Rinaldini e Giovanni Battista Cornaro, che per Elena Lucrezia, la quale più che ai titoli formali è interessata ai contenuti culturali. No, nessuna donna può diventare teologo.

Elena Lucrezia – concede il vescovo di Padova – può, però, laurearsi in filosofia. Così la ragazza modifica la sua domanda: ora chiede di laurearsi in filosofia. Questa volta la domanda ai Riformatori è proposta da Carlo Rinaldini. Ed è accettata senza ulteriori intoppi.

Il cambio di laurea non fa diminuire, anzi fa aumentare lo stupore per l’inedito evento. Così a Padova, per quel 25 giugno 1678, accorrono per assistere da ogni parte e da ogni strato sociale. Sono in tanti che bisogna cambiare sede per l’esame.

Elena Lucrezia discute i due punti di filosofia che le sono stati assegnati. Riguardano entrambi la dottrina di Aristotele. La dissertazione è brillante. Dopo averla pronunciata, la candidata avrebbe dovuto ritirarsi, per consentire alla commissione esaminatrice di discutere se e come approvarla. Ma, dopo una breve verifica con gli altri docenti, il presidente della commissione, Domenico Tessari, vicepriore del sacro Collegio, annuncia che la dissertazione di Elena Lucrezia è stata così chiara e completa e dotta da rendere del tutto superflua la discussione segreta tra i commissari. Alla candidata può essere conferita la laurea per acclamazione.

Elena Lucrezia dissente. Non accetto deroghe alla prassi. Io mi accomodo fuori, dice. E fende la folla per andar via. Per nulla indispettito, Domenico Tessari non fa passare che pochi minuti. Poi la richiama e le annuncia che la prova è stata superata come meglio non si potesse aspettare. A quel punto, recita il verbale, Carlo Rinaldini

si alzò prontamente e davanti a tutte le persone suddette con un’elegante ed erudita orazione lodò la nobiltà e la virtù della predetta valorosa giovane con sommo plauso degli uditori, e alla fine le cinse il capo della corona d’alloro, le porse i libri, le infilò l’anello e le coprì le spalle con un mantello di pelliccia.

            E il collegio fu sciolto.

E così a Padova il 25 giugno 1678, Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, prima donna al mondo, è diventata dottore.

Non abbiate paura: l’umanità all’epoca di Bob Kennedy

Fonte: http://www.libreidee.org/2018/06/non-abbiate-paura-lumanita-allepoca-di-bob-kennedy/

Esattamente 50 anni fa, nella notte tra il 5 e il 6 giugno del 1968, veniva ammazzato Robert Kennedy. Con lui si spegneva una stagione politica americana fatta di lotta per i diritti, per un mondo più inclusivo ed egualitario. Il suo omicidio arrivava dopo quello del fratello John (1963), quello di Malcolm X (1965) e quello di Martin Luther King (1968). La sua mancata corsa alla presidenza ha mutato il destino di un’America che oggi sarebbe molto diversa da com’è. E possiamo tranquillamente dire che sarebbe migliore. Per chi volesse ripercorrerne la storia, “Netflix” ha pubblicato una serie in 4 episodi. “Bob Kennedy for president”, il passato che è futuro. In quest’epoca di democrazie claudicanti è bello vedere questa serie: si racconta un’epoca storica in cui le democrazie occidentali erano nel loro fiore, dove si credeva nel potere dei diritti, dove i diritti avevano un appeal, dove si lavorava per unire, migliorare, superare vecchi schemi, verso un futuro in cui l’umanità era in grado di prendersi per mano per crescere.

Fu un’epoca soppressa nel sangue, ma che portò con sé un’onda lunga di sogni e di battaglie. Fino a qualche anno fa tutto ciò che era razzista, violento, guerrafondaio veniva visto anche come vecchio, destinato al superamento e alla scomparsa. Sembrava naturale ipotizzare un progresso tecnologico che andasse a braccetto con un progresso civile, culturale, economico e sociale. Negli ultimi anni tutti i fantasmi del passato hanno ripreso concretezza. Il razzismo è tornato in voga, la guerra sembra una necessità, i diritti sembrano un ingombro per un neoliberismo che come una macchina impazzita divora tutto ciò che incontra. Eppure ci sono segnali. Sarà che Urano è entrato in Toro, ma credo che l’epoca di Robert Kennedy stia tornando.

Chi era Robert Kennedy? Che sogno portava avanti? Come è stato infranto questo sogno e da chi? Tutto viene raccontato attraverso materiali d’epoca in un viaggio in un passato che è futuro. I semi possono attendere in un vaso per anni, ma quando il giardiniere si ricorda di loro, li può prendere, seppellire e in un attimo li vedrà germogliare. Il progresso è un fatto di memoria, la memoria innanzitutto della sua possibilità.

(Paolo Mosca, riflessione sulla memoria di Bob Kennedy proposta in “Ricordiamo Bob Kennedy a 50 anni dall’assassinio”, sul blog del Movimento Roosevelt il 6 giugno 2018, e nel post “Bob Kennedy for president, il passato che è futuro”, sul blog “Mosquicide”).

 

Hollywood e CIA. Attenti a quei due

Fonte: http://storia-controstoria.org/governo-ombra/hollywood-e-cia/

Era stato il presidente Truman, apponendo la sua firma al National Security Act nel lontano 1947, a suggellare la fondazione della CIA (Central Intelligence Agency) che ufficialmente aveva il compito di individuare, raccogliere e valutare informazioni che potessero ledere la sicurezza nazionale. Se il raggio d’azione dell’FBI, che svolge il medesimo compito, si espande principalmente all’interno degli Stati Uniti, quello della CIA non conosce confini. Lo stesso vale per le missioni della CIA che vanno ben al di là degli obiettivi dichiarati ufficialmente. Al soldo del potere più tetro, da sempre la CIA effettua operazioni paramilitari e propagandistiche segrete, organizza attentati, rivoluzioni e colpi di Stato in tutto il mondo. Di questo programma fa parte anche l’industria cinematografica di Hollywood, così come i mass media in generale, insomma la fucina di una realtà made in USA imposta a tutto il Globo. A volte completamente inventata, a volte sapientemente pilotata.

Hollywood, ovvero l’America che non è mai esistita

Ricordate quei film degli anni Sessanta in bianco e nero, in cui ci mostravano le cittadine americane di provincia con le piccole villette a bungalow corredate di giardinetto con piscina? Quelle famiglie tipicamente borghesi con la mamma che preparava sandwich nella cucina ben attrezzata, elettrodomestici all’ultima moda, arredamento un po’ shabby ma confortevole, mentre il pater familias leggeva il solito giornale e i ragazzi paffutelli afferravano il bicchierone di latte fresco di frigorifero e poi si facevano fuori una ciotola di fiocchi d’avena, due toast alla marmellata e quant’altro? Alla fine i membri della famiglia uscivano di casa, il sorriso sulle labbra, salutandosi con il classico “I love you”.

Il tutto era costantemente accompagnato da una musichetta gioiosa, fuori il sole splendeva sempre, per non dimenticare poi l’anziano vicino dalla faccia simpatica con la camicia a quadri e la pompa in pugno, intento ad innaffiare le piante del giardino. E davanti ai garage di queste ottime famiglie, poco distante dall’onnipresente bandiera a stelle e strisce, sostavano macchine gigantesche, di tutti i colori, spaventosi transatlantici da città. Oppure si vedevano quei pick-up di campagna altrettanto enormi, immancabili, eredi motorizzati dei carri di pionieri ottocenteschi. Tutto sembrava gigantesco in America: le macchine, le possibilità, la felicità delle famiglie. Il regno dei sogni.

Oggi questo modello ci viene riproposto, anche se in chiave differente. La mamma che spalmava crema burro di nocciole sui sandwich dei bambini è scomparsa lasciando il posto alla donna che lavora, perfetta e multitasking, la cucina comoda e shabby è diventata una cucina di lusso a tutti gli effetti e può essere che a volte manchi la figura, prima indispensabile, del padre. Ormai anche la locazione della campagna-paradiso ha lasciato il posto alla vita cittadina, spesso gli appartamenti sono situati in grattacieli eleganti. Però… ci avete fatto caso? Tutti sono sempre molto bravi e buoni, si ripetono circa dieci volte al giorno “I love you- I love you – I love you…”, anche al telefono. Soprattutto al telefono. Peccato che questi modelli proposti al cinema siano un’esigua minoranza di fortunati, mentre molte delle vere famiglie americane di un tempo che vivevano nella villetta di campagna sono andate in rovina e nelle strade delle grandi città il numero dei poveri senzatetto (quelli vestiti da capo a piedi con le borse di plastica che di solito si usano per fare la spesa) aumenti in modo esponenziale. Gli Stati Uniti sono marci e la puzza ormai si sente da un pezzo. Ma Hollywood continua a vendere sogni.

La propaganda serrata che intende mostrare un’altra America, un’America inesistente, non si limita però soltanto a questo. Vuole imporre anche un’altra immagine del mondo per poter continuare indisturbata a tessere i suoi intrighi politico-economici senza che a nessuno venga in mente di metterle i bastoni fra le ruote. E questo è forse il lato più pericoloso della propaganda hollywoodiana. Perché il cinema, così come la televisione, può essere uno strumento molto efficace di lavaggio del cervello. I capi della CIA l’hanno capito molto presto. Gli studi sulle tecniche più efficienti per influenzare la psicologia delle masse erano iniziati in grande stile negli USA alla metà degli anni Quaranta con la fondazione dello “Stanford Research Institute”. Dunque pensate quanta esperienza ormai ha questa gente nel suo triste mestiere.

Mass media e PAO

PAO è la sigla del Public Affairs Office, l’organo della CIA che si occupa di coordinare ed amministrare i rapporti fra il governo americano e i mass media. In parole povere significa che quest’organo si occupa di dirigere la propaganda dei mass media e quindi di “assistere” gli autori e i film maker di cinema e televisione. Già la produzione cinematografica americana durante il periodo della Guerra fredda aveva un ruolo molto importante agli occhi della CIA perché doveva diffondere l’ideale di una società democratica e anti comunista in prima linea in America, soprattutto in quegli Stati in cui le masse erano, per la maggior parte, poco istruite e quindi maggiormente sensibili ad una propaganda effettuata per mezzo dell’immagine. Gente come i registi John Ford e Cecile B. De Mille e attori come John Wayne erano fortemente patriottici, i soggetti più indicati a diffondere questo messaggio.

Anche la famosa soap opera statunitense degli anni Ottanta “Dynasty” faceva parte del programma. Aveva lo scopo di mostrare la bella vita della ricchissima famiglia statunitense per diffondere l’idea dei benefici del modello capitalistico a scapito di quello comunista. In questo caso era stato Paul Berry, l’ufficiale della CIA responsabile del PAO, ad incrementare la nascita della serie. Anche la sceneggiatura della recente fiction “Homeland”, un grande successo negli Stati Uniti e all’estero, è stata scritta sotto il controllo di esperti della CIA, così come la serie “Alias” di J.J. Abrams e i successi cinematografici “Syriana” di Stephen Gaghan, “L’ombra del potere” di Robert de Niro, “Sale” di Phillip Noyce, “The Bourne Identity” di Doug Liman, soltanto per citare alcuni esempi.

Se osserviamo lo sviluppo di questa filmografia, ci accorgeremo infatti che inizialmente il classico “cattivo” era sempre un russo, dunque lo spauracchio tipico dei tempi della Guerra fredda. Poi, lentamente, l’immagine è cambiata spostandosi in ambiente Mediorientale e adesso prevalgono sul russo l’arabo, l’iraniano oppure l’iracheno. In realtà il gioco della CIA è diventato talmente primitivo ed elementare che dovrebbe essere immediatamente individuabile. Invece questo non è il caso. La maggior parte della gente ancora non se ne rende conto. O forse non vuole rendersene conto? Perché è più comodo credere nell’esistenza di un cattivo adeguato al governo più forte del momento. Ma sarà davvero così? Gli USA saranno i più forti ancora per molto?

In ogni caso per il momento dobbiamo essere consapevoli che la maggior parte di ciò che esce dagli stabilimenti televisivi e cinematografici statunitensi è pilotato, è censurato, talvolta scritto di concerto con il beneplacito di chi intende portare avanti una propaganda in grado di influenzare e addirittura plasmare il pensiero dei popoli. Se da una parte ci vengono presentati spettacoli di puro svago che hanno il compito di non farci pensare, di distrarci mentre magari nelle stanze dei bottoni vengono prese decisioni importanti a nostra insaputa, dall’altra intendono sottoporci ad un costante, radicale lavaggio del cervello.

Il 5 ottobre 2001 il giornale The Guardian scriveva:

“Per la prima volta nella sua storia la CIA ammette ufficialmente l’esistenza di una relazione pubblica con il veterano operante a Hollywood Chase Brandon che ha dedicano 25 anni della sua carriera a difendere la democrazia.”

“Difendere la democrazia”, detto così sembra quasi che Brandon abbia compiuto un atto eroico. Nel 1996 la CIA ha reso pubblica la fondazione dell’Entertainmente Liaison Office, un organo di controllo che avrebbe strettamente collaborato con i mass media, a cui faceva capo appunto Chase Brandon, l’ufficiale citato da The Guardian nel 2001, il quale aveva buoni contatti con Hollywood essendo cugino dell’attore Tommy Lee Jones. In realtà, come abbiamo visto, l’attività di controllo sui mass media andava avanti già da decenni.

La censura di Luraschi e la strana morte di De Vore

Negli anni Cinquanta questo compito di censura e propaganda veniva svolto da Luigi Luraschi che lavorava per la Paramount e, contemporaneamente, per la CIA come si è scoperto una decina di anni fa. L’obiettivo centrale era quello di salvaguardare e lucidare l’immagine limpida degli USA offerta dall’industria cinematografica. Un esempio evidente delle sue ingerenze nelle pellicole hollywoodiane si rivelò nel modo di presentare i cittadini afroamericani che, su richiesta di Luraschi, dovevano sempre essere ben vestiti per poter contrastare la propaganda russa, la quale di contro metteva in risalto il razzismo USA.

Ovviamente questi servigi di cui godeva la CIA non erano gratuiti, venivano pagati con ingenti somme di denaro. Un altro metodo di intromissione nelle sceneggiature dei film oggi largamente impiegato dalla CIA è quello di offrire del materiale di informazione allo scopo di rendere i film più vicini alla realtà. Ex agenti della CIA collaborano quindi in qualità di informatori, altri invece lavorano direttamente con l’autore come nel caso di Tom Clancy, oppure è l’ex agente stesso ad ideare la fiction, come nel caso di Michael Frost Beckner con la serie televisiva “The Agency“. È chiaro che tutto questo non è un aiuto spassionato, ma persegue scopi ben precisi di disinfomazione. Scriveva il The Guardian del 14.11.2008:

“Quindi si modificano gli scritti, si finanziano dei film, si sopprime la verità: questo è abbastanza preoccupante di per sé. Ma ci sono casi i cui si pensa che le attività della CIA a Hollywood siano andate anche più lontano, così lontano da essere esse stesse il materiale di un film.”

© Thomas Wolf-www.foto-tw.de CC BY-SA 3.0

Nel giugno 1997 l’autore Gary De Vore stava scrivendo la sceneggiatura per il suo debutto. Si trattava di un film d’azione sul retroscena dell’invasione USA a Panama nel 1989 che portò alla deposizione del dittatore Manuel Noriega. De Vore ha quindi contattato un vecchio amico della CIA, il sopracitato Chase Brandon, e si è intrattenuto con lui su Noriega e sul programma degli USA contro il narcotraffico nell’America latina. Ma alcune cose che aveva scoperto nella sua ricerca disturbarono De Vore, per esempio le somme enormi di denaro sporco che finivano dalle casse della banche panamensi a quelle del governo americano. A lla fine l’autore sconcertato e impaurito lasciò perdere e si dedicò ad un altro progetto. Ma era già troppo tardi. Alcuni mesi dopo, mentre de Vore si trovava per lavoro in California, telefonò per l’ultima volta alla moglie e poi scomparve per sempre. Per mesi si formularono le ipotesi più disparate sul ciò che poteva essergli successo. Il suo cadavere fu scoperto soltanto un anno dopo, chiuso nell’auto che era sparita insieme con lui nel fondo di un canale della Sierra Nevada.

In seguito all’autopsia dei poveri resti dell’autore, si dichiararono delle cause di morte sconosciute. Si pensò quindi ad un incidente. Probabilmente De Vore si era addormentato alla guida, era uscito dall’autostrada senza nemmeno accorgersene e quindi precipitato in acqua. Ma nell’auto non si trovò il suo computer portatile, uno strumento di lavoro che De Vore portava sempre con sé. Inoltre il guard rail dell’autostrada non presentava, nel punto fatale in cui sarebbe avvenuto l’incidente, nessun segno di danneggiamento.