La Cia con le stellette

Fonte: http://it.peacereporter.net/
Scritto da:  Enrico Piovesana

La nomina del generale David Petraeus alla direzione della Cia, al posto di Leon Panetta che passa a capo del Pentagono, è il coronamento – come osserva il New York Times – del processo di fusione tra apparato militare e spionistico avviato negli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001.

La militarizzazione dell’intelligence Usa, mal vista da chi ha sempre considerato la Cia come potere civile indipendente dai militari, è iniziata con Bush. Ma è stato Obama, su consiglio di Petraeus e con la collaborazione del fido Panetta, ad accelerarla con l’escalation delle operazioni militari clandestine della Cia in Pakistan (i bombardamenti aerei dei droni e le missioni segrete di forze speciali e contractors).

Parallelamente Petraues, con la benedizione della Casa Bianca, ha portato avanti la ‘secretizzazione’ delle forze militari Usa, firmando nel settembre 2009 – quando ancora dirigeva il Comando centrale – una direttiva che autorizzava le forze speciali a condurre operazioni segrete di intelligence in Yemen, Iran e in tutto il Medio Oriente allo scopo di ”infiltrare e distruggere” le forze nemiche e ”preparare il terreno” a futuri interventi militari.

La cooperazione sul terreno tra Cia e Pentagono non è certo una novità assoluta: fin dagli ’80 gli operativi paramilitari della Divisione attività speciali (Sad) del Servizio clandestino della Cia hanno condotto operazioni clandestine assieme alle unità militari del Comando congiunto operazioni speciali (Jsoc/Socom) del Pentagono addette alle operazioni antiterrorismo. Negli ultimi anni, però, questa estemporanea collaborazione è diventata la strategia centrale della politica di difesa e sicurezza di Washington.

Una strategia, quella della fusione tra apparato militare e spionistico Usa, dettata inizialmente da un nuovo tipo di sfida, la guerra globale al terrorismo, e successivamente imposta dalle mutate esigenze politiche e finanziarie: la fine delle campagne militari ‘classiche’ (ieri in Iraq e domani in Afghanistan), l’esigenza di interventi più agili e meno visibili in quelli e in nuovi paesi e, non ultima la necessità di diminuire le spese militari.

L’Italia si distingue come modello di solidarietà nella sfida “Acqua for Life”

Scritto da: Antonella
Fonte: http://www.soloecologia.it

La Giornata Mondiale della Terra celebrata il 22 aprile scorso è stata un’occasione per stilare un bilancio parziale sull’andamento dell’iniziativa “Acqua for Life” lanciata da Giorgio Armani Parfums in collaborazione alla Croce Verde Internazionale su Facebook per la fornitura di acqua alle comunità di circa 15 villaggi nel nordest del Ghana.

Gli italiani hanno tanti difetti, ma sono sempre generosi quando si tratta di fare del bene al prossimo: hanno infatti raggiunto nel giro di poche settimane la ragguardevole quota di 500.000 litri d’acqua potabile che potranno essere forniti a queste popolazioni nel corso di un anno. In tutto il mondo sono stati in tutto quasi 1.400.000 litri d’acqua. Ma l’Italia è risultata il paese di gran lunga più solidale, avendo coperto il 44% della cifra. La seguono Bosnia e Francia.

Fin qui tutto bene, dunque, ma c’è ancora molto da fare e vi “rinfreschiamo” (per rimanere in tema!) le idee su come potete dare il vostro contributo. Basta installare l’applicativo “Acqua for Life” sul vostro computer, creare delle community e invitare le persone a postare dei “Mi piace” e dei commenti: ogni volta che lo faranno aggiungeranno altri litri di acqua regalata ai nostri amici africani. Potete trovare altri dettagli su questo nostro precedente articolo.

Il numero di litri raccolti è registrato in tempo reale sul sito AcquaForLifeChallenge. Vi basterà cliccare sul link per sentire la sinfonia dell’acqua che scorre. Un privilegio a cui siamo così abituati da darlo per scontato. A volte ci piacerebbe fare qualcosa di grande per chi è meno fortunato di noi, ma non ne abbiamo i mezzi: quando si presenta un’occasione per dare un contributo con un minimo sforzo è davvero un peccato lasciarsela sfuggire.

Uomo, dei e alieni – Hitler e gli alieni

Scritto da: Antonella
Fonte: http://www.italiaparallela.it

Sappiamo benissimo che la seconda guerra Mondiale portò ad una crescita notevole in abito militare e che vennero sperimentate nuove armi di distruzione potentissime (vedi bomba atomica) e veivoli complessi.la Germania, sotto il dominio di Hitler, era alla continua ricerca di nuove forme di tecnologia per aumentare la sua potenza in ambito mondiale.
Hitler mandava soldati in missione segreta per scoprire i misteri nascosti nelle culture e riti degli antichi popoli che hanno abitato e colonizzato la terra.
Trovò forse in essi gli aiuti tecnologici che ci hanno lasciato gli antichi astronauti?

Hitler era anche ossessionato dalla ricerca dell’Arca dell’Alleanza, di sui si dice che contenesse le 2 tavole con i 10 comandamenti e che emanasse una forte energia pronta ad uccidere chiunque la toccasse.
Poteva essere un’arma misteriosa portataci dagli alieni?

Inoltre i nazisti organizzarono spedizioni di ricerca in India e in America dove si presuppone ci fossero state esplosioni di armi atomiche nell’antchità.
Si sostiene così che Hitler venne in questo modo a conoscenza dell’energia atomica ma non ne realizzò mai nessuna arma (forse perché conosceva la sua portata davvero troppo distruttiva).

Lo stesso simbolo del nazismo, la svastica non è un simbolo scelto a caso, lo possiamo ritrovare in molte pitture rupestri e in incisioni del passato.
Esso è stato interpretato come fonte del potere e della conoscenza, data all’uomo da popolazioni superiori, popolazioni provenienti dalle stelle.

I Tedeschi sono stati i primi a riuscire a tradurre i testi religiosi in lingua sanscrita, questi testi raccontavano di veicoli alieni visti dagli antichi Indiani nei cieli (i Vimana).
Tali veicoli venivano ben descritti sia esternamente che nel loro funzionamento.
Probabilmente, quindi, i tedeschi hanno fatto loro questa tecnologia, creando dischi volanti come arma militare.

Si racconta che nel nel 1936, nella foresta nera, una zona situata nella parte sud-occidentale della Germania, cadde uno strano veicolo discoidale infuocato e i tedeschi si affrettarono ad accorrere per raccogliere i resti del veicolo e studiarne la tecnologia.

Il “Giornale d’Italia” riportò nel 1939 che fu realizzato il primo prototipo di disco volante, di 12 metri di diametro e 10 tonnellate di peso, capace di volare a 2.000 km/h.
Nel 1944 venne sviluppato un altro disco, chiamato “Omega“, di 20km di diametro, il peso di 30 tonnellate e una velocità di 3.800 km/h.
Un altro disco fu fatto volare nel 1945 e utilizzava un motore particolare: la Repulsine di Schauberg.
Un vero e proprio motore antigravitazionale che generava un campo di torsione meccanicamente.

I nazisti erano in stretto contatto con una Società Pangermanica di Metafisica, chiamata Società Vril, essa fu fondata in Germania nel 1921 da un gruppo di donne medium psichiche dirette da Maria Orsitsch.

La Orsitsch sosteneva di essere stata visitata da alieni provenienti da Alpha Tauri, nel sistema di Aldebaran e questi alieni le avrebbero detto che nel passatore avevano popolato la terra nella zona di Sumer.
Gli alieni con cui era in contatto possedevano una particolare energia chiamata “Forza Vril“.
La società sosteneva che la razza ariana non era altro che un popolo extraterrestre, così potente che doveva governare e dominare il mondo.

La Orsitsch venne spesso contattata dai progettisti tedeschi che volevano informazioni sulla tecnologia di questi esseri alieni.

Il fisico tedesco Hermann Julius Oberth, pioniere della missilistica e dell’astronautica, nel 1972 affermò: “Oggi non siamo in grado di costruire macchine che possano volare allo stesso modo degli UFO. Essi volano usando campi gravitazionali artificiali, e ciò spiegherebbe gli improvvisi cambi di direzione. Queste ipotesi spiegherebbero anche l’accumulamento di questi dischi in Astronavi Madri di forma cilindrica nel momento in cui lasciano la Terra, perchè è in questo modo che funziona il campo gravitazionale di cui avrebbero bisogno tutti i dischi volanti.

Poi aggiunse: “Non possiamo accreditarci da soli i progressi record fatti in campo scientifico. Noi siamo stati AIUTATI, e siamo stati aiutati da gente di altri MONDI“.

Siria: fanatici islamici o squadre della morte?

Scritto da:  Noemi Deledda
Fonte: http://it.peacereporter.net

In questi giorni la televisione siriana va avanti trasmettendo immagini da Lattakia, Homs e Damasco della serie : Suriyya al-iawm (Siria oggi). Immagini attraverso le quali il telespettatore può ammirare le bellezze, la gastronomia e gli antichi mercati di queste città.

Le stesse citta’ dove in questi giorni le forze di sicurezza – una delle quattro agenzie di controllo e repressione del regime siriano – hanno provocato bagni di sangue nella dura repressione contro i manifestanti che a gran voce scandiscono l’ormai celebre slogan: “Il popolo vuole la caduta del regime”.

Mentre WikiLeaks, il regime e alcuni media puntano il dito contro alcuni gruppi salafiti, finanziati dall’Arabia Saudita, responsabili di terrorizzare i cittadini, in realta’ nessuna accusa diretta da parte di Bashar al Assad è stata fatta contro il re saudita. Anzi questo ultimo ha anche telefonato il presidente siriano per ricordargli tutto il suo sostegno.

L’analista siriano Bassem Haddad aveva ricordato ieri in un’intervista sul sito al-Jadaliyya che “in realtà affermare che gli Stati Uniti finanziano l’opposizione non è scoprire niente di nuovo, in quanto aiuti finanziari all’opposizione stanno arrivando dal 2005 in Siria e che peraltro, cospirazione o meno, le richieste del popolo siriano sono sempre piu legittime in quanto stanco del regime Baath”.

Il discorso settario, invocato in prima linea da Bashar al Assad, sembra dare i suoi frutti. A Homs, teatro di scontro tra bande armate e forze di sicurezza siriana, sono stati tre i poliziotti uccisi e altri feriti.

Se per molti qui queste “bande armate di fanatici islamici” che hanno cominciato a invocare il jihad (la guerra santa) e uno Stato islamico (che poi nemmeno nel Corano esiste proprio perchè la nozione di Stato è moderna ndr) sono prodotti da un “nemico esterno”, (vedi Stati Uniti e Israele) per altri si tratta solo di propaganda da regime.

Si fanno sempre piu numerose le voci, anche se restano minoritarie, che vedono proprio nel regime di Assad il “regista” di queste “squadre delle morte” a tutti gli effetti. Queste ultime che avrebbero almeno due obiettivi principali: creare una tensione settaria soprattutto tra cristiani (12 percento della popolazione) e alawiti (10 percento della popolazione) contro il pericolo dell’integrismo “sunnita”, e mascherare il vero senso di queste rivolte che e’ quello di richiedere ancora una volta: Pane, libertà e lavoro.

Se cosi fosse gli obiettivi di questa propaganda stanno andando a gonfie vele: i cristiani si dicono terrorizzati e mostrano ad oltranza il loro sostegno a Bashar mentre sulla scena internazionale le voci di una cospirazione si fanno sempre piu’ numerose anche perche’ a nessun attore internazionale e arabo giovirebbe una caduta del regime degli Assad.

Maniero e la Mafia in veneto

Scritto da: Lorenzo Frigerio dal sito: http://felicemaniero.altervista.org/
Fonte: La Mafia, 150 anni di storia e storie, La Repubblica – Città di Palermo – Regione Toscana, 1998.

La presenza della criminalità mafiosa in Veneto fu ufficialmente ammessa soltanto nel corso dell’ultimo decennio. Fino ad allora si sostenne che la regione fosse tutt’al più affetta da fisiologici problemi di criminalità locale. Agli inizi degli anni Ottanta, la vertiginosa ascesa della “mala del Brenta” e la contemporanea scoperta dei traffici di armi e droga e delle operazioni di riciclaggio delle cosche furono le drammatiche realtà in cui si imbatterono improvvisamente le forze dell’ordine e l’opinione pubblica.
Anni Sessanta-Settanta: l’apprendistato criminale con la mafia siciliana

Così come è accaduto per Lombardia e Toscana, la diffusione del modello criminale mafioso fu dovuto essenzialmente alla presenza, anche se non particolarmente nutrita rispetto ad altre regioni, dei membri delle cosche, in esecuzione di un provvedimento di soggiorno obbligato. La maggior parte dei mafiosi che soggiornarono in Veneto proveniva dalle fila di Cosa Nostra: tra i nomi più noti, Salvatore Contorno, Gaetano Fidanzati, Antonino Duca e Gaetano Badalamenti. Cresciuti alla scuola criminale dei siciliani nel periodo a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, i malavitosi veneti, nei due decenni successivi, s’imposero autonomamente e si distinsero per la ferocia e l’abilità nel controllare i traffici criminali transitanti nella regione.
Sempre negli stessi anni, fu convogliata verso il Veneto un’ingente quantità di denaro sporco, proveniente dai numerosi traffici illegali delle mafie e destinato a costruire ed alimentare un sofisticato circuito di riciclaggio, che s’innestò in modo parassitario sul sistema economico legale di una regione tra le più produttive e all’avanguardia dell’intero paese.

Anni Ottanta: esordio con rapine e sequestri per Maniero
Il più clamoroso esempio della capacità di assimilare il modello mafioso e di calarlo nella realtà veneta fu costituito dalla cosiddetta “mala” o “mafia del Brenta”. Rapine, sequestri di persona, traffici di droga ed armi, estorsioni: furono queste le principali attività dell’organizzazione guidata dal veneziano Felice Maniero e con basi logistiche nella Riviera del Brenta, tra Venezia e Padova.
Nei primi anni di attività, gli uomini di Maniero misero a segno gli spettacolari colpi all’Hotel “Des Bains” al Lido di Venezia (1982) e alla stazione ferroviaria di Mestre (1982) e furono i protagonisti del celebre assalto all’ aeroporto di Venezia (1983): i 170 chili di oro rubato presso il caveau della dogana aeroportuale sancirono, infatti, la definitiva consacrazione della banda veneta nel panorama criminale. La mala del Brenta dimostrò la sua potenza, portando a termine contemporaneamente i sequestri Rosso Monti, Andreatta e Bonzado.
La terribile fama guadagnata sul campo dal sodalizio criminale veneto si alimentò ulteriormente negli anni successivi: sfruttando abilmente una serie di accordi stipulati con le cosche mafiose per la gestione dei proventi criminali nel nord est, oltre alle rapine, gli uomini di Maniero si dedicarono con profitto al traffico di droga, al controllo del gioco d’azzardo clandestino e al rafforzamento delle pratiche dell’estorsione e dell’usura.

Anni Ottanta-Novanta: la Mala del Brenta, una organizzazione mafiosa
In diverse circostanze, la mala del Brenta diede prova di sapere esercitare un efficace controllo del territorio, imponendo la propria legge. Nel periodo di massima potenza, l’organizzazione, composta inizialmente da una quarantina di elementi, arrivò a contarne quasi quattrocento, tra effettivi e fiancheggiatori a vario titolo. I successi criminali della mafia del Brenta furono possibili grazie alla riuscita integrazione al proprio interno di elementi locali e di esponenti delle tradizionali cosche e grazie anche all’adozione di un modello organizzativo e comportamentale tipicamente mafioso, compresa l’eliminazione di testimoni scomodi e di membri della banda divenuti inaffidabili. Nonostante i numerosi arresti, compreso quello dello stesso Maniero, e una feroce faida interna per la supremazia, scoppiata durante la sua carcerazione, gli affari per la mala del Brenta non subirono flessioni. Dalle carceri di massima sicurezza e dai suoi nascondigli di latitante, “Faccia d’Angelo” continuò a dirigere le operazioni e le attività dei suoi uomini. Sul finire degli anni Ottanta, alle molte attività della banda si aggiunse anche il contrabbando di armi con la ex Iugoslavia, grazie al rapporto di amicizia stretto tra Maniero e il figlio di Franjo Tudjman, destinato poi a diventare il presidente della repubblica croata.
Durante il processo, che si aprì il 27 novembre 1993 nell’aula bunker di Mestre e che vide alla sbarra Maniero insieme ad altri 109 imputati, fu ricostruito l’intero percorso criminale della mala del Brenta e furono circostanziate accuse pesantissime: dagli omicidi alle rapine, dalle estorsioni e l’usura al riciclaggio, dal traffico di eroina ai sequestri di persona, per finire con l’accusa più grave, e per certi versi esaustiva, di associazione mafiosa.
Le condanne nei confronti dei membri della mafia del Brenta furono esemplari e l’organizzazione fu spazzata via, grazie soprattutto alle rivelazioni di Maniero che fece arrestare più di trecento persone.

Anni Ottanta – Novanta: Verona, la “Bangkok italiana”
Dagli inizi degli anni Ottanta oggetto di attenzioni criminali mafiose, nel giro di una quindicina di anni, Verona diventò un punto di snodo dei traffici di droga così cruciale da conquistarsi il triste soprannome di “Bangkok d’Italia”. A rendere la città scaligera una piazza strategica per il circuito del narcotraffico europeo contribuì in primo luogo la sua posizione geografica nevralgica, perché centrale lungo le rotte dell’est, del Mediterraneo e del nord Europa; in secondo luogo furono rilevanti gli accordi stipulati tra le mafie italiane e le associazioni criminali mediorientali, su tutte la mafia turca, per il passaggio attraverso gli stessi canali, oltre che della droga, anche di armi leggere e pesanti, di componenti per la fabbricazione di ordigni nucleari e di segreti dell’industria bellica.
All’interno di questo patto trovarono spazio numerosi soggetti, in gran numero incensurati e insospettabili, che, singoli o associati con altri criminali, si dedicarono allo spaccio al minuto dell’eroina turca, dell’hascisc e della cocaina colombiana che le organizzazioni siciliane, campane e calabresi fornivano loro, disinteressandosi completamente delle modalità di organizzazione del traffico e ritagliandosi invece ampi margini di utili.
Questo scenario davvero inquietante venne alla luce quando, dopo molti mesi di minuziose indagini, in data 14 giugno 1994, scattò a Verona, e contemporaneamente negli altri capoluoghi veneti e in tutta Italia, una vasta operazione delle forze dell’ordine che portò all’esecuzione di 183 mandati di cattura, di cui 66 in carcere. L’operazione “Arena”, che scompaginò le fila di questa rete di narcotrafficanti, fu possibile grazie allo sviluppo delle intuizioni investigative che furono alla base della famosa indagine avviata un decennio prima da Carlo Palermo, giudice istruttore di Trento, il quale, nello svelare i meccanismi e i retroscena degli scambi tra droga ed armi, individuò Verona tra le città coinvolte nel traffico.

 

Il traffico di organi e la grande ipocrisia dell’Occidente

Fonte: http://osservatorioitaliano.org/

“Sulla base dei nostri esami, a nostro parere, non esistono prove conclusive che delle persone siano state ferite come risultato di atti criminali nella casa del sud-ovest di Burrel in Albania”. Queste le conclusioni del rapporto ufficiale della Missione UNMIK del 2004 sulla casa gialla, di cui l’Osservatorio Italiano dispone di una copia. Si tratta del report relativo alle indagini in Albania del team dell’Ufficio delle Persone scomparse e legale (OMPF), guidato da José-Pablo Barayabr, capo del OMPF, dietro l’assistenza del Tribunale Penale Internazionale dell’Aja (Report-Forensic Examination and Assassment in Albania) .

Il team ha condotto un sopralluogo a Burrel nel 3 Febbraio del 2004, esaminando i luoghi di un’abitazione segnalata come sospetto centro in cui avvenivano operazioni di espianto di organi da prigionieri non-albanesi dell’esercito di liberazione del Kosovo. Stando a quanto affermano gli stessi inquirenti de L’Aja, dopo una prima perlustrazione che non ha portato al rilevamento di tracce di sangue, sono state effettuate delle analisi al luminol che hanno evidenziato delle piccole tracce di sangue, soggette a loro volta ad inquinamento da elementi esterni che non permettevano l’individuazione come sangue umano. Il rapporto è di per sé molto eloquente e illustra la mappa della casa e la sua posizione geografica, nonchè le indagini della scientifica, che hanno portato ad escludere già nel 2004 l’esistenza di un traffico di organi in quella regione dell’Albania. Conclusioni che confermano la tesi descritta sin dall’inizio dall’Osservatorio Italiano, parlando di indagini strumentalizzate dai media per conseguire degli obiettivi politici (si veda Disinformazione e insabbiamento sulla pulizia etnica del Kosovo).

Il secondo documento in possesso dell’Osservatorio Italiano è un report del Tribunale Penale Internazionale de L’Aja soggetto a segreto istruttorio classificato nel novembre del 2003 come “Confidential” ma “Subject to journalistic confidentiality”, firmato da Lopez Terres, capo del nucleo investigativo dell’ICTY. Questo riporta una ricostruzione delle testimonianze di 8 fonti, che descrivono uno pseudo traffico di essere umani dal Kosovo al Nord dell’Albania, aggiungendo alcune loro percezioni e conclusioni in relazioni ad un traffico di organi,  a cui non hanno assistito in prima persona, bensì lo hanno ipotizzato indotti da vari elementi a se stanti. Innanzitutto le fonti raccontano quasi la stessa versione dei fatti, ossia sull’esistenza di un traffico di esseri umani – che tra la fine del 1999 e i primi mesi del 2000 può essere anche stato un trasferimento di persone da un confine all’altro, ma non vi sono altri elementi per confermarlo – mentre alcune testimonianze aggiungendo dei dettagli che li hanno indotti a concludere che in una ‘casa gialla, che sembrava un ospedale’ avveniva un espianto di organi. Tali elementi sono aver sentito che avrebbero “fatto analisi delle urine e del sangue”, l’offerta di una sorta di ‘medicina’,  “aver sentito da altri presenti che si parlava di organi”, aver sentito da altri di “scortare un veicolo all’aeroporto di Rinas che trasportava organi umani”, aver sentito che “sarebbe giunto un medico arabo”. Oltre a tali elementi, le fonti non hanno assistito ad alcuna operazione o ferimento di persone, ma solo ipotizzato perchè ‘sentito dire’.  Le testimonianze convengono tutte sul fatto che i gruppi trasportati erano misti etnicamente, vi erano giovani donne albanesi o provenienti dall’Est Europeo o ex URSS. Vengono descritte scene in cui dei corpi, di persone la cui origine dai territori del Kosovo è solo presunta, che vengono seppellite in uno spazio che “sembra l’Afghanistan”. Si tratta quindi di racconti che, a ridosso della guerra in Kosovo e vista la grande presenza di media internazionali nelle regioni di confine dell’Albania, se ne potevano trovare a centinaia. Tanti erano infatti quelli disposti a raccontare una storia che fosse di interesse per giornalisti ed investigatori, pur di guadagnarsi qualche lira. D’altro canto, queste fonti non sono neanche riuscite ad identificare con precisione questa casa, indicando sempre vaamente in Nord dell’Albania, nei pressi di Burrel. A tutti viene chiesto di visionare dieci fotografie di case del Nord Albania, e tutti hanno indicato una casa bianca, dicendo che la ricordavano gialla. Descrivono questa casa dicendo che vi erano due piani, ambienti grandi, senza elementi caratterizzanti.  Sulla base di tale fare istruttoria è stata evidentemente poi condotta l’indagine nel 2004, quella di Barayabr, che ha effettuato un sopralluogo scortato da una equipe scientifica che non rilevato macchie di sangue evidenti, ma solo tracce rilevate al luminol. E’ interessante notare che gli inquirenti hanno tracciato la mappa della casa, avendo avuto sicuramente il dubbio che la casa gialla descritta dalle testimonianze non fosse quella bianca trovata dagli inquirenti. Infine, teniamo a sottolineare che il rapporto di Dick Marty omette completamente questa indagine del 2004 e si limita ad affermare che “nel  febbraio del 2004, è stata organizzata   una visita esplorativa da un team formato congiuntamente da ICTY e UNMIK, con la partecipazione di un giornalista. Questa visita non può essere considerata come un adeguato esame forense, secondo tutte le norme tecniche”. Tuttavia, il documento in nostro possesso parla di ‘indagine forense’ e specifica che il folto team di inquirenti, di cui solo due  ricercatori (non specifica la presenza di giornalisti), ha utilizzato tecniche e strumentazioni a tutti gli effetti professionali e a norma di legge.
Il team era così composto:
Jose Pablo Barajbar, capo OMPF
Alain Wittmann, Forensic Photographer
Tom Grange, Forensic Anthropologist
Tania Delabarde, Forensic Anthropologist
Hroar Frydelund, Forensic Crime Scene Examiner
2 guardie di sicurezza ICTY
Capo Procuratore di Burrel
Taduttore ICTY
Ricercatore Micheal Montgomery
Ricercatore Stephen Smith
Un esempio questo della ipocrisia  dei media e delle stessa comunità internazionale, che ha nascosto dei reati nel Kosovo, per poi strumentalizzarli e presentarli all’opinione pubblica come crimini di guerra per ricattare e controllare un Governo da essa stessa creato.  Dopo essere state complici dei traffici in Kosovo, le missioni internazionali decidono di occultare le indagini, per poi riproporle sotto diversa veste e immagine. Tali difformità e contraddizioni dovrebbero invece indurre le istituzioni ed i Governi a diffidare da tali tentativi di manipolazioni delle masse, dalle mensogne mercificate dall’ex Procuratore Carla del Ponte, nel tentativo di riconquistare una posizione di rilevanza sulla scena internazionale.

THAILANDIA E CAMBOGIA, TEMPIO CONTESO: ESPLODE IL CONFLITTO TRA I DUE PAESI

Fonte:  http://www.clandestinoweb.com/

Le tensioni salgno nel sud-est asiatico. Sei soldati sono rimasti uccisi venerdi’ 22 aprile, nei combattimenti che soo ripresi tra gli eserciti di Cambogia e Thailandia lungo il confine tra i due paesi.
Colpi di artiglieria sono stati esplosi d entrambe le fazioni nella giungla attorno al tempio di Ta Krabey, che e’ conteso dai due Paesi. La zona si trova a circa 200 chilometri dal tempio di Preah Vihear, costruito 900 anni fa e teatro di scontri quotidiani a febbraio.

Il portavoce dell’esercito thailandese, il colonnello Prawit Hookaew, ha fatto sapere che “Nuovi scontri sono iniziati verso le 23 con lancio di mortai e spari di fucile. Stiamo negoziando per fermare i combattimenti“. Gli scontri sono stati confermati anche dalla Cambogia, e migliaia di civili sono stati evacuati dall’area.

Africa. Attacco alla Libia. ecco spiegazioni inedite, ma convincenti.

Scritto da: Antonio De Martini
Fonte: http://corrieredellacollera.com

VEDREMO SE E’ VERO.

Quale può essere il fil rouge che collega tutti  i paesi attaccati – e presi di mira  in varie forme –  dagli USA e Gran Bretagna con l’aiuto di una serie di ausiliari tradizionali  più o meno consapevoli?

Libia, Libano, Siria,Irak,Somalia, Sudan, Iran.  Non hanno in comune  l’etnia ( Iran è ariano mentre gli altri sono semiti  o – Sudan – misti).

Non hanno in comune  la religione: Libano ha cristiani, l’Iran è sciita, la Siria è mista. Non il petrolio: Somalia e Siria non ne hanno in quantità significative. Non la ricchezza: Somalia e Sudan non lo sono.

Se invece vediamo il negativo, vediamo che nessuno di questi paesi  figura tra i 56 aderenti alla Banca per i Regolamenti Internazionali.

In pratica sono paesi che hanno rifiuutato di far parte della comunità finanziaria internazionale  e  la Libia in particolare se la stava cavando molto bene:

  • Stando ai dati del FMI la Banca centrale libica possiede 144 tonnellate di oro nei suoi forzieri. Per un paese di tre milioni e mezzo di abitanti, non è niente male.  L’educazione  e l’assitenza medica sono gratuite; le coppie che si sposano ricevono  50.000 dollari a fondo perduto.
  • I Ribelli, ancora prima di costituire un governo provvisorio, hanno annunziato ( il 19 marzo) di aver costituito la BANCA CENTRALE DI LIBIA.  La Banca centrale di Libia ( quella di Gheddafi per intenderci) è pubblica e non privata, stampa la moneta e presta denari allo stato senza interessi per finanziare le opere pubbliche tra cui il famoso fiume sotterraneo fatto dall’uomo che utilizza le acque fossili del Sahara per irrigare tutta l’area agricola della Libia  che si trova al Nord. A proposito l’attività agricola in Libia è esentasse. Completamente. Questa politica è l’esatto contrario di quella seguita dal mondo occidentale  che fa pagare tutti i servizi quali l’educazione e la sanità ed ha privatizzato le banche centrali che fanno pagare gli interessi  agli stati quando forniscono loro i fondi.
  • La ragione ufficiale che ha spinto l’occidente a non mantenere le Banche Centrali come pubbliche  è  che questi prestiti aumentano l’inflazione, mentre prendere prestiti dalle Banche estere o dall FMI , non provocherebbe inflazione. In realtà prendere i denari a prestito da Banche centrali pubbliche  – senza interessi – riduce grandemente il costo dei progetti  pubblici di investimento  e in alcuni casi li riduce del 50%.
  • Gheddafi aveva da poco lanciato la proposta di creare una moneta unica africana IL DINARO ORO  e l’unico paese africano  che si era opposto, è stata la Repubblica del Sud Africa, che  è stata proprio quella che si è presentata  a Tripoli per la mediazione con i ribelli e la NATO.  Su questa proposta c’è un commento di Sarlosi che l’ha  giudicata “una minaccia per l’Umanità”.
  • Sia Saddam Hussein che Gheddafi avevano proposto  – entrambi sei mesi prima dell’attacco – di scegliere l’Euro ( o il dinaro) come valuta per le transazioni petrolifere.

ADESSO RESTIAMO IN ATTESA DI VEDERE  – IN CASO DI VITTORIA  DELLA NATO – SE  EDUCAZIONE E SANITA’ RESTERANNO GRATUITE, SE LA BANCA CENTRALE LIBICA ADERIRA’ ALLA  B.R.I. E SE L’INDUSTRIA PETROLIFERA LIBICA VERRA’ SVENDUTA A  PRIVATI.   Poi anche i più ingenui  cominceranno ad avere sospetti.

Biologico: la Rigoni di Asiago e l’eldorado bulgaro

Scritto da : Luca Bortoli
Fonte: http://www.howtobegreen.eu/

I Cimbri, l’agricoltura biologica, le società per azioni e la Bulgaria: un miscuglio insensato di termini e concetti, a prima vista. Ad un esame più approfondito si scoprono essere gli elementi costitutivi di una grande azienda, leader nella vendita di miele e confetture a livello nazionale e produttore conosciuto anche oltre confine: la Rigoni di Asiago, in provincia di Vicenza.
Pare che questo antico popolo nordico, i Cimbri appunto, stabilitosi nell’Altipiano dei Sette Comuni fuggendo i Romani che li avevano massacrati in battaglia, avessero grandi capacità nella produzione di miele e marmellate. È a queste conoscenze tradizionali che i Rigoni fanno riferimento diretto per spiegare i loro esordi.
La figura chiave, in realtà, fu la signora Elisa Antonini, nonna degli attuali dirigenti, la quale avviò all’apicoltura due dei nove figli che ebbe dal marito Antonio: erano poliomielitici, non potevano portare pesi, né fare grandi sforzi fisici. Difficile immaginarlo allora, eppure dal passatempo per due figli deboli, complicati da sistemare a livello lavorativo, i Rigoni hanno messo in piedi negli anni un piccolo impero che da Asiago di estende a est fino alle sponde del Mar Nero a ovest fino ad oltre oceano.L’Apicoltura Rigoni snc prende a marciare coinvolgendo alla fine tutta la famiglia. Fino al 1978 la sua attività principale consiste nella produzione del miele a partire dalle molte arnie sparse per i campi dell’Altipiano. L’avvento della terza generazione Rigoni alla guida dell’azienda segna una prima svolta: la trasformazione e la distribuzione di miele di produzione propria o acquistato da altri diventa l’attività preponderante. L’azienda cresce sempre più, introduce nel mercato il miele monoflora e altri prodotti apistici come confetture a base di miele e integratori. La commercializzazione viene rivoluzionata: niente più negozi specializzati, si passa alla grande distribuzione.
Col 1989 e la caduta del muro di Berlino arriva la crisi. Dall’est europeo la concorrenza è sfrenata: i prezzi calano, forse al pari della qualità dei prodotti. E proprio sulla qualità è basata, almeno per un verso, la risposta della Rigoni. 1992, si passa al biologico, una nicchia di mercato che nel tempo diventerà molto frequentata dai consumatori. Per un altro verso, differenziare la produzione diventa necessario. Al miele si affiancano le confetture, sbarca nel mercato Fior di frutta che abbina il biologico con competenze esclusive sulla dolcificazione naturale a partire dal succo di mela. È il 1997 quando l’Apicoltura Rigoni snc muta denominazione e forma: Rigoni di Asiago è ora una spa e dal 1997 tra i soci conta la finanziaria pubblica Sviluppo Italia (12,3%) e la regionale Veneto Sviluppo (29,8%). Dello stesso anno è la Rigoni Usa Inc, distributrice dell’intera gamma di prodotti negli States.
Miele biologico.
Tutto il miele commercializzato dal 1992 in avanti, giurano alla Rigoni, è biologico al 100%.
Accurata la scelta dei siti per gli alveari; controllato il raggio d’azione delle api, da uno a cinque chilometri; conservanti e aromi artificiali banditi dal prodotto; bandito pure l’uso di medicinali chimici per prevenire eventuali malattie degli insetti. Nel tempo i fratelli Rigoni hanno selezionato un discreto numero di apicoltori, sparsi in tutto il territorio nazionale, dai quali il miele viene acquistato, lavorato e venduto.

Le confetture, ovvero l’eldorado bulgaro
Le confetture Rigoni nascono in gran parte grazie alla quantità di frutta che fin dal 1993 proviene dalla Bulgaria. Notevoli i numeri di produzione, tutta biologica: 2000 ettari di superficie coltivata dislocata nei dintorni di Pazardijk, 3000 tonnellate di frutta prodotta ogni anno, due le società coinvolte nella gestione: Ecovita ed Ecoterra. Le coltivazioni principali riguardano fragole e fragoline: mille tonnellate di prodotto che impegnano mille raccoglitori. Ci sono poi varietà di more di rovo, prugne, ciliege, amarene, nocciole, lamponi, ribes nero, ribes rosso, uva spina e mele. Giunta in Italia surgelata, la frutta viene poi lavorata nel centro produttivo di Foza. Qui tutte le operazioni sono automatizzate e monitorate da computer che sono anche in grado di fornire la tracciabilità della materia dalla sua origine al confezionamento. Considerate anche le varietà italiane,sono seimila le tonnellate di frutta che ogni anno vengono lavorate a Foza.
La Rigoni di Asiago spa è oggi un colosso da 18.000 vasetti di confettura all’ora, smistati nella grande distribuzione tramite il polo di Albaredo Veronese. Dal 2005 i fratelli Rigoni sono tornati in possesso dell’intero pacchetto azionario e hanno fatto della loro azienda il leader indiscusso del mercato del biologico con prodotti come la Nocciolata e Dolcedì, lo zucchero delle mele. Nel 2006 Fiordifrutta si è imposta come la marmellata più acquistata dagli italiani

 

Soldi, bugie e deforestazione

Fonte: http://www.salvaleforeste.it

Soldi, tanti soldi, per pubblicare annunci pubblicitari che ingannano i consumatori. Con un programma che spazia dalla Repubblica a Internazionale, dal Sole 24 Ore al Frankfurter Allgemeiner, e a numerosi altri media europei, la Asia Pulp & Paper (APP), il colosso cartario noto per aver distrutto oltre un milione di ettari di foreste pluviali a Sumatra, presenta la propria immagine verde. Per chi ci vuol credere.
Già, perché la APP vanta il proprio impegno nella protezione… delle aree che sta distruggendo! Nello stesso momento in cui la APP annuncia di sostenere programmi di protezione di aree come i santuari della tigre del Senapis e di Bukut Tigapuluh e la riserva Unesco di Giam Siak Kecil, le ruspe dell’impresa radono al suolo proprio le foreste di questi habitat, per farne piantagioni di acacia.

Incredibile, ma vero: secondo quanto documentato dall’osservatorio indonesiano Eyes on the Forest, le licenze di taglio ottenute nel 2010 dalla APP, comprendono infatti aree nei paesaggi forestali di Giam Siak Kecil-Bukit Batu, del Bukit Tigapuluh, di Kerumutan e Senepis-Buluhala e della Penisola di Kampar, le stesse che la APP dichiara di proteggere.

Le nuove concessioni sono in gran parte collocate nelle aree di alto valore di conservazione, e per il 90% si trovano su suolo torboso, spesso con la torba più profonda di 4 metri. Esiste una legge indonesiana che vieta la conversione di queste aree di torba profonda oltre i 3 metri (Decreto Presidenziale N. 32/1990), e molti ritengono che tali concessioni siano da ritenersi illegali.

Illegali o meno, si tratta di un autentico crimine contro il clima globale: le foreste torbiere palustri sono ricchissime di carbonio, fino a 300 tonnellate per ettaro, e la loro distruzione per convertirle in piantagioni ha fatto dell’Indonesia il terzo emettitore di carbonio, dopo Stati Uniti e Cina. Secondo uno studio del Rainforest Action Network, la sola APP emette più CO2 di 165 nazioni del mondo – anche se pubblica “rapporti” in cui vanta un impatto pari a zero… semplicemente omettendo di calcolare le emissioni causate dalla deforestazione!

La APP, e il sistema di imprese che la riforniscono di fibre, sono stati indicati come i principali responsabili della distruzione della foresta pluviale di Sumatra che ha portato sull’orlo dell’estinzione specie come l’orango, la tigre e l’elefante di Sumatra: a queste e molte altre specie, la deforestazione sta sottraendo giorno dopo giorno l’ambiente vitale.

Mentre in Europa la APP cerca di presentarsi come un paladino dell’ambientalismo, negli Stati Uniti ha gettato la maschera, e finanzia le violente campagne anti-ambientaliste della Consumers Alliance for Global Prosperity, incentrata sul diritto della APP ad abbattere le foreste. Secondo un’inchiesta del New York Times, la APP è riuscita a coinvolgere i Tea Party, l’ala più oltranzista del Partito Repubblicano, nel sostegno alla causa della APP: il diritto di importare cellulosa e carta dalla Cina e dall’Indonesia senza curarsi di inezie come gli impatti ambientali. Una bizzarra alleanza, ma il denaro fa miracoli