Autostima è non dover sempre vincere

Fonte: http://www.riza.it/psicologia/tu/3281/autostima-e-non-dover-sempre-vincere.html

L’approvazione degli altri come misura del proprio valore è una trappola, non basta mai e ci condanna all’infelicità: occorre trovare l’autostima dentro di Sè.

L’autostima non dipende mai dagli altri

“Ce la devo fare a tutti i costi, perché così finalmente dimostrerò a tutti il mio valore”. È questa la frase che forse meglio riassume uno degli schemi più rovinosi che possiamo attuare con noi stessi: raggiungere un risultato, così da poter far vedere a tutti il proprio valore e, di conseguenza, sentirsi finalmente a posto o in pace. Una spinta che non concede tregua: dimostrare è una necessità che non si può non mettere in atto. Per servire questa tirannica richiesta interiore l’interessato può anche trascurare la propria autenticità, la salute, i valori e le persone care. Oppure, pur facendo ciò che gli piace, è costretto a farlo come una prestazione e non come un piacere.

Un bisogno di trofei che nutre senza saziare

In psicoterapia giungono tanti uomini e donne che, al di là delle problematiche specifiche, sono logorate dal dover dimostrare il proprio valore. Per capire perché occorre focalizzarci sulla parola trofeo, quella che esprime al meglio il senso profondo della conquista di un risultato e del suo riconoscimento dagli altri. Trofeo deriva dal greco e significa nutrimento. Ciò suggerisce che, a un livello profondo della psiche, l’ottenimento di un risultato costituisce un prezioso nutrimento per chi lo ottiene. Chi vive per dimostrare dunque sta, senza saperlo, cercando di nutrirsi, di darsi vita. Poiché un “pasto” solo non basta che per poco tempo, saranno necessari continui trofei da raggiungere per placare la fame e mantenersi interiormente vivi in qualsiasi ambito: sociale, professionale, economico, estetico, culturale, creativo…

Un’ansia primordiale che danneggia l’autostima

Che cosa offre questo tipo di nutrimento? È semplice: si tratta di una sostanza che placa l’ansia del non essere amati e accettati e quindi, per certi aspetti, del non esistere abbastanza, del non bastare. Un’ansia primordiale, di cui spesso non si è consapevoli: l’ottenimento del risultato fa credere di aver raggiunto forza e autonomia – e che, per tale motivo, viene “risolta” in questo modo che, a tutti gli effetti, è una nevrosi.

Capire non è la strada

Uscirne però è possibile, anche quando è molto radicata in noi. Il primo passo è quello di accorgersi che, continuando così, la nostra vita sarà spesa a dimostrare qualcosa di cui, tutto sommato, non importa niente a nessuno e forse nemmeno a noi stessi. Chi ci vuole veramente bene non ha bisogno delle medaglie che tanto ci affanniamo a ottenere: ci prende così come siamo.

Attenzione però: capire razionalmente che vivere per dimostrare non ha senso è facile, ma prenderne veramente atto in profondità richiede una costante osservazione di sé, perché la tentazione narcisistica di “esibirsi” e di trovare qualcuno che ci approvi è spesso dietro l’angolo, così come anche la paura indefinita ma potente, di essere inadeguati. Per aiutarci, è fondamentale andare alla ricerca, nei modi che ognuno sente più congeniali, di un modo diverso di vivere se stessi, meno giudicante e più amorevole. Solo così le felicità potranno essere frequenti e piene, e non piccole tregue tra una faticaccia e l’altra.

Così fai crescere la fiducia in te stesso

Accogli il senso di vuoto

Se vivi per l’applauso, se il riconoscimento è il solo nutrimento, ti può sembrare che evitarlo coincida con una sorta di digiuno. Ma è proprio per riempire quel vuoto che continui a darti da fare inutilmente. Prova allora, invece di fuggirlo, ad accoglierlo. Cosa senti? Quali sensazioni si affacciano in te? Ansia, paura…? Lascia che arrivino: possono sembrare brutte, ma se fai loro posto in te scoprirai che proprio il “digiuno” può trasformarti. Perché da lì nascerà la capacità di nutrirti anche altri “cibi”, di nuovi modi di essere.

Gli obiettivi non sono totem

Staccarsi dal bisogno di dimostrare non significa rinunciare a perseguire risultati, se questi coincidono con ciò che veramente vuoi o senti, ma modificare il modo di vivere tale raggiungimento. Quel semplice obiettivo non deve diventare il totem che opprime la tua vita.

Trova stimoli nelle nuove amicizie

Fondamentale, per chi è abituato a misurarsi in base al giudizio altrui, è lo sviluppo di nuove amicizie e di contesti che “parlino” un linguaggio diverso da quello delle persone di cui si è circondati. Un linguaggio fatto di assenza di competizione, di maggiore schiettezza e di una umanità più comprensiva. Cambiare l’esterno aiuta il cambiamento interiore.

Siamo ancora lontani dal liberarci dalla schiavitu’ del petrolio?

Fonte: http://www.improntaecologica.it/

Siamo onesti: a tutti piacerebbe un mondo “pulito” senza inquinamento, ma una cosa è dire, un’altra è fare.
Le energie rinnovabili stanno compiendo passi da gigante, ma la dipendenza dell’intera umanità dal petrolio non sembra cedere.
Sta di fatto che, secondo un nuovo studio presentato negli Stati Uniti da Leonardo Maugeri, docente di Geopolitica dell’Energia alla Harvard Kennedy School, presso il Belfer Center per le Scienze e gli Affari Internazionali, la capacità produttiva mondiale dell’oro nero continua e continuerà a crescere a ritmi vertiginosi anche per i prossimi anni al punto che, entro il 2020, potrebbe toccare quota +20% rispetto ad oggi e questo determinerà un ridimensionamento del prezzo del barile.
Per quanto ci riguarda una brutta, bruttissima previsione basata su un’analisi dei principali giacimenti e progetti di esplorazione a livello mondiale che di fatto contraddice la convinzione di tanti che il picco nella produzione di petrolio sia già stato raggiunto.
In particolare Maugeri ritiene che entro il 2020 la produzione quotidiana passerà dagli attuali 93 milioni di barili a 110 milioni di barili, un record mai registrato dal 1980 a questa parte.
Ma perché mai dovrebbe accadere questo? Per lo studioso si tratta di una questione duplice: da una parte le nuove tecnologie che faciliteranno l’estrazione anche in aree del mondo non ancora sfruttate, dall’altra il calo dei prezzi e la politica delle compagnie petrolifere che li controlleranno per non farli crollare, ma solo scendere in modo contingentato così da rendere e tenere sempre competitivo il petrolio.
Non solo: lo scenario geopolitico legato all’oro nero cambierà notevolmente da un lato con l’avvento di nuovi Paesi produttori come Venezuela e Brasile, dall’altro con altri che miglioreranno la loro capacità produttiva come Stati Uniti e Canada, e questo potrebbe minare la capacità dell’Opec di controllare produzione e prezzi.
Insomma, visto in questo modo siamo ancora tanto, ma davvero tanto lontani dal liberarci dai carburanti fossili.

Consiglio Ue: ora giù la maschera

scritto da: Luca Aterini
Fonte: http://greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=16568

(«Foto tratta da http://www.cartapesta.net/) Ai tassi attuali la Spagna e l’Italia non potranno continuare ancora per molto a finanziarsi sui mercati»: Mariano Rajoy non ha molte frecce al suo arco, ma il premier spagnolo ha la franchezza di giocare a carte scoperte. In vista del Consiglio europeo – che, previsto per oggi e domani, probabilmente si protrarrà anche nel weekend – cerca di evidenziare la gravità della situazione. Le finanze (e le politiche) degli Stati dipendono del tutto dall’ossigeno dei mercati e se questi non concedono liquidità si arriva alla morte per asfissia. Cambiare le regole del gioco? Non è all’ordine del giorno, al momento si ragiona in termini di pura sopravvivenza.

Nonostante tutto, stupisce il gioco delle parti portato avanti con leggerezza, anche adesso che ogni passo infilato davanti all’altro è un procedere sul filo del rasoio. È difficile pensare che i vertici politici degli stati europei, in primis Frau Merkel, non si rendano conto di quanto la loro strategia della tensione sia pericolosa. Eppure, nemmeno è facile persuadersi che il destino dell’Unione europea sia in mano a dei giocatori d’azzardo schizoidi.

Inevitabilmente, però, qualche dubbio in proposito rimane. Come riferisce l’Ansa, da Berlino continuano ad arrivare segnali inquietanti: una fonte governativa confida che «È esagerato andare in panico per i tassi sui titoli di Stato italiani e spagnoli», suggerendo che, tutto sommato, la situazione non è poi così grave. Saranno pure in corso complicati tatticismi politici, ma sono portati avanti con una tale freddezza d’intenti e d’azione che non fa che acuire la sensazione di trovarci innanzi ad uno spietato scacchiere di guerra.

Anche l’ultimo rapporto del Centro studi di Confindustria utilizza proprio questa brusca, ma ficcante similarità. «Non siamo in guerra – ammettono – Ma i danni economici fin qui provocati dalla crisi sono equivalenti a quelli di un conflitto». Il direttore del Centro, Luca Paolazzi, rincara dunque la dose affermando che «L’Italia è nell’abisso». È chiaro quindi che qualcuno non la racconta giusta. È in corso una guerra economica, o meglio una guerra tra alta finanza e democrazia, alla quale rispondere con mezzi e volontà adeguati, oppure – come riferiscono da Berlino – non c’è poi da allarmarsi così tanto?

Una dura verità è la più grande forza ispiratrice di cambiamento. In particolare ragionando in termini di democrazia, dove teoricamente ognuno avrebbe il dovere di sentirsi responsabile dell’azione politica che scaturisce dall’aggregato di una miriade di singoli voti e pensieri, tra i quali i propri. Un grande scrittore italiano, per il quale oggi ricorre il 145° anniversario di nascita, dalla sua Sicilia ha comunicato magistralmente al mondo il significato della maschera che ognuno di noi veste per muoversi in società, in ogni giorno della sua vita. Persino Luigi Pirandello sarebbe però disposto ad ammettere che stiamo passando il segno, almeno nel gotha dei pubblici uffici.

A proposito di guerre, lo statista Winston Churchill non guidò la Gran Bretagna alla vittoria della Seconda Guerra Mondiale, insieme agli Alleati, nascondendo le difficoltà dell’impresa. Nel suo celebre discorso alla Camera dei Comuni affermò di non avere nulla da offrire «se non sangue, fatica, lacrime e sudore». Molti mesi, «molti, molti mesi di lotta e sofferenza», ma un «obiettivo: la vittoria. Vittoria a tutti i costi, vittoria malgrado qualunque terrore, vittoria per quanto lunga e dura possa essere la strada, perché senza vittoria non c’è sopravvivenza». Trincerandosi compatti dietro un obiettivo, una visione di un futuro migliore, come cittadini europei e della nostra civiltà-mondo possiamo di nuovo vincere questa sfida economica/sociale/ecologica che non sarà una guerra, ma fa gli stessi danni o quasi. Senza, siamo perduti, e non abbiamo più tempo da perdere.

Il Culto della Dea Madre in Sardegna

Fonte: http://www.contusu.it/personaggi-e-storia/679

Il ciclico alternarsi della vita e della morte, la nascita di una nuova vita come risultato dell’unione dell’elemento maschile e di quello femminile stavano alla radice della religiosità degli uomini preistorici.
Infatti le divinità Dio-Padre e Dea-Madre erano diffusamente rappresentate, attraverso i simboli delle corna taurine e dei cerchielli, all’interno delle domus de janas, oppure, in maniera più evidente, attraverso i menhir (dal bretone men=pietra + hir=lungo, lett. pietra lunga).

La parola Jana è comune in tutto il Mediterraneo; è la dea Jaune nei paesi Baschi, l’etrusca Uni, le romane Juno e Diana, la cretese Iune, la Ioni asiatica. In molte domus de Janas del V e IV millennio a.C., ma anche altrove, sono state trovate in grandi quantità statuine di divinità femminili in argilla, alabastro, calcarenite, caolinite, marmo, osso o arenaria quarzosa.

Le più antiche sono quelle tondeggianti della cultura di Bonu Ighinu (Mara), di Su Cungiau de Marcu (Decimoputzu), Cuccurru S’Arriu (Cabras), Su Anzu (Narbolia) e Polu (Meana Sardo). La statuetta stetopigia di S’Adde (Macomer) è simile agli idoli ritrovati in Anatolia e nel nord Europa. Nella cultura di Ozieri del IV millennio a.C. le figure diventano piatte e stilizzate in forma di T, con la parte inferiore a cono. Tra le dee soprannominate “cicladiche” per la loro impressionante somiglianza con altre rinvenute nelle isole Cicladi, spicca la grande immagine della “Signora Bianca” di Turrigu, Senorbì. Suggestiva e poetica è la semplicità delle dee “a traforo”, ricavate da sottili lastrine marmoree.

Moltissime le dee con le braccia aperte a croce, fino alla minuscola dea-uccello di mezzo centimetro recuperata a Ploaghe, esposta nel Museo Sanna di Sassari dietro ad una grossa lente di ingrandimento. Le affinità con analoghi reperti in altri luoghi distanti migliaia di chilometri dimostrano che la cultura matriarcale era basata su un linguaggio omogeneo diffuso in tutto il mondo, come ha affermato l’archeologa Marija Gimbutas.

La manifattura di queste dee prosegue per tutta l’età del rame, su preziose lamine dorate. E continuerà nell’espressione simbolica, sia pure de-contestualizzata, attraverso i secoli. In filo diretto con il Neolitico, esistono ancora oggi persone, in Barbagia, che mettono nella bara dei congiunti morti sa pipiedda o sa pizzinedda, una piccola dea confezionata con la tela bianca o con la cera. Oppure, anche in altre zone, è abituale l’usanza di intrecciare con striscioline di foglie di palma sa mura, ovvero la Moira, la dea che decreta il destino, per regalarla durante la Domenica delle Palme.

Alla repressione cristiana resistè tenacemente anche l’antichissimo culto lunare di Diana, di cui si trovano vistose tracce nella toponomastica dell’isola (Lunamatrona, Nuraghe Luna, Cala Luna, Monte Luna, Monte Diana, etc.). Nel mondo romano Diana Lucina fu ufficialmente onorata fino al IV secolo dopo Cristo con la solenne processione notturna del 13 agosto, fatta da donne che tenevano in mano una torcia.

Durante il medioevo, la venerazione della dea venne ripetutamente investita dagli anatemi della chiesa e demonizzata. Ma Artemide-Diana, in realtà, era una figura protettrice: “puniva coloro che violentavano le vergini e si macchiavano di ogni altra sopraffazione, così come puniva coloro che esercitavano la caccia in modo selvaggio, effettuando una distruzione senza limiti. Anche i cuccioli, al pari dei bambini, erano sotto la sua protezione e dovevano essere risparmiati” . La dea assisteva le partorienti e le balie, presiedeva alla crescita di ogni genere. Veniva invocata fino a una cinquantina di anni fa in filastrocche che si ripetevano quasi invariate in numerosi paesi della Sardegna centrale. Le ragazze le recitavano sedute in cerchio e battendo le mani, oppure in girotondo ad occhi chiusi, dopo aver guardato la luna:

Luna luna, paraluna, paristella / ses sa bella de muntanna… Luna luna, porchedda luna / porchedda ispana, sette funtanas / sette chilivros, appiccamilos / sutta sa mesa, luna Teresa, / Teresa luna, dammi fortuna.

E tuttora, nella Bassa Gallura, si saluta la luna nuova con l’esclamazione: Luna miraculosa, dammi la grazia di l’anima.

Tra le donni di fuora che appartengono alle leggende popolari c’è la gioviana, un genio tutelare femminile che si presenta nelle case la notte del giovedì quando le donne si attardano a filare, per aiutarle; la vampiresca coga o sùrbile, frutto della criminalizzazione cristiana, ma percepita anche come una Nemesi che impone la giustizia; le panas o pantamas, spiriti di donne morte di parto che durante la notte si recano lungo i corsi d’acqua; la Saggia Sibilla che abita con altre janas nella grotta del Carmelo presso Ozieri, e alla quale la tradizione orale attribuisce il segreto della lievitazione del pane e l’invenzione dei fermenti lattici; le fadas che vivono nei nuraghi e tessono la buona e la cattiva sorte con un telaio d’oro. Ma, al di là dei racconti leggendari, le ultime depositarie di un sapere antichissimo hanno costituito sino a pochi decenni fa una presenza e una realtà molto diffusa tra la popolazione sarda.

Non accettavano denaro, solo prodotti in natura. Abili erboriste, le orassionarjas guarivano anche con formule magiche dette verbos e usavano tre grani di sale per scacciare il malocchio. Le anziane accabadòras (dal fenicio “hacab”, mettere fine) accompagnavano nel trapasso della morte e abbreviavano le dolorose agonie, oppure dopo le esequie si recavano al cimitero per “chiudere la casa”, girando tre volte la punta di una grossa chiave sulla tomba.

Tre donne (una giovanissima, una matura e una vecchia) svolgevano insieme un rituale terapeutico contro le febbri perniciose recandosi ad un trivio, togliendosi una pianella e tracciando a terra con essa cerchi e croci. E anche attualmente esistono deinas che praticano la cosiddetta “medicina dello spavento” a chi è oppresso da incubi o ossessioni, oppure adottano la gestualità lustrale dell’acqua gettata dietro le spalle.

Gli italiani e il cibo: mangiamo per fame o per stress?

Fonte: http://www.informasalus.it/it/articoli/italiani-fame-stress.php

Un italiano su tre mangia per stress e non per fame. A rivelarlo è un sondaggio online dell’Eurodap condotto al fine di osservare il comportamento delle persone con il cibo in una fase in cui l’aspetto psicologico degli italiani è sottoposto ad una serie di stress emotivi: insicurezza, ansia, paure.

All’indagine hanno partecipato 600 persone tra i 18 e i 65 anni. “Per il 40% delle persone che hanno partecipato al sondaggio – spiega Paola Vinciguerra, psicoterapeuta e presidente Eurodap – il cibo viene utilizzato troppo spesso come una valvola di sfogo, allo scopo di sedare livelli di ansia troppo elevati”.

Al supermercato nel carrello (sempre pieno) di chi mangia per stress non mancano mai cibi dolci o alimenti super calorici. Gli italiani stressati mangiano in modo frettoloso e raramente posano la forchetta quando si sentono sazi. In particolare questo comportamento viene adottato la sera, quando la corsa del vivere quotidiano si placa e si ha la sensazione di potersi  fermare e ‘coccolarsi’, almeno a tavola. Tale atteggiamento disfunzionale nei confronti del cibo è frutto spesso di un particolare stato emotivo, ansioso o depresso, stressato o triste.

“Si tratta di individui che non hanno regole nel loro regime alimentare – ha spiega Vinciguerra – per le quali ogni emozione negativa o stato d’animo non sereno tendono ad essere compensati con il ricorso all’alimentazione”. “Così come si tende a ricercare nel cibo un premio – aggiunge – è anche possibile che si cerchi nel cibo una punizione, mettendo in atto restrizioni eccessive. Restrizioni che, quando perdurano nel tempo, portano poi ad abbuffate compensatorie”.

Nel particolare momento di crisi che l’Italia sta vivendo il cibo, spiega la psicoterapeuta, rappresenta per molti l’unica valvola di sfogo: compensazioni di altro tipo come vacanze, acquisti e quant’altro, stanno subendo una evidente contrazione. “L’insoddisfazione, il senso di fallimento, la paura, lo stress quotidiano per i numerosi problemi che ci preoccupano, fanno spostare l’attenzione delle persone su un qualcosa che culturalmente non ci fa sentire in colpa: il mangiare.

Quando mangio non è come se mi comperassi la macchina nuova, che non mi posso permettere, o l’ennesimo abito che andrà solo ad intasare il guardaroba. Mi sto nutrendo, sto facendo un’azione permessa”. “Il senso di colpa – precisa l’esperta – arriva solo dopo, quando i chili di troppo creano il disagio dell’apparire, non riuscendo però a rompere il circolo vizioso: mangio in cerca di sollievo, mi pento e provo disagio e ricorrerò di nuovo al cibo per risolverlo. In realtà sono stressato, frustrato e cercare sollievo nel cibo mi porterà solo ad aggravare il mio stato di disagio”.

Osservazioni sparse su un viaggio in Siberia

Scritto da: Piergiorgio Rosso
Fonte: http://www.conflittiestrategie.it/

Il viaggio di cui parliamo si è svolto nella Federazione Russa per 15 giorni in Siberia Occidentale da Ekaterinburg a Irkutsk, sul Lago Baikal.

La prima notazione è semplicemente geografica: la vastità del territorio al di là (… per noi occidentali) degli Urali è impressionante. Tre notti e due giorni di treno separano Ekaterinburg, appena a est degli Urali, da Irkutsk, sulle rive del fiume Angara, unico effluente del Lago Baikal, un enorme riserva di acqua dolce, un “mare” più che un lago.  A Irkutsk si è posizionati nel bel mezzo della Siberia, distanti tre giorni di treno da Vladivostok sul Pacifico (9000 km da Mosca ca.). Si attraversano migliaia di kilometri di steppa, terreno fertile e coltivabile, se non fosse che per più di metà dell’anno è inagibile per il freddo (differenza fondamentale rispetto alle Grandi Pianure del Midwest statunitense),  e migliaia di kilometri di taiga: foresta di betulle, pini e  larici.

Le città sono quelle dell’epoca zarista, sviluppate poi in quella sovietica ed ora ristrutturate con nuovi “downtown” di tipo occidentale cioè con pochi o nessun residente, spostati in periferia, e riempiti con centri commerciali e direzionali, attorno ai palazzi storici del potere municipale, regionale e federale. In tutta la Siberia risiede un quinto ca. della popolazione della federazione Russa.

La ferrovia, sulla direttrice ovest-est,  è l’infrastruttura dominante: nata in epoca zarista, completata agli inizi del novecento, arricchita in epoca sovietica dei rami necessari a servire i nuovi bacini minerari ed industriali, oggi rappresenta la “cintura d’acciaio” che tiene unita la Federazione Russa, una nazione altrimenti impossibile, qualora la pura geografia prevalesse, una volta considerate le condizioni climatiche delle varie zone. Il movimento passeggeri sui treni è continuo, bi-direzionale, di tipo pendolaristico o “business” interno russo. Il movimento merci è intenso (si incrocia un treno merci ogni dieci minuti)  con caratteristiche strutturali tipiche: materie prime (legno, carbone, gas, petrolio) da est a ovest e mezzi (trattori, movimento terra, auto, camioncini) da ovest a est.

I grandi fiumi, disposti prevalentemente sulla direttrice nord-sud, di ampiezza indescrivibile, completano la rete infrastrutturale con il non secondario vincolo della limitata navigabilità, dovuta ai ghiacci del periodo invernale (ottobre- aprile) .

L’attuale motorizzazione privata nelle città è prevalentemente giapponese e coreana, sporadicamente tedesca e francese. A est spesso la posizione di guida a destra convive, se non prevale, rimanendo la modalità di circolazione secondo lo standard europeo-continentale (a significare la permeabilità del mercato siberiano  alle merci asiatiche). La mitica UAZ sopravvive con i suoi fuori strada in campagna e nei centri minori.

Il trasporto pubblico metropolitano è capillare, a 0,3-0,4 euro la corsa, assicurato da un sistema pubblico (tram, filobus, autobus di età “centenaria” con qualche inserto  moderno)  a fermata obbligatoria e da un sistema parallelo semi-privato (pulmini da 15 posti) a fermata a richiesta.

In tutte le città, grandi medie e piccole, la distribuzione commerciale è assicurata da centri commerciali (tipo “mall” statunitensi) e da mercati centrali e di zona all’aperto. E’ del tutto minoritaria la rete di negozi di quartiere, limitata a farmacie e chioschi per sigarette, cioccolata, bibite.

La lingua russa rimane del tutto egemone ed incontrastata: solo ai banconi degli alberghi qualcuno parla inglese; le tastiere dei PC resi disponibili al pubblico sono in cirillico. Si può dire che l’uso dell’inglese viene mediamente rifiutato dai russi, meno dall’immigrazione interna kazaka, uzbeka, azera. Il turismo della zona è prevalentemente russo sebbene cresca quello internazionale nelle località più rinomate, come il Lago Baikal, a luglio e agosto.

Le russificazione della Siberia è un dato di fatto irreversibile. Le comunità autoctone sono presenti, ma numericamente minoritarie, prevalentemente dedicate a sfruttare il crescente flusso turistico nei suoi effetti economici secondari (rivendite, ospitalità minore, trattorie), sebbene culturalmente vitali anche grazie ad una rete di musei regionali molto ben fatti, ben tenuti e vitali. Molto significativa anche la presenza di immigrazione uzbeca e kazaka nei settori dell’industria delle costruzioni e nel piccolo commercio.

L’impressione del tutto generale che si trae da un viaggio di questo tipo è la conferma che il territorio della Federazione Russa è costituito in realtà da un insieme di diversità geografiche radicali (Europa+Siberia), che può essere tenuto insieme solo a costo di una cura estrema dell’infrastrutturazione esistente entro ed attorno alla ferrovia transiberiana, strumento altamente funzionale ed efficace per il controllo politico e sociale di un territorio così vasto e diverso. La continuità  inserita “artificialmente” nel territorio russo dall’ infrastruttura transiberiana (ferrovie + industrie + città), garantisce alla Russia di non finire come il Canadà: due territori est-ovest praticamente separati. Con il corollario geopolitico che la Siberia non finirà, per questa ragione, facilmente preda delle potenze confinanti e prementi sul fianco est: Cina e Giappone.

Le direzioni dello sviluppo delle risorse siberiane contengono un altissimo significato strategico per la Federazione Russa e, parimenti, la loro definizione costituisce la sfida principale che i gruppi dirigenti russi hanno davanti a loro nel 21.o secolo. Possiamo ricordare a questo proposito la storia poco conosciuta della Società Russo-Americana che nell’800 deteneva il monopolio del commercio delle pelli delle colonie russe in Alaska e che si spinse nelle sue attività di sviluppo economico,  non solo in Alaska ma fino a poche decine di kilometri a nord di S. Francisco, allora spagnola (Fort Ross fu costruito dai russi nel 1812). Una storia sfortunata, quella del suo fondatore e mentore Nikolaj Rezanov, morto prima di avere la soddisfazione di vedere la firma dello zar sotto i trattati da lui conclusi favorevolmente con gli spagnoli, ma anche la storia di una scarsa consapevolezza del valore strategico delle intuizioni e visioni di Rezanov (ricco barone russo), da parte dell’elite zarista. Se col senno di poi possiamo senz’altro definire la successiva vendita dell’Alaska agli americani (1867) un gravissimo errore geopolitico, dobbiamo invece ancora comprendere quanto importante sia per la Federazione Russa lo sfruttamento delle risorse dei territori della Siberia del Nord ed in particolare l’apertura di una stabile via di comunicazione marittima a Nord-Est, che sbocchi nell’Oceano Pacifico. Con il corollario dell’avanzamento tecnologico complessivo che le difficoltà ambientali di necessità richiedono.

La risposta alla domanda se questo sviluppo ed avanzamento sarà auto-centrato, come lo è stato al tempo degli zar (il traghetto che trasportava i primi treni su è giù per il Lago Baikal, fu costruito in Inghilterra, trasportato a pezzi in Siberia, assemblato e varato a Irkutsk)   e della CCCP, oppure egemonizzato da capitali e tecnologie straniere, determinerà a nostro parere largamente il ruolo futuro della Federazione Russa come potenza globale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SICILIA: BAMBINI CHE MUOIONO DI RADIAZIONI NUCLEARI USA

Scritto da: Gianni Lannes
Fonte: http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/

«Non si sa che effetto avrà sul sistema immunitario dei siciliani di Lentini la radioattività delle scorie nucleari nascoste dagli americani nel suolo» si legge in un passaggio del libro scritto dal professor J.W. Gofman, Radiation and Human Health (Sierra Club Books, San Francisco). Dove sono stati occultati i rifiuti della vicina base militare Usa di Sigonella, durante gli anni in cui venne scritto quel saggio? Forse, in qualcuna delle 27 cave dismesse – etichettate “apri e chiudi” – del comprensorio locale. Gli investigatori della Direzione investigativa antimafia hanno rilevato che la base di Sigonella compare tra gli enti che per anni hanno scaricato rifiuti nella discarica abusiva di Salvatore Proto, un prestanome del clan Santapaola-Ercolano. C’è poco da stare allegri. Le ricerche scientifiche concordano nel ritenere l’esposizione a grandi quantità di radiazioni come il maggiore fattore di rischio per il tumore del sangue. «La leucemia è associata al plutonio, responsabile della perdita dell’immunità biologica che colpisce un numero crescente di persone» argomenta l’illustre scienziato Gofman. Il 21 gennaio 1968 un bombardiere B-52 americano che trasportava 4 bombe H cadeva nel nord della Groenlandia, disintegrandosi e spargendo rottami radioattivi su un’area vastissima di terra e di mare. Nel giro di qualche anno le persone che erano venute inavvertitamente a contatto con i rottami si ammalarono di leucemia. Ed in quel luogo proprio la leucemia divenne una delle più frequenti cause di morte. In Sicilia a seguito di alcuni incidenti segreti di velivoli Usa, i bambini della Sicilia orientale muoiono di leucemia più di ogni altra parte d’Italia. La magistratura sembra paralizzata. Come mai il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed il Primo Ministro Mario Monti, non chiamano il Presidente Obama a rendere conto di questo crimine? Recentemente hanno incontrato a Roma il segretario generale della Nato, Anders Fogh  Rasmussen ma non hanno profferito parola sull’argomento. La morte e la malattia indotta in tanti bambini italiani da causa belliche, forse non sono una buona ragione per intervenire subito?

Tornado sul Sole

Scritto da: Marco Galliani
Fonte: http://www.media.inaf.it/2012/06/27/tornado-sul-sole/

Osservazioni condotte dal satellite SDO della NASA hanno evidenziato la presenza sulla nostra stella di vortici di gas ad altissima temperatura che potrebbero trasportare la quantità di energia necessaria a spiegare l’enorme riscaldamento della corona solare. Bemporad (INAF): “Un risultato importante per comprendere i meccanismi che governano le proprietà dell’atmosfera più esterna del Sole”.

Foto: Ricostruzione al calolatore di un tornado solare, in cui il gas ad altissima temperatura viene spinto in alto dalla fotosfera verso la corona. Crediti: Wedemeyer-Böhm et al.

Nonostante sia la stella a noi più vicina e, per questo, quella meglio studiata, il Sole è un corpo celeste che ha ancora molto da rivelarci. Ne è un esempio l’ancora irrisolto enigma della temperatura del gas che compone la sua atmosfera più esterna, la corona. Lì infatti si raggiungono valori molto maggiori di quelli che si registrano sulla fotosfera, il ‘guscio’ visibile del Sole. E non a caso questo dilemma scientifico è stato recentemente inserito dalla rivista Science tra gli otto misteri ancora irrisolti dell’astronomia.

Certo, soprattutto negli ultimi anni si sono moltiplicati gli studi che, basandosi su strumenti osservativi sempre più avanzati, sia da terra che dallo spazio, hanno fornito diverse interpretazioni per spiegare questo fenomeno. Ma a quanto pare, non in maniera definitiva. L’ultimo in ordine di apparizione è una ricerca appena pubblicata dalla rivista Nature e guidata da Sven Wedemeyer-Böhm, dell’Institute of  Theoretical Astrophysics dell’Università di Oslo. Analizzando le osservazioni dello strumento AIA (Atmospheric Imaging Assembly) a bordo del satellite Solar Dynamics Observatory della NASA, il team ha scoperto la presenza di flussi vorticosi nella corona solare, prodotti da gas alla temperatura di un milione circa di gradi Kelvin. E come dei giganteschi tornado, questi turbini di materia caldissima risalgono dalla superficie del Sole verso la corona e ‘guidano’ le linee di forza del campo magnetico solare a seguire una traiettoria spiraleggiante, lungo la quale viene accelerato verso l’alto il gas.

Gli scienziati hanno identificato 14 di questi super tornado, che hanno una durata media di circa 12 minuti. Estrapolando queste informazioni, gli scienziati stimano così che dovrebbero essere sempre presenti oltre 10.000 turbini su tutta la superficie del Sole. E, cosa fondamentale, tali fenomeni sarebbero in grado di trasportare nella corona la quantità di energia sufficiente per spiegare le sue temperature così elevate.

“Si tratta di un interessante studio che si focalizza su zone della cromosfera solare (la parte di atmosfera compresa tra la fotosfera e la corona) nelle quali si osservano sporadicamente strutture vorticose di plasma che richiamano, per la loro forma, i tornado terrestri” commenta Alessandro Bemporad, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Torino. “Queste strutture sono associate a zone della fotosfera in cui il campo magnetico ha una singola polarità, una configurazione che facilita quindi l’accelerazione e l’espansione del vento solare. La formazione di queste strutture vorticose è collegata ai moti convettivi di plasma che si verificano in fotosfera nella granulazione solare: qui una combinazione dei moti di plasma in ascesa e in ridiscesa induce nell’atmosfera sovrastante la formazione di vortici di plasma, che modificano il campo magnetico coronale sovrastante accelerando il plasma verso l’esterno per forza centrifuga. Lo studio quindi dimostra che queste regioni vorticose possono contribuire significativamente all’accelerazione del vento solare, oltre che al riscaldamento coronale se questi modi vorticosi generano anche onde di plasma al loro interno. Questo è un risultato molto importante poichè dopo decenni di studi non è ancora del tutto chiaro quali siano i processi fisici che governano l’accelerazione del vento solare e del riscaldamento della corona solare”

I buchi neri

Fonte: http://www.passionescienza.it/index.php?l=IT&s=Astronomia&p=i%20buchi%20neri

Gli appassionati di scienza ed in particolare di astronomia avranno sicuramente sentito parlare di questi particolari corpi celesti. Il loro nome deriva proprio dal fatto che non sono visibili nello spazio: essi appaiono esattamente come corpi neri e non essendo rilevabili tramite i normali telescopi, vengono identificati attraverso le potenti onde radio che emettono. Essi appaiono completamente neri poiché la loro forza di gravita’ è cosi intensa da non lasciar scappare nemmeno la luce che li raggiunge.

Inizialmente la loro esistenza venne ipotizzata dalla teoria della relatività di Einstein: secondo questa teoria un oggetto avente una massa genera una distorsione nello spazio tempo che dipende dalla massa stessa. Quindi più un oggetto è pesante, più distorcerà lo spazio tempo. Anche la terra, con una massa molto inferiore rispetto al sole o rispetto appunto ad un buco nero, genera una distorsione spazio-temporale: infatti ad alte quote il tempo scorre in modo diverso rispetto ad una zona posizionata a livello del mare!

Matematicamente un buco nero è descritto da un punto dello spazio dove la deformazione spazio temporale raggiunge la massima distorsione, quindi in questa zona il tempo scorre in modo così lento che se potessimo attraversarla, vedremmo probabilmente -in pochi secondi- la fine dell’universo. Per questo la zona dove è presente un buco nero viene definita “singolarità” oppure “orizzonte degli eventi”. E’ molto probabile che in questa particolare zona il tempo si annulli definitivamente.

Ma come nasce un buco nero? Perché acquista queste straordinarie proprietà? Per capire questo processo dobbiamo affrontare velocemente come nasce e muore una stella. Una nube di gas interstellare (simile alle classiche nebulose) a causa di influenze esterne, come il passaggio di qualche corpo celeste, inizia a condensarsi e solidificarsi, come ad esempio il vapore crea grosse goccie su di un vetro freddo. Queste gocce diventano stelle ed attorno alle stelle che sono formate da gas, con elementi più solidi, si formano i pianeti. La stella, al centro, innesca una combustione termonucleare che consuma lentamente l’enorme massa di idrogeno della quale è composta. In questo stato di normalità -come si trova il nostro sole oggi- la stella può bruciare per miliardi di anni, mentre l’idrogeno diventa poco alla volta elio. Quando gran parte dell’idrogeno viene consumato, parte la combustione dell’elio che però brucia in modo diverso: rende la stella di un colore rosso vivo e la fa ingrandire. Quandò questo accadrà al nostro SOle, probabilmente diventerà così grande da inghiottire anche il pianeta Terra. In questo stato la stella è “gonfia” come un palloncino, ma quando l’energia prodotta dalla combustione non è più sufficiente a mantenere la stella di quelle dimensioni, essa inizia a “sgonfiarsi”. Riducendo le sue dimensioni, la materia all’interno della stella viene compressa sempre di più. Ed è qui che troviamo il punto cruciale della nascita di un buco nero: se la massa della stella è sufficientemente grande, viene compressa su se stessa a tal punto che gli atomi si rompono, si comprimono tra di loro, per raggiungere una densità pari centinaia di milioni di tonnellate per centimetro cubo! E’ questa straordinaria massa che con il suo peso “schiaccia” e deforma il tempo stesso!

Se la massa della stella di cui parlavamo non è sufficiente, non si innesca la rottura dello spazio tempo generata dalla singolarità, ma nasce comunque un’altro misterioso corpo celeste, chiamato Pulsar. Le pulsar, dette anche stelle ai neutroni, hanno densità inferiori, attorno alle 100 tonnellate per centimetro cubo. Questo non è sufficiente a creare un buco nero anche se in qualsiasi caso crea fortissimi campi gravitazionali. Se immaginiamo una navicella spaziale che atterra sulla sua superficie, la vedremo scomporsi in atomi ed essere assorbita dalla Pulsar. Le stelle ai neutroni vennero scoperte nel 1967, quando una studentessa dell’università di Cambridge ascoltò attraverso un radio telescopio una serie di impulsi estremamente regolari. All’inizio si pensava fosse un tentativo di comunicazione da parte di una civiltà aliena, ma poi furono trovati altri segnali simili e gli astronomi capirono che si trattava delle emissioni radio di un corpo celeste che ruotava ad alta velocità.

In caso la massa della stella di partenza fosse minore ad 8 masse solari, contraendosi non diventerebbe nemmeno una stella di neutroni, ma una semplice nana bianca. La nana bianca è una stella che ha espulso gran parte della sua massa con un getto di materia, creando una nebulosa colorata attorno a se stessa. La materia rimanente si comprime a dimensioni solitamente simili a quelle della terra, per poi raffreddarsi lentamente senza subire altri cambiamenti.

 

Le proprietà benefiche del mirtillo nero

Fonte: http://www.stetoscopio.net/rimedi-naturali/le-proprieta-benefiche-del-mirtillo-nero/

Il mirtillo è un piccolo arbusto spontaneo che comunemente cresce nelle zone montane tra i 900 ed i 1500 metri. Le due principali qualità di mirtillo sono il mirtillo rosso e il mirtillo nero, due tipologie di piccole bacche che oltre a far parte della nostra alimentazione hanno importanti proprietà curative.

Il mirtillo nero, in particolare, è quello a cui è riconosciuto il maggior numero di proprietà benefiche. In questo piccolissimo frutto, infatti, sono contenuti principi importanti come zuccheri e diversi tipi di acidi tra cui l’acido citrico, che un’azione protettiva sulle cellule, l’acido idrocinnamico, che neutralizza le nitrosammine cancerogene, e l’acido gamma-linolenico, utile per prevenire la nefropatia diabetica.
Il mirtillo nero, inoltre, contiene acido folico, ossia la la vitamina B9, importantissima perchè non viene prodotto dall’organismo ma deve essere assunta con il cibo. Altre proprietà benefiche sono i tannini e i glucosidi antocianici, i responsabili del tipico colore scuro del frutto, che rafforzano la struttura dei capillari. In grande quantità, inoltre, sono presenti le antocianine, che rafforzano il tessuto connettivo, sostengono i vasi sanguigni e ne migliorano l’elasticità ed il tono.