Arrivano nuove conferme: la marijuana combatte il cancro!

Fonte: http://www.huffingtonpost.com/2012/09/19/marijuana-and-cancer_n_1898208.html
Tradotto da: http://www.climatrix.org/2012/09/arrivano-nuove-conferme-la-marijuana.html

Due scienziati del California Pacific Medical Center di San Francisco hanno scoperto che un composto derivato dalla marijuana potrebbe bloccare le metastasi in molti tipi di cancro aggressivo, riducendo la fatalità della malattia per sempre. “Ci sono voluti circa 20 anni di ricerca per capirlo, ma siamo molto eccitati”, ha detto Pierre Desprez , uno degli scienziati che sta dietro la scoperta, al giornale The Huffington Post. “Vogliamo cominciare con le sperimentazioni il più presto possibile.” Desprez, un biologo molecolare, ha trascorso decenni a studiare ID-1, il gene che provoca la diffusione del cancro. Nel frattempo, il collega ricercatore Sean McAllister stava studiando gli effetti del cannabidiolo, o CBD, un composto chimico che si trova nella pianta di cannabis. “Quello che abbiamo trovato e che il cannabidiolo potrebbe in sostanza ‘spegnere’ l’ID-1,” ha detto Desprez.Quando abbiamo trattato cellule tumorali con questa sostanza, hanno smesso di diffondersi e sono tornate alla normalità. Desprez e McAllister avevano pubblicato un primo documento sulla scoperta nel 2007. Da allora, il loro team ha scoperto che CBD funziona sia in test di laboratorio che negli animali. “Abbiamo iniziato con la ricerca del cancro al seno”, ha detto Desprez. “Ma ora abbiamo scoperto che il cannabidiolo funziona con molti tipi di tumori aggressivi – cervello, prostata -.
Qualsiasi tipo in cui questi livelli elevati di ID-1 sono presenti” “Non abbiamo riscontrato alcuna tossicità negli animali che abbiamo testato, il cannabidiolo è già usato nell’uomo per una serie di altri disturbi”, ha detto. Infatti, il composto è usato per alleviare l’ansia e nausea, ed e’ assolutamente innocuo.

La Guerra ha Te

Fonte: http://eccocosavedo.blogspot.it/2012/09/la-guerra-ha-te.html
Scritto da: Marco Canestrari, Velerio Passeri

Esiste una guerra giusta, una guerra necessaria o che metta fine a tutte le guerre? Per dirlo con certezza bisogna capire da dove origina la guerra e se questo sia qualcosa che possa essere combattuto.

Se si guarda a tutte le guerre che si sono svolte e si svolgono tutt’ora, l’elemento comune, l’origine, può essere rintracciata sempre in uno scontro tra idee diverse. Diverse idee di religione, di giustizia, di modello di società o di uomo, idea che si ha di se stessi o l’idea di essere la popolazione migliore, l’eletta, che possa prosperare sulla terra. Idee, idee, idee… Gruppi abbastanza numerosi di persone si legano ad un’idea comune, tanto da uccidere e farsi uccidere in suo nome. Il contenuto di un’idea è qualcosa che non ha un peso, non si può toccare, di per se non porta nuova energia. Come può qualcosa di così astratto togliere vita ed energia all’intero globo? Se il problema sono i differenti contenuti di due idee, il passo successivo è capire perché ci si lega così fortemente ad esse. Lo facciamo perché che non siamo sereni, siamo così spaventati, terrorizzati che ci aggrappiamo disperatamente a qualcosa che sembra darci delle risposte, che sembra confortarci e farci stare meglio e non la molliamo per nessun motivo. Se poi qualcuno prova a metterla in discussione, cerca quindi di privarcene, siamo pronti a tutto pur di difenderla.

Per togliere ogni dubbio e ogni plausibile giustificazione che poniamo davanti a noi stessi, diciamo da subito che non esistono gradi di conflittualità o di violenza; quando uno è minacciato usa tutto ciò che è necessario e che ha a sua disposizione per salvarsi. Quindi passare da uno schiaffo ad uccidere qualcuno non è un passo tanto distante quanto si possa pensare, dipende da quanto ci è necessario per mettere la nostra idea al sicuro. Anche la persona più pacifica e pacifista del mondo è quindi responsabile della prosecuzione delle guerre nel globo, se partecipa a questo processo. C’è chi infine, opporrà la solita giustificazione che la guerra è il normale sfogo della naturale aggressività umana. Ma l’aggressività viene dall’essere atterriti e spaventati. Una persona serena, senza problemi, che motivi avrebbe o, più semplicemente, come potrebbe mai avere in mente di uccidere o aggredire qualcuno? D’altro canto, nessuno in buona fede, potrebbe asserire che l’essere spaventati e atterriti è una condizione ottimale dell’essere umano. Possiamo quindi escludere che l’aggressività sia uno stato naturale in quanto proviene da una condizione che pregiudica una vita sana.

La guerra quindi in nessun caso non si risolve combattendo altre guerre, essa nasce e finisce dentro ognuno di noi. Ma se siamo tutti responsabili della guerra, anche quando cerchiamo di combatterla, non possiamo fare nulla per far terminare i conflitti? Al contrario, se essi nascono da noi, siamo proprio noi gli unici a poterli far cessare. La società odierna è costituita in modo da creare continui conflitti: si incentiva al massimo la competizione, si distruggono gli enti predisposti all’educazione e si distrugge la sanità, in modo da tenere in continua tensione le persone rispetto alla propria incolumità e salute. Ma la società è costruita dagli uomini su modello di se stessi, quindi siamo noi a poter e dover fare qualcosa.

Comincia da te! Il primo passo è sempre la comprensione e permettere che questa si sviluppi e si espanda il più possibile. Se si comprende da dove viene il conflitto allora si è in grado di evitare di esserne portatori. Comincia col creare un ambiente sereno intorno a te che faciliti la comprensione, la collaborazione ed elimini i conflitti.

ONU – Presidente argentina: la FIFA è migliore del FMI

Fonte: http://selvasorg.blogspot.it/2012/09/onu-presidente-argentina-la-fifa-e.html#more

Dura replica al FMI che minaccia un “cartellino rosso” contro Buenos Aires
La presidente argentina Cristina Kirchner,  nel  suo discorso alla tribuna dell’ONU, ha detto che “la FIFA ha avuto più successo nell’organizzare i mondiali di calcio che il Fondo Monetario Internazionale (FMI) nel riorganizzare l’economia internazionale nel corso degli ultimi 20 anni”. Questa è stata la risposta all’altra Cristina, quella che comanda il FMI dopo che venne sbrigativamente estromesso Strauss Kahn, via scandalo sessuale. La Lagarde, con formazione liberista ultraortodossa, francese con formazione 100% nordamericana, nei giorni scorsi era in vena poetica. Tralasciando l’abituale oscura ed astrusa neolingua, si  permise di usare la facile metafora del cartellino rosso esibito dagli arbitri per espellere i giocatori. Insomma, minaccia di passare alle vie di fatto contro il Paese sudamericano, indicato da molti come un possibile modello per uscire dalla crisi evitando le forche caudine del FMI.

La Cristina argentina ha replicato a muso duro che “..l’Argentina non è un campo di calcio e la crisi internazionale non è una partita ma la peggior crisi dagli ani 30. Il ruolo del presidente della FIFA è stato più soddisfacente di quuello svolta dai massimi dirigenti del FMI“. Qui ha ricevuto applausi a sena aperta dalla platea, fatto abbastanza raro nelle assemblee dell’ONU. Non è dato sapere se la Presidente Cristina abbia elogiato intenzionalmente a Blatter che gode di una pessima reputazione in Sudamerica. Più probabile che abbia indirettamente insinuato: il FMI ha agito tanto male che è persino peggiore della FIFA.
“Per alcuni, noi saremmo un brutto esempio, però è bene che ricordino che l’Argentina ha pagato agli azionisti più della ENRON. Di ogni 100 dollari di debito, la multinazionale dell’energia ENRON ne ha pagato 1, noi ne abiamo versati finora 20″. Poi ha criticato chi vorrebbe curare i problemi del mondo con le stesse ricette che li hanno generati, puntando il dito contro i Paesi industrializzati che “..ci denunciano come protezionisti quando siamo stati vittime del protezionismo che ha danneggiato le nostre economie e l’inclusione di milioni di cittadini”.

Centomila pistole Beretta per l’esercito Usa

Fonte: http://antoniomazzeoblog.blogspot.it/

Maxi-commessa negli Stati Uniti d’America per l’azienda leader italiana produttrice di armi da guerra leggere. Il dipartimento di U.S. Army ha comunicato l’affidamento a Beretta USA Corporation, la società controllata dalla holding con sede negli States, di un contratto per il valore di 64 milioni di dollari per la fornitura di 100.000 pistole M9 calibro 9mm, la versione americana della famosa 92FS Parabellum. L’intera produzione avverrà nei prossimi cinque anni negli impianti Beretta di Accokeek, Maryland, dove sono attualmente impiegati 300 lavoratori.

“Questo ordinativo è un’ulteriore conferma dell’interesse e del supporto delle forze armate americane per la nostra pistola”, ha dichiarato Ugo Gussalli Beretta, presidente di Beretta Holding. “La M9 rimane l’arma di riferimento di U.S. Army e supporterà le truppe sul campo per i prossimi anni”. Entusiasta pure Gabriele de Plano, vicepresidente di Beretta USA Corporation, che ha dichiarato di “non vedere l’ora” di poter lavorare con l’esercito statunitense “per personalizzare l’attuale configurazione della pistola M9 con le soluzioni a disposizione per i nuovi modelli 92A1 e 96A1”, ampliando l’offerta e i business.
Ad oggi, sono oltre 600.000 le Beretta M9 già consegnate alle forze armate e di polizia Usa. Il Dipartimento della difesa è uno dei clienti esteri più consolidati della holding fondata quasi cinquecento anni fa a Gardone Val Trompia (Brescia). La prima importante commessa risale al 1979, quando fu consegnata una partita di pistole modello 92 al reparto d’assalto speciale “SEAL Team 6” della Marina militare. Nel 1985 fu invece sottoscritto un contratto del valore di 75 milioni di dollari per la fornitura di 315.930 pistole M9 ai reparti dell’esercito, della marina, dell’aeronautica militare, del Corpo dei marines e della U.S. Coast Guard. Per avviare la produzione in serie delle pistole d’ordinanza, i Beretta dovettero costituire nel 1987 la corporation sussidiaria con sede negli Usa.
Due anni più tardi, giunse un ulteriore ordine di 50.000 pistole 92FS da parte della polizia federale e delle unità assegnate al pattugliamento e controllo delle frontiere. Altre 18.744 pistole modello 92FS furono consegnate nel 2002 alla U.S. Air Force, mentre tre anni più tardi Beretta Usa Corporation sottoscrisse 13 differenti contratti con il Pentagono, tra cui quelli per la fornitura di 60.000 pistole M9 all’aeronautica e all’esercito Usa e 3.500 pistole modello M9A1 e 140.000 special al Corpo dei marines. Nel settembre del 2007, U.S. Army e U.S. Navy fecero un nuovo ordine di 10.576 pistole 92FS.
Nel febbraio 2009, Beretta Usa Corporation ricevette dal Pentagono una commessa di 450.000 pistole M9 e relative munizioni, per un valore complessivo di 220 milioni di dollari, “il maggiore contratto d’acquisto di pistole dalla fine della Seconda Guerra Mondiale”, come fu rilevato dalla stampa statunitense. Ventimila di quelle pistole furono poi trasferite da U.S. Army al ricostituito esercito iracheno.
La produzione di Beretta Holding S.p.a. copre ormai quasi tutta la gamma delle armi leggere: rivoltelle, doppiette e fucili a canne sovrapposte, fucili da caccia e sportivi, carabine, fucili d’assalto, pistole mitragliatrici e ad azione semiautomatica. Il noto Gruppo della Val Trompia dichiara di occupare 2.600 unità e controlla direttamente altre aziende che operano nel settore delle armi portatili (Sako, Uberti, Stoeger, Benelli Armi e Franchi). Il bilancio per l’esercizio 2011 di Beretta Holding ha evidenziato un utile netto consolidato di 31,2 milioni di euro (27 milioni nell’esercizio 2010). Il fatturato è stato pari a 481,8 milioni di euro con un +7% rispetto all’anno precedente. “Al conseguimento di questo risultato hanno principalmente contribuito le vendite al settore civile e sportivo, ma il settore difesa ed ordine pubblico conferma al 18% circa la propria incidenza sul giro d’affari complessivo”, scrivono i manager nell’ultima relazione annuale. “Per quanto riguarda la distribuzione geografica del giro d’affari, i mercati esteri continuano a pesare per circa il 90% del fatturato consolidato; oltre il 45% del totale è riferibile al Nord America”.

Le armi Beretta sono in dotazione alle forze armate e di polizia di innumerevoli paesi al mondo. In Italia, Polizia di stato, Carabinieri e Guardia di finanza sono armati con le 92SB. Nella confinante Francia, la Gendarmerie Nationale e l’Armée de l’Air hanno adottato invece il modello 92G (110.000 pistole consegnate a partire del 1987). In Spagna è stata la Guardia Civil a sottoscrivere nel 2002 un accordo con Beretta per la fornitura di 45.000 pistole 92FS. Quarantamila le pistole dello stesso genere consegnate invece alla polizia nazionale turca.  Nell’aprile del 2007, la holding italiana ha pure firmato un contratto per la fornitura alla polizia di frontiera canadese delle pistole semiautomatiche Px4 Storm. Il fucile d’assalto Beretta ARX 160 è stato adottato di recente da alcune unità dell’esercito del Turkmenistan, mentre il fucile a pompa semiautomatico Benelli M3 è andato ad armare i militari neozelandesi. “La nuova fornitura all’esercito statunitense, il più importante del mondo, rappresenta per noi una sorta di passaporto per ottenere commesse di moltissimi altri paesi”, ha dichiarato Carlo Ferlito, direttore generale di Fabbrica d’Armi Pietro Beretta. L’annuncio-speranza di chissà quali nuovi affari per gli insaziabili produttori e mercanti di strumenti di guerra “leggeri” delle valli bresciane.

Muffa alla conquista del (mappa)mondo

Fonte: Slime Molds Take Over the Globe  ; A life of slime
Traduzione: http://www.ditadifulmine.com/2012/09/muffa-alla-conquista-del-mappamondo.html

Andrew Adamatzky, ricercatore della University of West of England, è noto da anni per la sua ricerca nel campo dei “computer non convenzionali”: ha lavorato con elaboratori basati sulla chimica e sulla biologia, con una particolare attenzione per alcuni particolari tipi di organismi mono o pluricellulari.

Nel suo ultimo esperimento, Adamatzky ha tentato di ottenere un modello di colonizzazione planetaria basato su un organismo semplice ma estremamente intelligente per le sue dimensioni, una muffa che tende a prosperare in ambienti umidi e freddi.

“L’idea principale dietro ai miei esperimenti era quella di soddisfare la mia curiosità: cosa accadrebbe se i Cinesi decidessero di espandere il loro Paese e colonizzare il mondo” ha spiegato Adamatzky a Wired.com.

La protagonista dell’esperimento è una muffa di colore giallo (per la precisione, melma policefala) chiamata Physarum polycephalum, considerata uno dei microrganismi più semplici da coltivare in laboratorio e uno degli esseri monocellulari più intelligenti in assoluto.

Un momento: organismo unicellulare intelligente? Ebbene si: le colonie di Physarum polycephalum si sono dimostrate capaci di superare sfide apparentemente impossibili per la maggior parte delle colonie composte da microrganismi: trovare la via più breve per uscire da un labirinto, imparare dall’esperienza, simulare la crescita di alcune forme di cancro, ed essere una potenziale risorse nel settore del calcolo informatico a base biologica.

Il Physarum polycephalum crea colonie mobili, in grado di spostarsi in nuove regioni dell’ecosistema espandendosi come una massa gelatinosa perfettamente organizzata. Inizialmente, questo microrganismo crea una rete di “vene protoplasmiche” connesse tra loro da diversi nuclei; questa struttura ottimizza la colonia per la ricerca di cibo.

Quando il Physarum polycephalum si imbatte in una risorsa alimentare, inizia a secernere enzimi digestivi per nutrirsene. In caso di assenza di nutrienti, invece, il Physarum forma un tessuto duro in grado di proteggerlo durante la fase dormiente, in attesa di tempi migliori.

Adamatzky ha modificato un tradizionale mappamondo facendo in modo che 24 differenti località del mondo come Tokyo, Pechino, Tehran, New York fossero contrassegnate da un fiocco d’avena, uno degli alimenti preferiti delle colonie di muffa coltivate in laboratorio.

Rimuovendo le aree che rappresentavano i fondali oceanici, Adamatzky ha creato un “vuoto di nutrienti” difficile da attraversare, allo scopo di simulare nel modo più preciso possibile le dinamiche macroscopiche di un’espansione coloniale.

Il Physarum polycephalum è partito da Pechino, e ha progressivamente conquistato il Sud-est Asiatico in direzione del Medio Oriente. La conquista dell’Africa e dell’Europa sono state una naturale conseguenza della voracità della muffa, non essendoci barriere in grado di arrestare la sua avanzata; ma il quinto giorno la melma è riuscita a colonizzare parzialmente anche il Nord America utilizzando l’Islanda e la Groenlandia come ponti per la traversata dell’Atlantico.

Il Physarum polycephalum ha colonizzato lo stesso scenario per altre otto volte sul mappamondo, e per 30 su una mappa tridimensionale piatta. In ogni simulazione, la muffa ha conquistato buona parte delle terre emerse del pianeta in modi leggermenti differenti, fermandosi sempre al Pacifico, troppo vasto per essere superato.

Il percorso effettuato in Asia ricorda molto l’antica Via della Seta che connetteva l’Europa all’Estremo Oriente, tanto da essere simile ad essa per il 76% della sua lunghezza. Una coincidenza non sorprendente per Adamatzky: in passato, il ricercatore aveva già dimostrato le potenzialità del Physarum nella pianificazione del traffico stradale per via della sua capacità di trovare il percorso meno dispendioso in termini di energie spese per attraversarlo.

L’esperimento di Adamatzky è concettualmente simile a quello di Atsushi Tero, ricercatore della Hokkaido University che ha utilizzato il Physarum per ricreare in modo sorprendentemente accurato le linee ferroviarie che percorrono la regione attorno alla città di Tokyo.

In questo caso, il microrganismo non ha soltanto creato dei collegamenti con le 36 città periferiche, ma ha formato anche dei percorsi ridondanti (simili a quelli della rete ferroviaria giapponese) in grado di mantenere attivo un nodo periferico della colonia anche in caso di interruzione di una vene protoplasmatiche che lo connettevano al nodo centrale (Tokyo).

Lavoro USA: gli americani “lavorano a morte”

Scritto da : Debora Billi
Fonte: http://crisis.blogosfere.it/2012/09/lavoro-usa-gli-americani-lavorano-a-morte.html

Settimana da 60 ore, niente vacanze, buoni alimentari. E poi la vita media che si accorcia, il tasso di suicidi che cresce. Pensavate che i problemi fossero solo in Europa?

 

E’ questo il titolo che spara un blogger catastrofista d’oltreoceano(http://theeconomiccollapseblog.com/archives/americans-are-literally-being-worked-to-death).

Saranno le solite esagerazioni, ho pensato. E invece pare proprio di no: gli statunitensi se la passano malissimo quanto ad ore lavorative settimanali. Lo conferma anche questa classifica mondiale(http://www.linkiesta.it/italia-germania) che li vede sudare al quarto posto, dopo Singapore, Corea e Repubblica Ceca.

Negli ormai mitici e mai abbastanza rimpianti anni ’70 anche in USA si lavorava 35 ore a settimana, contro le 46 di oggi. E anche loro oggi, come va di moda qui, si paragonano agli inarrivabili tedeschi: 378 ore di lavoro l’anno in più, rispetto al solito operaio tedesco baciato dalla dea Fortuna. Non solo: pare che in USA si lavori anche extra orario, e gli americani sono i cittadini che godono di meno giorni di vacanza in tutto il mondo industrializzato. Molti lavorano anche 60 o 70 ore a settimana, spasso spalmate su due o tre lavori a bassissimo reddito, per riuscire ad arrivare alla fine del mese. Tanti, inoltre, pur lavorando guadagnano talmente poco da essere qualificati per ottenere i famigerati buoni alimentari offerti dallo Stato. Sono ormai oltre 40 milioni i cittadini che ne usufruiscono.

E poi, c’è la conseguenza finale che fa davvero venire i brividi: si è abbreviata la vita media negli USA, in particolare per i cittadini a basso reddito e a bassa scolarità. E questo vale non solo per le tradizionali categorie disagiate (neri e ispanici), ma per la prima volta anche per i bianchi, che oggi vivono in media 3 anni di meno rispetto al 1990. E il tasso di suicidi è aumentato di ben 15 punti percentuali, come conseguenza dei fallimenti e delle tragedie economiche che si verificano ogni giorno anche di là dell’Atlantico.

Se qualcuno crede che i guai siano solo qui da noi, insomma, si sbaglia. E prima di fare le valigie immaginando di trovare l’Eden, pensateci.

Foto – Photopin

I primi specchi di Webb

Fonte: http://www.media.inaf.it/2012/09/25/i-primi-specchi-di-webb/
Scritto da: Silvia Dragone

Consegnati al Goddard Space Center i prime due dei 18 specchi che comporranno il James Webb Space Telescope, successore designato di Hubble. L’assemblaggio della struttura sarà completata entro il 2015.

Con la consegna dei primi 2 dei suoi 18 specchi, comincia a prendere forma il James Webb Space Telescope della NASA, che dovrà prendere il posto  del telescopio orbitante Hubble.  Gli ingegneri del Goddard Space Flight Center della NASA sono al lavoro per testare i due specchi appena consegnati, che verranno poi conservati in una camera sterile finché non verrà il momento di cominicare ad assemblarli sulla struttura del telescopio. Ad inviare gli specchi il 17 settembre 2012 era stata la società Ball Aerospace, in Colorado, responsabile della tecnologia ottica del telescopio James Webb Space e del sistema di specchi. I restanti 16 dell’assemblaggio verranno inviati nei prossimi 12 mesi, e la loro installazione sul telescopio sarà completata entro il 2015.

Grazie a questi specchi, Webb potrà raccogliere la luce infrarossa emessa da oggetti molto lontani e deboli, e permetterà agli scienziati di studiare ogni fase della storia del nostro Universo, dai primi bagliori luminosi dopo il Big Bang, alla formazione dei sistemi stellari in grado di sostenere la vita su pianeti come la Terra.

“Questi primi due specchi arrivati alla base Goddard sono un importante primo passo che porta verso la loro integrazione sulla struttura di volo”, ha detto Lee Feinberg, Manager dell’Optical Telescope Element della NASA per il telescopio spaziale James Webb al Goddard Space Flight Center a Greenbelt, Maryland. “Questi specchi soddisfano le esigenze della missione, che è una grande notizia per il telescopio Webb”.

Gli scienziati del telescopio e gli ingegneri hanno determinato che uno specchio principale di 6,5 metri è ciò che era necessario per misurare la luce proveniente da galassie lontane. Ciascuno dei 18 assemblaggi di specchi a forma esagonale, che costituiscono lo specchio principale, misura più di 1,3 metri di diametro, e pesa circa 40 kg. La loro grandezza è indispensabile per permettere al telescopio Webb di osservare più dettagli possibili ed aumentare così la sua sensibilità.

Il Webb è un progetto comune della NASA, dell’Agenzia spaziale europea e di quella canadese e sarà il primo osservatorio astronomico spaziale ad utilizzare in modo attivo lo specchio segmentato.

Da Zyklon B a Mais GM: Come hanno Trasformato il cibo OGM in un’Arma Globalista

Fonte: http://www.naturalnews.com/037290_Zyklon_B_GMO_food_weapons.html
Tradotto da: http://www.gamerlandia.net/

Zyklon B è un prodotto chimico molto efficace per uccidere gli esseri umani. Il trucco sta sempre nel farlo inalare alle vittime. Poiché la maggior parte delle persone non inalerebbero volontariamente il gas Zyklon B, sarà necessario ricorrere all’utilizzo di alcuni mezzi di costrizione per mandarle nelle camere dove questo verrà rilasciato. Da qui, l’uso di armi nelle mani dei governi, l’ascesa delle SS (noto come “TSA” nell’America moderna) e la cattura di cittadini innocenti da mettere nelle camere a gas fino a morte durante il regime nazista. “Nazista” – tra l’altro – è l’abbreviazione di “partito socialista nazionale.”

 

 

L’approccio nazista nell’uccidere la gente, nel 1944 è stato molto efficace: ma oggi non sarebbe decollato nell’era dell’instant messaging: Twitter, Facebook e altri social media. In quest’epoca, è piuttosto difficile voler mantenere segreto un campo di concentramento, soprattutto se milioni di persone vi sono in fase di “trattamento“.

Se i nazisti – nel 1944 – avessero avuto le fotocamere dei telefoni cellulari, qualcuno avrebbe scattato alcune foto, caricate su “NaziTube.com” e sarebbe saltato tutto il programma (oppure YouTube avrebbe censurato i video e protetto i nazisti perciò che non venissero scoperti perché YouTube censura di routine i video che mostrano un cattivo governo).

Avanzando velocemente di sei decenni o giù di lì, siam giunti a questo nostro mondo moderno. Nei governi e nelle corporazioni più potenti del mondo, troviamo ancora tutti gli stessi tipi di assassini psicopatici. Questa volta – però – hanno capito che per uccidere le persone, dovranno farlo in modo un pò più nascosto. In particolare, si è compreso che esiste un modo per convincere la gente ad uccidersi volontariamente.

Ricorda: l’olocausto moderno è già iniziato [e – forse – non è mai finito].

MANGIARE LA MORTE

E’ un silenzio, lento. L’olocausto “scientifico” che offre la morte sotto forma di cibo e medicine.

Un’altra arma nell’arsenale del killer silenzioso è – naturalmente – quella degli organismi geneticamente modificati (OGM).
Gli OGMsono stati progettati con una sostanza tossica chimica pesticida che cresce proprio all’interno dei chicchi di grano. Così – quando lo si mangia – si andranno ad ingerire gli stessi veleni che uccidono gli insetti che si nutrono di mais.

Che cosa fa e/o provoca questo veleno agli esseri umani? Lo scopriremo negli anni a venire: ma, nei ratti che vengono alimentati da una vita con mais GM, si stanno sviluppando dei tumori mortali grotteschi ad un ritmo allarmante.
Ecco le foto dei ratti alimentati con mais geneticamente modificato in un recente esperimento scientifico.

Il genio del male degli OGM è che se si riesce a nasconder bene nel settore alimentare, la gente mangerà fino alla morte senza mai sapere che cosa l’abbia causata. Dopotutto, USDA e FDA dicono che gli OGM siano sicuri. Quindi dovrebbe esser vero, giusto?
Gli OGM sono un pò la versione “amichevole” di Zyklon B che è possibile utilizzare in pastella di pancake e muffin.

E’ nella vostra colazione di cereali e/o del pranzo al sacco. Gli OGM forniscono un pò di morte ad ogni boccone e – dal momento in cui non ci uccidono subito – gli effetti si costituiranno con calma, cumulativamente, fino a che non diventeremo una bomba ad orologeria verso il cancro e la morte.

Se Hitler avesse avuto la tecnologia OGM, avrebbe alimentato gli ebrei con mais GM senza neppure disturbarsi circa il problema della costruzione delle camere a gas. Avrebbe potuto travestirsi da “assistenza pubblica” di un programma, che offriva cibo gratis a tutti coloro che avevano discendenze ebraiche. Oh sì, pure i vaccini gratuiti. La combinazione di sostanze chimiche OGM assieme alle tossine del vaccino avrebbe realizzato la stessa cosa di Zyklon B. Ma, invece di essere percepito come un mostro malvagio, Hitler avrebbe potuto esser stato proclamato come eroe del popolo ebraico per aver dato loro “cibo gratis e medicine“!

Avete mai notato quando i governi e le noprofit – come la Fondazione Bill and Melinda Gates – inviano “aiuti” per l’Africa, non hanno mai inviato del cibo? Non hanno mai insegnato loro l’agricoltura sostenibile? Non hanno mai fornito loro la conoscenza sulle erbe medicinali in modo che le persone fossero in grado di coltivarsele?

No, sempre “medicine” in forma di vaccini. L’obiettivo – naturalmente – è quello di sterilizzare uomini e donne africani e, quindi, ridurre drasticamente il tasso di natalità. Questo è percepito dai globalisti come un modo “umano” per alleviare le loro sofferenze. Ma è tutto fatto con l’inganno. Invece di ammettere che stanno sterilizzando la popolazione, fanno finta che sia “medicina” e che stiano “salvando vite umane“.

La vaccinazione di massa dei bambini africani è allietata da ignoranti americani “progressisti” che sono stati indotti a pensare che i problemi dell’Africa non si potevano risolvere se non si fossero iniettati tutti quei con ceppi virali ancora presenti, assieme ai conservanti al mercurio. La follia dell’intero regime non sembra scalfire le menti di coloro che lo sostengono ciecamente.

 

Mal di testa: cerchiamo delle cure alternative

Fonte: http://www.italiasalute.it/copertina.asp?Articolo_ID=11353

L’abuso di antidolorifici può peggiorare il lavoro.

Se vi alzate la mattina e a poco a poco sentite l’insorgere del mal di testa o se nel bel mezzo di una riunione cominciate ad accorgervi di un dolore soffuso che vi avviluppa la mente, prendete tempo, cercate alternative, ma di sicuro pensateci due volte a prendere antidolorifici soprattutto se la cosa si ripete più volte al mese.
I ricercatori del britannico National Institute for Health and Clinical Excellence (Nice), nel definire le linee guida per il trattamento del mal di testa, affermano che, tra coloro che soffrono di mal di testa, uno su 50 potrebbe svilupparlo a causa dell’abuso di antidolorifici.
Martin Underwood, medico e professore presso la Warwick Medical School , che ha presieduto lo sviluppo delle linee guida ha dichiarato: “Abbiamo trattamenti efficaci per i più comuni tipi di mal di testa. Tuttavia, l’assunzione di questi farmaci per più di 10 o 15 giorni al mese può causare cefalea da uso eccessivo di farmaci”. Medicinali da banco come l’aspirina, il paracetamolo e l’ibuprofene devono essere utilizzati per diminuire il dolore da mal di testa occasionale, ma abusarne può creare un doloroso circolo vizioso: infatti all’aumento del dolore corrisponde un incremento dei farmaci consumati che tendono a peggiorare il dolore stesso.
Il dott. Gillian Leng, vice direttore generale del Nice, aggiunge: “Anche se il mal di testa è il più comune problema neurologico dal punto di vista dei medici e neurologi, molte persone non ricevono diagnosi corrette e tempestive.”
“Le nostre linee guida descrivono le valutazioni e i trattamenti che le persone dovrebbe attendersi di ricevere per mal di testa primari e per abuso di farmaci. Ci auguriamo che ciò darà modo ai medici e agli altri operatori sanitari di diagnosticare correttamente il tipo di mal di testa e meglio identificare i pazienti i cui mal di testa potrebbe essere causato da una loro eccessiva dipendenza da farmaci.”
Come sempre risulta quindi fondamentale una corretta diagnosi.

 

Marte. Cosa c’e sotto?

Scritto da: Livia Giacomini
Fonte: http://www.media.inaf.it/2012/09/24/marte-cosa-ce-sotto/

Una delle prime immagini realizzate da Curiosity con la quale si comincia a vedere cosa c’e sotto la superficie del pianeta Marte.

Abbiamo visto le riprese mozzafiato della sua avventurosa discesa. Hanno riempito le pagine dei giornali i primi panorami e i suoi curiosi autoritratti, utili però come test dei sistemi di bordo. Ora, in questa nuova immagine, Curiosity è impegnato nella sua missione, esaminare la superficie di Marte. Anzi, cosa c’e appena sotto. In questa fotografia si è infatti scelto di inquadrare una zona dove i razzi di discesa accesi nell’atterraggio del rover hanno rimosso lo strato più superficiale del terreno.

L’immagine è stata ripresa il giorno 8 agosto dalla Mastcam, la camera a focale fissa a 34mm che si trova sulla “testa” del robot. L’immagine è parte di un mosaico molto più grande, realizzato in circa 1 ora di osservazioni, sommando una serie di immagini ciascuna di 1,200 pixels di lato.

La Mastcam realizza immagini del tutto realistiche, in modo molto simile a quanto farebbe una normale camera commerciale o un cellulare. Le uniche modifiche fatte in post produzione a questa immagine riguardano i colori, con un procedimento denominato “white balancing”, “bilanciamento del bianco” che rende la scena simile a come potrebbe essere vista sulla Terra, con l’illuminazione del sole a cui siamo abituati. Questo procedimento permette ai ricercatori di osservare la superficie di Marte in una luce a loro più familiare, identificando molto più facilmente le rocce attraverso colori più “terrestri”.

E quanto è visibile in questa particolare immagine è di estremo interesse. La zona inquadrata, infatti, è stata scavata dall’accensione dei motori dello stadio di discesa che, durante l’atterraggio, hanno rimosso la polvere dalla superficie portando alla luce la roccia che si trovava appena sotto.
Nel riquadro in alto a sinistra è chiaramente visibile l’ingrandimento di uno strato di materiale dal quale emergono dei sassi inclusi. Le frecce indicano due frammenti più piccoli, di circa 3 cm (le due frecce  superiori), e uno piu grande, di circa 11 cm, che fuoriesce dal materiale di grana più fine in cui tutti sono annegati.

I meccanismi alla base della formazione di questi agglomerati dalle molteplici inclusioni possono essere diversi e i ricercatori avranno tempo e modo per interrogarsi sulla loro natura. Verranno in loro aiuto gli altri strumenti di bordo del rover, come il laser che può vaporizzare piccole porzioni di roccia e studiarne la composizione chimica analizzandone lo spettro, o come il trapano che permetterà di scavare sotto la superficie e fare una analisi chimica dei campioni di Marte “in provetta”. L’appuntamento è per i prossimi mesi.