I misteri di Villa Sanguettola

Scritto da: Monica Taddia
Fonte:http://italiaparallela.blogspot.it/2013/03/i-misteri-di-villa-sanguettola.html

269110_2087190788543_6827660_nQuesta antica residenza signorile di campagna, situata a Poggio Renatico (FE), apparteneva ai conti Zucchini (imparentati ai marchesi Costabili di Ferrara), che furono tra i principali protagonisti della bonifica agraria. Deve forse il suo nome all’uso di curare con le sanguisughe diverse malattie, fra cui la malaria che imperversava in questi luoghi.

Con le sue sessantaquattro stanze e la cappelletta ottocentesca, essa sorge isolata, a ridosso del fiume Reno. La facciata rivolta verso l’argine e l’antico parco fanno supporre che essa fosse stata eretta prima della costruzione del Cavo Benedettino, ma richiamano a tempi più recenti i suoi caratteri architettonici, le insistenti nervature in cui sono suddivise le pareti esterne.
Qualche modesta e tronca balaustra di coronamento, poche finestre ovali, fra il laconico ritmo delle piatte aperture rettangolari, sono proprie delle case utilitarie ottocentesche. Il conte Antonio Zucchini, padre del conte Gaetano, morto in giovane età, l’aveva eletta a sua residenza e pretese la costruzione del terzo piano per poter guardare dall’alto le immense estensioni delle sue terre.
All’interno si notano decorazioni a guazzo e la sala da pranzo conserva la ‘boiserie’ per fugare l’invadente umidità.
Nel corso della seconda guerra mondiale la villa fu utilizzata come sede del comando tedesco e luogo di raccolta dei rastrellati per il campo di concentramento o per l’invio al lavoro coatto alla Todt, il più grande cantiere edile del conflitto, nonché macchina per lo sfruttamento di risorse materiali e umane.
(fonte: http://www.comune.poggiorenatico.fe.it) In merito a questa villa vi sono numerose leggende. Pare che la contessa Zucchini non fosse molto fedele al marito, e quando egli venne a saperlo decise di punirla. Ci sono due ipotesi: la prima è che sia stata da lui uccisa assieme al figlio (ma non ci sono tracce storiche in merito) e sotterrata nel parco della villa. La seconda(storicamente più plausibile) è che l’abbia rinchiusa nelle stalle e fatta “montare” da un cavallo.. In ogni caso ora l’anima della contessa vaga furiosa nel parco e all’interno della villa stessa.

 

Pavimento in legno 100 percento vegetale: perché sceglierlo

Scritto da: Pietro De Vecchi
Fonte: http://www.howtobegreen.eu/greenreport.asp?title=615

resize_ok.aspxLegno vegetale e senza resine sintetiche. Perché sceglierlo? I pavimenti trattati con vernici sintetiche non sono traspiranti, creano una pellicola che non lascia respirare il legno, hanno dei componenti chimici irritanti e pericolosi, non sempre segnalati sulle etichette, come solventi, metalli pesanti e derivati del petrolio. Oltre a questo un pavimento trattato con resine sintetiche é finto, plastico, freddo al tatto e non ripristinabile, salvo levigatura totale e riverniciatura.

Un pavimento può essere trattato anche ad olio naturale ma quelli attualmente in commercio contengono terpeni, essiccativi chimici e derivati del petrolio che sono irritanti, creano autocombustione, sono poco pratici perché assorbono senza alcun rimedio le macchie e necessitano comunque di continua manutenzione.

Una FINITURA VEGETALE al contrario, forma un film sottilissimo che lascia respirare il legno pur proteggendolo dall’attacco di qualsiasi tipo di sostanza e/o insetto, e gli oli essenziali in essa contenuti gli conferiscono proprietà antibatteriche e antistatiche.

Le sostanze vegetali che caratterizzano questa finitura erano impiegate sin da tempi antichi per curare le ferite e sono tutt’ora utilizzate nell’industria alimentare, cosmetica e farmaceutica. Sono atossiche, protettive, traspiranti, igienizzanti, non alterano la colorazione delle fibre, e rendono il legno repellente ai liquidi. L’assenza totale di sostanze chimiche e tra queste di acceleranti per l’essicazione sono garanzia della totale salubrità e non tossicità del nostro prodotto, specialmente in caso della sempre più diffusa pavimentazione radiante (totalmente esente da VOC).
Un’altra delle sue principali caratteristiche é la sua continua ripristinabilità, anche quando il danno sembra irrimediabile. Al tatto il pavimento risulta essere caldo e vellutato e non necessita di manutenzioni.

Inoltre, le resine vegetali sono sempre riproducibili dall’albero, perciò sono materie prime rinnovabili e non destinate ad esaurimento. Il processo produttivo per questo tipo di finitura richiede molto meno energia rispetto ai processi utilizzati per le vernici tradizionali.

Con il nostro pavimento l’ambiente domestico risulta salubre e profuma di natura

Cos’è la “zona difensiva aerea” cinese

Fonte: http://www.iljournal.it/2013/cose-la-zona-difensiva-aerea-cinese/532883

japan-china-adiz-mapIl nome esatto di questa operazione avviata dal governo di Pechino all’inizio di questa settimana sarebbe “Zona d’Identificazione per la Difesa Aerea”, Adiz con l’acronimo. Ed è, secondo il governo cinese “Una pratica che dal 1950, oltre 20 Paesi, tra cui grandi potenze e Paesi confinanti con la Cina, hanno istituito zone d’identificazione per la difesa aerea.Il pattugliamento è in linea con la prassi internazionali e non sarà influenzato il normale traffico aereo internazionale.Le forze armate cinesi “sono capaci di controllare effettivamente la zona, e prenderanno misure per affrontare minacce aeree a protezione della sicurezza dello spazio aereo del Paese.Si tratta di una misura necessaria nell’esercizio della Cina dei propri diritti di autodifesa. Non ha un obiettivo in particolare Dichiarazioni ufficiali del Ministero della Difesa e del portavoce dell’Aviazione dell’Esercito cinese.

In sostanza con questo provvedimento la Cina ha chiesto, imposto meglio, alle compagnie aeree, ma anche a tutte le aviazioni militari di comunicare i piani di volo sulla zona del Mar Cinese Meridionale, che reclama come propria.

La zona difensiva comprende un pezzo se così si può dire del Mar Cinese orientale e meridionale che guarda caso, contiene anche le isole Dyiaou (in cinese) – Senkaku (in giapponese), quelle al centro di una annosa questione col Giappone.

Scrive il sito china-files.com

In realtà, sia Giappone sia Usa hanno già una loro Adiz e la Cina non fa che entrare nel club. Non è né una “no fly zone” né un allargamento dello spazio territoriale. Si tratta di una “zona di sicurezza” ampia quanto basta per scongiurare eventuali attacchi al continente provenienti dall’aria e implica che ogni aereo che la sorvola debba identificarsi con il comando di terra e, in caso, obbedire ai suoi ordini (come ad esempio quello di deviare la propria rotta).

Secondo i più avveduti critici della mossa “unilaterale” della Cina, la Adiz cinese si distinguerebbe da quella statunitense per un motivo molto evidente: da quanto si capisce, le norme cinesi per il sorvolo della zona non fanno distinzione tra aerei in volo parallelo rispetto alla costa della Cina e quelli che volano verso lo spazio aereo territoriale del Paese, a differenza di quelle Usa. Cioè, in pratica, se un aereo è diretto da tutt’altra parte ma passa comunque per la Adiz cinese, deve comunque sottostare alle regole stabilite da Pechino.

Il problema è che quella stabilita dalla Cina si sovrappone a quella nipponica già esistente, per cui, in teoria, chi vola su quella zona del Mar Cinese Orientale dovrebbe seguire sia le indicazioni del comando cinese sia di quello giapponese

Poi le violazioni. Hanno cominciato due bombardieri americani B-52, privi di armi, che hanno effettuato un volo proprio nella zona proibita, seguendo un programma stabilito da tempo hanno detto i vertici dell’aviazione Usa. Poi oggi due caccia giapponesi hanno fatto lo stesso. In nessuno dei due casi però, nonostante il mancato preavviso al governo cinese, c’è stata alcuna reazione da parte di Pechino.

22 febbraio 2014: meno di 100 giorni all’Apocalisse dei Vichinghi

Fonte: http://www.ilnavigatorecurioso.it/

apocalisse-vichinghiL’apocalisse dei Maya ci ha dato l’occasione di conoscere nel dettaglio una delle civiltà mesoamericane più affascinanti e misteriose della storia. Ora è il momento di concentrarsi su ‘Ragnarök’, il giorno della fine del mondo che secondo la mitologia norrena dei vichinghi si sta avvicinando rapidamente.

Il tema della ‘Fine del Mondo’ impaurisce e affascina uomini e donne di ogni tempo e di ogni luogo. E’ come se l’umanità avvertisse nel profondo della sua coscienza che tutte le cose sono destinate a finire e che la sua storia si dirige verso un completamento.

Alcuni psicologi sociali ritengono che il mito, e per certi aspetti il desiderio della fine del mondo sia alimentato dalla profonda delusione generata dal progresso sociale e tecnologico, il quale non è stato in grado di realizzare le sue promessa di uguaglianza e benessere. Da qui, la voglia di rottura e di discontinuità con una realtà non in grado di generare felicità e senso.

Dopo esserci concentrati tanto sulla fantomatica profezia maya che avrebbe voluto vedere la fine del mondo il 21 dicembre 2012, gli interpreti della mitologica norrena delle antiche popolazioni vichinghe sottolineano l’approssimarsi della data considerata come la fine della storia umana: 22 febbraio 2014.

Conosciuta come Ragnarök (destino degli dei), l’apocalisse vichinga prende il via con il suono del corno del dio norreno Heimdallr. Alla fine dei tempi, le forze del caos (disordine) primordiale, sotto la guida di Loki, spezzeranno le loro catene e prenderanno il sopravvento sul cosmo (ordine), dando via alla battaglia finale.

I segni dell’approssimarsi della fine saranno individuabili nella elevata immoralità dell’umanità: i fratelli si combatteranno l’un l’altro per uccidersi; nessun uomo avrà pietà per l’altro uomo. Si sentirà di unioni aberranti tra fratelli e sorelle, e tra genitori e figli; la prostituzione sarà ampiamente diffusa.

Secondo le leggende vichinghe, un altro segno premonitore dell’Apocalisse sarà l’avvicendarsi di tre inversi gelidi, uno dietro l’altro. Durante l’Apocalisse, il Sole si oscurerà perché verrà divorato dal lupo Skoll, mentre suo fratello Hati provvederà a cibarsi della Luna. Le stelle cadranno e la terra sarà consegnata all’oscurità eterna. Ci saranno grandi terremoti , il mare si riverserà sulla terra e il cielo sarà macchiato di sangue.

Le due forze contrapposte si annienteranno a vicenda, distruggendo con loro l’intera creazione. Dalle sue ceneri, tuttavia, risorgerà un nuovo mondo, prendendo il principio da una nuova coppia superstite della battaglia, Líf e Lífþrasir, ricominciando cos’ un nuovo ciclo di ascesa e decadenza. Gli studiosi discutono dell’eventuale peso di un influenza cristiana su queste credenze.

 

La mitologia norrena

Con mitologia norrena, mitologia nordica o mitologia scandinava ci si riferisce all’insieme dei miti appartenenti alla religione tradizionale precristiana dei popoli scandinavi, inclusi quelli che colonizzarono l’Islanda e le Isole Fær Øer, dove le fonti scritte della mitologia norrena furono assemblate. È da ritenersi un ramo della mitologia germanica (che include anche la mitologia anglosassone o inglese).

Per la maggior parte dell’età vichinga, i racconti vennero tramandati oralmente e le conoscenze degli studiosi al suo riguardo sono principalmente basate su testi medievali, compilati successivamente all’introduzione del Cristianesimo tra i popoli germanici.

Nel folklore scandinavo, queste credenze sono durate a lungo anche successivamente al Medioevo, in alcune aree rurali si sono conservate fino ai nostri giorni, venendo di recente riportate alla luce nei movimenti religiosi eteni. Secondo l’interpretazione degli esperti di mitologia norrena del Viking Centre di Jorvik, il suono dell’antico corno sentito sui tetti di York è presagio di sventura e l’inizio del conto alla rovescia per l’Apocalisse Nordica.

Il corno apparteneva al dio norvegese Heimdallr, il quale ha il compito di avvertire gli uomini dell’inizio del Ragnarök che dovrebbe compiersi in meno di 100 giorni, in concomitanza con la data finale del Festival di Jorvik programmato nella città di York per il 22 febbraio 2014.

 

Ma perché il Ragnarök è considerato imminente?

Danielle Daglan, del Viking Centre di Jorvik, ha spiegato al Daily Mail che un certo numero di eventi recenti sembrano confermare le profezie riguardanti il Ragnarök, tanto da convincerli che ormai l’Apocalisse Vichinga sia imminente. La leggenda afferma che ‘il primo preavviso sarà quando il fratello combatterà contro il fratello e tutti i confini che esistono saranno sbriciolati’. “L’idea che i confini possano crollare ci sembra realizzata con l’avvento di Internet, dove è possibile comunicare con milioni di persone contemporaneamente in tutto il mondo”, spiega Daglan.

Inoltre, la tradizione vichinga parla di un inverno gelido che avvolgerà la Terra prima dell’Apocalisse. “Ci sono previsioni basate su studi recenti che sembrano confermare che ci stiamo avviando verso una ‘Piccola Era Glaciale’ [Leggi articolo] dovuta ad un calo dell’attività solare”, continua Daglan.

Un’altra parte delle leggenda narra che il serpente di Midgard, il cui nome è Jormungand, dovrà liberarsi dalle catene e la sua coda causerà un innalzamento catastrofico dell’oceano. Secondo gli interpreti, i recenti tsunami che hanno flagellato varie zone del pianeta sono il segno della liberazione di Jormungand.

Tradizionalmente, il Festival Vichingo di Jolablot segna la fine dell’inverno, che casualmente l’anno prossimo coincide con la fine del mondo. Pur non essendo una conclusione scientifica, i vichinghi sono amanti delle feste e mai si perderebbero un evento tento importante come il Ragnarök.

Davvero il 22 febbraio 2014 le forze del caos ingaggeranno la battaglia finale con le forze del cosmo, distruggendo il mondo come lo conosciamo e dando via al nuovo ciclo della creazione? Oppure, molto più prosaicamente, la data del Ragnarök è stata stabilità per dare un po’ di pubblicità ad una manifestazione ancora poco conosciuta? Nell’uno e nell’altro caso, l’occasione è ghiotta per conoscere un po’ di più le tradizioni mitologiche del nord Europa che certamente hanno influenzato lo sviluppo culturale del vecchio continente.

Hyundai e l’auto a idrogeno che fa crescere pesci a verdure

Scritto da: Chiara Greco
Fonte: http://www.tuttogreen.it/hyundai-e-lauto-a-idrogeno-che-fa-crescere-pesci-a-verdure/

Fuel-cell-farming-in-Lond-001-350x220Per chi non ci credesse, ci sono foto e video a testimoniare le funzionali performance di un nuovo sistema di alimentazione ideato dalla casa automobilistica Hyundai.

Dalla prima casa automobilistica produttrice di autoveicoli eco-sostenibili infatti, arriva un’altra novità. Si tratta di un sistema di alimentazione per auto basato su celle a idrogeno, in grado, niente meno, di trasformare i nocivi gas di scarico, in pura e limpida acqua.

Per rendere la novità ancora più appetibile, Hyundai ha pensato di creare una sorta di teatro di animazione, dove i vantaggi della nuova tecnologia ecologica di alimentazione vengono mostrati con un video realizzato in real time.

Sono stati i creativi della firma londinese Something & Son a creare un set per dimostrare quanto davvero questo sistema di alimentazione per auto sia eco-sostenibile. Complici  una location nella città di Londra, una grande vasca per pesci che ospita un sistema idroponico ed il nuovo modello di auto made in Hyundai – la nuova Hyundai ix35FCEV, la prima auto ad idrogeno di serie alimentata a celle a combustibile – il prototipo di video installazione è stato da poco lanciato e sarà in mostra al Design Museum londinese.

Ma come funziona questo show tecnologico? Pare in modo abbastanza semplice ed evidente. Le celle di conversione a idrogeno dell’auto trasformano, grazie ad una reazione chimica, il gas di scarico in vapore acqueo che viene poi immesso in una vasca contenente un sistema idroponico. L’acqua prodotta dal sistema andrebbe ad alimentare i pesci e le piante presenti nel micro-habitat.

Va da sé che se i gas prodotti dalla nuova tecnologia messa in campo da Hyundai, sono in grado di dare la vita ad un insieme di creature come i pesci e le piante, di certo un auto dotata di un simile sistema che percorre le strade cittadine, fa ben sperare di ottenere maggiore sostenibilità anche sul fronte dell’intero settore del trasporto urbano.

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Hacker viola email degli eurodeputati di Strasburgo: «Ecco quanto è facile spiarci»

Scritto da: Francesco Polimeni
Fonte: http://www.iospio.org/

attacco-hacker-microsoft-226x127E’ stata una beffa, più che una vera intromissione. Per far vedere quanto è inefficace la sicurezza informatica delle email dei membri del Parlamento europeo, un pirata informatico “etico” ha rubato le password di 6 deputati europei e di 8 assistenti introducendosi all’inetrno della loro casella postale. Aiutandosi con un pc portatile di basso cost ed una scheda wifi.

<< Una passeggiata >> ha detto l’hacker al sito Mediapart che tratta giornalismo investigativo, che ha divulgato la notizia. << Con un collegamento ad internet chiunque è in grado di farlo>>.

L’accesso è avvenuto utilizzando una falla dell’applicazione mobile di Microsoft, ActiveSync, che si collega ai server del Parlamento europeo per verificare se sopraggiungono nuovi messaggi. Quando spunta un icona sul computer che avvisa dell’accesso indesiderato e si clicca inavvertitamente su “OK”, il computer dello spione recupera le password dell’email. Nel caso degli euro deputati si è trattato solo di una dimostrazione. L’hacker infatti na ha neanche letto i messaggi, ma ha voluto dimostrare la vulnerabilità dei software che fornisce Microsoft al Parlamento europeo.

L’attacco hacker, arriva dopo che la Microsoft insieme a Google e Facebook, hanno tranquillizzato, l’11 novembre scorso durante l’audizione dell’inchiesta del Parlamento europeo sul Datagate, che nessun governo, compresa la NSA americana, avrebbe accesso diretto ai loro server e quindi ai dati sensibili dei loro clienti. Microsoft, infatti, è tra quelli tirati in ballo dallo scandalo Prism da Edward Snowden, l’esperto della NSA passato in Russia da Hong Kong portandosi dietro una quantità enorme di segreti.

L’Argentina tra la fine dell’era Kirchner e il rischio (evitato?) di un nuovo default

Scritto da: Luca Troiano
Fonte: http://geopoliticamente.wordpress.com

Argentina_flagsSui media internazionali, ma anche quelli argentini, si sta già parlando della “fine di un’era”. Nelle elezioni parlamentari di medio termine in Argentina, tenute domenica 27 ottobre e necessarie per rinnovare la metà dei seggi della Camera e un terzo di quelli del Senato, la coalizione al governo, il Frente para la Victoria (FPV) guidata dalla presidente Cristina Kirchnerha subito una netta sconfitta, perdendo in 12 dei 24 distretti elettorali del Paese, inclusi i 5 più popolati.

Le elezioni di ottobre

Il FPV ha ottenuto il 32,7% dei voti, garantendo alla presidente una risicata maggioranza assoluta alla Camera (257 membri) e indebolisce la sua maggioranza relativa al Senato (72 membri), ma non arriva ai 2/3 dei seggi, ossia la quota necessaria alla riforma costituzionale che permetterebbe alla Kirchner di rimuovere il limite di due mandati presidenziali e candidarsi così per la terza volta consecutiva.

Oggi i riflettori sono puntati sul fronte del “peronismo dissidente” rappresentato da Sergio Massa, sindaco della città di Tigre, capace di conquistare il 20,6% dei voti a livello nazionale e il 42,6% dei voti nella principale e più popolata provincia del Paese, quella di Buenos Aires. Negli ultimi mesi il consenso intorno al volto nuovo della politica argentina sono progressivamente cresciuti, tanto da insidiare la coalizione della presidente anche nei distretti considerati fino ad ora una roccaforte del kirchnerismo. Ora Massa inizierà a preparare la campagna elettorale per le presidenziali del 2015, a cui – salvo sorprese – la Kirchner non parteciperà.

La legge sui media

Tuttavia, già due giorni dopo le legislative la Kirchner ha ottenuto un’importante vittoria politica, quando la Corte Suprema argentina ha dichiarato costituzionale la legge sui media (Ley de Medios) varata nel 2009 dal governo. Di conseguenza, il gruppo editoriale Clarin, mai tenero con la presidente, dovrà vendere parte delle sue licenze. Quello della Ley de Medios è l’ennesimo capitolo di una battaglia fra il Grupo Clarin – principale holding multimediale dell’America Latina – e i governi di Nestor e Cristina Kirchner. Ufficialmente nata con l’intento di contrastare i monopoli, secondo i detrattori non sarebbe altro che un tentativo di colpire la stampa nemica. Non è un mistero che la Kirchner abbia sempre avuto un rapporto conflittuale con i media.

La rottura con Clarin risale al 2008, quando il governo si trovò di fronte a una forte protesta agricola e cominciò ad accusare i media del gruppo di cavalcare le contestazioni. Questo portò a un misterioso incontro personale fra Nestor Kirchner e l’amministratore delegato, Hector Magnetto. Sull’episodio esistono versioni opposte e racconti di presunte minacce incrociate, ma da quel momento lo scontro tra presidente e gruppo è diventato “la madre di tutte le battaglie” politiche argentine, secondo le parole di un dirigente kirchnerista.

Secondo la nuova normativa, un gruppo editoriale potrà detenere un massimo di 24 licenze tv satellitari (Clarin ne controlla 237), 10 tra radio o tv e non oltre il 35% di partecipazioni di mercato nel settore audiovisivo. In teoria la misura dovrebbe aprire il Paese al pluralismo dell’informazione; in pratica l’unica cosa che aprirà sarà una voragine nei conti pubblici: lo Stato infatti dovrà risarcire le aziende dei rami ceduti, se queste non riusciranno a venderli prima.

Il default (almeno per ora) evitato 

A proposito di finanze pubbliche, l’Argentina sta vivendo una fase drammatica a livello economico e finanziario. A parole il 2014 sarà un anno positivo per l’economia argentina: secondo il rapporto presentato dal ministro del Tesoro Hernan Lorenzino in settembre, il Pil del paese sudamericano dovrebbe crescere del 6,2% a fronte di un tasso d’inflazione che si manterrà al 10,4%. Il ministro Lorenzino ha infatti spiegato che l’Argentina confida in una ripresa dell’economia dei suoi principali partner commerciali, Stati Uniti e Brasile che, a quanto detto dal suo vice, Axel Kicillof, “sono ancora in una zona grigia”.

La realtà è invece di ben altro tenore. Nel solo primo semestre del 2013, gli investimenti diretti dall’estero (IDE) sono crollati del 32,2%, così come le riserve di valuta straniera, mentre l’inflazione reale si attesterebbe tra il 25% e il 30%, ma sottostimata volutamente dalle statistiche ufficiali. L’inflazione è – almeno in parte – il frutto avvelenato del tentativo di sostenere la crescita reale del Paese attraverso la monetizzazione del debito pubblico, a cui la banca centrale è stata costantemente spinta (leggi: costretta) dal governo. Inoltre il governo ha deciso di stabilire un cambio quasi fisso con il dollaro pari a 5,54 pesos, circa i due terzi rispetto al cambio al mercato nero, pari a 8,51 pesos per dollaro.

Questo deprezzamento artificioso della valuta locale, però, ha provocato un costante deflusso di capitali proprio in un momento in cui il governo cerca disperatamente di recuperare valuta forte (come il dollaro) o quantomeno prevenirne la fuga. A tal fine il governo ha imposto dei controlli valutari molto rigidi, i quali tuttavia non hanno affatto arrestato l’emorragia finanziaria. A causa della svalutazione di fatto del peso, non tramutatasi in un adeguamento del tasso di cambio ufficiale, le riserve di valuta sono crollate del 33% a 35 miliardi di dollari. Ad oggi le riserve ufficiali consentono di pagare importazione di in beni e servizi ancora per pochi mesi.

Se le riserve dovessero continuare a ridursi, l’Argentina sarebbe costretta a svalutare ulteriormente il peso, e di conseguenza il governo  si troverebbe presto o tardi in serie difficoltà a ripagare un debito denominato dollari. Secondo Citigroup, le riserve della banca centrale finiranno sotto i 25 miliardi di dollari entro la fine del 2015, e ciò dovrebbe mettere sulle spalle dei possessori di debito pubblico argentino il timore che Buenos Aires possa cercare sollievo imponendo loro delle perdite: la possibilità di una ristrutturazione delle obbligazioni con scadenza nel 2015 risulta essere del 37,5% secondo la banca newyorkese.

In questo scenario il rischio di una nuova bancarotta (la settima nella storia del Paese), già paventato da diversi anni, era (ed è) tornato a farsi concreto. Nel 2002 l’Argentina aveva ristrutturato il proprio debito – pari a 132 miliardi di dollari – proponendo un accordo, supportato dal Fondo Monetario Internazionale, che prevedeva il pagamento dei titoli precedenti a valori molto più bassi, circa il 25,30% dell’obbligazione contratta, e con una dilazione significativa della scadenza. Il 93% dei creditori accettò questa soluzione, mentre il 7% restante – quasi tutti creditori privati americani, come i fondi speculativi o quelli pensionistici – decise di querelare l’Argentina al fine di ottenere i loro investimenti volatilizzatisi con il ripudio.

Alla fine del 2012, un giudice americano della Corte di Appello federale di New York, Thomas Griesa, ha avallato le richieste del 7% di irriducibili. condannando l’Argentina a risarcire 1,33 miliardi di dollari ad un gruppo di fondi che include Elliott Management Corp.’s NML Capital Ltd. & Aurelius Capital Management LP. La decisione in primo grado prevedeva che il Paese non potesse ripagare i suoi debiti ristrutturati a meno di stanziare nuovi fondi per i creditori che non avevano accettato il default, ma l’avvocato dello Stato argentino ha più volte ribadito che in caso di conferma della sentenza il governo di Buenos Aires non l’avrebbe rispettata, palesando così la volontà di procedere ad un nuovo ripudio del debito.

Il nervosismo dei mercati cominciava a farsi palpabile, tanto che in settembre l’Argentina era già il Paese più a rischio di default nel mondo, almeno guardando ai credit default swaps a cinque anni, con una possibilità pari all’80% da qui al 2018. Una situazione paradossale se si pensa che l’Argentina sta effettivamente ripagando i possessori di tango-bonds che hanno deciso di rinegoziare il debito ad una percentuale compresa tra il 60% e l’80% a seconda delle opzioni di rifinanziamento scelte. Ma il caos generato dalla decisione di Griesa stava rischiando di mandare all’aria l’intera operazione di ristrutturazione del debito.

A fine ottobre, pochi giorni prima delle elezioni, le parti in causa sono finalmente riuscire a trovare una (parziale) soluzione. L’ipotesi di accordo tra le parti su cui si sta lavorando si basa sul coinvolgimento dei nuovi bondholders che hanno in portafoglio i titoli argentini ristrutturati per 28 miliardi di dollari per contribuire al rimborso dei capitali reclamati dai fondi hedge. In sostanza gli obbligazionisti ristrutturati rinuncerebbero al 20% delle cedole per i prossimi cinque anni, corrispondendo così la somma pretesa dagli hedge fund.  Se la soluzione andasse in porto L’Argentina eviterebbe un altro default e potrebbe tornare a finanziarsi sui mercati internazionali.

Se passasse, sarebbe una soluzione che accontenterebbe tutti. Ma per quanto l’ipotesi possa sembrare risolutiva, l’ex FMI, Charles Blitzer, ricorda come sia necessario il consenso di almeno il 75% degli obbligazionisti ristrutturati affinché il piano diventi operativo, trattandosi di una seconda forma di ristrutturazione del debito. Inoltre alcuni analisti si dichiarano scettici sulle probabilità che il piano venga concretamente approvato, dato che ad oggi l’Argentina si è sempre rifiutata di negoziare. Sarebbe alquanto difficile, in tal eipotesi, ristrutturare nuovamente il debito senza che il governo argentino partecipi all’operazione.

Conclusioni

In conclusione, forse è ancora presto per dire se la parabola di Cristina Kirchner – recentemente dimessa dall’ospedale, al termine di un periodo di convalescenza dopo il drenaggio di un ematoma cerebrale realizzato un mese fa – possa dirsi conclusa. Non dobbiamo dimenticare che già alle elezioni di medio termine del 2009 l’alleanza kirchnerista aveva subito un rovescio, in larga parte vendicato dal trionfo alle presidenziali di 2 anni dopo, a dispetto dei requiem declamati dalla stampa interna ed estera.

Tuttavia la crisi economica e finanziaria che l’Argentina vive da molti mesi, ma che il governo si ostina a nascondere, frutto delle spericolate politiche macroeconomiche volute dalla Kirchner in prima persona, si sono alla fine rivelate un boomerang per l’immagine della presidente. La sua politica fortemente demagogica, improntata ai sussidi di massa e alla lotta contro gli investitori stranieri, l’avrà pur resa celebre agli occhi di no global, indignados e grillini, ma ha aggravato la situazione economica del Paese al punto da comprometterne le capacità di ripresa.

Il responso delle  urne suona dunque come una bocciatura senza appello. E all’orizzonte si profila la figura di Massa, astro nascente di una società pronta ad archiviare definitivamente il decennio targato Kirchner.

Morire di austerità PrintFriendly

Fonte:http://www.marcomessina.it/2013/11/morire-di-austerita/

imagesLorenzo Bini Smaghi, ex membro del comitato direttivo della BCE, nello scorso settembre fu catapultato sulle prime pagine di alcuni quotidiani italiani ed esteri a seguito di un articolo del Telegraph firmato da Ambrose Evans-Pritchard, in cui questi denunciava la presenza di forti condizionamenti a livello europeo in grado di indurre alle dimissioni presidenti eletti democraticamente portando come prova un passaggio del libro dell’economista fiorentino Morire d’austerità (2013, Il Mulino). A pagina 40 del pamphlet di Smaghi si legge infatti: “Non è un caso che le dimissioni del primo ministro greco Papandreou siano avvenute pochi giorni dopo l’annuncio di tenere un referendum sull’euro, ipotesi rigettata dagli altri paesi, e che quelle del presidente del Consiglio italiano di Berlusconi siano avvenute dopo che l’ipotesi di uscita dall’Euro era stata ventilata in colloqui privati con i governi di altri paesi”.

La portata di queste parole è stata incredibilmente sottodimensionata e deliberatamente taciuta dai maggiori organi di stampa, fatte salvo le testate fedeli al magnate di Arcore, come Libero e Il Giornale, che non hanno esitato a strumentalizzare le parole di Bini Smaghi gridando allo scandalo. E’ di scandalo si tratta, a mio avviso. Non stiamo parlando dell’ultimo complottologo della rete che elabora teorie sulla base di informazioni di seconda o terza mano. A scrivere le parole di cui sopra è un uomo di potere, che ha lavorato presso la massima istituzione bancaria europea con una vista privilegiata sugli eventi. E’ evidente, dunque, come ogni affermazione provenga dalla bocca o dalla penna di tale pulpito sia da radiografare minuziosamente se si vuole tentare di violare l’impenetrabilità, sancita per statuto, di organismi oscuri come la BCE. O almeno questo è quello che dovrebbe avvenire se la stampa lavorasse per l’interesse dei lettori e non dei finanziatori. Ma anche in quest’ultimo caso, come abbiamo visto, i segugi di Berlusconi della carta stampata hanno fatto cilecca facendosi bruciare dal collega inglese su una materia (vedi alla voce ‘complotti contro Silvio’) nella quale dovrebbero primeggiare incontrastati.

Dal momento che la scottante e forse involontaria rivelazione di Bini Smaghi non ha scalfito l’interesse di un giornalismo che ha deciso da tempo di dedicarsi anima e corpo alle vicende da sitcom della politica italiana, producendo inevitabilmente un riflesso pavloviano sull’opinione pubblica, passiamo a esaminare brevemente i contenuti del saggio di Lorenzo Bini Smaghi Morire di austerità.

A dispetto del titolo, che lascerebbe pensare ad un testo di denuncia nei confronti delle politiche di rigore che caratterizzano i 17 paesi aderenti alla moneta unica, Morire di austerità si presenta al contrario come una summa del pensiero europeista che ha nutrito le menti di schiere di governanti ed elettori affascinati dall’idea di unire le forze per combattere gli spauracchi economici (Cina, India) dei tempi moderni. Il pensiero di Bini Smaghi è inquietante e illuminante a un tempo. Prelievi fiscali, tagli alla spesa pubblica e moderazione salariale sono i cardini di una disciplina di bilancio imposta a interi paesi allo scopo di rientrare nei parametri di bilancio stabiliti da empirismi sconosciuti ai più anche a costo di far schizzare la disoccupazione alle stelle e gettare nella disperazione migliaia di famiglie. E tutto ciò rientra nelle previsioni di coloro i quali hanno ideato il sistema e lo perpetrano ai danni dei ceti deboli. I vincitori alle urne e gli elettori stessi non sono che decerebrati incapaci di decidere per il loro interesse, e per questo bisognosi della minaccia moralizzatrice dei mercati, unici veri beneficiari di manovre finanziarie e istituzioni di presunti fondi salva-stati. Bini Smaghi ribadisce che i paesi devono rinunciare alla loro sovranità di bilancio e affidarsi alla proverbiale volatilità dei mercati finanziari, e cioè apolidi predatori privati che a colpi di click spostano enormi capitali scommettendo sui debiti nazionali.

“Senza crisi i cambiamenti non avvengono”, recita un’altra perla tratta dalle pagine del libro di Bini Smaghi, che fa eco alle parole di un padre dell’euro come Romano Prodi, di cui attendiamo tutti con ansia un messaggio a reti unificate che spieghi perché quella moneta presentata 12 anni fa come foriera di prosperità generalizzata stia tradendo le attese. Smaghi, Prodi, Monti e altri sono megafoni di una linea di pensiero alla base di trattati e leggi di stabilità che oggi costituiscono il binario lungo il quale devono muoversi le politiche fiscali nazionali cedendo pezzi importanti della loro sovranità.

Concludendo, si può affermare senza esitazioni che la periodica ricorrenza della parola ‘mercati’ a scapito di ‘cittadini’ o ‘lavoratori’, la totale assenza di grafici o tabelle che corroborino le testi esposte, la leggerezza con cui si ammette che rappresentanti del popolo vengono oggi regolarmente detronizzati qualora dimostrassero di non essere abbastanza obbedienti ai precetti economici europei, fanno di Morire di austerità un manifesto del “sogno europeista” che oggi – smessi i panni trionfalistici degli esordi – sta svelando i suoi tratti più cinici e totalitaristici.

Firma la petizione sull’allerta alimentare! Ministero della salute e supermercati pubblichino l’elenco dei cibi pericolosi. Più trasparenza per i consumatori

Fonte: http://www.ilfattoalimentare.it/

145245569Il Fatto Alimentare ha lanciato una petizione on line su Change.org per invitare il Ministero della salute e le catene dei supermercati a pubblicare la lista e le foto dei prodotti alimentari pericolosi ritirati dagli scaffali.

Firma anche tu, clicca qui.

Ecco di seguito il testo della petizione.

Ogni anno centinaia di prodotti vengono ritirati dal commercio perché contengono corpi estranei, perché sono contaminati da batteri patogeni, perché ci sono degli errori nelle etichette, oppure le date di scadenza sono inesatte. I consumatori però raramente vengono informati, anche se si tratta di alimenti in grado di nuocere alla salute. È avvenuto in primavera quando otto lotti di frutti di bosco surgelati prodotti da quattro aziende hanno provocato 400 casi di epatite A. Purtroppo la maggior parte delle persone colpite non è stata avvertita in modo adeguato dai supermercati e dalle autorità e si è ammalata. Il Ministero della salute ha diffuso un comunicato dopo molte settimane, carente e senza fotografie. Per rendersene conto, basta dire che alcune aziende coinvolte nell’epidemia hanno deciso di non pubblicare né l’annuncio né le foto delle confezioni sul proprio sito.

 

Alla fine di luglio è scoppiata un’allerta botulino (poi rientrata) per dei vasetti di pesto. In questo caso nonostante la gravità della situazione (le tossinfezioni da botulino possono essere mortali) e la vendita di decine di migliaia di vasetti, il Ministero della salute ha aspettato tre giorni prima di pubblicare le foto del prodotto (!) e anche i supermercati coinvolti hanno fornito informazioni con esagerato ritardo.

 

Purtroppo non si tratta di episodi isolati. Ogni anno le catene ritirano dagli scaffali decine di alimenti per problemi seri e centinaia per aspetti di minor rilievo che comunque rendono le confezioni invendibili. In genere i clienti non sono informati, e solo in pochi casi viene esposto un piccolo cartello nei punti vendita.

 

Perché le campagne di ritiro dei prodotti non sono pubblicizzate attraverso i siti dei supermercati? Perchè il Ministero della salute diffonde solo occasionalmente le notizie dei prodotti oggetto di allerta, e quando lo fa, in genere non propone le foto. Altri paesi europei pubblicizzano regolarmente le campagne di richiamo.

 

Eppure in Italia esiste l’art. 19 del reg. 178/2002 che obbliga i produttori e i supermercati “ad informare i consumatori in maniera efficace e accurata, specificando i motivi del ritiro e, se necessario, richiamare i prodotti già venduti per tutelare la salute”.

 

Chiediamo al Ministero della salute di diffondere con regolarità sul proprio sito e attraverso i media le foto e le schede di tutti i prodotti alimentari richiamati dal mercato perchè ritenuti pericolosi per la salute e di affiancare a queste notizie l’elenco dei punti vendita in cui sono stati commercializzati. Chiediamo al Ministero della salute di verificare che anche i supermercati seguano questo iter quando le contaminazioni riguardano: Botulino, Listeria, Norovirus, epatite e altre gravi problemi alimentari.

 

Primi firmatari:

Roberto La Pira, Alfredo Clerici, Luca Bucchini, Paola Emilia Cicerone, Antonio Longo, Silvia Biasotto, Antonio Macrì, Valentina Tepedino, Giulio Tepedino, Elvira Naselli, Gianna Ferretti, Agnese Codignola, Valentina Murelli, Venetia Villani.

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La dieta a colori aumenta la fertilità

Scritto da : Andrea Piccoli
Fonte: http://www.italiasalute.it/copertina.asp?Articolo_ID=12180

Diete_12180CPer migliorare la qualità del proprio liquido seminale e alimentarsi comunque in maniera ottimale prendete in considerazione la dieta a colori. A suggerire l’adozione di un regime alimentare ricco di carotenoidi è uno studio dell’Harvard School of Public Health di Boston firmato da Piotr Zareba.
La ricerca, pubblicata su Fertility and Sterility, punta molto su alimenti dai colori intensi come pomodori, zucche, agrumi, carote, cocomeri, ananas, salmone e alcuni tipi di crostacei.
Il dott. Zareba spiega: “le ricerche passate suggeriscono che lo stress ossidativo gioca un ruolo nell’infertilità maschile, correlando alti livelli di radicali liberi nel plasma seminale con una bassa motilità e concentrazione degli spermatozoi. Poco si sa tuttavia su come l’assunzione di differenti antiossidanti da diverse fonti alimentari influenzi la produzione e la funzione degli spermatozoi”.
L’obiettivo dello studio era proprio quello di stabilire l’effetto delle vitamine dei gruppi A, C ed E sulla qualità dello sperma maschile. I ricercatori, finanziati dal National Institutes of Health e dall’Unione Europea, hanno reclutato 389 giovani universitari dello stato di New York, chiedendo loro di compilare un questionario dettagliato sul tipo di alimentazione adottato e sull’apporto calorico totale di cui disponevano giornalmente.
Solo 189 lo hanno completato, con un’età media di 19 anni. Ogni ragazzo ha poi fornito un campione di seme, analizzato nel giro di mezz’ora. È stato misurato il volume dello sperma e la conta degli spermatozoi, oltre alla loro concentrazione, motilità e morfologia.
“Un’aumentata motilità è direttamente correlata a un maggiore contenuto di beta-carotene nella dieta, mentre l’assunzione di licopene, un altro carotenoide, migliora la morfologia degli spermatozoi”, commenta Zareba, il quale suggerisce peraltro un legame meno significativo fra vitamina C e concentrazione degli spermatozoi.
“Certo è che una dieta ricca di pesce, frutta e verdura non ha mai fatto del male a nessuno”, conclude saggiamente il ricercatore. Oltre a mangiare bene, inoltre, il ricercatore suggerisce anche di smettere di fumare, bere in maniera moderata e mantenere il peso ideale.