La bicicletta? Ha ancora molta strada da fare in Italia!

Scritto da: Nicoletta
Fonte: http://www.soloecologia.it

pista-ciclabile-cittaNessuno può negare che la cultura della bicicletta si stia diffondendo sempre più nel nostro paese, ma obiettivamente bisogna anche dire che per avere delle città a misura di ciclisti c’è ancora molto da fare. Gli italiani hanno finalmente capito che costituisce un mezzo per centrare vari obiettivi in un colpo solo: migliorare la forma fisica, risparmiare sul carburante (oltre che su assicurazione e bollo auto), non inquinare e – non da ultimo, evitare il grande problema di trovare parcheggio in città. Ma non è finita qui: un ciclista in città può sviluppare una velocità media ben superiore a quella delle auto – che al momento è paradossalmente pressapoco identica a quella dei tempi in cui si viaggiava in carrozze trainate dai cavalli.

Nel 2013 in Italia sono state vendute più di 1,5 milioni di biciclette e se ne sono prodotte circa il 22% in più rispetto all’anno precedente – molte delle quali esportate, con un bilancio altamente positivo per questo settore dell’industria.

Il successo della bicicletta però è decisamente più marcato nelle città del nord, dove le piste ciclabili sono in numero più elevato. La città più virtuosa in assoluto è Bolzano, nella quale il manubrio ha già da tempo sorpassato il volante! Si pensi che in Trentino-Alto Adige l’indotto prodotto dalla presenza di sole quattro importanti ciclovie si aggira 29 milioni di euro l’anno. Però in ambito di mobilità sostenibile e di turismo sulle due ruote rispetto ad altre nazioni la media italiana è ancora a livelli pionieristici. In Europa si parla di 44 miliardi totali di indotto, ma l’Italia si ferma a 1 miliardo. E pensare che basterebbe incentivare e organizzare il turismo a due ruote sulle strade già tracciate dalle ferrovie dismesse per superare i 5 miliardi!

GIS – Italia

Fonte:http://www.teclab.lu.usi.ch/medina/courses/cb08/group4/pages/poc.php?ID_AxisName=4&ID_POC=4&ID_Lang=1

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Il successo in Somalia dei reparti GSG-9 fece mutare la volonta’ politica italiana e vennero creati 4 reparti speciali per ogni forza armata; fu cosi che nacque il GIS. Era il 1978 e il GIS e’ incorporato nell’Arma dei Carabinieri. Per l’ addestramento dei primi operatori, si usufrui’ dell’esperienza del Gruppo Operativo Incursori del COM.SUB.IN., dello Special Air Service britannico e del GSG-9 dell’allora Germania Federale. Gli operativi del prestigioso reparto provengono direttamente dall’altrettanto efficiente 1° Reggimento Carabinieri Paracadutisti “Tuscania” .Dal 2000, il reparto si e’ progressivamente focalizzato sulle missioni fuori area, lasciando le emergenze minori sul piano nazionale al N.O.C.S. della Polizia di Stato. A partire dal 2004, il Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, ha promosso il Gruppo d’ Intervento Speciale, da unita’ antiterrorismo a vera e propria forza speciale, enfatizzando maggiormente la preparazione per i dispiegamenti all’estero. Il Ministero della Difesa impiega inoltre i GIS per la liberazione di ostaggi da aerei, navi, treni, autobus ed edifici, li chiama anche per proteggere obiettivi sensibili da attacchi terroristici o criminali e per garantire la sorveglianza e la sicurezza in occasione di eventi ad alto rischio.

Caso Moro. L’ombra dei servizi dietro la primula rossa Alessio Casimirri

Fonte:http://www.articolotre.com/2014/06/caso-moro-lombra-dei-servizi-dietro-la-primula-rossa-alessio-casimirri/

aldo-moro-Gea Ceccarelli- Lo chiamano la “primula rossa” delle Br. Si parla di Alessio Casimirri, condannato nell’89 con l’accusa di aver partecipato al sequestro e all’omicidio di Aldo Moro ma mai finito in carcere. Il motivo è semplice: l’uomo si trova infatti in Nicaragua da anni. Si è rifatto una vita, ha una famiglia, un buon lavoro, un passato fumoso alle spalle, in quell’Italia che aveva contribuito a destabilizzare.

Lo considerano un superprotetto dai servizi: le voci attorno alla sua persona resistono negli anni e difficilmente la nuova commissione d’inchiesta parlamentare sarà in grado di diradarli. E dire che era pure stato arrestato: in Francia, dove si era inizialmente nascosto. Sembrava che tutto stesse andando come avrebbe dovuto, era un criminale ed era finito in manette. Impensabilmente, però, riuscì a fuggire grazie un passaporto falso, per molti consegnatogli proprio dai servizi segreti o da ambienti ecclesiastici, anche a fronte delle sue entrature con il ministero della Difesa italiano e con il Vaticano.

I tentativi di riportarlo in Italia naufragarono tutti miseramente. Così come quelli di farlo collaborare. Si comincia dal dicembre del ’93, quando tre agenti del Sisde sarebbero dovuti tornare in Nicaragua per incontrarlo: erano riusciti ad avviare un dialogo e, in quell’ultimo viaggio, avrebbero dovuto raccogliere rivelzioni “molto più importanti della questione di via Montalcini”. Non se ne fece niente, alla fine Casimirri si tirò indietro, dopo che la stampa italiana aveva a lungo speculato su di lui, rivelando, tra l’altro, dettagli riservati di quei colloqui, evidentemente sfuggiti proprio da ambienti istituzionali.

La lunga fatica di convincerlo a parlare veniva così vanificata: non si sarebbe saputo da lui altro di quello non già detto. Che era già di per sé abbastanza scottante. Durante questi incontri, Casimirri (nome di battaglia “Camillo”), iniziò infatti ad ammere quanto sapeva: soprattutto, parlò di “tradimenti” in seno alle Br, alludendo ai giochi di potere e alle ingerenze che accompagnarono la sua esperienza nel terrorismo rosso. Spiegò di aver iniziato ad intuire tali voltafaccia già dopo l’omicidio del presidente della Dc, quando, nel ’79, avrebbe dovuto organizzare un assalto all’Asinara.

Tutto era pronto: un ritorno in grande stile delle Br, poco più di un anno dopo dalla morte di Moro. Tanto sarebbe bastato per far sprofondare nuovamente l’Italia nel terrore. Casimirri era convinto che tutto si sarebbe risolto secondo i programmi, ma così non fu: il piano da lui stesso messo a punto venne annullato all’ultimo. A deciderlo, Mario Moretti, che, giunto in Sardegna, valutò la situazione e stabilì che non si sarebbe fatto niente. Non c’era, a suo dire, il volume di fuoco sufficiente. Per Casimirri si trattò di una decisione assurda, che lo portò a iniziare a dubitare della trasparenza delle Br.
La conferma dei suoi sospetti giunse poi con la scoperta che i vertici dell’organizzazione avevano deciso di non pubblicizzare gli scritti di Moro, alcuni dei quali trovati nascosti in un pannello del covo di via Montenevoso, a Milano.

Questo è quello che raccontava. Ma, nello stesso periodo, i media italiani galoppavano e le indiscrezioni sui colloqui segreti fioccavano. Alcune di queste sostenevano che Casimirri avesse rivelato la vera identità dell’ingegner Altobelli, il cosiddetto “quarto carceriere”. Secondo quanto riportato dalla stampa, il nome fatto era Germano Maccari. Eppure, Casimirri non poteva saperlo con esattezza: nei 55 giorni dopo via Fani, infatti, era stato estromesso dall’operazione.
Di fatto, al massimo, nei suoi colloqui con gli agenti segreti, il latitante aveva solo descritto un individuo che si sarebbe occupato degli aspetti logistici dell’operazione contro la Dc. Si trattava di un ragazzo in procinto di partire per il servizio di leva e, per tale motivo, Gallinari, decise di presentarlo a Casimirri: con le entrature di quest’ultimo, infatti, sarebbe stato possibile ottenere l’esonero dal militare per il misterioso uomo, senza il quale il piano ai danni di Moro non si sarebbe potuto veder compiuto.

Presto, però, l’identificazione in Maccari si rivelò errata. Scrisse il Sisde dopo il viaggio in Nicaragua: “Altobelli aveva il nome di battaglia di Germano, alto circa 1,80 mt, forse più, corporatura snella, con baffetti radi (…) era particolarmente stimato per le sue ‘qualità militari’ [secondo tutti i testimoni non possedute da Germano Maccari, il quale difficilmente avrebbe scelto come nome di battaglia quello che aveva nella realtà]: Savasta [Antonio, brigatista poi pentito] in particolare ne subiva il fascino (…). Altobelli ad un certo punto va a vivere nell’appartamento di via Montalcini insieme alla Braghetti”. “Dagli accertamenti esperiti”, scrivevano ancora nel rapporto, “l’Altobelli dovrebbe identificarsi”, piuttosto, “in Giovanni Morbioli, romano”. Versione, questa, poi confermata da Casimirri, che lo riconobbe in foto.

Spontaneamente?, vien da chiedersi. Non si sa: già nel ’95, infatti, il procuratore Franco Ionta ammise di non sapere se “il nome di Morbioli viene fatto da Casimirri o se vi è per così dire una sollecitazione fatta dai funzionari del Sisde ad indicare in Morbioli in quarto uomo. Questo per dire che l’attività svolta dal Sisde sul quarto uomo non avrebbe in realtà portato all’indicazione su Maccari ma su persona diversa”. La tardiva confessione non dissipò mai i dubbi al riguardo.

Quel che certo è che l’ingegnere era molto legato a Valerio Morucci. Ed è questi il protagonista di un altro episodio raccontato da Casimirri agli agenti del Sisde. Un giorno Morucci si recò nel negozio di “Camillo”, a Roma, nella zona di Monteverde, dove il brigatista possedeva un nascondiglio nel retrobottega. Secondo quanto riferito ai tempi da Casimirri, il compagno giudicò l’idea “interessante” e, effettivamente, nel primo processo Moro, sulla base delle testimonianze dei pentiti Patrizio Peci e Antonio Savasta, si parlò molto della possibilità che Moro potesse essere stato nascosto per diverso tempo nel retrobottega di un negozio della stessa zona.

Valerio Morucci è poi l’anello di congiunzione tra Casimirri e il pm di Milano Massimo Meroni, uno degli inquirenti che maggiormente si interessò all’omicidio del commissario Luigi Calabresi, avvenuto nel ’72. Un ex brigatista, Raimondo Etro, aveva infatti raccontato ai magistrati alcune confidenze ricevute da Casimirri durante il periodo del sequestro Moro: tra queste, quella che prevedeva che Morucci fosse stato coinvolto nell’assassinio del commissario.

Per questo motivo, Meroni decise di voler interrogare la fonte principale, Casimirri. Richiese dunque le autorizzazioni per recarsi in Nicaragua e le ricevette. La sera prima della partenza, però, il colpo di scena: una telefonata dell’ambasciata italiana a Managua bloccò Meroni: “Non parta dottore, non se ne fa niente, sono state revocate tutte le autorizzazioni in seguito a un ricorso dell’interessato”. E la vicenda si chiuse così, senza creare neanche scalpore o clamore, come sarebbe stato naturale in circostanze normali.

Ad arrivare a Casimirri ci riprovò, successivamente, tra il 2005 e il 2006, Enrico Cataldi, l’allora direttore della divisione “terrorismo interno del Sisde”. Prendendo spunto da una trappola messa in atto dal Ros, precedentemente, per catturare l’ex moglie della primula rossa, Rita Algranati e il suo nuovo compagno Maurizio Falessi, aveva intenzione di riportare in Italia il superlatitante delle Br.

Nello specifico, Algranati e Falessi, stabilitisi in Algeria e individuati nel ’93, furono, nel 2004, indotti ad abbandonare il paese in cui si trovavano: una volta superato il confine, vennero arrestati e ricondotti in Italia.

Secondo Cataldi, dunque, si poteva escogitare una simile trappola per catturare Casimirri, bloccandolo in Costa Rica per poi estradarlo in Italia. Il piano, anche in questo caso, era ormai pronto: all’ultimo, però, gli alti vertici del Servizio interno ordinarono al generale che l’operazione non doveva essere compiuta: Cataldi doveva star fermo e occuparsi d’altro: Casimirri doveva restare in Nicaragua, lontano dall’Italia.
Soprattutto, lui, custode di segreti inconfessabili, non doveva parlare.

Ma Renzi non piace agli Usa: quanto resisterà al governo?

Scritto da:Aldo Giannuli
Fonte: http://www.aldogiannuli.it/2014/06/renzi-non-piace-agli-americani/
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Matteo Renzi non piace agli americani, che non perdono occasione per farlo notare: Obama, nell’incontro, fu freddissimo, limitandosi ad apprezzamenti sull’ “energia” del nostro Presidente del Consiglio (ben più calorosi erano stati i giudizi su Enrico Letta), poi, nel momento peggiore della crisi di Crimea le note del Dipartimento di Stato evitavano ostentatamente di citare l’Italia a differenza di Francia e Germania, poi è venuto lo schiaffo del D-Day e del G7. Insomma, l’ometto non suscita entusiasmi sul Potomac. Capita, ma perché?

In fondo, con il suo inconfondibile stile alla Fonzie, tanto po’ dinoccolato ed un po’ tamarro, non dovrebbe dispiacergli. Ha anche fatto il boy scout! Eppure…

Forse sarà perché gli americani badano anche ad altre cose oltre che il look. Certo, a Renzi non mancano gli amici americani come Michael Ledeen, ma il guaio è che sono della destra repubblicana, colore opposto a quello dell’attuale Amministrazione. Poi, sicuramente gli americani si capivano molto meglio con Enrico Letta e, probabilmente, non gli è piaciuto il modo con cui è stato buttato giù di sella: allo zio Sam non piace che i suoi amici vengano trattati in quel modo.

Ma i motivi più “Pesanti” probabilmente sono altri. Il primo si chiama Eni. Gli americani avrebbero tanto gradito la nomina ad Ad di Leonardo Maugeri, già rappresentante dell’Eni a New York, grande esperto di petrolio, soprattutto loro grande amico e sicuro avversario della politica pro-Mosca di Scaroni. Con lui alla guida dell’ente, l’operazione Southstream sarebbe cosa morta e sepolta. Finalmente! E invece no: Renzi nomina De Scalzi. Insomma, lo zio Sam sogna da anni di togliersi dai piedi il duo Berlusconi-Scaroni, fa quello che può per ammazzare il primo (quelle di Geithner sono lacrime di coccodrillo), aspetta con pazienza la fine del mandato dell’aborrito Scaroni e tu che fai? Nomini al suo posto il suo vice? Vero è che, in queste settimane, l’Eni ha ridotto la sua partecipazione in Southstream dal 50 al 15% in favore di tedeschi e francesi, vero è che il nuovo percorso del gasdotto passa tutto per i Balcani e non fa neppure più il passaggio per il Tarvisio ed è anche vero che Renzi non sa neppure dove stanno i Balcani ed il Tarvisio; ma sa dove sta l’Eni e ci nomina De Scalzi che, per ora, lascia al suo posto Marco Alverà (che è stato quello che ha ordito la trama con i russi) ed accetta che sia comunque la Snam a fare la posa dei tubi del gasdotto. Qui non ci siamo capiti: il problema non è cambiare il percorso di Southstream, ma proprio la cancellazione del progetto. E lo zio Sam si arrabbia.

C’è poi la questione Finmeccanica. C’è chi dice che per far confermare l’amico De Gennaro al suo posto, gli americani abbiano dovuto smuovere Re Giorgio dal Colle, cosa poi smentita dallo stesso Re. E va bene, ma Re Giorgio o non Re Giorgio, resta che l’ometto di Palazzo Chigi ha provato a togliere di mezzo De Gennaro ed anche questo non sta bene.

Poi, come amministratore delegato, ci piazza Moretti, con il quale aveva vecchi legami personali per questioni fiorentine. Il fatto è che Moretti conosceva le ferrovie traversina per traversina, e quindi si dedicherà al ramo trasporti di Finmeccanica (come già sta facendo) ma di armi capisce quanto di dialetto algonkino e questo è un momento in cui gli americani, nel settore armi, hanno bisogno di interlocutori sì obbedienti, ma che capiscano di che si sta parlando. Insomma, anche qui, buca!

Come si sa, Renzi ha importanti legami con Israele e, se non li ha lui, li ha il suo consigliere economico Yoram Gutgeld; questo sarebbe stato un ottimo viatico in altri tempi, ma, negli ultimi anni, Tel Aviv ha dato più dispiaceri che altro all’amico americano: loro sono ostilissimi  al Quatar e gli americani hanno bisogno del suo gas per fare un gasdotto alternativo a quello russo (come aveva ben capito Enrico Letta), hanno urgenza di chiudere la partita palestinese e gli israeliani fanno le bizze, ora hanno bisogno di capirsi con l’Iran per mettere un freno all’offensiva di Al Quaeda in Irak senza andare ad impantanarsi di nuovo lì e gli israeliani non apprezzano…

Insomma, neanche da questo versante c’è modo di capirsi con il nuovo Capo del Governo italiano.

Intendiamoci: noi abbiamo sempre apprezzato chi sa dire no agli americani e far valere l’interesse nazionale, ma è una cosa che occorre saper fare e non per fare un favore a terzi. Tutte cose che richiedono cervello lucido e spalle larghe, molto larghe.

Il guaio è che Palazzo Chigi va largo a Renzi, troppo largo.
Comincio a pensare che questo non durerà molto su quella poltrona.

 

Nuove avventure militari italiane in territorio somalo

Fonte: http://antoniomazzeoblog.blogspot.it/

p-tricolore-minIl tricolore torna a sventolare a Mogadiscio e il governo Renzi mette a disposizione dei nuovi signori della guerra parà, istruttori e veicoli militari. Un paio di giorni fa, nel corso di una cerimonia tenutasi nella capitale della Somalia, il comando del National Support Element (IT NSE), il team italiano attivo nel paese del Corno d’Africa lacerato dalla lunga guerra civile, ha donato al locale Ministero della difesa tre veicoli minivan per consentire una “migliore mobilità” dei militari impiegati a Gashandiga, Mogadiscio. “Gli aiuti alle istituzioni somale rappresentano parte dell’impegno profuso dall’Italia nell’ambito delle iniziative internazionali a salvaguardia della pace e della stabilità del paese”, si legge nel comunicato emesso dalle forze armate italiane.

 

Il contingente nazionale opera nell’ambito dell’European Union Training Mission to contribute to the training of Somali National Security Forces (EUTM Somalia), la missione di formazione e addestramento delle forze armate somale che l’Unione europea ha istituito il 15 febbraio 2010 per concorrere alla “stabilizzazione del Corno d’Africa” e “rafforzare” il governo e le istituzioni somale. Condotta in collegamento con il Comando militare statunitense per il continente africano (US AFRICOM) ed AMISOM, la missione dell’Unione africana che vede schierati in Somalia più di 17.000 uomini di Uganda, Kenya, Burundi, Sierra Leone e Nigeria, EUTM Somalia ha come obiettivo strategico il rafforzamento del dispositivo multinazionale chiamato a contrastare in Corno d’Africa le milizie armate al-shabaab ritenute vicine ad al-Qaeda.

 

Schierata inizialmente a Kampala, capitale dell’Uganda, e presso il centro addestrativo di Bihanga (250 km a ovest di Kampala), EUTM Somalia avrebbe dovuto operare sino al 2013, ma nel gennaio 2013 il Consiglio Europeo ha deciso la sua estensione sino al 31 marzo 2015, ampliandone i compiti alla “consulenza politico-strategico alle autorità somale” e all’addestramento specializzato delle forze governative. Nella seconda metà del 2013 la missione Ue ha trasferito il suo quartier generale e il Mentoring Advisory Training Element (MATE) presso l’aeroporto internazionale di Mogadiscio e dal gennaio 2014 tutte le sue attività sono condotte esclusivamente in territorio somalo. Attualmente l’addestramento delle unità viene effettuato presso il Jazeera Training Camp, a circa 5 Km a sud dallo scalo aereo.

 

Sino ad oggi EUTM Somalia ha contribuito alla formazione di 3.600 tra ufficiali, specialisti e istruttori militari somali. La missione ha ottenuto un budget di 11,6 milioni di euro per il periodo compreso tra il febbraio 2013 e il marzo 2015 e vede schierati 125 militari di 13 paesi europei. Il team italiano è composto da 78 unità, in buona parte paracadutisti della Brigata “Folgore”, impiegate in vari ambiti, dall’addestramento delle forze armate somale alla sicurezza dei movimenti e del contingente, al supporto logistico e amministrativo. “I nostri specialisti forniscono alle reclute somale conoscenze e tecniche utili a contrastare la minaccia delle mine e degli ordigni esplosivi improvvisati (IED) unitamente a nozioni di primo soccorso tattico sul campo di battaglia, ecc.”, ha spiegato il National Support Element (IT NSE). Secondo il cronogramma operativo, nel 2014 il team italiano seguirà la formazione di 1.850 militari somali, per una spesa che solo nei primi sei mesi dell’anno è stata di 7 milioni e 62.000 euro.

 

Dal 15 febbraio il comando della missione Ue in Somalia è stato affidato al generale Massimo Mingiardi, vice comandante della Scuola di fanteria di Cesano ed ex comandante della brigata “Folgore”. Il colonnello Mingiardi aveva già operato a Mogadiscio nel 1993 come comandante di compagnia durante l’Operazione “Ibis”, tragicamente segnata dall’incredibile numero di violazioni dei diritti umani commesso dal contingente italiano e dalla battaglia del check-point “Pasta” che il 2 luglio 1993 provocò la morte di tre uomini e il ferimento di 33 parà italiani.

In vista del rafforzamento dei vincoli bilaterali tra l’Italia e la Somalia, il 17 settembre 2013 si è tenuto a Roma un vertice tra l’allora ministro Mario Mauro e Abdihakim Mohamed Haji Fiqi, responsabile del dicastero alla difesa del Governo federale somalo. Nel corso del meeting venne siglato un Memorandum di Cooperazione nel settore della difesa a sostegno delle nuove istituzioni politiche e militari somale.

La Torre di Pisa

Fonte: http://www.torredipisa.it/it/torre-di-pisa.html

torredipisaPochi monumenti sono così conosciuti nel mondo come la torre pendente di Pisa.
Il celebre campanile di Bonanno Pisano ha compiuto otto secoli di vita, essendo stato iniziato nel 1173.
Per la verità, in una iscrizione epigrafica a destra della porta d’ingresso della torre, si legge la data 1174. Ma tale data si riferisce al calendario pisano che iniziava il 25 marzo,  nel giorno dell’Annunciazione’ e quindi in anticipo di quasi un anno sul calendario tradizionale. L’inclinazione della torre è attualmente di circa 5 metri; la sua altezza è di 56 metri con uno sprofondamento medio di 2,50 metri alla base. La torre continua a pendere in ragione di un millimetro ogni anno ed è motivo di grande preoccupazione per i tecnici che sperano comunque di poter stabilizzare definitivamente il famoso campanile.
Bonanno Pisano, dunque, iniziò la costruzione della torre pendente nel 1173.

Cinque o sei anni dopo l’ottimo architetto e scultore abbandonò i lavori perché nel frattempo si era verificato un primo cedimento del terreno. Questo conferma che la torre pendente non è mai stata verticale in quanto i primi tre piani costruiti da Bonanno presentavano già una certa inclinazione intorno agli anni 1179-80. Nello stesso periodo di tempo Bonanno Pisano modellò le quattro porte per la Cattedrale, tre delle quali, come abbiamo detto, sono andate irrimediabilmente perdute. Ritroviamo Bonanno Pisano nel 1186 molto lontano dalla sua città,  presso Palermo, intento a modellare un’altra bellissima porta per il Duomo di Monreale. Bonanno tornò a Pisa molto tempo dopo, alla fine del suo inquieto peregrinare nella lontana e affascinante Sicilia piena di sole e di ricordi classici. Morì nella sua città natale con il rimpianto di non aver mai terminato il suo bel campanile. I pisani lo seppellirono all’interno della torre. Durante il secolo scorso, dopo alcuni scavi eseguiti alla base della costruzione, furono rinvenuti alcuni frammenti provenienti da un sarcofago. Uno di questi frammenti portava il nome di Bonanno Pisano ed è visibile ancora oggi sulla sinistra dell’ingresso della torre pendente. Novanta anni dopo la morte di Bonanno, un altro architetto proseguì i lavori a partire dal terzo piano; si chiamava Giovanni di Simone e cercò invano di raddrizzare la torre. Infatti, a partire dal terzo piano, l’inclinazione del monumento cambia notevolmente. Giovanni di Simone fu anche il geniale architetto del Cimitero monumentale e della Chiesa di San Francesco. Anch’egli non portò mai a termine i lavori della torre pendente perché cadde combattendo nella sfortunata battaglia della Meloria. È da questa sconfitta che, con l’inizio dell’irreversibile decadenza della città, i lavori del campanile rallentano.

Nei primi anni del secolo XIV mancava soltanto la cella campanaria. Questa fu aggiunta nel 1350 da Tommaso Pisano, terzo e ultimo architetto della torre pendente che cominciava ormai a divenire celebre. È oggi accertato scientificamente, che la Torre pende a causa del terreno cedevole. Un terreno alluvionale di formazione recente, quindi un terreno soffice, che non può sostenere grandi pesi. D’altra parte, a riprova di ciò, basta ricordare che molti altri edifici di Pisa pendono notevolmente,dando vita a una straordinaria assemblea di palazzi, chiese, campanili e semplici case, inclinati in tutte le direzioni.
Gli Italiani amano particolarmente la torre di Pisa ed essi vedono in questo famosissimo monumento uno dei più cari simboli del loro paese.La torre pendente è ancora oggi usata quale campanile della Cattedrale. L’origine dei campanili, considerati tipiche costruzioni nazionali italiane, può derivare dai minareti arabi. Affascinati dalla voce dei muezzin che gridavano, e gridano ancora oggi, dal vertice dei minareti la gloria di Dio e il richiamo alla preghiera, i cristiani di tanti secoli fa hanno voluto probabilmente ripetere questa esperienza in Occidente e, particolarmente, in Italia. Essi collocarono al vertice delle torri bizantine di Ravenna, di Firenze, di Roma, di Pisa, e di tante altre città la voce squillante delle campane. Se i muezzin gridano ancora oggi ai popoli dell’Islam l’invito alla preghiera, e se questo invito è recepito anche nelle più aride località dei deserti pieni di sole e di solitudine, la voce delle campane italiane assume la stessa funzione per ritrovare lo stesso cammino verso quel Dio che è lo stesso per gli Arabi e per gli Italiani, ma anche per tutti gli altri popoli. Da un punto di vista architettonico, la torre pendente si lega genialmente con la Cattedrale di Buschetto, ripetendone nel primo ordine il criptoportico con le losanghe di derivazione arinena, e negli ordini superiori le gallerie ad archi su agili colonne classicheggianti che caratterizzano la facciata e l’abside della chiesa. Questo preciso riferimento stringe il rapporto che lega i quattro monumenti della straordinaria piazza pisana, in cui lo svolgersi per tempi successivi di un medesimo asse culturale dal romanico al gotico, si definisce in un’armonia esaltata anche dal gioco cromatico dei marmi bianchi sul verde brillante dei prati.

Combattere il tumore al seno modificando l’alimentazione

Scritto da: Eleonora Degano
Fonte:
http://oggiscienza.wordpress.com/2014/06/17/combattere-il-tumore-al-seno-modificando-lalimentazione/

7371700988_80018aa949_cSALUTE – Limitare l’apporto calorico, riducendo l’assunzione di cibo di una certa percentuale, potrebbe portare più benefici di quanto pensassimo. Secondo un recente studio pubblicato su Breast Cancer Research and Treatment, il tumore al seno triplo negativo -una delle forme più aggressive- ha meno probabilità di metastatizzare e diffondersi quando i soggetti colpiti seguono una dieta particolare. Nelle cellule tumorali, infatti, si riduce così la produzione di microRNA 17 e 20, che tendono invece ad aumentare quando il tumore metastatizza. La ricerca è stata condotta su un campione di topi ma è in linea con la recente letteratura scientifica, che vede nella restrizione calorica un potenziale alleato per il trattamento delle malattie oncologiche.

Spesso le pazienti vengono trattate sia con terapie ormonali per interrompere la crescita del tumore, sia con steroidi per contrastare gli effetti collaterali della chemioterapia. Entrambi i trattamenti alterano il metabolismo e determinano un aumento di peso di circa 4,5 chilogrammi nel primo anno di cure. Da recenti studi è emerso che un incremento eccessivo del peso corporeo rende le terapie standard meno efficaci, e le donne che ingrassano in questo lasso di tempo tendono ad avere complicazioni più gravi. “Per questo motivo è importante tenere in considerazione il metabolismo durante le terapie sulle donne malate di cancro”, commenta Nicole Simone della Thomas Jefferson University, principale autrice dello studio. Quanto è importante l’alimentazione nell’insorgenza e nel trattamento delle patologie croniche come i tumori, aumentando o diminuendo il rischio? Ne parliamo con il Professor Pier Giuseppe Giuseppe Pelicci, condirettore scientifico dello IEO, l’Istituto Europeo di Oncologia di Milano.

In questo studio, le modificazioni epigenetiche si verificano nel lasso di tempo di una terapia: quali possono essere i meccanismi che sottendono questo effetto? Potrebbe beneficiarne qualsiasi paziente?

Gli effetti legati alla restrizione dell’apporto calorico agiscono su numerose vie metaboliche, alcune più conosciute e altre ancora in fase di studio. Quello che pare certo, in base ai dati raccolti finora, è un reale effetto di rallentamento dei processi degenerativi legati all’invecchiamento. Data la complessità e l’eterogeneità delle malattie oncologiche, e la conseguente personalizzazione delle terapie, risulta impossibile, ad oggi, attuare un protocollo generale efficace per tutti i pazienti. È importante sottolineare che tutti questi dati derivano da studi su modelli animali, in merito ad alcuni sottotipi di tumore. Per questo motivo attendiamo ulteriori conferme dalla ricerca clinica, per avere un’idea più chiara di come sfruttare gli effetti benefici legati alla restrizione calorica.

In che modo terapie ormonali e steroidi alterano il metabolismo durante il trattamento di un tumore (al seno, in questo caso)? Per quale motivo l’aumento di peso le rende meno efficaci?

In particolare per il tumore al seno le terapie ormonali, che utilizzano farmaci che interferiscono con l’azione degli estrogeni o, in alternativa, ne bloccano la produzione, hanno mostrato un’efficacia nella riduzione del rischio di recidiva e un conseguente aumento dell’aspettativa di vita nei casi di tumore ormono-sensibile. L’utilizzo di queste terapie determina una situazione di menopausa indotta, che porta con sé tutti gli effetti avversi associati, appunto, alla menopausa, come l’aumento di peso corporeo e del colesterolo ematico, oltre al rischio di osteoporosi.

Sono ormai numerosi gli studi che confermano una peggiore prognosi nelle pazienti con tumore al seno che si trovano in una situazione di sovrappeso/obesità, al momento della diagnosi e della terapia, e i meccanismi indagati sono numerosi. Uno di quelli proposti è legato alla funzione endocrina del tessuto adiposo, in grado di amplificare la produzione di ormoni, tra cui gli estrogeni, coinvolti nella crescita di specifici tumori ormono-sensibili. Un altro prende invece in considerazione l’alterazione di alcuni fattori di crescita, come l’insulina e l’insuline-like growth factor 1 , con la distribuzione del tessuto adiposo e l’aumento del peso.

La restrizione calorica potrebbe giocare un ruolo protettivo?

Anche se si potrebbe ipotizzare un effetto benefico legato alla restrizione calorica sugli effetti collaterali da terapia ormonale, a oggi non ci sono evidenze a supporto di tale teoria. Esistono invece numerosi studi che dimostrano come un intervento sullo stile di vita, che comprenda alimentazione e attività fisica mirate al dimagrimento, porti a un miglioramento della qualità della vita e a una maggiore aspettativa di vita.

Come si legge nel paper, la restrizione calorica promuove cambiamenti epigenetici che mantengono forte la matrice extracellulare, la quale impedisce al tumore di diffondersi in nuove aree del corpo. Qual è il meccanismo che lega questi due fattori?

In questo studio sono emerse forti correlazioni tra specifiche modificazioni epigenetiche, mediate dalla restrizione calorica, e miglior efficacia del trattamento radioterapico. La ricerca non è in grado tuttavia di chiarire quali siano i meccanismi alla base dell’effetto protettivo. 

Quali sono le malattie la cui terapia può essere implementata con una modifica della dieta, con evidenti benefici per i pazienti?

Tra le più diffuse troviamo il diabete di tipo 2, le malattie cardio e cerebro-vascolari, i tumori e le malattie neurodegenerative. Il trattamento nutrizionale non solo è in grado di migliorare la prognosi, la qualità della vita e la sopravvivenza, ma anche di prevenire malattie secondarie. Esistono numerosi documenti, sviluppati da enti istituzionali riconosciuti a livello internazionale, che analizzano la letteratura scientifica più rilevante al riguardo, con vere e proprie raccomandazioni per la prevenzione primaria e secondaria di queste patologie. 

Come possiamo correlare l’alimentazione, in generale, allo sviluppo e alla terapia di un tumore?

Nell’ambito della prevenzione oncologica, il Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro ha sviluppato delle raccomandazioni per la popolazione, pienamente condivise e divulgate anche dallo IEO. Per quanto riguarda invece i consigli nutrizionali durante le terapie oncologiche, siamo ancora lontani dall’avere un quadro chiaro e ben definito. I risultati raccolti finora suggeriscono che restrizione calorica e digiuno intermittente svolgano un ruolo benefico, migliorando l’efficacia della radioterapia. Questi dati, tuttavia, derivano da studi su modelli animali e necessitano di ulteriori conferme sugli esseri umani.

In un individuo sano lo stesso tipo di restrizione calorica -o una dieta particolare- può determinare modifiche epigenetiche simili? 

Quello che sicuramente è riconosciuto e condiviso dalla comunità scientifica è il ruolo delle diverse scelte alimentari nelle modificazioni epigenetiche, che a loro volta possono influenzare lo stato di salute. Ad esempio esistono composti negli alimenti, o derivati dal metabolismo di essi, in grado di amplificare o inibire l’espressione di determinati geni. È proprio di questo che si occupa la nutrigenomica, la branca della scienza che studia come la dieta sia in grado di modulare l’espressione genica.

Crediti  immagine: williami5, Flickr

Dai cerotti alle gomme: “i rimedi anti-fumo con nicotina sono nocivi”

Fonte: http://www.informasalus.it/it/articoli/rimedi-anti-fumo.php

dai-cerotti-alle-gomme-i-rimedi-anti-fumo-con-nicotina-sono-nocivi_3726Cerotti, gomme, sigarette elettroniche. I prodotti a base di nicotina spesso utilizzati per smettere di fumare anziché comportare dei benefici possono rivelarsi dannosi per la salute. A lanciare l’allarme sono  i ricercatori del Virginia Bioinformatics Institute, negli Usa, in uno studio pubblicato sulla rivista Oncotarget secondo cui tali prodotti potrebbero avere un effetto cancerogeno.

Gli studiosi, eseguendo test in laboratorio, hanno riscontrato che la nicotina provocava migliaia di mutazioni chiamate polimorfismi del singolo nucleotide (Snp) nelle cellule esposte, rispetto a quelle di controllo. Simili modelli di mutazioni sono stati osservati anche nelle cellule che sperimentano stress ossidativo, un effetto precursore del cancro, portando quindi a smentire tutte le teorie precedenti secondo le quali la nicotina – tra le 4.000 sostanze chimiche presenti nella sigaretta – era quella in qualche modo più ‘sana’.

“Questi risultati – ha spiegato Harold Garner, direttore di Informatica Medica dell’Istituto americano – sono importanti perché per la prima volta si misurano direttamente un gran numero di variazioni genetiche causate dalla nicotina, mostrando che questa sostanza da sola può mutare il genoma”.

Composti host-guest: arrivano i polimeri non inquinanti e protettivi per i cibi

Scritto da: Nicoletta
Fonte: http://www.soloecologia.it/11062014/composti-hostguest-arrivano-polimeri-inquinanti-protettivi-cibi/7103

Polimeri-sindiotattici

 

 

 

 

 

 

 

La chimica sta diventando sempre più green, pulita e competitiva. Forse un giorno riuscirà a fare dimenticare tutti i danni ecologici del passato.

Uno dei settori in cui si stanno facendo studi assai interessanti è quello dei polimeri, grande famiglia di composti chimici con moltissime particolarità individuali. All’interno della macrocategoria dei polimeri sindiotattici, sono molto promettenti i materiali conosciuti come “host-guest”, che hanno una struttura ordinata, con microcavità all’interno delle quali possono essere ospitati vari tipi di molecole, ad esempio molecole di acqua. Questa struttura regolare e microporosa è molto simile alla struttura delle zeoliti. Sono proprio i pori a renderli materiali speciali, perché, sotto forma di fibre, film, schiume o aerogel, riescono ad assorbire anche delle molecole organiche inquinanti (ad esempio, benzene, toluene, dicloroetano, etilene).

L’etilene, in particolare è il gas prodotto da frutti come mele, pere e kiwi, che maturano anche dopo essere stati raccolti. Se si riesce a rimuovere l’etilene, la loro vita sarà prolungata. Ecco quindi spianata la strada per l’impiego di questi materiali nel packaging alimentare di molti alimenti, che sfruttano le proprietà assorbenti dei polimeri con microcavità e permetto di ridurre gli sprechi in maniera ecocompatibile.

Venezia e l’Arsenale, luogo strategico della potente artiglieria veneziana!

Fonte:http://venezia.myblog.it/2014/04/16/1000058965/

Arsenale 1arsenaleL’Arsenale di Venezia, il più importante luogo  dove la Serenissima costruì la sua potenza sui mari , oltre che ospitare la costruzione delle navi, dei cordami e di tutto ciò che componeva la potenza navale di quella straordinaria Repubblica, era arsenale2anche la sede delle costruzioni  delle armi veneziane e delle rispettive munizioni.

Il reparto fonderia ed il reparto polveri furono tra i settori più importanti in seguito all’entrata in uso delle armi da fuoco.

ARTIGLIERIA VENEZIANA 1I veneziani usarono perla prima volta le artiglierie navali nel 1349 battendosi contro i genovesi presso Capo Alger (Sardegna): in terraferma usarono le artiglierie nel 1376 contro Leopoldo d’Austria, sotto la piazza di Quero (Treviso).

Nel 1390 furono trasferite nell’Arsenale le fonderie che prima erano nel “Getto” o “Ghetto”, la località del Sestiere di Cannaregio poi destinata a sede della comunità ebraica; le fonderie in bronzo furono sistemate nell’angolo meridionale, verso l’ingresso, mentre il reparto per la confezione delle polveri fu situato nell’angolo orientale verso il convento di S. Daniele.

Famiglia AlbeerghettiLe fonderie in bronzo rimasero sempre nello stesso luogo e furono dirette per venticinque generazioni dalla celebre famiglia degli Alberghetti, autori di veri capolavori dell’arte deella fusione. Quando nel 1660 entrarono in uso le artiglierie in ferro  si preferì far arrivare i cannoni direttamente dalle officine prossime alle miniere, nelle valli bresciane.

scoppioIl reparto polveri, per ovvi motivi di segretezza fu mantenuto costantemente nell’arsenale, anche se la pericolosità era oltremodo presente: il 14 marzo del 1509 vi fu uno scoppio ed un conseguente fortissimo incendio che danneggiò  anche il convento di S. Donato, adiacente a quell’area.

In seguito la parte pirotecnica venne spostata all’angolo opposto, vicino al convento della Celestia , ma il 15 settembre del 1539 un altro violento incendio distrusse i capannoni del reparto e il muro di cinta, danneggiando chiese e conventi vicini. Si decise allora di confezionare e conservare le polveri in luoghi isolati, come l’isola di S.Angelo Caotorta, della apppunto “della polvere” nei pressi di S. NIcolò del Lido.

isola della polvere 1All’interno dell’Arsenale rimasero quindi le fonderie , ampliate nel 1539, e i depositi di cannoni e munizioni: nelle sale d’armi costituite in sei ampi ambienti erano depositate le armi da taglio e da fuoco portatili; vi venivano organizzati anche banchetti in onore di ospiti illustri come Enrico III re di Francia nel 1574. Il parco delle artiglierie e delle bombarde , situato lungo la via “stradal campagna” era disposto con tanta arte da essere definito “giardino di ferro”: esso fu oggetto di ammirazione anche per visitatori stranieri, come Amelot de la Houssaye, che visitò lo’Arsenale nel 1677 e Charles de Brosses, che la visitò nel 1739 e che ne dettero una interessante descrizione.

artiglieria venezianaNel 1772 fu ordinato un “Museo dell’artiglieria” con i pezzi più antichi e pregevoli. Secondo la relazione di Costantino Veludo al momento della caduta della Repubblica esistevano depositate in Arsenale 5.293 bocche di fuoco, delle quali 2,518 in bronzo.

cannoniVenezia, la Serenissima orgogliosa, aperta al resto del mondo, all’avanguardia anche per quanto riguardava le armi, la sua artiglieria potente che le permise di diventare la Regina del Mediterraneo attinse all’ingegno dei suoi ingegneri, dei suoi lavoratori, della fedeltà estrema dei suoi arsenalotti e pose i suoi simboli sulle coste dell’Adriatico e delle sue isole, simboli che tutt’ora rimangono!