Ridurre al massimo il consumo di carta – qualche utile consiglio

Scritto da Nicoletta
Fonte: http://www.soloecologia.it/19012016/ridurre-al-massimo-il-consumo-di-carta-qualche-utile-consiglio/8355

risparmiare-carta

Se ognuno di noi si impegnasse nella vita quotidiana (sia domestica che lavorativa) sarebbe possibile una notevole riduzione del consumo di carta. A volte però è soltanto la conoscenza a fare la differenza: ecco perché anche dal piccolo delle nostre pagine ci permettiamo di fornire alcuni consigli illuminanti per cambiare le nostre abitudini di acquisto, di stampa e di smaltimento.

* Stampare documenti su carta solo quando è assolutamente necessario: oggi come oggi, con una opportuna scansione seguita da uno o più backup in locale o nel cloud, gli archivi possono diventare del tutto digitalizzati e assolutamente sicuri.

* Quando è proprio indispensabile usare carta e toner, stampare in modalità fronte-retro (scegliendo opportunamente anche la stampante in sede di acquisto). La stampante dovrebbe essere impostata con tale funzione per default, in maniera da evitare ogni dimenticanza.

* Cambiare le impostazioni dei file per la stampa in modo da sfruttare al massimo lo spazio, ad esempio riducendo i margini, diminuendo le dimensioni del font, restringendo le fotografie o riducendo la densità dei pixel. Alcuni caratteri, come il Times New Roma e l’Arial sono più efficienti di altri, nel senso che occupano una significativa percentuale di spazio in meno. Si possono addirittura usare caratteri True Type come Ecofont che, creando dei forellini invisibili nelle lettere digitate le mantengono leggibili riducendo di molto l’impiego del toner.

* Utilizzare le opzioni appropriate per l’invio di fax, eliminando la pagina di presentazione, in modo da indurre anche il ricevente a stampare meno.

* Usare lavagnette bianche per appunti e messaggi oppure il retro di fogli di carta già stampati invece dei pur comodi foglietti di carta colorata semi-adesivi.

* Nella scelta di un fornitore per stampa di materiale customizzato per l’azienda (carta intestata, volantini, biglietti da visita, cataloghi, pieghevoli, brochure e manifesti) optare per servizi eco-friendly come quelli della tipografia Flyeralarm, azienda tedesca che da tempo opera con la tecnologia di “stampa accumulativa” (Sammeldruckverfahren), speciale procedimento con il quale le emissioni di CO2 sono ridotte di oltre il 50%.

* In ogni tipo di negozio, laddove possibile, chiedere sempre confezioni o buste in carta riciclata: l’alta domanda contribuirà ad abbassare il prezzo di questi prodotti e ad aumentarne la produzione. Lo stesso vale per i servizi di stampa forniti da aziende esterne. Per la ricerca di cancelleria ecologica, fare riferimento ai siti di aziende come MansItalia.

* Lavorare attivamente anche presso le persone responsabili della gestione e delle scelte dell’ufficio, rammentando loro che risparmiare carta non è soltanto un modo per fare del bene all’ambiente ma anche per risparmiare parecchio denaro.

 

Fao, mucche e pecore le vedremo negli zoo. Razze a rischio estinzione

Fonte: http://www.diregiovani.it/2016/01/28/16209-fao-mucche-e-pecore-le-vedremo-negli-zoo-razze-a-rischio-estinzione.dg/

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ROMA – Pubblicato ieri il ‘Secondo Rapporto sullo Stato delle Risorse Genetiche Animali del mondo per l’Alimentazione e l’Agricoltura‘ curato dalla Fao. Uno studio accurato che mette in guardia sulle destino delle molte specie animali destinate all’alimentazione e a rischio estinzione. Circa il 17% (1.458) delle specie animali domestiche – scrive l’Organizzazione, sono a rischio di estinzione, mentre sullo stato di rischio di molte altre specie (58%) semplicemente non si sa molto a causa della mancanza di dati sulle dimensioni e sulla struttura delle loro popolazioni. Tra il 2000 e il 2014 si sono estinte quasi 100 razze di bestiame.

I dati per paese mostrano che la causa principale dell’erosione genetica sono gli incroci indiscriminati di razze. Altre comuni minacce alla diversità genetica animale sono il crescente utilizzo di razze non autoctone, politiche e istituzioni che regolano il settore zootecnico deboli, il declino dei tradizionali sistemi di produzione animale, e l’abbandono delle razze ritenute non sufficientemente competitive. L’Europa, con incluso il Caucaso, registra in termini assoluti il maggior numero di razze a rischio insieme al Nord-America. Entrambe le aree sono caratterizzate da industrie del bestiame altamente specializzate che tendono a utilizzare per la produzione solo un piccolo numero di razze.

Perché la biodiversità è importante

La diversità genetica, avverte la Fao, fornisce la materia prima agli agricoltori e ai pastori per migliorare le loro razze e riuscire ad adattare le popolazioni di bestiame ad ambienti ed esigenze in fase di cambiamento. “Per migliaia di anni, gli animali domestici, pecore, galline e cammelli, hanno contribuito direttamente ai mezzi di sussistenza e alla sicurezza alimentare di milioni di persone”, ha affermato il Direttore Generale della FAO, José Graziano da Silva, “Tra essi vi sono circa il 70% dei poveri rurali di oggi”. “La diversità genetica è un prerequisito per l’adattamento alle sfide future”, secondo il Direttore Generale, che ha aggiunto che il rapporto “sosterrà un rinnovato impegno per garantire che le risorse genetiche animali vengano utilizzate e sviluppate per promuovere la sicurezza alimentare globale, e rimanere disponibili per le generazioni future”.

Tra le sfide con cui si dovrà fare i conti, vi sono i cambiamenti climatici, l’emergere di malattie animali, una crescente pressione sulla terra e sulle risorse idriche, l’instabilità pecoradei mercati, tutti elementi che rendono più importante che mai garantire che le risorse genetiche animali siano preservate e impiegate in modo sostenibile. Attualmente, vengono utilizzati in agricoltura e nella produzione alimentare circa 38 specie e 8.774 razze diverse di uccelli e mammiferi domestici.

“I dati che abbiamo raccolto suggeriscono che c’è stato un miglioramento nel numero di razze a rischio rispetto alla prima valutazione”, spiega Beate Scherf, esperta di produzione animale presso la FAO e co-autrice del rapporto. “E i governi nell’insieme hanno sicuramente intensificato gli sforzi per fermare l’erosione genetica e gestire in modo più sostenibile le razze nazionali di bestiame”. Collaborazioni regionali come il nuovo Network Europeo di Banche Genetiche (Eugena) sono fondamentali per gestire e migliorare le razze in futuro e dovrebbero essere sostenute dalla conservazione in situ, nel loro habitat naturale, di animali vivi. La conservazione in situ riconosce anche il valore culturale e ambientale di mantenere in vita popolazioni di differenti razze animali.

Tuttavia se non ben pianificati, gli incroci possono non riuscire a migliorare in modo significativo la produttività e portare invece alla perdita di caratteristiche di pregio, come la capacità di far fronte a temperature estreme, a risorse idriche limitate, ad un’alimentazione di scarsa qualità, a pascoli su terreni accidentati, a altitudini elevate e ad altri aspetti difficili dell’ambiente di produzione. Al fine di gestire meglio la diversità del bestiame in futuro, le razze animali e il loro ambiente di produzione devono essere meglio descritti, secondo il rapporto, che fa notare che le risorse genetiche vanno spesso perdute quando una conoscenza limitata porta a far sì che certe razze vengano via via sottoutilizzate. Il rapporto, inoltre, raccomanda di incrementare la cooperazione internazionale al fine di sostenere il futuro della biodiversità animale.

Ricordando il Challenger

Scritto da: Giulia Bonelli
Fonte: http://www.media.inaf.it/2016/01/28/ricordando-il-challenger/

Il 28 gennaio 1986, pochi secondi dopo il decimo decollo, il tragico incidente che causava la morte dei sette membri dell’equipaggio. Ma del Programma “Space Shuttle” della NASA resta oggi una grande eredità

L'equipaggio della missione STS 51L tragicamente scomparso in seguito all'esplosione dello Space Shuttle Challenger, il 28 gennaio 1986. Da sinistra a destra: Christa McAuliffe e Gregory B. Jarvis (Payload Specialist), Judith A. Resnik (Mission Specialist), Francis R. Scobee (Comandante), Ronald E. McNair (Mission Specialist), Michael J. Smith (Pilota), Ellison S. Onizuka (Mission Specialist). Crediti: NASA

L’equipaggio della missione STS 51L tragicamente scomparso in seguito all’esplosione dello Space Shuttle
Challenger, il 28 gennaio 1986. Da sinistra a destra: Christa McAuliffe e Gregory B. Jarvis (Payload Specialist), Judith A. Resnik (Mission Specialist), Francis R. Scobee (Comandante), Ronald E. McNair (Mission Specialist), Michael J. Smith (Pilota), Ellison S. Onizuka (Mission Specialist). Crediti: NASA

La mattina del 28 gennaio 1986 la costa di Cape Canaveral, in Florida, è affollata di turisti, curiosi, appassionati. Migliaia di occhi, allineati lungo le strade,  sono puntati nella stessa direzione: la base di lancio del Kennedy Space Center da cui avverrà il lift-off.

All’accensione dei motori il silenzio è improvviso, ma dura pochissimi istanti: subito, mentre la sagoma maestosa del Challenger si alza verso il cielo per la decima volta, tra la folla si diffonde un gigantesco applauso. L’entusiasmo dura poco: 73 secondi dopo il lancio è già finito, il silenzio cala di nuovo, improvviso, sulle strade di Cape Canaveral. La tragedia, vissuta in mondovisione, è trasmessa in diretta dalla CNN.

Il Challenger, coinvolto in quella che sulle prime sembra un’esplosione (si scoprirà dopo che la dinamica dell’incidente fu più complessa) finisce in pezzi e i resti precipitano nell’oceano, sparpagliati in un’area vasta quasi 2mila km quadrati. Per i sette membri dell’equipaggio non c’è nulla da fare. E’ il primo incidente di questa portata per il programma spaziale americano dai tempi dell’Apollo 1 nel 1967.

Il decollo dello Space Shuttle Challenger nella sua prima missione. Crediti: NASA

Il decollo dello Space Shuttle Challenger nella sua prima missione. Crediti: NASA

Più tardi verrà appunto appurato che lo Shuttle, il cui lancio era stato rinviato più volte dal previsto 22 gennaio per una serie di inconvenienti tecnici concatenati al maltempo, non era davvero esploso. La prima causa del disastro fu il guasto a una guarnizione (O-ring) del segmento inferiore del razzo a propellente solido, che provocò la disintegrazione del serbatoio esterno dello shuttle. Questo a sua volta ha causato il distacco della cabina dell’equipaggio, mentre i due razzi SRB continuavano separatamente a ‘volare’.

L’aspetto più terribile, appurato solo in seguito, è che almeno qualche membro dell’equipaggio doveva essere ancora vivo e cosciente dopo la rottura dello shuttle: lo dimostra l’attivazione di tre delle sette riserve di ossigeno di emergenza dei caschi degli astronauti. Ciò che invece è stato sicuramente fatale è l’impatto della cabina con l’oceano, uno schianto avvenuto a circa 333 Km/h. La tragedia del Challenger segna una battuta d’arresto dello Space Shuttle Programme, che si ferma per oltre due anni.

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La Francia vende sei reattori all’India

Scritto da: Andrea Barolini
Fonte: http://www.valori.it/ambiente/la-francia-vende-sei-reattori-allindia-11610.html

nucleare

La Francia è il Paese che ha ospitato la Cop 21, dichiarando di volersi battere per l’ambiente. Eppure continua a produrre e a commerciare reattori nucleari. Uno di questi è in costruzione a Flamanville, in Normandia. Un altro a Olkiluoto, in Finlandia. Altri sono in cantiere in Cina e nel Regno Unito. E ieri i presidenti francese, François Hollande, e indiano, Narendra Modi, hanno fatto sapere di essere pronti a finalizzare un’intesa per la vendita di sei Epr che sarebbero installati a Jaitapur, nella costa occidentale della nazione asiatica.

I due leader hanno spiegato in una dichiarazione comune di aver chiesto alle aziende coinvolte di «concludere un accordo tecnico commerciale entro la fine del 2016». Il progetto è contestato a livello locale, ma nonostante ciò Nuova Delhi tira dritto, e con lei il costruttore transalpino Areva (qualche mese fa assorbito da Edf per risollevarlo da una pesante crisi finanziaria).

A dicembre del 2010 l’azienda francese aveva siglato un primo accordo con la compagnia indiana NPCIL, sull’acquisto di due reattori e con un’opzione per altri quattro.

 

Brasile: Indios Guarani sotto attacco

Fonte: http://www.salvaleforeste.it/popoli-indigeni/4127-brasile-attacco-agli-indios-guarani.html

Una comunità guarani sta subendo gravi attacchi nello stato del Mato Grosso do Sul, nel Brasile meridionale. Lo fa sapere Survival, secondo cui un gruppo di sicari al soldo degli allevatori locali è giunto in prossimità del villaggio con circa dieci furgoni, da cui sono partiti colpi di arma da fuoco. Gli sconosciuti avrebbero inoltre dato fuoco a diverse abitazioni. Secondo Survival, l’attacco sarebbe ancora in corso.

Una decina di giorni fa i Guarani avevano cercato di rioccupare una porzione del loro territorio ancestrale, e si pensa che questo attacco sia una ritorsione degli allevatori. Nonostante la costituzione brasiliana e la legge internazionale riconoscano il diritto dei popoli indigeni alla terra che hanno abitato per secoli, le comunità sono state derubate dei loro territori per fare spazio ad allevamenti e piantagioni. Spesso, nel tentativo di tenerli lontani dal territorio, gli allevatori assoldano dei sicari per attaccare i Guarani e uccidere i loro leader.

Proprio il 13 gennaio i Guarani hanno ricordato l’anniversario dell’assassinio del loro leader Marcos Veron, ucciso dagli allevatori a Takuara, la stessa comunità vittima dell’attacco in corso in questi giorni.

Le forze di sicurezza di frontiera (DOF) sono sul posto ma non sono ancora intervenute per impedire le violenze in quest’area, che i Guarani descrivono come una “zona di conflitto”. I Guarani accusano le forze DOF di sostenere gli allevatori. Ma il comportamento delle forze di sicurezza ha spinto il Capo della Commissione per i Diritti Umani del Congresso brasiliano a dire che la DOF “agisce come una forza di sicurezza privata… a fianco degli allevatori, per intimidire i leader [Guarani].” E ha aggiunto che “è assolutamente possibile risolvere il problema. Tutti ne dovrebbero parlare.”

“Chiediamo aiuto alle persone di tutto il mondo” ha detto il leader guarani Valdelice Veron. “Siamo qui nella nostra terra ancestrale e non ce ne andremo.”

Questa è solo l’ultimo episodio di una guerra intentata dagli allevatori contro i Guarani. L’imprenditoria agricola li sottopone a violenza genocida, a schiavitù e razzismo per rubare loro terre, risorse e forza lavoro.

Survival International, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, chiede la fine di queste violenze e il rispetto del diritto dei Guarani a vivere nella loro terra ancestrale. In questo modo gli indigeni potranno difendere le loro vite, proteggere le loro terre e determinare autonomamente il loro futuro.

Più si beve latte e più calcio si perde dalle ossa: parola del British Medical Journal

Scritto da: Marcello Pamio
Fonte: http://www.disinformazione.it/Latte3.htm

vacca

Non esiste alimento migliore. Il latte che sgorga dalle mammelle è da sempre raccomandato da medici e nutrizionisti per il fabbisogno proteico e soprattutto per l’apporto di calcio, minerale questo fondamentale per far crescere e mantenere in salute la struttura ossea.
Fin qui nulla da eccepire se si trattasse del latte di mamma e se le mammelle fossero di una bella madre e non di una vacca ingravidata artificialmente.
Questa premessa è obbligatoria perché ancora oggi c’è chi confonde le due cose. Si confonde il latte materno, vero e unico nutrimento basilare per il sano e corretto sviluppo del neonato d’uomo, con il latte di vacca, alimento predisposto esclusivamente per la crescita rapidissima dei vitelli.

Confusione questa assai pericolosa per la salute umana, ma ormai incarnata nell’inconscio collettivo per la gioia delle lobbies alimentari e farmaceutiche.
Per fortuna sempre più studi scientifici stanno evidenziando e sottolineando tale rischio, affermando che il latte vaccino non va bene per l’alimentazione umana.
L’ennesima ricerca arriva dalla svedese università di Uppsala è ed stata pubblicata su uno dei giornali scientifici più accreditati al mondo, il British Medical Journal.
Nello studio vengono presi in esame due grandi coorti composte da 61.433 donne (dai 39 ai 74 anni) e 45.339 uomini (dai 45 ai 79 anni), monitorati per ben 20 anni.

Durante il follow-up medio di 20 anni, 15.541 donne sono morte e 17.252 hanno avuto una frattura ossea, delle quali 4.259 all’anca. Per gli uomini in un follow-up medio di 11,2 anni, 10.112 sono morti e 5.066 hanno avuto una frattura, dei quali 1.116 all’anca.
Le conclusioni dello studio svedese non lasciano spazio a nessun dubbio: i ricercatori hanno scoperto che non solo non vi è stata alcuna riduzione delle fratture ossee nelle persone che hanno consumato latte, ma addirittura nelle donne il consumo stesso di latte è stato associato ad una maggiore probabilità di subire una frattura.
Le persone che hanno bevuto tre bicchieri o più di latte al giorno avevano il doppio delle probabilità di morire presto rispetto a chi ne aveva consumato meno di uno.

L’autore dello studio, il professor Karl Michaelsson, spiega che i loro risultati “possono mettere in dubbio la validità delle raccomandazioni su un consumo elevato di latte per prevenire le fratture da fragilità. Un maggior consumo di latte nelle donne e uomini non è accompagnato da un minor rischio di frattura. Invece può essere associato ad un più alto tasso di morte”.
Ma non ci hanno sempre detto che per prevenire l’osteoporosi bisogna bere tanto latte e mangiare tanti formaggi?
Questa cosa è risaputa da sempre in chi si occupa seriamente di nutrizione umana, mentre è ancora un’eresia da estirpare con ogni mezzo per coloro che studiano sui libri scritti dalle lobbies farmaceutiche e si basano sulle piramidi alimentari redatte dalle industrie alimentari!

A parte le sterili diatribe sul latte sì o latte no, i dati parlano chiaro: nei paesi maggiori consumatori di latte e latticini vi è il maggior numero di fratture ossee. E questo è un dato di fatto assodato.
Come si spiega? Come la mettiamo?

Semplicissimo: da una parte l’elevato contenuto del lattosio, lo zucchero del latte che crea un ambiente acidificante dato che a livello intestinale viene degradato ad acido lattico, e tale ambiente fa aumentare le infiammazioni e lo stress ossidativo. Condizioni queste alla base di un maggior rischio di mortalità e paradossalmente di fratture ossee.
Nella medesima ricerca tale associazione di rischio è stata osservata anche con l’assunzione dei derivati del latte come i formaggi, anche se in questo caso sono andati coi piedi di piombo per non andare a cozzare esageratamente contro interessi economici enormi (industria casearia).

E’ bene ricordare che il latte di un mammifero è specie-specifico quindi adatto e perfetto per il cucciolo di quella specie. Il latte di donna per esempio è perfetto per il neonato dell’uomo, la cui crescita è molto lenta, mentre il latte di vacca è perfetto per far crescere molto velocemente il vitello. Un neonato in sei mesi raggiunge il peso di circa 7/8 kg, mentre nello stesso periodo il vitello oltre 300 kg.
Quindi è normale che il latte vaccino contenga livelli spropositati di ormoni della crescita (estrogeni ma non solo), cosa che non ha il latte umano. Questo esubero di ormoni andrà a squilibrare in senso negativo la funzionalità delle ghiandole endocrine e tutto il delicatissimo asse ormonale umano (ipofisi, tiroide, seni, ovaie, testicoli, prostata, ecc.).

Altre ricerche hanno riscontrato che il latte delle vacche da allevamento intensivo (tutto il latte venduto nella grande distribuzione) contiene un ormone, l’estrone solfato, in maniera 33 volte superiore a quello delle vacche che producono latte normalmente.
L’estrone solfato è imputato di essere la causa di numerosi tumori ormono-sensibili: seno, prostata, testicoli e colon…

Un altro fattore imputato nei tumori al seno e alla prostata è l’Insulin-like Growth Factor (IGF-1). Questo ormone, isolato nel latte vaccino, è stato ritrovato a livelli plasmatici elevati nei soggetti che consumano regolarmente latticini. Altri principi nutritivi che aumenterebbero i livelli di IGF-I sono pure presenti nel latte vaccino.
La d.ssa Susan Hankinson di Harvard ha dimostrato che le donne sotto i 50 anni con i tassi di IGF-1 più elevati hanno un rischio 7 volte maggiore di contrarre il cancro al seno rispetto a donne con valori bassi. Stessa cosa per il cancro alla prostata, solo che in questo caso gli uomini con maggior IGF avevano un tasso di rischio fino a 9 volte maggiore.

Infine il latte vaccino è un alimento difficilmente digeribile e assimilabile per il nostro metabolismo in quanto sempre più spesso l’uomo è privo dei due enzimi basilari imputati a questo compito: la rennina e la lattasi.
L’intolleranza al lattosio colpisce il 95% dei soggetti asiatici, il 74% dei nativi americani, il 70% degli africani, il 53% dei messicani e il 15% dei caucasici. Non esiste al mondo una sostanza intollerante quanto il latte vaccino. Ci sarà un motivo oppure no?
Senza questi enzimi o con una loro carenza, le proteine e gli zuccheri del latte non sono correttamente digeribili e possono creare nel tempo seri problemi all’organismo (problemi gastro-intestinali, diarrea, flatulenza, morbo di crohn, ecc.).

La medicina naturale sa queste cose da sempre, mentre la medicina allopatica è ancora dell’idea che il latte vaccino sia l’alimento perfetto per l’essere umano, l’alimento che protegge le ossa dall’osteoporosi…
E questo anche se, come dice l’oncologo Franco Berrino, “non esiste un solo studio che abbia documentato che una dieta ricca di latticini in menopausa sia utile ad aumentare la densità ossea e a prevenire le fratture osteoporotiche”. Invece ciò che è risaputo è che “la frequenza di fratture in menopausa è tanto maggiore quanto è maggiore il consumo di carne e di latticini”.

Esattamente il contrario di quello che ci viene detto.
Beata ignoranza…

Lo studio è pubblicato nel sito ufficiale del British Medical Journal www.bmj.com/content/349/bmj.g6015

La settimana del non acquisto

Scritto da: Elena Tioli
Fonte: http://www.ilcambiamento.it/decrescita_felice/settimana_del_non_acquisto.html

Per chi volesse provare a mettersi alla prova (e che prova!) ecco un evento davvero curioso: la settimana del non acquisto. L’idea arriva da Stefania Rossini, la famosissima blogger esperta di autoproduzione, che ha voluto lanciare una sfida a tutti i suoi lettori: “una sfida contro noi stesse, una sfida pacifica e benefica, oltre che divertente – si legge sul suo blog naturalmentestefy.it – una sfida che consiste semplicemente nel non acquistare nulla da lunedì a domenica”.Perché farlo? Secondo Stefania i motivi sono tantissimi: “Non spendere permette di comprendere nel profondo molte alchimie che forse fino a oggi non abbiamo – spiega Stefania – per esempio quanto siamo dipendenti ai negozi e ai supermercati; quanto spendiamo settimanalmente senza nemmeno accorgercene; quanto abbiamo perso il fare da sé e la fantasia nell’inventare piatti con quello che si ha a disposizione; quanto cibo abbiamo stoccato in congelatore, frigorifero, dispensa e dentro ogni mobiletto; quanto potremmo risparmiare se ogni mese facessimo questo esperimento e quante ore in media potremmo lavorare di meno se utilizzassimo questo stratagemma; quanta spazzatura in meno potremmo fare e, infine, quanto soddisfazione potremmo provare nel riuscirci”.

Insomma i motivi non mancano e la determinazione neppure. Tante persone si sono già unite all’esperimento di Stefania e stanno contribuendo con consigli pratici al successo dell’evento. Leggendo i commenti pare proprio sia fattibile, del resto, come dice Stefania “se riesco a farlo io con un marito e tre figli possono farlo tutti!”.

Volete provare, dunque? Ebbene, rimboccatevi le maniche o forse sarebbe meglio dire…riponete il portafogli e date il via alla sfida. Vi accorgerete presto di quante cose si può fare a meno e quante cose possono essere autoprodotte. Ovviamente non si tratta di vivere così tutto l’anno, ma un inizio come questo potrebbe essere una sorta di “prima lezione” da tenere a mente per consumare in manoera più critica.

Raccontateci le vostre esperienze, i vostri tentativi, le vostre sfide. Scrivete a redazione@ilcambiamento.it

 

Gli zuccheri a dosi elevate fanno male e creano tumori

Scritto da: Graziano Fornaciari
Fonte: http://www.primapaginadiyvs.it/lo-zucchero-a-dosi-elevate-fa-male-e-crea-tumori/

zuccheroGli zuccheri sono sul banco degli imputati, sempre più spesso accusati di favorire l’insorgenza dei tumori, come riportato da uno studio pubblicato recentemente dai ricercatori del MD Anderson Cancer CenterUniversità del Texas, sulla rivista scientifica Cancer Research, in particolare dei tumori al seno e ai polmoni.

Gli zuccheri favoriscono i processi infiammatori e l’innalzamento dell’insulina, dovuto all’aumento degli zuccheri nel sangue (glicemia). Troppa insulina aumenta la produzione di testosterone nelle donne, inoltre tende a rafforzare le cellule cancerose, producendo una maggiore esposizione alla malattia.

L’eccessiva quantità di zuccheri favorisce l’obesità, con tutte le problematiche che sono la conseguenza di un regime alimentare non corretto. Secondo questa ricerca, anche un utilizzo esagerato di amidi e carboidrati raffinati, tende a favorire l’obesità, quindi sarebbero da limitare le farine 0 e 00, compreso il riso bianco (carboidrati raffinati).

Per quanto mi riguarda sono ormai diversi anni che sento parlare di questo rischio, per poi diminuire, a mia volta, drasticamente l’uso degli zuccheri e dei carboidrati raffinati. Nel tempo ho visto migliorare la mia salute, supportato da esami del sangue ineccepibili, con un aumento dell’energia a disposizione, esattamente il contrario rispetto a quando assimilavo zuccheri e carboidrati in maniera eccessiva.

In ogni caso, vale sempre il buon senso, informandosi per poi sperimentare, verificando sulla propria pelle i risultati. Bisogna ascoltarsi maggiormente, affinando la possibilità di discriminare, intuendo quali cibi possono essere adeguati o nocivi. Siamo tutti diversi, ma in ogni caso, non bisogna dare spago all’automatismo, cominciando ad essere presenti nella propria vita.

L’enigmatico monte Musinè

Fonte: http://tanogabo.com/lenigmatico-monte-musine/

Panoramica del Musinè dalla torre del castello Cays, Caselette (TO)

Panoramica del Musinè dalla torre del castello Cays, Caselette (TO)

Il monte Musinè, che in dialetto piemontese significa “asinello”, è posizionato a 20 km da Torino, sulla strada che porta verso la Val di Susa, e lo si può considerare come il primo contrafforte alpino.
Dalla forma vagamente piramidale, spoglio e inospitale nella parte superiore Musinè è il monte più misterioso d’Italia, un rilievo sinistro su cui nulla attecchisce, nulla riesce a crescere, tranne cespugli rinsecchiti, erbacce circondate da grovigli di vipere.

Vertice trigonometrico dell'IGM

Vertice trigonometrico dell’IGM

La croce di vetta, edificata nel 1900 e restaurata negli anni ’90. Dietro di essa possiamo trovare un semplice altare di pietra e, sulla destra, nel vero punto culminante del Musiné il vertice trigonometrico dell’IGM.

 

UN ENIGMA IRRISOLTO

Ecco le motivazioni per le quali viene annoverato fra i luoghi misteriosi e come ad esse rispondono la scienza e l’archeologia ufficiali:

1) Da sempre circolano voci di lupi mannari, di immagini spettrali che vagano nella penombra, di strani animali. Vi sarebbe una grotta maledetta nella quale, ogni 1° maggio, si darebbero appuntamento streghe, maghi, e licantropi per inneggiare alle forze del male.
Secondo alcuni scritti del ‘600 e ‘700 la vallata fu spesso percorsa da “musiche demoniache”, accompagnate da urla angosciose cariche di dolore.
Una antica leggenda vuole che il re Erode fosse esiliato su questa montagna, come punizione per la strage degli innocenti.

2) Secondo alcuni storici fu proprio in questa zona che in cielo apparvero a Costantino la croce fiammeggiante e la scritta “In Hoc Signo Vinces”, segni che convinsero l’imperatore a convertirsi al Cristianesimo.
I cosiddetti “Campi Taurinati”, di cui parlano le cronache dell’epoca, sembrerebbero coincidere con la zona pianeggiante di Grugliasco e Rivoli che separa Torino dal massiccio del Musinè.

3) Stando a quanto dichiarato da molti esoteristi il luogo sarebbe un gigantesco catalizzatore di energie benefiche.
Non dimentichiamoci che si troverebbe su una linea “ortogonica” (una di quelle che circondano la Terra come una ragnatela e che indicano zone di particolare concentrazione di energia) che, entrando dalla Francia, attraversa tutta la nostra penisola.
Secondo altri sarebbe addirittura una sorta di “finestra” aperta su un’altra dimensione.

4) Il sito amplificherebbe, nel momento in cui vi si sosta, le facoltà extrasensoriali che ognuno di noi avrebbe, ma che solo in particolari circostanze risultano evidenti.
Gli stessi rabdomanti hanno dichiarato che in prossimità del monte bacchette e pendolini si muoverebbero in modo molto più accentuato del normale.

5) Da sempre la zona è teatro di apparizioni di misteriosi bagliori azzurri, verdastri e fluorescenti.
Esse hanno fatto la loro comparsa fin dal lontano 966 d.c. All’epoca il vescovo Amicone si trovava in Val Susa per consacrare la chiesa di San Michele sul monte Pirchiano, di fronte al Musinè.
Durante la notte, in attesa dell’arrivo dell’alto prelato, i valligiani assistettero ad uno spettacolo affascinante ma pauroso al contempo: il cielo fu percorso da travi e globi di fuoco che illuminarono la chiesa come se fosse scoppiato un incendio.
Altre storie parlano di carri di fuoco che spesso sorvolavano la vetta.

6) Ai giorni nostri frequenti sono gli avvistamenti notturni e diurni di oggetti volanti non identificati.

7) Il monte, essendo un antico vulcano spento da millenni, è ricco di gallerie e passaggi irregolari scavati dallo scorrere dell’antico magma, in gran parte però inesplorati.

8) Ai piedi del Musinè esiste un “cono d’ombra” cioè una zona di interferenza che oscura qualsiasi trasmissione radio. Anche gli aerei privati che si trovano a sorvolare il luogo vengono disturbati nelle loro trasmissioni radio.
Questi problemi cessano nel momento in cui ci si allontana dalla montagna.

9) Appare strana la distribuzione della vegetazione, particolarmente ricca ai piedi del monte, ma che poi si dirada in modo quasi repentino col crescere dell’altitudine.
La Forestale ha inutilmente speso ingenti capitali per rimboscare la zona, nella quale le giovani piante sembrano morire una dopo l’altra.
La credenza popolare spiega il mistero con la processione continua di anime dannate che salgono e scendono il monte senza sosta.
Secondo una credenza un po’ più moderna sarebbero le emanazioni radioattive di una base segreta a produrre tale sterilità.

10) Le pendici sono ricche di d’incisioni rupestri e di pietroni disposti in modo forse rituale, testimonianze di un passato ancora ben da decifrare.
In un masso è raffigurata addirittura una giraffa africana, ma questi animali non vivevano in Piemonte, nemmeno nel neolitico.

11) La salita è costeggiata, in località Torre della Vigna, fra i 400 e i 900 metri, da una serie di strutture a forma di coppa, dette coppelle.
Queste sono disposte in maniera tale da formare delle mappe celesti.
Sono rappresentate la Croce del Nord, l’Orsa Maggiore, l’Orsa Minore, Cassiopea e le Pleiadi. In pratica c’è tutto l’emisfero boreale ma anche altre raffigurazioni non ancora identificate.
Suggestiva è la visione dalla vallata quando, riempite le cavità di combustibile e incendiate, la montagna si ricopre di tante piccole luci.

12) Il Musinè è sede anche di uno stranissimo obelisco che acquistò fama mondiale grazie ad un libro di Peter Kolosimo intitolato “Astronavi sulla preistoria”. Sulla superficie compaiono alcune croci che rappresentano probabilmente cinque persone, un cerchio in alto a sinistra con un punto al centro e due semicerchi tagliati nella parte inferiore che assomigliano in modo clamoroso ai moderni dischi volanti. Secondo lo scrittore sarebbe una sorta di rappresentazione delle evoluzioni di macchine aeree che furono viste in cielo dai nostri antichi progenitori.

13) Fra il 1973 e il 1978, anno in cui fu portata via, qualcuno collocò sulle pendici del monte una targa metallica inneggiante alla “fraternità universale fra tutti i popoli”. Il testo parla di “punti elettrodinamici”, di “entità astrali” ed indica dieci grandi personaggi del passato, da Cristo a Martin Luther King, indicandoli come esempi da seguire.
Il 7 ottobre del 1984 un gruppo di esoteristi ne ha fatto un’altra copia e l’ha ricollocata al suo posto. Questa nuova versione è in alluminio anodizzato ed è stata cementata alla base della grande croce che spicca sulla montagna.

14) La scienza e l’archeologia cosa rispondono a queste affermazioni?
Innanzitutto le luci nel cielo sono fulmini globulari (fenomeno comunque piuttosto raro) o fulmini tradizionali, attratti dagli spessi strati sottostanti, tutti permeati di magnetite (si sono però manifestate anche in assenza di temporali).
Non esiste una manifestazione a carattere ufologico maggiore che in altre zone d’Italia (è comunque presente, ed è poi difficile fare delle statistiche attendibili in questo campo perché le variabili sono molte, dalla disponibilità delle persone a parlarne alla qualità dell’indagine svolta da chi indaga sul fenomeno).
La luminosità sulle pendici del monte è dovuta alla presenza di “fuochi fatui”, come conseguenza di gas che ancora fuoriesce dall’interno della montagna (ancora dopo millenni, senza considerare che i “fuochi fatui” sono prodotti da materiale in decomposizione).
La presenza di un ambiente così ostile nella parte superiore del monte deriva dalla mancanza di fonti d’acqua nel sottosuolo (ma perché la diversificazione è così marcata? E perché questa insistenza, quasi irrazionale, delle autorità nel cercare di rimboschire la zona?).

L’obelisco o è un falso degli anni ’70, secondo alcuni (ma le prove?), oppure è una rappresentazione dell’alba e del tramonto con gli uomini in adorazione (mentre considerare come un immagine del sole il cerchio puntato al suo interno può essere corretto perché comune a molte civiltà preistoriche, vedere nei due semicerchi una sua raffigurazione nelle fasi di inizio e fine giornata è pura speculazione)..

Bibliografia:

A.A.A.: Tristan de Cunha, l’isola più remota del mondo, cerca contadini

Scritto da: Francesca Mancuso
Fonte : http://www.greenme.it/vivere/lavoro-e-ufficio/18979-tristan-da-cunha-isola-pacifico-contadini

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Ricordate lo sperduto isolotto dell’Atlantico Tristan da Cunha, noto perché lo scorso anno si era messo alla ricerca di un insegnanteSelezionato il professore, adesso l’isola ha bisogno di un consulente agricolo.

L’annuncio di lavoro sta già facendo il giro del web e fa gola a chi, stanco delle tasse e della vita stressante, sta pensando di cambiare vita, all’insegna del “mollo tutto e vado a vivere su un’isola deserta”.

Proprio deserta Tristan de Cunha non è: vanta infatti 265 abitanti. Un paradiso lontanissimo. Un’isola vulcanica difficile da raggiungere visto che si trova nel bel mezzo dell’Oceano Atlantico, a 2.431 km da Città del Capo e 3.415 km da Montevideo. Tristan appartiene infatti al territorio britannico d’oltremare di Sant’Elena, 2.172 km più a nord. L’isola spera di ridurre la sua dipendenza dalle importazioni alimentari per diventare autosufficiente.

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