Edgardo Sogno

Fonte: http://gnosis.aisi.gov.it/Gnosis/Rivista45.nsf/servnavig/12

MOTIVAZIONE
Medaglia d’Oro al Valor Militare

sogno

Spinto da generoso impulso, fin dall’8 settembre 1943 si schierava contro i nazifascisti. Attraversate le linee di combattimento, sollecitava di compiere una delicata e rischiosissima missione nel territorio italiano occupato dai tedeschi. Aviolanciato nelle retrovie nemiche, sfidava ogni rischio e in breve tempo dava vita a una complessa organizzazione clandestina di grande importanza militare e politica. Individuato e attivamente ricercato dalla polizia nemica, moltiplicava le sue energie e la sua attività contribuendo sensibilmente al potenziamento del movimento di liberazione dell’Italia Nord Occidentale. Due volte arrestato dai nazifascisti, riusciva a evadere e incurante dei pericoli sempre maggiori che lo minacciavano, riprendeva con rinnovato fervore la sua audace missione. Per scopi informativi e per accompagnare influenti membri del C.L.N.A.I., si portava tre volte nell’Italia liberata dopo audaci e fortunose vicissitudini. Caduto in mano nemica in drammatiche circostanze, nel generoso e disperato tentativo di salvare un influentissimo membro del Movimento di liberazione, pur conscio di essere irrevocabilmente perduto, manteneva l’abituale serenità e sopportava virilmente la prigionia ove lo colse il giorno della liberazione alla quale aveva tanto valorosamente contribuito.

Italia Nord Occidentale, settembre 1943-2 maggio 1945

Edgardo Sogno Rata del Vallino nasce a Torino il 29 dicembre 1915. Ricevuta dalla famiglia, di antica nobiltà piemontese, un’educazione esemplare, consegue tre lauree: in giurisprudenza, in scienze politiche e in lettere. Profondamente legato alla monarchia sabauda, l’armistizio dell’8 settembre 1943 lo sorprende a Torino, tenente in Nizza Cavalleria e lo induce a prendere le armi contro i tedeschi e contro i fascisti. Raggiunto il Comando Supremo italiano del mezzogiorno, è assegnato all’Ufficio Informazioni: viene quindi paracadutato nell’Italia del nord, dove svolge preziosa attività informativa e di organizzazione di bande partigiane, le cui imprese entrano nella leggenda. Basti rammentare la formazione Franchi, intitolata al proprio nome di battaglia. Ripete altre due volte il passaggio tra le due Italie e, alla fine, venne catturato. Tradotto a Verona, nel carcere delle SS, soltanto la conclusione della guerra lo salva da un tremendo destino. Mostra sempre un coraggio che sfiora l’incredibile, e non demerita il paragone con la romanzesca Primula Rossa: a comprova, non esita a travestirsi in vari modi, e persino da ufficiale tedesco, tentando, con un colpo di mano, di liberare Ferruccio Parri. La sortita non gli riesce per un soffio. Dopo una Medaglia d’Argento, viene decorato con quella d’Oro. Cessate le ostilità, entra nella diplomazia e, con diversi incarichi, è a Buenos Aires, a Parigi, a Londra, a Washington e, da ultimo, a Rangoon, in Birmania, come ambasciatore. Torna in Italia nel 1970. Ha svolto attività di scrittore e di giornalista: tra i suoi libri più noti ricordiamo Guerra senza bandiera (Rizzoli, 1948 e poi Mursia, 1970), La pietra e la polvere (Mursia, 1971), La seconda Repubblica (1974). Sogno muore nel 2000.

Rendi la Patria, Dio; rendi l’Italia… di Giampaolo Rugarli
All’incirca trent’anni fa, ero un giovane praticante nello studio dell’avvocato Antonio Pinto: così ebbi occasione di conoscerlo e di ammirarlo, sebbene non condividessi le sue idee. Non tutte. Lui era in un mare di guai e, purtroppo, finì addirittura al fresco… ma non è di questo che vorrei raccontare, le vicende di cronaca hanno scarso interesse, soprattutto quando il tempo s’incarica di collocare le cose nella giusta prospettiva. Vorrei parlare della Storia, con la ‘S’ maiuscola, e della Storia, Eddy, come lo chiamavano gli amici, era stato un protagonista. Sebbene avesse affidato la sua testimonianza a un libro, non gli dispiaceva ricordare, e io lo ascoltavo mentre rievocava il suo dramma di militare e di italiano. Aveva ventotto anni, allora. La Sua voce era sottile, garbata, ed era difficile immaginare che, con quella voce, avesse impartito ordini, raccomandazioni, rabbuffi. Eppure…
Quando – l’8 settembre del 1943 – giunse la notizia dell’armistizio, Eddy comprese subito che sarebbe stato lo sfacelo. Quello sfacelo, parecchi anni dopo, fu riassunto con ironica amarezza nel titolo di un film, diretto da Luigi Comencini e interpretato da Alberto Sordi: Tutti a casa. Lui non andò a casa. Indossava una divisa e, al termine di un viaggio avventuroso, giunse a Brindisi dove era il re e il comando supremo di un esercito a pezzi. Da radio Monaco tornò a farsi sentire Mussolini: «Camicie nere, italiani e italiane… mentre rivendichiamo in pieno le nostre responsabilità, vogliamo precisare quelle degli altri, a cominciare dal Capo dello Stato… È la stessa dinastia che, durante tutto il periodo di guerra, pur avendola il re dichiarata, è stata l’agente principale del disfattismo e della propaganda antitedesca… Sono ora più che mai convinto che casa Savoia ha voluto, preparato, organizzato anche nei minimi dettagli il colpo di Stato, complice ed esecutore Badoglio, complici taluni generali imbelli e imboscati e taluni invigliacchiti elementi del fascismo… Date queste condizioni, non è il regime che ha tradito la monarchia, ma è la monarchia che ha tradito il regime… ».
Era un discorso che non prometteva niente di buono. Roma, massacrata dalle bombe, aveva smesso di essere caput mundi. La capitale era stata trasferita a Brindisi, una volta porta dei viaggi verso il favoloso Oriente, e ora base militare di una guerra in cui il nostro ruolo si era capovolto. Lui, in attesa dei nuovi ordini, si aggirava tra le case dirute, tra le bancarelle miserabili e, sul volto della gente, leggeva non più che sgomento. Giungeva sino alla colonna e al moncone di colonna che segnavano il termine della via Appia, la strada seguita da Orazio per arrivare a Brindisi. E il poeta avrebbe raccontato in una satira il suo giocoso pellegrinaggio. Eddy si teneva compagnia con i ricordi di scuola e respirava nell’aria l’odore del mare: lo pungeva un pizzico di nostalgia per il profumo delle sue montagne. Più lieve, più arcano.
I nuovi ordini lo tolsero a Brindisi e lo portarono ad Algeri, a scuola di paracadutismo. C’era bisogno di un informatore che, al di là del fronte attestato tra Napoli e Roma, fornisse notizie sulle forze nemiche. Le forze nemiche adesso erano quelle tedesche, senza considerare il contingente militare che, al nord, stavano cercando di ricostituire. Quei soldati, quando lui li conobbe, gli ispirarono solo malinconia: non furono mandati a combattere ma furono impiegati in bassi servizi di polizia.
Il 5 dicembre del 1943 Eddy e altri vennero paracadutati nelle campagne del biellese. La data è singolare: Giovanni Battista Perasso, detto Balilla, in quel giorno del 1746 aveva dato il via alla rivolta dei genovesi contro gli austriaci e i fascisti di quel giorno ne avevano fatto una ricorrenza. Ma forse (lui soggiungeva con un sorriso) sarebbe stato meglio ricordare che il 5 dicembre 1791 era morto Mozart. Atterrò in una vigna. Era stata lanciata anche la radio che doveva essere strumento della sua attività di informatore, ma il prezioso apparecchio andò perduto. Lui non si scoraggiava: si disse che avrebbe cercato di sostituire la ricetrasmittente e che, nel mentre, avrebbe fatto la guerra ai tedeschi. La gente del posto lo aiutò: lo nascosero e lo seguirono nelle azioni di guerriglia. Lui fissò la sua base nel castello di Valdengo, nel vercellese. Di quei tempi una radio era ancora uno strumento rudimentale e, con un po’ di fortuna, si poteva provare a costruirne una. Alcuni volenterosi promisero di aiutarlo. La difficoltà più grossa da superare era il reperimento della galena, un minerale indispensabile per destare dal loro sonno le onde elettromagnetiche. Alla fine la galena saltò fuori, e un apparecchio piuttosto rozzo fu pronto. Era necessario il collaudo. Conveniva sperimentarlo all’aria aperta, per avere maggiori probabilità di successo: Eddy ordinò che si andasse molto lontano dall’abitato e che si operasse protetti dalle tenebre. Il mese di febbraio è rigido, tra Vercelli e Biella: e in più c’erano il freddo della notte e l’umidità della brughiera. Erano in quattro o cinque, e tutti battevano i denti.
Salì la luna. Finché era stata bassa sull’orizzonte, aveva sprigionato una modesta luminosità: era un grosso disco giallo che chiudeva il mondo. Ma, con il passare delle ore, il disco si era arrampicato in alto e, quello che aveva ceduto nelle dimensioni, lo aveva restituito nella luce: algida, bianca con venature di azzurro, acuminata (ogni raggio era una puntura di spillo). «Peggio che se fossimo di pieno giorno» Eddy commentò. «Sarebbe meglio chiudere bottega – suggerì il radiotelegrafista, un tipo prudente – e magari riprovare tra un paio di settimane. Stanotte è peggio che se fossimo nudi». «Nudi o vestiti – lui sbottò – nemmeno ci penso di riprovare tra un paio di settimane. Non c’è tempo da perdere». «Se ci beccano – protestò il radiotelegrafista – non abbiamo neppure il tempo di recitare una preghiera. Finiremo dritti dritti all’inferno». Eddy lo rimbeccò: «Sarà meglio che starcene qui a battere i denti. Basta con le chiacchiere, amico mio. Fa quello che devi, e vediamo se mi riesce di parlare con il Comando».
Non gli riuscì. La radio emise un sibilo, poi un ronzio, alla fine gracchiò meglio di un corvo. Non si sentiva altro. Tutt’a un tratto il trabiccolo tornò a fischiare: fortissimo, squarciò la notte, come se un transatlantico stesse per salpare dai gerbidi. Lui si incavolò, anzi si imbestialì. Prese a calci la radio, la distrusse. «Ne dovrai fabbricare un’altra – disse al radiotelegrafista – con più criterio. Non mi serve la sirena di una nave, mi basta parlare con il Comando». «Almeno lasciami recuperare la galena» brontolò il radiotelegrafista. Fortuna che i brigatisti giravano da un’altra parte, li comandava Tarcisio Cavaliere e non li portava mai al posto giusto. A tutti prometteva piombo nei denti, ma raramente manteneva i suoi propositi truculenti. Eddy e i suoi amici tornarono indisturbati ai loro rifugi. Quando provarono la seconda radio, era una notte illune. E faceva meno freddo.
Però i brigatisti erano di ronda, sempre più spesso. C’era stata una scaramuccia, e qualcuno ci aveva rimesso la pelle, da una parte e dall’altra. Ammazzarsi tra italiani era terribile, lui commentò. Purtroppo era una costante della storia patria giocare ai guelfi e ai ghibellini, magari al servizio degli stranieri… L’unità, voluta dal Risorgimento e dalla dinastia sabauda, non era ancora diventata sentimento comune, sentimento di tutti, e l’agonia della guerra rivelava orribili lacerazioni. I versi, scritti da Giosuè Carducci per celebrare il Piemonte, continuavano a essere maledettamente veri, sciaguratamente attuali: «Rendi la Patria, Dio; rendi l’ltalia agli italiani». Sì, era proprio così, c’era ancora da restituire la Patria agli italiani. O gli italiani alla Patria?
Eddy mi confessò di aver avuto tutto il tempo di affidarsi a queste e ad altre malinconie, in quella notte senza luna: i fascisti non si mostrarono, Tarcisio Cavaliere perlustrava in risaia, e la radio si associò al detto che il silenzio è d’oro. Non un sifolo, un sospiro. Se Eddy e i suoi compagni avessero preteso di dare voce a una tomba, avrebbero ottenuto un risultato migliore. Dopo una serie interminabile di inutili tentativi, il radiotelegrafista annunciò: «Non si sente niente». Lui replicò con stizza. Non gli capitava quasi mai di essere volgare, le parolacce non appartenevano al suo repertorio, doveva essere molto arrabbiato. «Insomma – domandò a brutto muso al radiotelegrafista – sei capace o non sei capace di costruire un apparecchio ricetrasmittente?». «Forse non sono capace» mormorò a capo basso il poveraccio. «D’accordo – Eddy dichiarò – le cose meglio saperle e non farsi illusioni. Andrò a Genova. A Genova c’è una installazione radio funzionante, e finalmente potrò comunicare». «A Genova?» esclamò il radiotelegrafista. «Come ci arriverai? Ti prenderanno appena ti metterai in viaggio… e t’ammazzeranno. Tu sei pazzo da legare». «Noi due siamo pazzi da legare – lui corresse – perché tu verrai con me… ». A Genova arrivarono tutti e due, indisturbati o quasi. Andarono in treno. Vi furono un paio di controlli, ma lui attaccò a parlare in tedesco e i brigatisti non osarono neppure domandare i documenti. «Che cosa c’era da dire, in tedesco?» volli sapere. «Avrei potuto brontolare qualsiasi scemenza – sorrise – tanto non capivano nulla di quello che sentivano… A intimidirli bastava la lingua teutonica: «Ich bin an solchen scharfen Geschmacke nicht gewohnt… ». Non sono abituato ai sapori così forti, abbaiai. Una cretinata da manuale di conversazione pratica. In effetti, se m’avessero beccato, i sapori sarebbero stati fortissimi: per fortuna credettero chi sa che, pensarono che fossi un ufficiale tedesco in borghese, e se ne andarono. Alla gioia dello scampato pericolo, si sommava il gusto dello scherzo».
A Genova la missione parve avere buon esito e fu stabilito il contatto radio con il Comando Alleato nel meridione. Purtroppo, a causa di una delazione, vennero arrestati prima a Torino e poi nella stessa Genova i dirigenti delle organizzazioni clandestine. Eddy in un primo tempo evitò miracolosamente la cattura, poi cadde nelle mani dei fascisti. Forzò le sbarre della prigione, fuggì, raccontò con malcelato orgoglio: «… sulle cantonate di Genova veniva pubblicato il mio ritratto, ricavato dai documenti sequestrati, con le generalità, i contrassegni e ventimila lire di premio a chiunque desse qualsiasi indicazione sul mio conto». La taglia fu poi elevata a centomila lire e a un milione.
Ho omesso molte vicende, molti aspetti non secondari, ho semplificato alcuni episodi e ho inventato quando era lecito inventare (chi volesse saperne di più, può leggere i suoi libri, specialmente Guerra senza bandiera): in realtà ne rievoco la figura non per le sue gesta, che fanno di lui un D’Artagnan fuori stagione, ma per le tremende, intime contraddizioni che lui e quelli della sua generazione furono chiamati ad affrontare e a risolvere. Il coraggio, con cui veniva guardato il sacrificio supremo, forse serviva a rendere bella e dignitosa la scelta del ribellismo contro il tedesco invasore (d’altro canto, la scelta opposta era farsi sgherri o quanto meno servi della Gestapo come era accaduto a Tarcisio Cavaliere), ma non cancellava la tragedia di un Paese che, nel volgere di pochi anni, era stato costretto a rinunciare ad ambizioni esagerate (e sbagliate) ed era stato ridotto a campo di battaglia dove combattevano eserciti stranieri.
I dirigenti, arrestati a Genova e a Torino, furono processati. Un processo serve o dovrebbe servire per cercare la verità, non per confermarne una precostituita. Vi furono condanne a morte, all’ergastolo e a pene detentive minori. Ma così accadeva non di rado. Vi fu persino un’assoluzione per insufficienza di prove. La varietà e la diversità delle sanzioni spolverava di legalità un sopruso. Il 5 aprile 1944 furono fucilati in sette: alcuni professionisti, un generale, un operaio. Lasciarono toccanti lettere di congedo dai loro cari e dalla vita. Il rito espiatorio – sulla falsariga di tanti altri processi-farsa – non intimidì e non spaventò nessuno, rese solo evidente l’odio che avvelenava la vasta parte d’Italia invasa dai tedeschi.
Eddy mi chiedeva se mi era mai capitato di vivere in un mondo avvolto dall’odio. Era una domanda retorica, lui sapeva che un’esperienza così non m’apparteneva e, senza aspettare la mia risposta, ricordava che al tempo della repubblica di Salò l’odio era diventato quasi tangibile. La gente era sempre più cupa. C’era poco da mangiare, l’elettricità era razionata, d’inverno mancava il carbone per riscaldarsi, e uscire di casa era sempre un rischio (la sera scattava il coprifuoco, e non si poteva allontanarsi dal proprio tetto), l’allegria era proibita per disposto di legge, era proibito ridere, cantare, ballare… Accadeva che ignari bambini, andando a scuola, inciampassero in un mucchio di cadaveri abbandonato per la strada ad ammonimento degli italiani: un cartello spiegava che quei morti erano vili banditi, trucidati perché colpevoli di aver rinnegato la Patria. Era una bella lezione, senza dubbio. E, di tempo in tempo, marciavano per le strade le legioni in camicia nera… Quei soldati sapevano di essere odiati, e odiavano a loro volta: in una spirale che si avvitava, suggerendo comportamenti sempre più feroci.
Eddy, rievocando quei terribili venti mesi, soffriva, ma lo tormentava anche un dubbio che non osava esprimere se non per allusioni, se non per mezze parole. Possibile che l’Italia del ventennio fosse passata senza lasciare alcun segno? Che fosse possibile ritornare, come se nulla fosse accaduto, all’epoca di Giolitti, quando disinteresse e merito venivano considerati il miglior programma di governo? Sì, scandali c’erano stati anche tra Otto e Novecento ma, nel piccolo mondo di allora, nessun pubblico rappresentante avrebbe osato confondere il proprio personale interesse con l’interesse di tutti. Era un mondo che faceva tutt’uno della forma e della sostanza: monarchia, nobiltà e cultura garantivano lo stile, ossia il modo di vivere degnamente. Questo fragile castello di carte adesso era in pericolo?
Eddy fu catturato ancora, e ancora scappò. Pochi giorni prima della cattura definitiva, quando a liberarlo provvide la fine della guerra, riapparve Tarcisio Cavaliere, in divisa da brigatista ma disarmato. Era molto in disordine, come se non avesse dormito o avesse percorso un lungo cammino. Era sporco, spettinato, lacero. Eddy lo accolse sorridendo: «Sei venuto ad arrestarmi?» «Sono venuto ad arruolarmi» rispose Tarcisio, «voglio essere partigiano anch’io». «Come sarebbe?» lui si stupì. «Girano brutte chiacchiere sul tuo conto e, se non mi ripugnasse la giustizia sommaria, dovrei scaricarti addosso il mitra». «Sbaglieresti» protestò Tarcisio «e sarebbe una bella cosa se tu non dessi ascolto alle chiacchiere. Di questi tempi è facile calunniare un galantuomo. La divisa io ho finto, perché così potevo essere meglio utile alla causa della democrazia e della libertà. Quanti ne ho salvati, di voi! E al tempo in cui, con o senza luna, collaudavi le tue scassatissime radio, chi credi che ti abbia salvato la ghirba? Meriterei una medaglia, e invece vengo trattato da traditore. Povera Italia, se questo è il futuro che si va preparando!».
Eddy detestava la violenza e il sangue e, benché Tarcisio non lo avesse convinto, ne tenne per buono il racconto. Lo arruolò tra i partigiani e si preoccupò che gli amici lo rifocillassero. Che gli facessero bere un bicchiere di vino. Pensò che, almeno su un punto, Tarcisio non aveva mentito: il futuro sarebbe stato molto difficile se la gente avesse cominciato a fingere di credere. Un brivido gli segnalò il suo smarrimento: aveva accolto tra i suoi un uomo che si accingeva a diventare un finto democratico. Quante altre conversioni vi sarebbero state a guerra finita?
Eddy fu fedele a se stesso sino in fondo o forse fu fedele a Ponson du TerraiI, il cui eroe, Rocambole, doveva aver acceso la sua fantasia di ragazzo. Ai primi di febbraio del 1945 si trasferì a Milano. Obiettivo: la liberazione di Ferruccio Parri. E quasi ci riuscì, ma purtroppo fu bloccato dalle SS che lo tradussero prima a San Vittore, poi a Verona dove fu detenuto in una cella sotterranea del loro comando generale. Il 23 aprile fu trasferito in un campo di prigionia, a Bolzano: scappò alla testa di un gruppo di internati politici e, passando per la Svizzera, tornò a Milano. Ma la guerra era finita, ed era finita la stagione della macchia, degli agguati, dei conflitti a fuoco, delle carceri, delle fughe, dell’avventura… Il passato delle poesie di Carducci e anche di Guido Gozzano non si sarebbe ripetuto, mai più; sarebbe iniziata una nuova epoca, i cui contorni si sarebbero precisati a poco a poco. Con il passare degli anni. La monarchia fu bandita e l’Italia volle essere una repubblica.
Per Eddy fu un epilogo doloroso, ma (mi confessò) ne aveva avuto il presagio a San Vittore: casualmente, aveva letto un articolo di tale Elio Solari, pubblicato l’8 aprile 1944 su Il Regime Fascista, il quotidiano di Roberto Farinacci. L’articolo lo aveva talmente impressionato che, pur vincendo l’intima repulsione, lo aveva espunto dal giornale e lo aveva conservato. Me lo mostrò e mi consentì di farne una copia. Non è il caso di trascriverlo nella sua interezza, tuttavia alcune battute meritano di essere citate: «Ho l’impressione che la stampa repubblicana sia ancora troppo longanime con Vittorio Savoia. Egli meritava la gogna cinese. Lo si è esposto soltanto a una berlina da ragazzi. Lo si è chiamato Spiombi e Bazzetta, alludendo a qualche sua menoma disgrazia fisica, che ha però ben altro riscontro nelle sue enormi, nelle sue mostruose magagne morali… Un giorno, senza dubbio, il suo testone di rachitico malvagio apparirà nei testi di criminologia: e si consulteranno le sue bozze craniche, i suoi zigomi anormali, le sue mascelle da cercopiteco, le sue gambette storte, come tante stimmate degenerative; e si concluderà che per lui… l’insensibilità morale, l’ingratitudine, la fellonia, e insieme la ferocia, l’avarizia, la supponenza caparbia e imbecille, sono derivate tutte, in primo luogo, dalle disgraziate condizioni corporali. Il sangue guasto ha determinato la vita immonda. S’è lasciato vivere un aborto di carne. E s’è avuto l’aborto di un destino… La sua doppiezza, la sua rinnegazione, la sua fuga, appartengono alla tragedia e non alla commedia. Centomila morti fremono nelle loro fosse; quaranta milioni di vivi soffrono sulla terra di cui egli ha tradito le sorti, dopo averne assunto, con tutti i diritti e tutti i benefici della corona, la responsabilità. Non una ma cento volte fucilabile, la berlina a cui oggi lo si mette è poco in confronto al plotone d’esecuzione che lo aspetta. Che tarda l’Italia repubblicana per dichiararne, oltre la decadenza del trono, la condanna a morte?… egli deve essere fulminato nella schiena. Né credo che l’Abbazia savoiarda, dove i Savoia sono sepolti, abbia mai a reclamare la sua salma. Coi suoi antenati, che conobbero la via dell’esilio, non quella del disonore, il nano fedifrago non ha da spartire neppure l’onore del sepolcro. Lo si getti, morto, nella fossa comune di un reclusorio».
L’Italia volle esser repubblicana e tuttavia non condannò a morte Vittorio Emanuele III. Che conobbe la via dell’esilio. Quanto al disonore, si affidò al giudizio della Storia. Morì alla fine del 1947. Non fu sepolto nella fossa comune di un reclusorio. Eddy sottolineava la violenza e la volgarità dei toni di Elio Solari, osservava che il re, pur avendo dato mediocre prova di se stesso, era comunque un simbolo del nostro passato, della nostra civiltà, delle nostre tradizioni. I simboli si discutono e, se occorre, si contestano, ma non si imbrattano. La prosa del gazzettiere segnalava che qualcosa di torbido stava per entrare nel costume: volgarità e vituperio in luogo del dialogo, prepotenza in luogo del rispetto, banalità in luogo della cultura. L’Italia era stata restituita agli italiani, offesa: non solo nelle sue case, nei suoi monumenti e nei suoi opifici colpiti dalle bombe (i morti erano stati poco meno di cinquecentomila, tra militari e civili), era stata ferita nella sua millenaria vicenda di maestra d’arte, di scienza, di sapere. Fu per queste ragioni che Eddy si allontanò dalla patria per la quale aveva combattuto: non si riconosceva nel presente, era un gentiluomo. Abbracciata la carriera diplomatica, per una ventina d’anni vagò per il mondo.
Ebbe fastidi giudiziari, al suo ritorno; ma ho già avvertito che questo capitolo è estraneo alla mia testimonianza. Aveva la cattiva abitudine di dire quello che pensava, era incapace di fingere: in altra epoca avrebbe dovuto affrontare un duello alla settimana. Tarcisio Cavaliere non lo sfidò, sebbene Eddy ne avesse riassunto il cursus honorum con pungente ironia. «Una stupenda carriera» dichiarò in una intervista. «Sindaco di Nonsodove, Presidente della Banca Nonsopiùquale, deputato, commissario governativo dell’Associazione Vessillo Tricolore… Non è vero che tutta l’Italia sia stata sconfitta nell’ultimo conflitto: Tarcisio Cavaliere ha vinto la guerra».

Vivere sostenibile: mille idee per una vita a basso impatto ambientale da Ecosost

Scritto da: Elena
Fonte: http://www.soloecologia.it/23022016/vivere-sostenibile-mille-idee-per-una-vita-a-basso-impatto-ambientale/8440

 

EcosostDalla strategie mondiali fino ai piccoli gesti che si compiono ogni giorno, scopri quali sono le ultime novità del “vivere a basso impatto ambientale”

Cosa vuol dire “vivere sostenibile”? Probabilmente è una domanda che si sono posti in molti soprattutto nel corso degli ultimi anni in cui le problematiche ambientali hanno manifestato con maggiore forza gli effetti devastanti provocati da una gestione irresponsabile delle risorse naturali. I cambiamenti climatici, i disastri ambientali e il progressivo impoverimento del Pianeta hanno infatti spinto tutte le potenze mondiali a collaborare, stabilendo nel corso della Conferenza Internazionale sul clima di Parigi, una strategia comune da adottare, con obiettivi precisi e tempistiche per raggiungerli.

Oltre all’intervento delle Istituzioni locali e l’attuazione di politiche ed interventi nazionali, per tutelare l’ambiente e imparare a vivere in modo sostenibile occorre impostare una strategia generale, che intervenga su ogni aspetto della nostra esistenza. Dalle soluzioni per la mobilità alla gestione dei rifiuti, dalle scelte alimentari fino all’utilizzo di soluzioni energetiche alternative come ad esempio le risorse rinnovabili.

Vivere sostenibile partendo dalla nostra casa

Per adottare uno stile di vita sano e quindi imparare a vivere in modo sostenibile è necessario partire dall’analisi delle nostre abitudini e stili di vita. La nostra abitazione potrebbe essere infatti il luogo in cui si manifestano maggiori sprechi e una gestione del tutto scorretta delle risorse energetiche. Per questo è importante valutare soluzioni energetiche alternative, come ad esempio gli impianti fotovoltaici, e magari abbinare delle tariffe convenienti e in linea con le proprie esigenze e stili di vita.

Infatti valutare le soluzioni e le proposte del mercato energetico, cercando il fornitore per l’energia elettrica più conveniente, potrebbe assicurare non solo una migliore gestione delle risorse ma anche un notevole risparmio economico. Già, perché vivere in modo sostenibile non garantisce solo una maggiore tutela dell’ambiente e delle sue risorse, ma porta anche numerose vantaggi per la salute dell’uomo e, perché no, anche alcuni effetti positivi per le sue finanze.

Vivere sostenibile: un progetto per essere sempre informati

Proprio la sostenibilità è il concetto chiave di un’interessante e nuovo progetto che ha già attirato l’attenzione di molti utenti e aziende. Si chiama Ecosost e rappresenta la prima grande community formata da aziende ed individui che vogliono vivere in modo sostenibile e cogliere al volo tutte le opportunità. Aderendo alla community si potranno conoscere tante interessanti soluzioni “a basso impatto” per mangiare, muoversi, fare acquisti e vivere una vita green a 360°.

Per conoscere tutte le soluzioni per vivere sostenibile basta solo iscriversi alla community, selezionare la propria posizione – geolocalizzarsi – e definire le categorie di interesse. Fatto questo primo passa sarà possibile conoscere tutte le EcoAziende più vicine, i loro prodotti e le promozioni del periodo e scoprire anche le opinioni degli utenti che hanno già sperimentato i loro servizi.

Inoltre, tutti gli iscritti potranno esprimere il loro giudizi sui servizi e prodotti offerti dalle aziende aderenti e contribuire a definire il livello EcoSost di un’azienda, un vero riconoscimento digitale che attesta l’impegno delle imprese e la loro adesione ai principi del vivere sostenibile. Inoltre, tutti i membri di Ecosost potranno interagire tra di loro, scambiarsi idee e suggerimenti e rafforzare il loro impegno per le difesa del Pianeta e delle sue risorse.

Pellizzetti: la guerra ai poveri ci ha reso tutti più poveri

Fonte: http://www.libreidee.org/2016/02/pellizzetti-la-guerra-ai-poveri-ci-ha-reso-tutti-piu-poveri/

In questi giorni nei telegiornali di tutte le reti si susseguono i bollettini medici di un crash economico che – a sentire gli speaker – parrebbe incomprensibile: gli istituti di credito a picco, da Banca Etruria a Deutsche Bank; il Pil italiano che si rattrappisce, mentre le locomotive mondiali, americane e cinesi, rallentano; l’inflazione sempre più lontana dall’auspicata soglia del 2% mentre il crollo delle materie prime non rianima produzioni e transazioni. Parrebbe si sia in presenza di un male oscuro che corrode la presunta cornucopia dell’economia globalizzata. Intanto l’ex sottosegretario di Stato Usa Larry Summers ci invita a predisporci a «una stagnazione di durata almeno secolare». Eppure la chiave interpretativa è sotto gli occhi di chi vuol vedere e ha il coraggio di riconoscere che questa catastrofe ce la siamo procurata con le nostre mani; grazie alle follie (criminali) perpetrate negli ultimi quattro decenni. I cui nodi velenosi stanno giungendo al pettine. Resta solo da appurare se di pazzia si tratta o di vera e propria criminalità economica.

Un esempio per tutti, di casa nostra: a partire dall’autunno 2014 i disoccupati sono già oltre 3 milioni, i giovani senza lavoro sfiorano il 45%, la base produttiva ha perso un quarto del suo potenziale, il Pil sceso di 10-11 punti rispetto all’anno prima della Pierfranco Pellizzetticrisi. Quindi il governo che fa? Si scatena per introdurre nella legislazione del lavoro nuove norme che facilitino il licenziamento! L’ennesimo episodio locale di una quarantennale vicenda mondializzata, in cui è iscritta la causa dei nostri mali: aver smarrito coscienza del significato di quel fenomeno che – per la prima volta nella storia dell’umanità – aveva diffuso ricchezza. Infatti, cos’è la rivoluzione industriale se non l’aver instaurato una produzione di massa, in una società di massa che accede al consumo di massa?

Lo aveva capito benissimo Henry Ford, quando aumentava la paga ai suoi operai perché diventassero i primi acquirenti della Ford modello “T”, da loro stessi prodotto. La guerra dei ricchi contro i poveri, scatenata dalla controrivoluzione NeoLib a partire dagli anni ‘70, ha rotto questo felice equilibrio: l’impoverimento di sempre più larghi strati di cittadini ha contratto le moltitudini di consumatori in grado di far girare la megamacchina produttiva con i loro acquisti. E il sogno del privilegio finanziarizzato (il cosiddetto 1%) di rifugiarsi nel virtuale si è infranto contro gli scogli delle dure repliche del mondo reale. Ricordo sommessamente di aver avanzato questa Zygmunt Baumantesi già l’anno scorso, in un saggio editato dal Saggiatore (“Società o barbarie”): il capitalismo sta tagliando il ramo su cui è appollaiato con la distruzione delle dinamiche inclusive che lo sostenevano.

L’anno prima era stato Thomas Piketty, con il suo bestseller “Il Capitale nel XXI secolo”, ad avvisarci che «a partire dagli anni settanta le disuguaglianze all’interno dei paesi ricchi si sono di nuovo accentuate». E prima di lui Zygmunt Bauman: «I vecchi ricchi avevano bisogno dei poveri per diventare e restare ricchi…i nuovi ricchi non hanno più bisogno dei poveri» (“Dentro la globalizzazione”). Follia criminale pure suicida: la lotta ai lavoratori e la spremitura dei meno abbienti per allocare la ricchezza ai vertici della piramide sociale, ha mandato in frantumi il meccanismo che la creava. Quanto ci ha appena spiegato Luciano Gallino con il suo libro postumo per Einaudi (“Il denaro, il debito, la doppia crisi”) parlando di “crollo tendenziale della domanda aggregata”: «Qualcuno dovrebbe spiegare a Mario Draghi che se le imprese non investono non lo fanno certo perché gli interessi sui prestiti sono elevati, ma perché non sanno a chi potrebbero vendere quello che nel caso produrrebbero». In fondo Joseph Schumpeter, uno dei più grandi economisti del ‘900, lo aveva annunciato: il capitalismo finirà per autocombustione. Ma la prospettiva non è certo incoraggiante, appurato che siamo nelle mani di pazzi suicidi.

(Pierfranco Pellizzetti, “La guerra ai poveri ci ha reso tutti più poveri”, da “Micromega” del 14 febbraio 2016).

Tregua in Siria, ma la guerra (anche diplomatica) continua. Il Piano B di Kerry

Scritto da: Umberto Mazzantini
Fonte: http://www.greenreport.it/news/energia/tregua-in-siria-ma-la-guerra-anche-diplomatica-continua-il-piano-b-di-kerry/

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Intervenendo oggi  alla conferenza “Medio Oriente: Dalla violenza alla sicurezza” organizzata dal Club Valdai, Mikhail Bogdanov, inviato speciale del Cremlino per il Medio Oriente e l’Africa e vice ministro degli esteri, ha detto che «Prima di mezzogiorno del 26 febbraio tutte le parti in conflitto in Siria devono confermare ai noi e ai partner americani il loro impegno a rispettare il cessate il fuoco. I militari russi e americani tracceranno insieme sulle mappe le aree in cui si trovano questi gruppi. Contro di loro non verranno lanciate operazioni né dall’esercito di Damasco, né dell’Aviazione russa, né dalla coalizione degli Stati Uniti». La tregua sulla quale si sono accordati Usa e Russia dovrebbe iniziare il 27 febbraio e non riguarderà lo Stato Islamico/Daesh e Al-Nusra, la filiale siriana di Al Qaeda e altre formazioni considerate terroristiche dall’Onu ma che in questi anni sono state sostenute da Arabia Saudita, Qatar e Turchia.

La prima risposta positiva è venuta dall’opposizione siriana che ha confermato la sua volontà di rispettare il cessate il fuoco temporaneo. In un comunicato letto da un giornalista di  Al Arabiya, il Comitato supremo di negoziazione dell’opposizione siriana «ritiene che un preliminare cessate il fuoco dalla durata di 2 settimane darà l’opportunità all’altra parte di confermare la serietà delle loro intenzioni». Invece, quella che RIA Novosti definisce  una fonte di alto livello dell’Esercito Libero Siriano, il braccio Armato dell’opposizione fiolo-occidentale  siriana  ha detto che «non è stata ancora presa una decisione in merito al rispetto della tregua».

Il vice ministro degli Esteri siriano Faisal Miqdad aveva già annunciato che Damasco, «dopo approfondite consultazioni con i nostri amici russi ha deciso di fermare i combattimenti conformemente all’accordo tra Federazione Russa e Stati Uniti».

Il segretario di Stato Usa, intervenendo al Senato, ha rivelato quale sarebbe il “Piano B” Usa nel caso del fallimento della tregua: oltre alla sostituzione di Bashir al Assad, verrebbe creata una zona di sicurezza nel nord della Siria, in gran parte già liberato dalle milizie progressiste Kurde del Rojava e dai loro alleati. Questa zona cuscinetto, che dovrebbe servire anche a proteggere  i rifugiati,  è chiesta a gran voce anche da numerosi repubblicani, compreso l’attuale vincitore delle primarie presidenziali  Donald Trump. Ma secondo Kerry la realizzazione del “Pian B” sarebbe problematica: oltre agli aerei gli americani dovrebbero dispiegare anche delle forze terrestri in un’area dove rischiano di non capire più nemmeno chi sia il nemico. «Secondo le stime del Pentagono, la creazione di una zona di sicurezza che sia affettivamente operative necessita da 15.000 a 30.000 militari. Siamo pronti a sacrificare tanta gente a questi fini?»,  ha chiesto Kerry ai senatori Usa, aggiungendo che Washington sta analizzando altri scenari, nell’eventualità che il cessate il fuoco non venga rispettato».

Le dichiarazioni del segretario di Stato Usa sono state condannate dal ministero degli esteri siriano: «Le proposte di Kerry sono contrarie alla realtà e puntano a ingannare l’opinione pubblica per dissimulare la responsabilità del suo Paese nei crimini commessi in Siria. Sostenendo il terrorismo, gli Usa e i loro alleati e i loro strumenti nella regione sono tutti responsabili della comparsa e del proseguimento della crisi in Siria».

Intanto, sul terreno, le forze del regime di Bashir al Assad continuano ad avanzare: una fonte dell’esercito siriano ha detto a Rossiya Segodnya  che «Le unità governative, appoggiate da delle milizie, sono riuscite a liberare dal Daech la città di Khanasser»,  che era caduta nelle mani dei jihadisti, che così avevano interrotto la sola strada che porta ad Aleppo e che permetteva il rifornimento della popolazione e  delle truppe fedeli ad Assad. I combattimenti per questa zona strategica duravano da giorni e l’offensiva dell’esercito siriano è stata sostenuta dall’artiglieria e dai bombardieri russi . I siriani dicono che attualmente la circolazione sulla strada tra Khanasser e Aleppo non è ancora ripresa oerxchè si teme un contrattacco dello Stato Islamico. Secondo i militari siriani, il Daesh, interrompendo questa via di rifornimento ad Aleppo, sta cercando di rallentare l’offensiva dell’esercito e dei kurdi sia a nord della provincia di Aleppo che ad ovest, verso la “capitale” dello Stato Islamico Raqqa.

Di fronte al cessate il fuoco e ai successi sul terreno di siriani, russi e kurdi, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan sembra aver rinunciato alla annunciata invasone del Rojava e intervenendo a una riunione dei governatori  delle amministrazioni locali ad Ankara, ha detto che La Turchia non è un nemica dei russi. Per un Paese che accoglie 4 milioni di turisti provenienti dalla Russia all’anno è impossibile. Il nostro scambio commerciale aveva raggiunto i 35 miliardi di dollari e avremmo voluto portare questa cifra a 100 miliardi. E’ un peccato che la Russia per 2 piloti abbia perso un amico come la Turchia. Spero che le misure adottate per normalizzare i rapporti porteranno ad un risultato positivo». Ma poi Erdoğan ha ribadito che quando si parla dell’indipendenza della Turchia «non si inchina ai capricci di nessuno» e ha di nuovo accusato l’Aviazione russa di violare lo spazio aereo della Turchia, sorvolando sul fatto che la Turchia fa la stessa cosa quotidianamente in Siria, Iraq e Grecia.

Secco il commento su Facebook della portavoce  del ministero degli esteri russo, Maria Zakharova, «I media riportano le parole di Erdogan: “E’ un peccato che la Russia abbia perso un amico come la Turchia per 2 piloti”. Ora mettiamo le parole nell’ordine in cui dovrebbero essere: “La Russia ha perso due piloti per la Turchia”».

I media russi riportano con grande evidenza anche un sondaggio condotto da  IFop secondo il quale «Il 72% dei francesi ritiene che la Turchia chiuda gli occhi di fronte all’attività della malavita che commercia il petrolio dell’ISIS» e un altro sondaggio IFop  che rivela che la Turchia acquista il petrolio dell’ISIS per la maggioranza dei tedeschi (52%), mentre il 38% degli americani ed il 41% dei britannici è d’accordo nel ritenere che l’acquisto di petrolio dell’ISIS avvenga col placet delle autorità turche.  Con la frase “La Turchia combatte attivamente i gruppi terroristici come l’ISIS”, il 59% dei francesi si è detto non d’accordo, mentre in Germania il 36% degli intervistati si è detto d’accordo, a fronte di un 28% di contrari. In Gran Bretagna la percentuale si è divisa equamente, 23% a 23%, mentre negli Usa un terzo degli intervistati (30%) è d’accordo con l’affermazione».

I traffici tra Stato Islamico/Daesh e Turchia vengono confermati dal  rapporto “Tracing the supply of components used in Islamic State IEDs – Evidence from a 20-month investigation in Iraq and Syria” dell’Ong Britannica Conflict Armament Research, che afferma che I miliziani neri del Daesh si approvvigionano dei component che servono a fabbricare esplosivi in Tuirchia e in Iraq. Il traffic riguarda in particolare detonatori e sostanze chimiche.

Il rapporto spiega che «La prossimità è la principale ragione per la quale la filiera di approvvigionamento del  Daesh di prodotti che servono a fabbricare degli esplosivi proviene dall’Iraq e dalla Turchia. Questi due Paesi possiedono un’agricoltura e un’industria mineraria ben sviluppate che utilizzano le materie chimiche richieste».

Ma Conflict Armament Research denuncia anche che I jihadisti comprano component per le loro bombe in ben 20 Paesi, compresi Stati Uniti, Cina, Brasile e Giappone, India e perfino in Russia e Iran, loro mortali nemici. Va detto che spesso le imprese che commercializzano questi prodotti ignorano la loro destinazione finale, perché il Daesh si avvale della lunga e opaca catena di distribuzione dei componenti per fabbricare le bombe.

Gli autori del rapporto, hanno analizzato l’origine di oltre 700 componenti scoperti in alcune fabbriche di esplosivi del Daesh e anche in bombe non esplose e hanno così capito che quello più utilizzato, il nitrato di ammonio. viene comprato in Turchia e in Iraq e che, di solito, i tagliagole dl Daesh utilizzano un telefono cellulare Nokia 105 per azionare l’esplosivo a distanza.

Usa, pioggia nera su una città del Michigan

Fonte: http://www.ilnavigatorecurioso.it/2016/02/21/usa-pioggia-nera-su-una-citta-del-michigan/

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Le strade di una cittadina americana sono state tappezzate da una sostanza simile al catrame caduta dal cielo.

Domenica 14 febbraio, gli abitanti di Harrison Township, nel Michigan, hanno ricevuto una strana sorpresa: le strade, le macchine e le case della loro cittadina erano ricoperte da gocce di pioggia nera.

Tempeste e particolari condizioni atmosferiche possono causare “cadute bibliche” che celano sempre spiegazioni scientifiche, come nel caso dei ragni piovuti in Australia o dei mostri acquatici precipitati in Alaska.

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In questo caso si è però trattato di un temporale a ciel sereno: l’assenza di nubi e il vento moderato (29 chilometri orari) non facevano infatti presagire la necessità di un ombrello.

La misteriosa sostanza nera ed oleosa presenta affinità con escrementi di uccello, e per consistenza e colore simile al catrame, è sicuramente caduta dal cielo, ma dopo cinque giorni non è ancora chiaro di cosa si tratti né da cosa provenga.

Secondo l’emittente televisiva WXYZ, che è andata sul posto ad indagare, la pioggia non avrebbe origine animale né sarebbe infiammabile.

I residenti hanno subito pensato a una sostanza scaricata da un aereo, data la vicinanza della base aerea militare di Selfridge, ma i responsabili dell’areonautica hanno subito fatto sapere che nessun apparecchio militare è volato sopra la città nei giorni in questione.

Una seconda ipotesi tira in ballo il lascito di uno stormo di pennuti, sebbene il volume massiccio dello scroscio sia, secondo alcuni esperti, un motivo sufficiente per scartare l’origine animale. Il mistero dovrebbe comunque essere presto risolto, non appena verranno resi pubblici i risultati delle analisi in corso

L’analogico non vuole morire: perché suoniamo ancora i dischi in vinile?

Scritto da: Marco Milano
Fonte: http://oggiscienza.it/2016/02/23/vinile-analogico-digitale-tecnologia/

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Che si tratti di musica o di lettura, quando scegliamo una tecnologia non ci affidiamo solo al supporto che ha la performance migliore

COSTUME E SOCIETÀ –Torna il disco di vinile”, “La più grande riscossa del rock”. Si perde il conto dei proclami e i record pubblicati negli ultimi anni sulle vendite miracolose di un oggetto dato per morto già a fine anni Ottanta: il disco in vinile.

Sebbene non sia mai realmente uscita del tutto dal mercato, questa tecnologia ha iniziato a ricomparire sulle scene a inizio anni Duemila, anche grazie a film come Almost Famous e più di recente a serie televisive dal titolo inequivocabile., come Vinyl, che vede tra i suoi creatori Mick Jagger e Martin Scorsese. Quello che inizialmente sembrava un prevedibile ritorno di fiamma di nostalgici e appassionati vintage dopo l’esplosione dei compact disc e dei lettori laser, una sorta di versione rock della comunità Hamish rinunciataria delle moderne tecnologie, si è rivelato col tempo un fenomeno ben più ampio. Tra chi suggerisce che le statistiche di vendita vadano lette con più attenzione, mentre nel frattempo si riaccendono le macchine che producono e stampano vinile, continua ad alimentarsi un dibattito che, a ben vedere, ha anche a che fare con il nostro rapporto con la tecnologia: è meglio ascoltare musica in analogico o in digitale?

L’annosa questione nasconde in realtà una battaglia ideologica tra armate musicali partita già a metà anni Ottanta, quando i CD iniziarono a battere i vecchi vinili (e le musicassette) per economicità, praticità, e un’apparente, allora, indistruttibilità. “Il dibattito analogico-digitale sembra essere inutile”, titolava il New York Times nel 1986, e a quanto pare i nodi della questione iniziavano a delinearsi, e forse erano abbastanza chiari, già all’epoca. Complici i nuovi, altalenanti record di vendita, negli ultimi anni sono stati di nuovo tanti i tentativi per capire le ragioni di questo fenomeno, che segnala la voglia di non rinunciare a una tecnologia datata, ma evidentemente non paragonabile alle altre soluzioni, se non addirittura non sostituibile.
Ma tra miti vintage e tecnologia pratica, chi suona meglio?

Una questione di percezione (materiale)

La questione interessa altri prodotti della stessa filiera tecnologica audio-video – si parla infatti anche di ritorno delle musicasette e delle VHS – e in tempi recenti ci sono state altre interessanti varianti di questa particolare affezione a mezzi a rischio estinzione, prime fra tutte forse il confrontro libro-ebook, per il quale sono stati spesi fiumi di inchiostro, reale e digitale.
Il centro di questo dibattito si è collocato su un piano analogo a quello musicale, suscitando le preoccupazioni di una platea di operatori e protagonisti dell’editoria probabilmente più vasta e variegata di quella del disco: l’ebook soppianterà il libro? Finora, i dati disponibili suggeriscono di no, i due mezzi sembrano piuttosto complementari.

Infatti, mentre le vendite gli ereader hanno coltivato un loro spazio piuttosto improtante nel mercato editoriale, il pubblico continua a non rinunciare al libro, anzi a rifiutare l’ebook in determinate circostanze. Perchè questa contraddizione? Secondo alcuni studi sull’impatto delle nuove tecnologie e l’accettazione delle innovazioni, tra libro ed ebook si registra una differenza di attitudine al mezzo, tendenzialmente inconsapevole ma abbastanza definita, preferendo il primo per esigenze di apprendimento, che nella lettura elettronica viene rallentata anche da un maggiore consumo di energie.

Nella scelta di un mezzo materiale,  si attivano cioè anche componenti soggettive, dovute a un forte grado di “fisicità” che abbiamo con gli oggetti che ci supportano in determinate azioni, come spiega la psicologa e cognitiva Maryanne Wolf della Tufts University nel suo libro “Proust e il Calamaro. Storia e scienza del cervello che legge“. Questo è vero particolarmente per il libro, spiega Wolf, a cui riconosciamo un importante ruolo educativo, ma si può riscontrare anche in dimensioni più ‘ricreative’ come appunto la musica.

Ricerche simili a quelle condotte sui lettori infatti, hanno registrato dati che confermano il comportamento physically-driven anche negli ascoltatori. Per investigare le diverse attitudini con le tecnologie audio, il Dipartimento di Musica della Georgia Southern University e la Audio Engeneering Society, per esempio, hanno condotto alcuni studi in doppio cieco,  dimostrando che in assenza di riferimenti gli ascoltatori, soprattutto adolescenti, tendono a preferire formati con performance sonore oggettivamente più pulite. Se posti tuttavia di fronte a una scelta senza il filtro dell’ascolto, la decisione prende altre strade, con la guida dell’esperienza e del gusto soggettivo.

Insomma, un’analisi più approfondita dei mezzi suggerisce che il vinile non è in assoluto superiore ai supporti digitali, e viceversa, ma che si tratta di mezzi diversi con performance diverse, che impariamo a conoscere col tempo. A conferma del ruolo fondamentale che ha la dimensione materiale del vinile – e del supporto in genere – possiamo cercare una chiave di lettura di questo fenomeno proprio nella velocità di crescita del mercato digitale: che il formato .mp3 avrebbe raggiunto una posizione di vantaggio anche sul CD era un risultato molto probabilmente prevedibile, ma questo ulteriore passaggio di testimone, oltre a rivoluzionare l’ascolto, ha di fatto negato la possibilità di possedere e gestire un mezzo tangibile e organizzare fisicamente un archivio.

 

PARANORMALE

Scritto da: Michele Morettini
Fonte: http://www.daltramontoallalba.it/paranormale/index.htm

Paranormale. Parola spesso abusata. Tutti sono in grado di rispondere alla domanda: “Cos’è il paranormale?”… almeno senza pensarci. La risposta che tutti darebbero è: “Il Paranormale è tutto ciò che non è normale”. Perfetto. La risposta è talmente sensata da non aver affatto senso. Infatti la domanda che immediatamente nasce è “Ma allora che cos’è il Normale?”. A questa domanda molto pochi sanno dare una risposta sensata.

Proviamo quindi a cercare la soluzione nel vocabolario. Cerchiamo “Paranormale” nel Dizionario “De Mauro” che cita testualmente:

1 – med:, di fenomeno, che non rientra pienamente nella normalità pur non essendo anomalo;

2 – parapsic., di fenomeno, esperienza, conoscenza, non spiegabile in base alle normali forme di percezione sensoriale e non riconducibile a leggi fisiche o a criteri scientifici propri della psicologia e della psichiatria – tutto ciò che non rientra nei fenomeni fisici e psichici normali.

La prima definizione dice tutto e non dice nulla. Come può un fenomeno non rientrare nella normalità e non essere però anomalo? La seconda definizione invece rispecchia maggiormente un tentativo di spiegazione. Ma, come si può intuire, il testo tenta di dare una spiegazione al Paranormale analizzando ciò che invece è il significato opposto di Normale. Se poi leggiamo la conclusione del testo ci accorgiamo che addirittura il Dizionario della Lingua Italiana da le stesse risposte che ognuno di noi darebbe a questa domanda, come testè riportato all’inizio di questa prefazione (tutto ciò che non rientra nei fenomeni fisici e psichici normali). A questo punto ci accorgiamo che per dare una risposta significativa alla domanda “Cos’è il Paranormale?” dobbiamo innanzitutto cercare la risposta alla domanda “Che cos’è il Normale?”. Poniamoci questa domanda e scopriremo che è ben più impegnativa della precedente. Cercando sempre nel Dizionario scopriamo che la parola “Normale” ha circa 16 definizioni differenti. Escludendo le definizioni a carattere tecnico, possiamo riportare quelle nel nostro caso più significative. Leggiamo la prima di esse: “2:, di qualcuno sano di mente, non stravagante: persona n., quell’uomo non è n.” Beh… questa frase si commenta da sola…Leggiamo la seconda definizione: “2a agg., consueto, usuale, ordinario; non caratterizzato da eventi eccezionali”. Quindi Normale è consueto, usuale, ordinario…

ma queste cose sono molto soggettive: le consuetudini di ognuno sono personali e quindi non possono essere generalizzate. Ma noi abbiamo bisogno di una definizione Generale del termine Normale. Qualcosa che possa andare bene a tutti. Analizziamo perciò la seconda parte della definizione: “non caratterizzato da eventi eccezionali”. Siamo sempre li. Che cosa può generare un’eccezione? Che cos’è un’eccezione? Ecco un’altra bella domanda a cui sarebbe molto interessante trovare una risposta. Cerchiamo Eccezione nel Dizionario. “1 – fatto, situazione, caso che esce dalla norma, dalla regola; 2 – , forma che si discosta dallo schema più comune.” Per cui Eccezione è un qualcosa che va aldilà della regola e della norma imposta. Eccezione è una “Forma che si discosta dallo schema più comune, dalla regola comune”.  Dunque “Normale” è la negazione di “Eccezione” e “Paranormale” è la negazione di “Normale”… Incredibile! Abbiamo trovato in “Eccezione” la definizione più corretta di “Paranormale”! E di conseguenza la definizione più corretta anche di “Normale”! Dunque possiamo asserire che, secondo il dizionario della lingua italiana, “Normale” è uno schema mentale generalizzato più o meno imposto o impostato. “Paranormale” dunque è tutto ciò che esula da questo schema mentale generale. Se poi riprendiamo la definizione di “Normale” corrisposta alla definizione di “Eccezione” possiamo individuare un’altra definizione di “Normale”. Se “Normale è tutto ciò che non è Eccezione” e “Eccezione è un qualcosa che esula dalla regola e che va oltre le leggi” Possiamo definire “Normale” anche “l’insieme delle regole e delle leggi (nel nostro caso fisiche e psichiche) create dagli uomini fino ad oggi”. Finalmente possiamo dare una risposta sensata alla nostra iniziale domanda: “Cos’è il Paranormale?”: “Paranormale è tutto ciò che esula (e che invalida) l’insieme delle regole e delle leggi fisiche e psichiche create dall’uomo fino ad oggi”. Accettando questa definizione come la più plausibile possiamo constatare come il Paranormale sia davvero di grande importanza per l’evoluzione e lo sviluppo dell’Umanità. E’ infatti fin dalla notte dei tempi che l’uomo si sviluppa e si evolve proprio mettendo in dubbio e cercando eccezioni nelle proprie regole e leggi più comuni. E’ proprio perfezionando le proprie regole e le proprie leggi che l’Uomo può salire la scala dell’evoluzione dell’Illuminazione.

Chi nega il Paranormale nega il proprio stato evolutivo, crede di possedere la Verità Assoluta e di essere giunto al massimo grado di evoluzione di perfezione. Nulla di più errato. Se, infatti, una regola ammette eccezioni, significa che, almeno in parte, essa è errata e quindi imperfetta. Se l’uomo avesse l’umiltà di accettare i propri limiti e disponesse di un’apertura mentale tale da vedere aldilà di essi, il Paranormale, cosi come lo intendiamo oggi, non esisterebbe perché farebbe parte della Normalità.

Agromafie: un affare da 16 miliardi

Fonte: http://www.articolotre.com/2016/02/agromafie-un-affare-da-16-miliardi/

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Associazione per delinquere di stampo mafioso e camorristico, concorso in associazione mafiosa, truffa, estorsione, porto illegale di armi da fuoco, riciclaggio, impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, contraffazione di marchi, illecita concorrenza con minaccia o violenza e trasferimento fraudolento di valori, in una parola: agromafie.

Sono queste le tipologie di illeciti riscontrate con più frequenza da parte delle organizzazioni criminali operanti nel settore agroalimentare con il business delle Agromafie che ha superato i 16 miliardi di euro nel 2015.

E’ quanto è emerso all’incontro di presentazione del quarto Rapporto sui crimini agroalimentari in Italia elaborato da Eurispes, Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare.

Per raggiungere l’obiettivo i clan ricorrono a tutte le tipologie di reato tradizionali: usura, racket estorsivo e abusivismo edilizio, ma anche a furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine o danneggiamento delle colture con il taglio di intere piantagioni.

Con i classici strumenti dell’estorsione e dell’intimidazione impongono la vendita di determinate marche e determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare direttamente.

Non solo si appropriano di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio Made in Italy.

Gli aspetti patologici dell’indotto agroalimentare, come la lievitazione dei prezzi di frutta e verdura fino a 4 volte nella filiera che va dal produttore al consumatore, sono la conseguenza non solo dell’effetto dei monopoli, ma anche delle distorsioni e speculazioni dovute alle infiltrazioni della malavita nelle attività di intermediazione e trasporto, secondo l’analisi della Direzione Investigativa Antimafia.

La costante osservazione critica di tutto ciò che accade nel mondo della produzione e della distribuzione del cibo e le puntuali denunce delle situazioni di irregolarità potrebbero trasmettere l’idea che l’Italia sia irrimediabilmente la culla della corruzione e delle mafie.

 

USTICA / QUEI TRACCIATI RADAR FANTASMA E LA PRIMA “MANINA” CHE SVIA LE INDAGINI

Scritto da: Cristiano Mais
Fonte: http://www.lavocedellevoci.it/?p=4782

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Un mistero che sta ormai trovando la sua pista d’atterraggio, la tragedia degli 81 passeggeri del DC9 ammazzati 35 anni fa nei cieli di Ustica. Da Canal Plus è arrivata la “conferma” di una pista già balenata, ma andatasi a schiantare contro quel muro di gomma che ha sempre protetto autori, complici & depistatori del disastro Itavia.

E’ la pista che porta ad una portaerei francese, la Foche secondo i giornalisti che hanno firmato il reportage, la Clemenceau, secondo quanto denunciò l’ex capo dello Stato Francesco Cossiga, le cui rivelazioni del 2008 fecero riaprire un’inchiesta alla procura di Roma. E di Clemenceau parlò oltre vent’anni fa, nel 1993, l’allora parlamentare del Psi Franco Piro in un’intervista alla Voce con tanto di “tracciato” firmato di suo pugno: “Clemenceau – aereo – missile”. Più chiari di così. Ma quel muro di gomma è rimasto sempre lì, più impenetrabile e imperforabile che mai.

E, con l’ultima ricostruzione made in France, cominciano ad affiorare altri pezzi di verità. O meglio, tasselli di verità sempre nascoste. Come il giallo dei tracciati radar. Tracciati cercati, non cercati, veri, falsi, taroccati, inviati, non inviati? Da tutte le basi italiane è stato un via vai dei più vari tracciati. Ma pochi sanno come è realmente andata all’inizio. Da una breve telefonata che abbiamo ricevuto, anche stavolta basata su poche, ma precise parole, emerge uno scenario inquietante, che ora qui dettagliamo per sommi capi.

Il primo magistrato ad occuparsi immediatamente del caso è stato Antonio Guarino, la toga in servizio quella tragica notte alla procura di Palermo. Fu Guarino ad assumere i primi provvedimenti; oltre alle drammatiche incombenze da dover fronteggiare immediatamente, si occupò anche dei tracciati radar. Ma qui trovò subito qualche “resistenza”: a quanto pare il sequestro di tutti i tracciati di quelle ore, e riguardante quegli spazi aerei, ad alcuni non piaceva. Guarino, però, tenne duro, e firmò quel “decreto di sequestro” di tutti i tracciati aerei. Per eseguire il provvedimento furono incaricati i carabinieri. E a tale fine il documento venne smistato al Comando della Legione dei Carabinieri situata a Palermo e all’epoca guidata dal colonnello Antonio Subranni, il cui nome balzerà alla ribalta delle cronache, fugacemente, per le prime indagini e il contestuale “depistaggio” in un altro giallo, l’omicidio di Peppino Impastato (fu un omicidio mafioso, mentre si voleva accreditare la pista del terrorista rosso che per far saltare in aria un traliccio perde la vita), nonché per la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano.

Il breve messaggio odierno non fa riferimento a Subranni; viene invece pronunciato, in modo poco comprensibile, un altro nome, tale “Tito Onorato” o qualcosa di simile. Ma è la sostanza che fa balzare sulla sedia. Il decreto firmato da Guarino e inviato al vertice dei carabinieri a Palermo, lungo il tragitto subisce una piccola, ma basilare integrazione: alla frase relativa ai tracciati radar da sequestrare, viene aggiunta una piccola postilla che indirizza solo ad una parte dei radar, non a tutti quelli che possono effettivamente risultare significativi. E solo molto tempo dopo si scoprirà che la “magica” integrazione, quella frase in più aggiunta dalla classica, miracolosa “manina”, portava le ricerche unicamente in direzione dei cosiddetti “radar ciechi”, ossia quelli dai quali non poteva in alcun modo venir fuori qualcosa di utile per le indagini.

E’ andata proprio così? C’è stata effettivamente una manina o una manona? Come mai nessuno ha alzato un dito per accertarlo? Perchè mai un tassello tanto strategico è stato dimenticato, insabbiato, a sua volta depistato?

Fatto sta che subito dopo la competenza territoriale base si sposta, passa a Roma, il primo fascicolo Guarino prende la strada della capitale. Non si sa se le future toghe (tra gli altri i giudici Bucarelli e Priore) avranno mai modo di parlare con Guarino di quelle primissime istruttorie. E se mai emergerà, strada facendo, qualche “dubbio” su quel decreto di sequestro. Certo è che in quel modo è stato possibile – per i depistatori – di poter agire con un po’ di calma, il tempo necessario per cancellare tracce e tracciati scomodi. Se vi par poco…

UE: nucleare addio, ma non oggi

Scritto da: Martina Valentini
Fonte: http://www.valori.it/internazionale/ue-nucleare-addio-ma-non-oggi-11940.html

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L’Europa non ha soldi per smantellare i propri impianti nucleari e per gestire lo stoccaggio delle scorie. E’ quanto emerge da un documento di lavoro della Commissione Europea, pubblicato da Reuters, che fa il punto sul ruolo dell’energia nucleare nel vecchio continente e sulla relativa riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.
L’ultima analisi della commissione è stata pubblicata nel 2007, prima del disastro di Fukushima, e ci si aspettava un documento di aggiornamento entro la fine dello scorso anno, ma il report non è ancora arrivato. La Commissione europea non ha voluto commentare il documento inedito ne’ confermare quando il rapporto successivo sarà ufficialmente pubblicato.
Dopo l’incidente in Giappone, la Germania ha reagito annunciando l’abbandono dell’energia nucleare entro il il 2022 e dichiarando di voler basare il proprio approvvigionamento energetico su fonti solari, eoliche, di carbone e gas, e al momento sta lentamente sostenendo i costi previsti per lo smantellamento delle centrali nucleari, ma dai test effettuati si è scoperto che le risorse economiche necessarie per tener fede a quanto promesso saranno molte di più (si prevede una spesa extra di 7,7 miliardi di euro). Dal canto suo la Francia, che gestisce in Europa il numero più importante di impianti nucleari, ha stanziato risorse pari a 23 miliardi di euro per lo smantellamento delle centrali, ovvero meno di un terzo dei 74,1 miliardi di euro dei costi attesi. Attualmente, da quanto si legge nel documento della commissione Ue, solo la Gran Bretagna sembra avere i soldi necessari. La strada verso un approvvigionamento energetico amico dell’ambiente e’ insomma ancora lunga, almeno nel vecchio occidenteL’Europa non ha soldi per smantellare i propri impianti nucleari e per gestire lo stoccaggio delle scorie. E’ quanto emerge da un documento di lavoro della Commissione Europea, pubblicato da Reuters, che fa il punto sul ruolo dell’energia nucleare nel vecchio continente e sulla relativa riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.
L’ultima analisi della commissione è stata pubblicata nel 2007, prima del disastro di Fukushima, e ci si aspettava un documento di aggiornamento entro la fine dello scorso anno, ma il report non è ancora arrivato. La Commissione europea non ha voluto commentare il documento inedito ne’ confermare quando il rapporto successivo sarà ufficialmente pubblicato.
Dopo l’incidente in Giappone, la Germania ha reagito annunciando l’abbandono dell’energia nucleare entro il il 2022 e dichiarando di voler basare il proprio approvvigionamento energetico su fonti solari, eoliche, di carbone e gas, e al momento sta lentamente sostenendo i costi previsti per lo smantellamento delle centrali nucleari, ma dai test effettuati si è scoperto che le risorse economiche necessarie per tener fede a quanto promesso saranno molte di più (si prevede una spesa extra di 7,7 miliardi di euro). Dal canto suo la Francia, che gestisce in Europa il numero più importante di impianti nucleari, ha stanziato risorse pari a 23 miliardi di euro per lo smantellamento delle centrali, ovvero meno di un terzo dei 74,1 miliardi di euro dei costi attesi. Attualmente, da quanto si legge nel documento della commissione Ue, solo la Gran Bretagna sembra avere i soldi necessari. La strada verso un approvvigionamento energetico amico dell’ambiente e’ insomma ancora lunga, almeno nel vecchio occidente