Lo zen di Fonzie: vado a pesca di trote e divento scrittore

Scritto da: Matteo Persivale
Fonte: http://www.corriere.it/cultura/

Henry Winkler, 65 anni, racconta la passione per la natura e l’impegno contro la dislessia.

NEW YORK – «Quando sono sulla riva del fiume, prima ancora che me ne renda conto la serenità arriva. Porta via le preoccupazioni – quelle autentiche e anche le piccole cose quotidiane senza importanza che ci fanno perdere la pazienza. Grazie al fiume, se ne vanno tutte via da me – via, con la corrente. In riva al fiume esistono solo la tenacia che è stata necessaria per arrivare lì e la gratitudine di esserci arrivato. Lì ho imparato per la prima volta nella mia vita a sentirmi in pace, completamente concentrato e disteso. È il mio momento Zen».

Parole che sembrano venire dai cantori dei grandi spazi americani, Thomas McGuane o Rick Bass o Norman MacLean. Ma a pronunciarle è Fonzie Fonzarelli. O meglio, Henry Winkler, l’attore di «Happy Days» idolo transgenerazionale per milioni di ex-ragazzi in tutto il mondo. Winkler ha appena pubblicato negli Stati Uniti un libro, I Never Met An Idiot On The River (Insight Editions, pagine 144, $ 21,95), «Non ho mai trovato un idiota in riva al fiume». Un titolo impegnativo per un libro a metà tra l’autobiografia e la lettera d’amore per la natura, «una passione, quella per la pesca, cominciata nel 1996 – spiega Winkler al “Corriere” – nella quale ho coinvolto mia moglie e i nostri tre figli. Almeno una volta all’anno, anche se cerco di andarci almeno due o tre volte, volo in Montana o in Wyoming per abbracciare quegli spazi immensi, camminare all’alba verso il fiume, a pescare le trote. O meglio, a passare il tempo pescando le trote. Quel che acchiappo, e non sempre sono dei bestioni, lo ributto in acqua, sono un pescatore di tipo catch-and-release , la trota non la mangio neanche al ristorante. Quel che conta è restare in riva al fiume. Non esattamente a pensare: a abbracciare quella bellezza.

Quell’immensità», conclude l’attore che, per evitare di apparire troppo serioso si lancia subito in un’esilarante imitazione di suo padre, il commerciante Harry Irving Winkler giunto a New York dalla Germania poco dopo la notte dei cristalli. «Il mio babbo diventò un esportatore di legname e sognava che io gli subentrassi alla guida dell’azienda di famiglia ma la scuola non faceva per me, andavo male e capii il motivo soltanto molti anni dopo. Alla fine studiai recitazione. Per la disperazione di papà».

E qui Winkler passa a una voce roca con uno spesso accento tedesco: «”Io parlo 11 lingue e mi fai disperare in tutte e 11″, mi diceva papà. E poi: “Io sono venuto fin qui in America per dare ai miei figli una vita migliore e tu guarda che mi combini. Va bene, scappai dalla Germania anche perché i nazisti mi inseguivano ma adesso non stare a sottilizzare”», ricorda ridendo.

Così il giovane Henry lasciò perdere il business di famiglia, andò a studiare alla prestigiosa scuola di recitazione dell’università di Yale. Che qualche anno fa l’ha invitato a tenere il discorso di inizio anno. «Un grande onore», preludio alla sua nomina, da parte della regina Elisabetta, all’Ordine dell’Impero Britannico, onorificenza per i non-britannici che si sono distinti nelle arti e nella società. «Se la regina è una fan di “Happy Days”? Forse, ma chi ha il coraggio di chiederglielo. L’onorificenza però è arrivata per i miei libri della serie di Hank Zipzer». Storie per bambini, popolarissime nel mondo anglosassone, che hanno per protagonista un bambino dislessico. La stessa condizione di Winkler, diagnosticata soltanto in età adulta: «Siamo al libro numero 17 della collana. Hank sono io da bambino. Nei libri spiego ai giovanissimi che soffrono di difficoltà nella lettura e nell’apprendimento che non solo si può migliorare, ma soprattutto tengo a dare loro fiducia in se stessi. Perché ricordo bene la fatica che facevo a concentrarmi, a capire il senso delle parole scritte: mi sentivo meno intelligente. Se potessi scegliere una cosa sola da lasciarmi dietro quando non ci sarò più? Aver convinto tanti bambini dislessici che sono intelligenti quanto i loro compagni che leggono speditamente. Anche di più, spesso. Semplicemente, hanno bisogno di imparare le cose in un modo diverso».

Visto che si sta un po’ commuovendo e Fonzie non si emoziona (quasi) mai, neanche a 65 anni, Winkler cambia discorso e racconta aneddoti. «La moto di “Happy Days”? Non ero capace di guidarla, era piantata su una pedana con sotto delle gomme, mi spingevano e tiravano dentro e fuori dall’inquadratura, altro che Fonzie il centauro. Fonzie il duro? Ricevetti una lettera dal direttore di un riformatorio che mi spiegò come Fonzie fosse l’idolo dei ragazzi dell’istituto, ma seguivano l’esempio del personaggio nel non dimostrarsi mai deboli e questo, diceva, non era un bene per loro. Mi chiese se fosse possibile dimostrare che anche Fonzie non temeva di dimostrarsi fragile. Allora andai dagli sceneggiatori e chiesi loro di far piangere “The Fonz”. Ricorda l’episodio con Richie Cunningham in ospedale, quando Fonzie si mette a piangere per l’amico malato? Ecco, lo girammo per quei ragazzi».

Un’altra cosa che diverte Winkler, che indossa i panni del personaggio famoso con un bonus di autoironia, è che «a seconda dell’età di chi mi riconosce so già a quale personaggio pensano. Fonzie per gli adulti, l’avvocato incompetente del telefilm “Arrested Development” per gli universitari, il medico del mio nuovo telefilm “Childrens Hospital” per i più giovani. Nel 2008 io e Ron Howard riportammo in vita per un giorno Fonzie e Richie: ci truccammo per un video a favore di Obama candidato alla Casa Bianca, e la reazione dei fan fu pazzesca, ci stupì. Ma non c’è niente di paragonabile all’emozione di camminare, all’alba, lungo la riva del fiume. All’acqua e agli alberi non importa proprio nulla di Fonzie Fonzarelli, dei libri, della tv, delle onorificenze, di Hollywood e della fama».

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