Come le Avide Multinazionali Stanno Distruggendo lo Status di Paese Tecnologicamente Avanzato dell’America

Scritto da:  William Lazonick
Fonte:
http://vocidallestero.blogspot.com/

Nell’ultima puntata della sua serie “Breaking Through the Jobless Recovery”, l’economista William Lazonick spiega come le grandi società, ossessionate dal riacquisto delle azioni proprie e dal massimizzare il valore per gli azionisti, stanno truffando lo Zio Sam e azzerando la possibilità dell’America di competere nel 21° secolo.


L’economia statunitense è un caos. Da due anni a questa parte, anche se la Grande Recessione si è ufficialmente conclusa, il tasso di disoccupazione supera il nove per cento, infuria la crisi dei pignoramenti, e le famiglie rimangono cariche di debiti. La situazione fiscale dei governi federali e statali è disastrosa, in parte perché le ideologie del libero mercato pensano che le tasse al minimo siano un diritto divino.

Gran parte della confusione è il risultato di un’economia in cui
l’estrazione di valore è arrivata a dominare la creazione di valore. Il luogo più visibile dove avviene l’estrazione di valore è il gioco da casinò conosciuto come Wall Street. Ma avviene in tutte le grandi corporations, che impiegano la maggior parte o addirittura tutti i loro profitti per il riacquisto massiccio di azioni proprie, al solo scopo di far crescere le quotazioni.

Nel processo, l’innovazione industriale – la creazione di prodotti di maggiore qualità e di minor costo, che costituisce la base della crescita economica – soffre della sindrome dell’abbandono.
E invece avremmo più che mai bisogno di nuove tecnologie per risolvere i problemi economici, sociali e ambientali. Per un paese (ancora) ricco come gli Stati Uniti, l’unico modo per rilanciare la prosperità è attraverso l’innovazione industriale, che si traduce nella creazione di significativi posti di lavoro.
A prima vista, l’innovazione può sembrare facile e naturale. Nel corso della loro esistenza, gli Stati Uniti sono stati un paese innovatore, e oggi ancora ospitano molte delle aziende industriali leaders mondiali, così come il più avanzato assetto istituzionale per la formazione di nuove imprese in settori high-tech. C’è un regime di istruzione superiore che per un secolo ha fornito personale ad alta tecnologia e le conoscenze per il business del settore. Ha governi a livello federale, statale e locale che sostengono le imprese attraverso investimenti in infrastrutture, in ricerca, e con ogni sorta di sussidi. Ovunque si trovano individui intraprendenti pronti ad impegnarsi nell’innovazione, come datori di lavoro, dipendenti e consulenti. Il 20° secolo è stato il “secolo americano” perché gli Stati Uniti sono stati la più importante nazione innovatrice del mondo.

Eppure, nel 21° secolo la nostra reputazione di innovatori ci sta rapidamente sfuggendo di mano. Cosa è successo?

Per l’innovazione, è necessario qualcos’altro. C’è bisogno di finanziamenti governativi nella ricerca. Il governo americano impegna spese enormi per le nuove tecnologie militari.
E attraverso il National Institutes of Health (NIH), stanzia anche fondi per la ricerca sulla salute per la somma di oltre 31 miliardi di dollari l’anno. Negli ultimi anni il budget del NIH è stato, in dollari reali, il triplo del suo livello nel 1980 e il doppio dei primi anni 1990. Come altro esempio importante, nel 2001 il governo degli Stati Uniti ha lanciato la National Nanotechnology Initiative (NNI) dove ha investito poco più di 12 miliardi dollari negli ultimi dieci anni, con un bilancio 2011 di quasi $ 1,9 miliardi.
I leaders di molte delle aziende industriali più redditizie del paese spesso fanno azione di lobby sul governo americano perché spenda di più, anche se le rispettive società non investono nella ricerca di base. Per esempio, in una conferenza stampa che la Semiconductor Industry Association ha organizzato a Washington, DC, nel marzo 2005, il CEO di Intel, Craig Barrett, ha avvertito:

“La leadership degli USA nell’era nanoelettronica non è garantita. Ci vorrà un enorme, coordinato sforzo di ricerca degli Stati Uniti che coinvolga il mondo accademico, l’industria e i governi statali e federali, per assicurare che l’America continui ad essere il leader mondiale nella tecnologia dell’informazione. ”

Eppure, in quello stesso anno, 2005, la spese di Intel per il riacquisto di azioni proprie di 10,6 miliardi dollari sono state pari a nove volte il bilancio del NNI da 1,2 miliardi di dollari, mentre le spese di questa società per il riacquisto di azioni nel periodo 2001-2010 sono state pari a 48,3 miliardi dollari, quattro volte il totale che il governo degli Stati Uniti ha speso per il NNI nel suo primo decennio di esistenza.

Le tecnologie dell’informazione e dell’industria della comunicazione in generale – e Intel, in particolare – hanno tratto enormi benefici da decenni di investimento del governo americano nel settore high-tech. Se Barrett (o Paul Otellini, il suo successore come CEO di Intel) volevano davvero ” garantire che l’America continuasse ad essere il leader mondiale nella tecnologia dell’informazione”, allora negli ultimi dieci anni Intel avrebbe potuto destinare alla nanotecnologia di base parte dei massicci fondi che ha usato per manipolare il prezzo delle azioni attraverso il riacquisto.


Come altro esempio, nel giugno 2010, l’americana Energy Innovation Council (AEIC), costituito dagli attuali ed ex capi di Cummins Engine, Du Pont, General Electric, Lockheed Martin e Xerox, così come John Doerr, partner nella società di venture capital, Kleiner Perkins Caufield & Byers, ha elaborato un piano per l’“America’s Energy Future”, che ha richiesto al governo degli Stati Uniti di aumentare la spesa per l’innovazione nell’energia pulita a $ 16 miliardi di dollari all’anno, contro l’attuale investimento annuale del governo di $ 5 miliardi.

In un comunicato stampa, dal titolo ““American Business Leaders Call for Revolution in Energy Technology Innovation”, Doerr, il venture capitalist del gruppo, ha dichiarato:

“Quando la nostra azienda [Kleiner Perkins] ha spostato la sua attenzione sull’energia pulita, abbiamo trovato che i fondi per l’innovazione erano vicini allo zero. L’America ha semplicemente trascurato di sostenere l’innovazione energetica seria. I miei soci e io abbiamo trovato che le migliori cellule a combustibile, la migliore conservazione dell’energia, e le migliori tecnologie eoliche erano tutte nate al di fuori degli Stati Uniti. Altri paesi stanno investendo enormi quantità in questi campi. Senza innovazione, non possiamo costruire grandi aziende dell’energia. Abbiamo bisogno di rifornire le casse o saremo lasciati indietro “.
I dirigenti aziendali che costituiscono AEIC vogliono che sia il contribuente americano a pagare il conto per rimpinguare i fondi. Perché non devono essere proprio le società commerciali che in ultima analisi traggono profitto da queste nuove tecnologie a contribuire allo sforzo nazionale per l’energia pulita? Nel corso del decennio 2001-2010, le sei società i cui attuali o ex dirigenti sono rappresentati nell’AEIC hanno sprecato un totale di 185 miliardi dollari – una media di 18,5 miliardi dollari all’anno – per ricomprare le loro azioni, tra cui 110 miliardi dollari da Microsoft e 48 miliardi dollari da General Electric . Per queste sei società nel corso degli ultimi dieci anni le spese per il riacquisto di azioni sono state del 54% superiori alle spese per la ricerca e l’innovazione.
L’innovazione richiede degli investimenti complementari da parte delle imprese e del governo. Il governo può fare ben poco, soprattutto con gli ideologi del libero mercato che strillano che il governo sta già facendo troppo. Un motivo principale per cui gli Stati Uniti non sono più una “nazione innovatrice” è perché le sue più grandi corporations industriali sono state ossessionate dal “massimizzare il valore degli azionisti”, piuttosto che investire nella ricerca tecnologica di base.
Per parafrasare John F. Kennedy, non chiedete cosa può fare il vostro paese per le vostre società, ma quello che le vostre società possono fare per il vostro paese.

William Lazonick è direttore del UMass Center for Industrial Competitiveness e presidente del Academic-Industry Research Network. Il suo libro, Sustainable Prosperity in the New Economy? Business Organization and High-Tech Employment in the United States (Upjohn Institute 2009) ha vinto il Premio Schumpeter 2010.

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