Via Fani: istantanee di una strage

Scritto da: Paolo Benetollo
Fonte:
http://www.pagine70.com/vmnews/wmview.php?ArtID=708

L’uomo si alzò all’alba,come ogni giorno. Di mestiere faceva il venditore ambulante di fiori, e stazionava giornalmente all’angolo tra via Fani e via Stresa. Ma quella mattina del 16 marzo 1978 perse il suo appuntamento con la storia. Perché qualcuno, la sera prima, tagliò i quattro copertoni del furgoncino con il quale si recava al lavoro. E così, sacramentando,dovette restare a casa. Forse,se avesse potuto recarsi con un altro mezzo al lavoro, avrebbe avuto l’occasione di vedere da vicino la scena di uno dei crimini più gravi della storia dell’Italia repubblicana, quella che è conosciuta come l’eccidio di via Fani.
Ma erano tante le case della capitale dove alcuni uomini avevano un appuntamento con il destino.
Uno di questi era il maresciallo Oreste Leonardi. 52 anni, torinese, istruttore alla Scuola Sabotatori del Centro Militare di Paracadutismo di Viterbo, da quindici anni guardia del corpo dell’onorevole Aldo Moro. Come ogni giorno si alzò presto,prese il caffè e lo portò alla moglie.
Andò nell’armadio e prese alcune pallottole, dopodiché si recò all’appuntamento con l’uomo che doveva scortare,come ogni giorno. Quell’uomo era Aldo Moro, di cui era un amico personale.
Nel frattempo, in via Montalcini 8,interno 1, una donna,Laura Braghetti, salutò degli uomini, che uscirono furtivamente, e si preparò ad ascoltare, nervosamente, la radio. Se l’operazione a cui partecipava avesse avuto un esito postivo, lei sarebbe stata tra le prime a saperlo. Perché è nell’appartamento in cui abita che verrà portato il sequestrato. L’appartamento ha un’intercapedine,piccola,nella quale con ingegnose modifiche, è stata costruita una piccola cella, nel cui interno sono stati posti un lettino, un tavolino, un wc chimico. Sulla parete campeggia una stella a cinque punte, che diventerà tristemente famosa.
Un altro uomo si preparò per recarsi in via Fani. Era uno dei dirigenti, uno di quelli che aveva meticolosamente preparato,assieme alla direzione strategica, il piano dell’agguato. Il suo nome Franco Bonisoli, l’uomo che aveva scoperto, fuori dalla chiesa di santa Chiara, nella quale Moro si recava quotidianamente ad ascoltare Messa, che la Fiat 130 nella quale viaggiava non era blindata.
Non era un esperto d’armi, e controllò per l’ennesima volta che la pistola con cui avrebbe sparato quel giorno fosse carica. Si era esercitato in campagna, in alcune grotte, per mesi. Ma nonostante ciò non si sentiva materialmente pronto.
Altre 11 persone nel frattempo si sono messe in moto.Ognuna ha un compito ben definito, non c’è spazio per l’improvvisazione. Anche se le icognite che pesano sull’obiettivo sono tante.
Via Mario Fani, qualche minuto dopo le 8,30.
All’angolo con via Stresa, di fronte al bar Olivetti, alla fermata del bus, ci sono due figure: portano divise dell’Alitalia; contemporaneamente,dietro la siepe, quattro persone sono nascoste con le armi in pugno, e aspettano nervosamente il momento per entrare in azione.
Su un lato della strada è parcheggiata una 128 bianca, targata CD19707.A bordo c’è Mario Moretti, massimo dirigente e responsabile delle Br.
L’attesa del gruppo è spasmodica:qualcuno,prima di entrare in azione “ha dovuto bersi un cognacchino”,come diranno i brigatisti in uno dei processi sul caso Moro.
Proviamo ad immaginare una scena altenativa: posizioniamoci all’interno della 130 che viaggia verso via Fani,scendendo da Via Trionfale. Alla guida c’è l’appuntato Domenico Ricci, al suo fianco Oreste Leonardi, con la sua pistola d’ordinanza chiusa in un borsello di plastica. Dietro c’è Aldo Moro,immerso nella lettura dei suoi appunti: quel giorno deve presentare una bozza di governo, il primo con l’appoggio,anche se solo esterno,del Partito Comunista Italiano. Al suo fianco le inseparabili borse: quelle dalle quali è difficile che si stacchi, che avrebbero in seguito alimentato polemiche a non finire con la loro misteriosa scomparsa.
Ricci guarda nello specchietto: lo fà per abitudine, segue sempre con lo sguardo l’Alfetta guidata dalla guardia di PS.Giulio Rivera, coadiuvato dal brigadiere di PS Francesco Zizzi e dalla guardia di PS Raffaele Iozzino. Segue come un’ombra la 130,lungo la discesa di Via Fani. Quello che segue avviene in un attimo, ed è stato ricostruito con un lavoro paziente, nonostante il quale ancor’oggi si nutrono forti perplessità: da via Stresa una 128 bianca fa retromarcia,mentre dal lato di Via Fani la 130 con a bordo Aldo Moro frena di colpo. E’ solo un attimo,ma Ricci non fa in tempo a frenare di scatto. La sorpresa è stata totale, i tempi dell’agguato sono scanditi in maniera a dir poco eccezionale. La 130 è bloccata,per qualche istante sembra che il tempo si fermi: da dietro le siepi del bar Olivetti sbucano quattro persone armate, una parte del commando è già in azione per bloccare il traffico in ogni direzione; disperatamente Ricci cerca di uscire dal budello in cui è bloccato.Troppo tardi: una tempesta di piombo si abbatte sulle auto. Nella 128, Moretti innesta la retromarcia,rendendo impossibile qualsiasi spazio di manovra. Quasi simultaneamente cadono sotto la tempesta di piombo Leonardi, Ricci.
Iozzino no: tenta una disperata reazione,esce pistola in pugno, ma è abbattuto a tradimento:qualcuno lo colpisce alle spalle. Zizzi non è morto, ma è fuori combattimento.
Pochi minuti, e tutto è compiuto. Aldo Moro viene scaraventato giù dall’auto,mentre due brigatisti lo sorreggono; non è ferito, ma questo lo si saprà solo in seguito. Qualcuno afferra anche le preziose borse di Moro. La scena della strage non è però occupata solo dai brigatisti: poco più giù,stà arrivando con il suo motorino, l’ingegner Marini, che ha il tempo di guardare la scena:ma solo per pochi secondi. Una Honda, su cui viaggiano due persone,esplode una raffica di mitra verso di lui, colpendo il parabrezza del motorino. E’ così profondo lo choc, che Marini non riuscirà a dare un quadro personale della dinamica dei fatti. Qualcuno, intorno,si è reso conto che qualcosa di grave è avvenuto:sono da poco passate le 9,00. Un giornalaio, che ha la sua edicola a pochi metri dal luogo dell’agguato, racconterà che suo figlio, attratto dal rumore degli spari, è accorso sul posto dell’eccidio, giusto in tempo per vedersi puntare in faccia una pistola. Giuseppe Marrazzo,inviato del Tg2, intervistò una signora, che aveva seguito le fasi finali dell’agguato: la donna dichiarò che Moro camminava al fianco di un giovane, ma tranquillamente,non in modo concitato; che aveva ascoltato nitidamente la voce di una donna; che aveva ascoltato una voce gridare ” lasciatemi “;
che Moro era stato caricato in una 128 blu scuro, che scomparve verso via Trionfale.
Torniamo per un attimo sulla scena dell’agguato: fermiamo con una macchina fotografica ideale le varie scene che si succedono agli occhi di ipotetici spettatori.
Riverso al suolo giace Raffaele Iozzino, con la pistola a due passi.
Ha il volto esanime, guarda verso il cielo, con le braccia spalancate. Ha solo 25 anni, era nato in provincia di Napoli, a Casola, nel 1953.
Domenico Ricci è riverso, quasi adagiato sul corpo di Leonardi. Aveva 42 anni, da 20 anni era l’autista di fiducia di Moro. Era nato a San Paolo di Jesi,nel 1934. Lascia la moglie e due bambini. Al suo fianco giace Oreste Leonardi, il volto coperto di sangue. Era nato nel 1926, a Torino. Lascia la moglie e due figli.
Gli altri due uomini della scorta hanno destini diversi : Francesco Zizzi, nato a Fasano nel 1948, capo equipaggio, muore durante il trasporto all’ospedale Gemelli di Roma.
Giulio Rivera, 24 anni, nato nel 1954 a Guglionesi, in provincia di Campobasso, muore all’istante, crivellato da otto pallottole.
Cinque vite annientate in pochi secondi,da quella che i giornali chiameranno “geometrica potenza di fuoco”.
Che ha prodotto almeno 93 colpi, i cui bossoli furono materialmente trovati sul luogo della strage. Ma che potevano essere di sicuro di più. Infatti poco dopo arriva Paolo Frajese, inviato del Tg1, per documentare l’accaduto. Lasciamo alle sue parole drammatiche il resoconto immediato di quello che vide, con voce che tutti ricorderanno spezzata in più punti. Una voce attribuita alla forte emozione, ma che in realtà era dovuta alla corse fatta dal giornalista per recarsi sul luogo dell’agguato:
“Ecco la macchina con i corpi degli agenti che facevano parte della scorta dell’on. Moro, coperti da un telo… Vi sono due uomini sulla 130, un altro corpo è sulla macchina che seguiva. I carabinieri stanno facendo i rilievi. Sono quattro morti più un ferito, mi dice un collega, e l’on. Moro è stato rapito. Sembra, mi dice ancora questo collega, che ringrazio, .. .sembra che sia stato anche ferito… guardate i colpi… puoi andare sulla portiera per piacere? … guardate i colpi sparati evidentemente con mitra, con mitragliatori, il corpo di un altro di questi… di questi agenti. Ecco per terra ancora… andiamo qui a destra per piacere… i bossoli… vedete, e poi… ancora a destra… vediamo la borsa, evidentemente la borsa di Moro e il berretto di un… di un… non si capisce che cosa sia, sembra di un pilota… sembrerebbe, no, un berretto probabilmente di un metronotte, sembra forse un berretto dell’Alitalia, ma no, l’Alitalia non ha quei gradi… e il caricatore di un mitra. Forse gli attentatori erano mascherati… può darsi… con una strana divisa! Questa è la scena. Ancora un altro corpo qui a destra… per piacere vieni di qua… stavo pestando inavvertitamente i bossoli… ecco il corpo di un altro, probabilmente uno dei componenti la scorta o forse un passante, non sappiamo ancora, le notizie evidentemente potranno essere raccolte solo in un secondo momento. Il sangue… il sangue per terra, una pistola automatica, ecco… quattro corpi, quattro corpi… qui, alle dieci del mattino a via Fani. Quattro… per terra.Ecco il documento di questa mattinata.Non sappiamo se ci sono testimoni oculari…Proviamo a cercare.”
All’agguato hanno partecipato almeno 11 persone, più i due sulla Honda. Le cui posizioni non saranno mai chiarite completamente,ma che saranno considerate a tutti gli effetti partecipanti all’agguato. Ci sono Mario Moretti, Franco Bonisoli, Valerio Morucci, Barbara Balzerani, Raimondo Etro, Raffaele Fiore, Prospero Gallinari, Bruno Seghetti, Alvaro Lojacono, Alessio Casimirri, Rita Al granati. Quest’ultima all’epoca dei fatti era la moglie di Casimirri, l’unico scampato all’arresto.
I due sulla moto Honda non sono mai stati individuati,anche perché per anni la loro posizione non è mai stata molto chiara.Oggi sappiamo che i loro nomi di battaglia erano Peppe e Peppa.
La Digos è sulle loro tracce.
La battaglia è terminata.Come già detto prima,restano cinque corpi senza vita,dell’onorevole Moro si perdono le tracce. E un mucchio di bossoli. Sparati da molte armi,una delle quali spara 49 colpi,con un contributo evidentemente determinante. Uno specialista. Che contraddice fortemente la versione dei brigatisti, tesa a sminuire la capacità militare del gruppo brigatista. Nelle varie fasi processuali si ipotizzerà più volte la presenza di un killer professionista,colui che poi,in definitiva,avrebbe sparato il più alto numero di colpi. Personaggio emblematico,il cui ruolo varia a seconda delle prospettive in cui ci si pone: un uomo della mafia, forse? Ma mancherà sempre un riscontro di assoluta certezza.
Le armi usate sono disparate: una Smith & Wesson calibro 9 parabellum (8 colpi), una Beretta 52 calibro 7,65 (4 colpi), una pistola mitragliatrice calibro 9 parabellum, una Tz 45 (5 colpi),una Beretta M12 (3 colpi), un Fna o uno Stern (49 colpi). Sono ben 45 i colpi che investono gli uomini della scorta; Ricci, Rivera e Iozzino hanno ricevuto il colpo di grazia. Perché quel giorno,in via Fani, non doveva esserci scampo: era prevista solo l’eliminazione fisica, senza pietà.
Anni dopo Sergio Zavoli, nella sua splendida ricostruzione degli anni di piombo,interrogò diverse persone legate agli avvenimenti di Via Fani,ricostruendone dinamiche e personalità, che appaiono drammaticamente in simbiosi con i giorni che lui chiamò con un’immagine efficace e tagliente “La notte della repubblica”
Ecco qualche passo.
Sergio Zavoli:
“Ha mai pensato di potersi trovare di fronte, e magari per sua stessa scelta, al familiare di una vittima? ”
Franco Bonisoli:
“Sì, ho pensato.. ecco, questo è ancora un mio grosso problema e penso
che mi rimarrà… Non è solo per quella persona, è un po’ per tutte che,
direttamente o indirettamente, mi sento responsabile. Perché, bene o male, è stata una esperienza così forte, così totalizzante, che anche quando magari non c’ero, non mi sento meno responsabile della persona che c’era… Questo è un grosso problema, che rimane, e che ovviamente ognuno riesce ad affrontare con sé, con gli altri, in modo molto personale… ed è sicura- mente, per me, più difficile. Credo che qui non servano le frasi fatte, le dichiarazioni. .. non so, di principio. .. Si può sospendere un attimo, per favore. . . ”
Sergio Zavoli:
“Ma lei che cosa accetterebbe di farsi dire da Eleonora Moro in un ipotetico incontro?
Mario Moretti:
“Tutto, tutto ciò che lei avesse eventualmente da dire. .. Per me può essere anche importante, mi va bene che venga ucciso il personaggio Moretti. È un personaggio dei media, al quale io non tengo minimamente perché la persona Moretti, chi mi conosce, sa che è diversa. Siccome non ho mire personalistiche né politiche, al momento, credo di essere come molti Compagni in una posizione di riflessione, di ascolto e di osservazione attenta della realtà, più che nella posizione di chi ha qualcosa da dire sull’andamento del mondo. Quindi, con animo molto sereno, potrei parlare anche a chiunque abbia sofferto un dolore così forte come la perdita di una persona con cui ha vissuto per tanti anni con emozioni intense. . .
Queste due testimonianze stridono in maniera rilevante con il quadro d’insieme dell’accaduto.
Bonisoli che si emoziona, Moretti che sembra quasi propenso al dialogo.
Due persone scollate dalla realtà. Quella realtà che precipitò un paese in 55 giorni di profondo travaglio, di laceranti divisioni. Giorni che sarebbero culminati con l’ultima fase: quella che portò al sacrificio dell’Onorevole Moro.I giorni più bui del dopoguerra,in cui l’Italia tremò. Ma non caddero le sue istituzioni,la democrazia. Il paese seppe riemergere, il terrorismo si avviluppò su se stesso.
Di via Fani restò solo il ricordo dei caduti, immolati ad una logica oggi completamente incomprensibile, agli occhi di chi non ha vissuto quelli che con un’immagine molto forte, furono definiti i giorni dell’ira.

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