Perché l’India vuole uccidere i due militari italiani

Fonte: http://www.giornalettismo.com/archives/203803/perche-lindia-vuole-uccidere-i-due-militari-italiani/
Il caso dell’Enrica Lexie è solo la goccia che ha fatto traboccare un vaso già pieno da tempo.

Trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato, entrare come un elefante in una cristalleria, come un bambino rumoroso in un negozio di porcellane molto fragili. Scegliete pure la vostra metafora, perché tutte andranno abbastanza bene per descrivere il caso dell’Enrica Lexie, l’incidente diplomatico fra Italia e India che sta affollando le cronache del nostro paese, e preoccupando i vertici del nostro governo: i due Marò italiani di scorta alla petroliera costruita nei cantieri navali di Napoli hanno fatto fuoco uccidendo due pescatori Tamil al largo delle coste di Kerala, India, e sono stati arrestati dalla guardia costiera indiana e saranno presto sentiti dal magistrato. L’accusa, omicidio.

UNA RIVOLTA POPOLARE – Secondo le agenzie, la pena prevista dall’ordinamento indiano per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono severissime: i due rischierebbero addirittura l’ergastolo, o persino la pena di morte. L’opinione pubblica indiana è mobilitata, come abbiamo visto ieri su queste pagine, e tutte le voci in campo, dagli editorialisti indiani ai commentatori, dimostrano particolare severità nel giudicare la vicenda: “Via gli Italiani dall’India, punite i colpevoli, serve severità”, e tutto il resto. Così un caso di cronaca particolarmente ingarbugliato diventa una crisi internazionale dirompente, senza che sia particolarmente chiaro il perché. Ieri abbiamo accennato  ad una parte della questione, che merita però di essere maggiormente sviscerata: di sicuro ha un ruolo in commedia la dirigenza dell’India National Congress, il più grande partito democratico del mondo presieduto da Sonia Gandi, la donna di origine veneta già moglie di Rajiv, erede di Nehru; l’origine italiana di Antonia Maino è in queste ore sotto attento scrutinio da parte dell’opinione pubblica indiana, che giudicherà con estrema severità il comportamento della leadership del National Congress; e questo perché, come abbiamo detto, i due Marò hanno toccato un nervo scoperto.

NERVI SCOPERTI – Sparare a due pescatori Tamil nelle acque indiane è stata davvero una brutta scelta, se non altro perché almeno da un anno l’India, e più precisamente la comunità Tamil del Sud, che vive prevalentemente di pesca, è continuamente funestata da morti tutt’altro che naturali. Nello stretto di Palk, che divide l’India dalla Repubblica popolare dello Sri Lanka, l’anno scorso, si sono contati almeno due casi di uccisioni violente da parte dell’esercito di Colombo proprio ai danni dei pescatori Tamil; le immagini delle donne degli stati del sud che piangevano, disperati, i propri cari hanno fatto il giro dell’India, un’India che secondo Wikipedia è particolarmente sensibile al tema. “Oltre 530 pescatori sono morti negli ultimi 30 anni, uccisi. L’attitudine un po’ apatica del governo indiano e dei media nazionali riguardo le uccisioni dei pescatori Tamil Nadu da parte della marina dello Sri Lanka è fortemente condannata”. Secondo Asia Times, la questione è vecchia almeno di vent’anni: “L’arresto e l’uccisione dei pescatori indiani da parte dello Sri Lanka non è affare nuovo. Durante la guerra civile dello Sri Lanka (1983-2009) i combattenti delle Tigri Tamil attraversavano lo stretto d’acqua verso Tamil Nadu cercando rifugio. Centinaia di pescatori indiani sono stati presi nel fuoco incrociato o uccisi dalla marina dello Sri Lanka perché sospettati di essere Tigri Tamil o di contrabbandare merci per loro conto. (…) Non ci sono più le tigri”, scriveva il media l’anno scorso, “ma l’uccisione dei pescatori indiani dalla marina dello Sri Lanka continua”. E i politici degli stati di Tamil Nadu e di Kerala – che meritano un capitolo a parte e sui quali torneremo a breve – hanno addirittura minacciato la secessione dall’India se il governo di Delhi, da sempre controllato dal Congresso di Sonia Gandhi, non si fosse immediatamente impegnato per affrontare con serietà e decisione la questione.

UN ANNO FA – Gli ultimi casi, come dicevamo, risalgono ad esattamente un anno fa, come a marcare un tragico anniversario. Il 13 gennaio 2011 “la marina dello Sri Lanka ha aperto il fuoco sui pescatori indiani, uccidendone uno e ferendone in maniera molto critica un altro”, scriveva, allora, India Voice. “La marina srilankese (termine più corretto rispetto a cingalese per definire la popolazione dello stato, ndr) credeva che gli indiani stessero attraversando la linea di confine, ma ufficialmente il governo dello Sri Lanka ha negato che l’incidente sia avvenuto nelle sue acque territoriali. E’ tuttora poco chiaro se i pescatori fossero sul lato indiano o su quello srilankese delle acque”. La questione si era mantenuta a livello diplomatico – politico: “Un portavoce del governo di Colombo ha negato ufficialmente l’incidente, mentre il governo Indiano ha ufficialmente inviato una lamentela alla marina lankese. Il ministro degli Esteri SM Krishna ha già scritto al ministro della Difesa dello Sri Lanka esprimendo preoccupazioni riguardo la sparatoria e protestando veementemente rispetto alle azioni della marina srilankese”. Insomma, uno spiacevole inconveniente, uno dei tanti, purtroppo: “Uno dei sopravvissuti al presunto attacco della marina ha detto ai reporter che avevano preso mare dalla costa indiana intorno alle 7 del mattino e la marina dello Sri Lanka è arrivata fra le 4 e le 5 del pomeriggio. Quando la marina ha visto i pescatori al lavoro ha aperto il fuoco dalla poppa e un pescatore è stato ucciso nell’incidente”.

BATTI E RIBATTI – L’incidente, evidentemente, non doveva finire lì, perché pochi giorni dopo, il 24 gennaio, un secondo pescatore viene ucciso dalla marina di Colombo. Questa volta è il Times of India a raccontarci l’avvenimento. Dal porto di Nagapattinam, a nord dello stretto di Palk, era salpata una delle tante navi da pesca Tamil. “Un secondo pescatore è stato ucciso dal personale di marina dello Sri Lanka al largo del distretto di Nagapattinam. Le autorità del ministero statale della pesca affermano che la marina srilankese ha legato una corda intorno al collo del 28enne pescatore e l’ha trascinato in mare, strangolandolo a morte”. Nemmeno con armi da fuoco, dunque, il brutale omicidio; la storia continua, sempre più scabrosa: “I tre pescatori si erano messi in mare e stavano pescando a sudest della costa di Kodiakkarai quando una nave dello Sri Lanka si è avvicinata a loro intorno alle 11. Il personale navale ha ordinato ai tre pescatori di abbandonare la nave e di buttarsi in mare: due hanno obbedito, ma il terzo ragazzo si è rifiutato, spiegando che aveva perso due dita nel 2004 e che gli rimaneva difficile nuotare. A una tale resistenza, la marina di Colombo ha ritenuto di poter procedere, impiccando il ragazzo”. Insomma, una storia di conflitti al confine e sopraffazione, ai quali il governo del Congress risponde, come abbiamo visto, con durezza verbale ma, secondo le proteste, pochi risultati. “Il ministro delle finanze Pranab Mukherjee ha assicurato al capo ministro Tamil Nadu M Karunanidhi che affronterà il problema con il governo di Colombo. “Mi dicono che due indiani sono stati uccisi dalla marina dello Sri Lanka negli ultimi 10 giorni. Abbiamo buone relazioni con lo Sri Lanka, li stiamo aiutando. Non c’è giustificazione però per sparare ai nostri pescatori. Se i pescatori hanno fatto qualcosa che non va, c’è una regolare procedura per risolvere la questione”, diceva allora il ministro.

QUESTIONI POLITICHE – Di diverso tenore la posizione, il commento e la voce dei politici locali. Lo stato del Tamil Nadu era governato, allora, da Muthuvel Karunanidhi, potente barone e leader incontrastato del Dravida Munnetra Kazhagam, uno dei partiti dravidiani attivi nello stato del Tamil, una delle voci della gigantesca e poliedrica democrazia indiana: basti sapere che il DMK è parte dell’Alleanza Unita Progressista, il consorzio di partiti guidato dal Congress che governa l’India. Già al tempo del primo incidente del 2011 Karunanidhi aveva telegrafato a Manmohan Singh, primo ministro indiano, del Congress, “spiegando l’incidente e le atrocità della marina dello Sri Lanka contro i pescatori Tamil, che non stanno affatto terminando nonostante le ripetute assicurazioni date dai governi dei due paesi, che tali incidenti non sarebbero mai più accaduti. Il DMK è un importante alleato dell’UPA al governo del paese”. Il 24 gennaio i toni si erano ulteriormente alzati: “O agirete con forza contro il governo dello Sri Lanka, o il popolo del Tamil Nadu concluderà che la marina indiana ha deliberatamente rinunciato a proteggere i nostri pescatori”, disse il leader di uno dei tanti partiti etnici Tamil. “E’ scioccante vedere come il Governo Centrale affronti con leggerezza la questione con lo Sri Lanka”, diceva un altro politico locale.

E BILANCE ECONOMICHE – Ecco, dunque, in quale ginepraio i marò italiani sono andati ad infilarsi. L’India peraltro, secondo la Confindustria, è un partner economico decisivo per l’Italia. “L’ India è un mercato prioritario per le nostre attività internazionali. E’ un Paese in continuo sviluppo, con una relativa stabilità politica, tassi di cre- scita, da oltre vent’anni, superiori al 6%. Eppure la nostra presenza non è ancora sviluppata e consolidata come dovrebbe”, dice Emma Marcegaglia: le aziende italiane del settore automobilistico, ad esempio, sono particolarmente presenti in India, come dimostra il grafico del Corriere della Sera.

“Fiat Auto è presente con la joint venture con il colosso Tata, ma anche con MagnetiMarelli, mentre Fiat Industrial, tramite Cnh, collabora con il leader locale dei trattori Mahindra & Mahindra. Piaggio, invece, nel 2010 ha venduto in India oltre 210 mila vei- coli commerciali a tre (Ape) e quattro ruote (Quargo, furgone derivato dal Porter italiano) prodotti nella filiale di Baramati nel Maharashtra, capitale Mumbai. Sem- pre a Baramati in primavera verrà inaugu- rata la nuova fabbrica per la Vespa LX, au- tentico best seller del gruppo: una versione sviluppata appositamente per il mercato locale. Sarà un grande ritorno nel Paese dove la Piaggio intraprese produzione e vendita di scooter già nel 1948 e che oggi rappresenta il secondo mercato mondiale delledue ruote”. Insomma, la crisi diplomatica è delicata ben più di quanto si possa pensare, coinvolge politica interna e politica estera, tocca nervi scoperti nell’opinione pubblica indiana e potrebbe finire per incrinare i nostri rapporti con un decisivo alleato economico.

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