La tomba di Tullia

Scritto da: Monica Taddia
Fonte: http://italiaparallela.blogspot.it/

Nel 1613 il poeta John Donne dedicò una delle sue opere, l’Eclogue, al matrimonio tra Robert Carr, conte del Somerset e Frances Howard. Tra i versi ne leggiamo uno molto curioso:
“Now, as in Tullias tombe, one lamp burnt cleare/ Unchang’d for fifteene hundred yeare/ May these love-lamps we here enshrine/ In warmth, light, lasting, equall the divine…”

La similitudine si riferisce ad un curioso fatto realmente accaduto e tutt’ora avvolto nel mistero.

Attorno al 1450, sulla via Appia Antica, nei pressi della sesta pietra miliare, alcuni operai alla ricerca di marmo durante l’estrazione di un blocco sprofondarono in una volta a tegole profonda, come da documenti dell’epoca, all’incirca dodici piedi. Qui venne ritrovata una tomba che, una volta aperta, rivelò una curiosissima sorpresa. Al suo interno, il corpo intatto e perfettamente conservato di una ragazza, giaceva immerso in due dita di liquido trasparente, profumato e di consistenza grassa, mentre ai suoi piedi era posata quella che poteva essere una lampada funeraria votiva accesa ma che, al contatto con l’aria, si spense.

La tomba apparterrebbe a Tullia, amatissima figlia del politico e filosofo Marco Tullio Cicerone, vissuto nel I secolo a. C. Documenti originali attestano quanto fu grande l’affetto di Cicerone per Tullia, nonstante fosse nata dalla sua relazione con Terenzia. Di lei parla così al fratello Quinto: “Com’è affettuosa, com’è modesta, com’è intelli

gente”. Quando lei morì dando alla luce un figlio il padre ammise di aver perso l’unica cosa che, ancora, lo legava alla vita.Nel febbraio del 45 a.C. la giovane si ammalò e morì dando alla luce un figlio. Tale fu il suo dolore che Cicerone scrisse ad Attico: “Ho perso l’unica cosa che mi legava alla vita”.

Proprio per questo motivo il padre avrebbe deciso di dare alla figlia una sepoltura importante, che avesse potuto conservarne l’aspetto integro per molti secoli a venire.

All’epoca del ritrovamento, l’umanista Bartolomeo Fonte scrisse una lettera all’amico Francesco Sassetti in cui raccontò tutti i particolari del ritrovamento. Toccante è la descrizione che dà del corpo della giovane:
“(…)apparve un volto di così limpido pallore da far sembrare che la fanciulla fosse stata sepolta quel giorno. I lunghi capelli neri aderivano ancora al cranio, erano spartiti e annodati come si conviene a una giovane e raccolti in una reticella di seta e oro. Orecchie minuscole, fronte bassa, sopraccigli neri, infine occhi di forma singolare sotto le cui palpebre si scorgeva ancora la cornea. Persino le narici erano ancora intatte e sì morbide da vibrare al semplice contatto di un dito. Le labbra rosse, socchiuse, i denti piccoli e bianchi, la lingua scarlatta sin vicino al palato. Guance, mento, nuca e collo sembravan palpitare. Le braccia scendevano intatte dalle spalle sì che, volendo, avresti potuto muoverle. Le unghie aderivano ancora alle splendide lunghe dita delle mani distese. Petto, ventre e grembo erano invece compressi da un lato e dopo l’asportazione della crosta aromatica si decomposero. Dorso, fianchi e il deretano invece, avevano conservato i loro contorni e le forme meravigliose, così come le cosce e le gambe che in vita avevano sicuramente presentato pregi anche maggiori del viso.”

Il corpo fu portato in Campidoglio e fu oggetto di pellegrinaggi da parte di migliaia di curiosi ,finchè Papa Innocenzo VIII decise di gettare il corpo della ragazza nel Tevere per paura che il popolo la trasformasse in oggetto di culto idolatrico.
Non ci è dato sapere se il corpo appartenesse veramente a Tullia: il sarcofago pare non riportasse alcun simbolo od iscrizione, mentre non fu possibile recuperare il monumento collocato sopra alla cripta. Oltre alle documentazioni scritte (poche) ed orali, disponiamo soltanto del disegno di un ignoto artista dell’epoca.

In realtà il mistero sta nella perfetta conservazione del corpo… E in quella luce che avrebbe brillato per più di mille anni, che tanto ci ricorda l’enigma delle pile di Bagdhad.

Secondo alcuni il liquido avrebbe potuto essere il Natron, lo stesso che gli antichi egizi utilizzavano durante il processo dell’imbalsamazione. Tuttavia l’ipotesi è stata presto scartata, in quanto il natron assorbiva l’acqua dal corpo, seccandolo e permettendone così la conservazione. Nel caso di Tullia, invece, si parla di un tipo di conservazione opposto.

E che dire della lampada, che avrebbe illuminato la stanza in cui la tomba aveva riposato per ben 1500 anni? Cosa avrebbe potuto alimentarla per tutto quel tempo? Ipotesi affermano che solamente pile nucleari potrebbero raggiungere questo obiettivo: esse durano cinquemila anni e diffondono una particolare luce bianco-azzurra.

E’ molto più probabile che il corpo, immerso in quel liquido misterioso (forse l’absesto -amianto- stando alle ricerche in propsito effettuate da Plinio il vecchio durante il I sec. d.C.), avesse acquistato una particolare luminescenza che a contatto con l’aria (oltretutto completamente diversa da quella dell’epoca di inumazione) si sarebbe “spenta”. Il ritrovamento di una lampada o una torcia al suo fianco avrebbe così contribuito  ad alimentare l’ipotesi che la luce provenisse da una fiammella, mentre in realtà sarebbe appartenuta al corpo stesso.

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