Deutsche Bank: «Cresce in Italia la rabbia anti-Euro»

Fonte: http://www.linkiesta.it/manifestazioni-anti-euro
Scritto da: Fabrizio Goria

Un anno fa Roma venne messa a ferro e fuoco. Oggi la città è tappezzata di manifesti che annunciano cortei euroribelli. In una nota, Deutsche Bank esprime la preoccupazione per una rabbia che finora in Italia non è esplosa ma è rimasta confinata a Internet.

 Il 15 ottobre 2011 il centro di Roma fu messo a ferro e fuoco da una manifestazione tanto violenta quanto improvvisa. Un anno dopo, sono in aumento le rappresentazioni pratiche di un sentimento diffuso, quella rabbia verso il sistema politico, verso la finanza mondiale, verso l’Europa. Dopo il “No Monti Day” di alcune settimane fa, sono in preparazione diversi altri esempi di manifestazioni. Da alcuni giorni il centro di Roma è tappezzato di poster pubblicitari del Movimento sociale europeo che ha organizzato per il prossimo sabato “Euroribellione”. Le tensioni sociali in Italia non sono paragonabili a quelle viste ancora ieri in Grecia, fra molotov e scontri tra manifestanti e polizia. Eppure, il rischio esiste.

 

Euro, austerity, ripensamento del modello economico per i Paesi sviluppati, ricambio dell’attuale classe dirigente per diverse nazioni. Sono queste le ragioni alla base della maggior parte delle manifestazioni organizzate in Italia nel corso dell’ultimo anno. Finora la rabbia si è sviluppata più su internet che nelle strade. O almeno questa è la visione di Deutsche Bank che in una nota ha analizzato la situazione politica e sociale italiana in vista delle prossime elezioni. L’insofferenza è molta, ma è inespressa. O meglio, ha trovato una via nel web.

Al contrario di ciò che successo in Grecia, Portogallo e Spagna, in Italia non si è ancora scesi nelle piazze in maniera massiva. Ma, secondo Deutsche Bank, è questione di mesi. Con l’arrivo della campagna elettorale, la discussione sviluppatasi nei social network, sui forum, nei social media, potrebbe sfociare nelle strade. Particolare è considerato il caso di Beppe Grillo. Il comico genovese fondatore del Movimento 5 Stelle è ritenuto un fenomeno da studiare. Il suo ostentato ripudio della televisione come strumento di comunicazione politica è valutato come «corretto» dalla banca tedesca. Il ragionamento è semplice: se Grillo vuole andare contro l’attuale classe politica, non può utilizzare gli stessi strumenti da lei usata. Eppure, ci sono diversi rischi.

Il primo è la formazione di una cultura politica carica di lacune e distorsioni faziose. È questo l’esempio delle teorie complottistiche nate nel corso degli ultimi anni. New World Order, Goldman Sachs, Wall Street contro l’euro: sono queste alcune delle idee che hanno preso sempre più piede. Un esempio di questa tendenza si è potuta osservare un anno fa, quando la Banca centrale europea (Bce) ha lanciato le due operazioni di rifinanziamento a lungo termine (Long-term refinancing operation, o Ltro) per un totale di circa mille miliardi di euro. «Soldi che sono stati prestati alle banche all’1% e che non sono mai arrivati alle imprese», dicono i grillini e le aree più massimaliste di quel sottobosco contro l’euro che tanto preoccupa Bruxelles. In realtà, senza le Ltro le banche di Italia e Spagna non avrebbero potuto sostenere i rispettivi mercati obbligazionari nei primi mesi del 2012. Dato che la domanda di bond governativi proveniente dall’estero era in costante calo, Roma e Madrid sono state tenute a galla dagli istituti di credito nazionali. Meglio quello piuttosto che osservare un’asta deserta da parte del Tesoro. Il messaggio è stato però veicolato in modo distorto. Quello che è emerso è che le banche sono state oggetto di regali da parte della Bce. Un messaggio utilizzato ad arte dai detrattori dell’euro.

È la voglia di una secessione dall’eurozona il secondo rischio più grande. Secondo una ricerca di fine settembre, condotta dal Pew Research Center per Morgan Stanley, il sentimento anti-euro è più sentito in Italia che in Grecia. Il 50% degli intervistati ha dichiarato di voler mantenere l’euro come valuta nazionale. Di contro, il 45% ha risposto che vorrebbe un ritorno alla lira, mentre il 5% ha affermato di non saper cosa sarebbe meglio per il Paese. Il paragone con la Grecia è quello più significativo. Solo il 27% degli intervistati vorrebbe tornare alla dracma. Tutti gli altri, a esclusione di un 3% di incerti, vuole continuare ad avere euro nel portafoglio. Come hanno rivelato due sondaggi dei quotidiani ellenici Ta Nea e Kathimerini, la popolazione greca sa che uscire dall’euro ha dei costi che allo stato attuale sono incalcolabili. Il tutto senza contare che, secondo il Trattato di Lisbona, non è possibile una secessione dall’eurozona, ma solo un’uscita dall’Europa. In Italia non sembra essere così.

La rabbia sociale inespressa, spiega anche una nota di UBS, è uno dei più elevati pericoli per i Paesi dell’eurozona meridionale. La percezione comune è che siano l’austerità e il consolidamento fiscale ad aver peggiorato una crisi nata dall’universo finanziario. In realtà, spiegano gli analisti della banca elvetica, ci sono ragioni per pensare che questo sentimento, nell’intera area euro, possa sfociare in concomitanza con le tornate elettorali del 2013. Germania, ma soprattutto Italia, saranno il banco di prova per tastare il polso a un’eurozona sempre più divisa.

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