Narcoguerra

Fonte: http://it.peacereporter.net

Eroina afgana sui voli militari britannici di ritorno dal fronte. La notizia rafforza i sospetti sui reali interessi economici che si nascondono dietro la guerra in Afghanistan

La notizia, diffusa lunedì dalla Bbc, dei militari britannici e canadesi accusati di trasportare eroina in Europa sfruttando l’assenza di controllo sui voli militari di ritorno dal fronte, non fa che rafforzare i sospetti sui reali interessi economici che si nascondono dietro la guerra in Afghanistan.

Il traffico ‘militare’ di eroina scoperto tra le basi Nato nel sud dell’Afghanistan (Helmand e Kandahar) e l’aeroporto militare di Brize Norton, nell’Oxfordshire, verrà liquidato con la solita spiegazione delle ‘mele marce’, del caso isolato che riguarda solo alcuni individui.

Più probabilmente si tratta invece della punta dell’iceberg, o meglio delle briciole di un traffico ben più grande e strutturato che i suoi principali gestori – militari e servizi segreti Usa – lasciano ai loro alleati, evidentemente meno bravi di loro nel non farsi scoprire.

Solo pochi mesi fa sulla stampa tedesca era venuto fuori che una delle principali agenzie private di contractors addette alla logistica delle basi Nato in Afghanistan – la Ecolog, sospettata di legami con la mafia albanese – era coinvolta in traffici di eroina afgana verso il Kosovo e la Germania.

L’anno scorso fece molto scalpore la rivelazione, del New York Times, che Walid Karzai, fratello del presidente afgano e principale trafficante di droga della provincia di Kandahar, fosse da anni sul libro paga della Cia.

“I militari americani non contrastano la produzione di droga in Afghanistan perché questa frutta loro almeno 50 miliardi di dollari all’anno: sono loro a trasportare la droga all’estero con i loro aerei militari, non è un mistero”, dichiarava nell’estate 2009 a Russia Today il generale russo Mahmut Gareev.

Già nel 2008 la stampa russa, sulla base di informazioni di intelligence non smentite dall’allora ambasciatore di Mosca a Kabul, Zamir Kabulov, rivelava che l’eroina viene portata fuori dall’Afghanistan a bordo dei cargo militari Usa diretti nelle basi di Ganci, in Kirghizistan, e di Inchirlik, in Turchia.

Nello stesso periodo, un articolo apparso sul quotidiano britannico Guardian riferiva delle crescenti voci riguardanti la pratica dei militari Usa in Afghanistan di nascondere la droga nelle bare dei caduti aviotrasportate all’estero, riempite di eroina al posto dei cadaveri dei soldati.

“Le esperienze passate in Indocina e Centroamerica – si leggeva, sempre nel 2008, sull’americano Huffington Post – suggeriscono che la Cia potrebbe essere coinvolta nel traffico di droga afgana in maniera più pesante di quello che già sappiamo. In entrambi quei casi gli aerei Cia trasportavano all’estero la droga per conto dei loro alleati locali: lo stesso potrebbe avvenire in Afghanistan. Quando la storia della guerra sarà stata scritta, il sordido coinvolgimento di Washington nel traffico di eroina afgana sarà uno dei capitoli più vergognosi”.

Nel 2002 il giornalista ameriano Dave Gibson di Newsmax ha citava una fonte anonima dell’intelligence Usa secondo la quale “la Cia è sempre stata implicata nel traffico mondiale di droga e in Afghanistan sta semplicemente portando avanti quello che è il suo affare preferito, come aveva già fatto durante la guerra in Vietnam“.

Secondo lo storico Usa Alfred McCoy, principale studioso del coinvolgimento della Cia nel narcotraffico in tutti i teatri di guerra americani degli ultimi cinquant’anni (fino alla resistenza antisovietica afgana degli anni ’80), il principale obiettivo dell’occupazione americana dell’Afghanistan era il ripristino della produzione di oppio, inaspettatamente vietata l’anno prima dal Mullah Omar nella speranza di guadagnarsi il riconoscimento internazionale.

I fatti, e il buon senso, sembrano confermare la tesi di McCoy: dopo l’invasione del 2001, la produzione e lo smercio di oppio afgano (e dell’eroina) sono ripresi a livelli mai visti, polverizzando in pochi anni i record dell’epoca talebana, mentre le truppe Usa e Nato si sono sempre rifiutate di impegnarsi nella lotta al narcotraffico, continuando a sostenere i locali signori della droga.

Rimane una domanda di fondo: perché mai gli apparati militari e d’intelligence americani, in teoria dediti alla sicurezza nazionale e internazionale, mirano da decenni al controllo del narcotraffico? Per la venalità dei loro vertici corrotti? Per garantirsi fondi neri per operazioni coperte? O forse dietro c’è qualcosa di più strategico e sistemico che, alla fine, riguarda realmente il mantenimento della la sicurezza?

Il direttore generale dell’Ufficio Onu per la droga e la criminalità (Unodc), Antonio Maria Costa, ha implicitamente risposto a questa domanda, dichiarando che gli enormi capitali derivanti dal riciclaggio dei proventi del narcotraffico costituiscono la linfa vitale che garantisce la sopravvivenza del sistema economico americano e occidentale nei momenti di crisi.

”La maggior parte dei proventi del traffico di droga, un volume impressionante di denaro, viene immesso nell’economia legale con il riciclaggio”, affermava Maria Costa nel gennaio 2009. ”Ciò significa introdurre capitale da investimento, fondi che sono finiti anche nel settore finanziario, che si trova sotto ovvia pressione (a causa della crisi finanziaria globale, ndr)”.

”Il denaro proveniente dal narcotraffico attualmente è l’unico capitale liquido da investimento disponibile”, proseguiva il direttore dell’Unodc. ”Nel 2008 la liquidità era il problema principale per il sistema bancario e quindi tale capitale liquido è diventato un fattore importante. Sembra che i crediti interbancari siano stati finanziati da denaro che proviene dal traffico della droga e da altre attività illecite. E’ ovviamente arduo dimostrarlo, ma ci sono indicazioni che un certo numero di banche sia stato salvato con questi mezzi”.