La dittatura portoghese e la transizione alla democrazia

Scritto da: Goffredo Adinolfi
Fonte: http://www.treccani.it/scuola/tesine/democrazie_europee_degli_anni_70/3.html

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Il 28 maggio del 1926, giorno del golpe vittorioso dei militari contro la repubblica liberale, Antonio Oliveira Salazar era professore di economia all’Università di Coimbra e dirigente di un piccolo partito cattolico nazionalista. Quando i nuovi dirigenti furono a bussare alla sua porta per proporgli il ministero delle finanze, Salazar era ancora sconosciuto ai più. Fu dall’interno del governo militare che il futuro dittatore costruì la sua carriera e il suo regime e fu solo a partire dal luglio del 1932 che il “mago delle finanze” riuscì a impadronirsi di tutte le leve del potere, diventando finalmente capo del governo.

La dittatura di Salazar
Salazar stimava il fascismo e Mussolini, ma non amava le masse, importò buona parte delle strutture costruite dal fascismo (milizia, corporativismo, propaganda, inquadramento della società in organizzazioni paramilitari, saluto romano eccetera), ma non ne condivise mai l’ansia espansionistica. Questo perché il Portogallo non aveva bisogno di nuove conquiste: contrariamente all’Italia, infatti, aveva già un vasto impero coloniale che si stendeva da Macao – in Cina – fino alle isole di Capo Verde, nell’Atlantico africano, passando per Goa – in India –, Mozambico, Guinea Bissau e Angola in Africa.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale, Salazar scelse di mantenere una posizione di neutralità piuttosto ambigua, neutralità che si trasformò in una conferma dell’alleanza con gli Inglesi in un momento in cui i destini del conflitto si erano chiariti quasi definitivamente, ovvero nel 1944. Il risultato di questa mossa permise a Salazar sia di annichilire le opposizioni democratiche, che speravano in un appoggio di Londra e delle armate ‘antifasciste’ sia di creare un solco tra il proprio regime e i fascismi sconfitti e ottenere quindi il lasciapassare che gli permise di governare tranquillamente fino alla sua morte.
Contrariamente a quanto molti avevano infatti ipotizzato, il dopoguerra non segnò la fine della dittatura salazarista. Il clima di guerra fredda che contrappose Stati Uniti e Unione Sovietica fecero del Portogallo – che fu accolto tra i membri fondatori della Nato – un prezioso baluardo contro il comunismo. Sebbene l’egemonia culturale si fosse spostata decisamente nel campo di coloro che erano partigiani di un netto rifiuto dell’autoritarismo, l’equilibrio delle forze continuava a essere decisamente favorevole alla dittatura. Salazar lanciò il motto “orgogliosamente soli” e cercò di isolare il paese dalle influenze esterne. La tragica fine dei fascismi e il conseguente affermarsi delle democrazie, il forte sviluppo economico e sociale e, infine, le guerre coloniali che tanto stavano sconvolgendo gli antichi equilibri non potevano però non avere ripercussioni anche in Portogallo. La dittatura riuscì comunque a trovare una sua stabilità, complice un certo sviluppo economico che, creando consensi, minava in partenza qualsiasi azione efficace da parte delle opposizioni. Periodiche elezioni – “libere come nella libera Inghilterra” – davano una parvenza di democrazia, mentre i territori dell’Impero si trasformarono in “territori d’oltremare”. Tutti cambiamenti di facciata che non modificavano la sostanza di una dittatura a cui, persa la legittimazione ideologica, rimaneva unicamente la violenza come forma di mantenimento del potere.

Il regime inizia a entrare in crisi
La stabilità però non era eterna e con la fine degli anni Cinquanta il regime sembrava subire una serie di scacchi destinati a travolgerlo. In particolare, le elezioni presidenziali del 1958 (ufficialmente Salazar era Presidente del consiglio nominato da un Capo dello stato eletto direttamente dai cittadini) che, pur sotto un rigido controllo della Pide, la temibile polizia politica, per un momento sembrarono sfuggire di mano. Il candidato delle opposizioni, il generale Humberto Delgado, riuscì a mobilitare la popolazione e molti sperarono in una sua vittoria contro il candidato del regime, l’ammiraglio Amerigo Tomas. Come è facilmente intuibile, le elezioni erano perse in partenza, troppi gli strumenti in mano alla dittatura per garantirsi un facile successo. Passato lo spavento determinato dal “terremoto Delgado”, cominciarono gli attacchi dei movimenti indipendentisti nei territori africani: era l’inizio di tredici anni di guerra coloniale. Nonostante le risorse economiche che essa assorbiva, nonostante la coscrizione obbligasse tutti i giovani a dedicare due anni della loro vita a combattere in Africa, nonostante fosse evidente che presto o tardi la guerra sarebbe finita con l’indipendenza delle colonie, Salazar riuscì sempre a controllare capillarmente tutte le forze che avrebbero potuto infastidirlo.

Marcelo Caetano e l’evoluzione nella continuità
Nell’agosto del 1968 Salazar cadde da una sedia riportando un grave ematoma cerebrale che in poche settimane gli provocò danni irreversibili, rendendolo incapace di governare. Il 18 settembre il Consiglio di stato attribuiva i poteri al delfino di sempre: Marcelo Caetano. Salazar morì nel luglio del 1970. Il nuovo corso introdotto da Caetano, “evoluzione nella continuità”, sembrò finalmente dischiudere le porte a una liberalizzazione e condurre quindi alla democrazia. Fu un periodo importante, ma che durò poco: il nuovo dittatore capì subito che l’Estado Novo oramai non era riformabile senza rischiare al contempo una rivoluzione e, intimorito, scelse la strada della continuità con il passato salazarista. La guerra senza sbocco, che assorbiva quasi la metà del bilancio pubblico portoghese, cominciava a creare malcontenti anche all’interno di una delle colonne portanti del regime: i militari. Nell’estate del 1973, un gruppo di ufficiali del quadro permanente si riuniva per protestare contro un decreto legge emesso dal governo che equiparava gli ufficiali di carriera agli ufficiali di complemento. La protesta ebbe una prima matrice di carattere sindacale, ma presto si trasformò in presa di coscienza politica da parte di chi, da anni, combatteva in Africa e si rendeva conto che l’unica via di uscita dalla guerra era la fine della dittatura: il 9 settembre del 1973 nasceva così il Movimento dei capitani.
Nei primi mesi del 1974, il vice capo di stato maggiore, generale Antonio Spinola, lanciò un attacco frontale, con l’appoggio del capo di stato maggiore Francisco Costa Gomes, contro la politica coloniale del governo e, se pur con diversi contrasti, aprì i contatti con il Movimento dei capitani: Marcelo Caetano era oramai rimasto solo.

La Rivoluzione dei garofani
Il 24 aprile del 1974 a Lisbona fu un giorno come un altro. Tutto sembrava ripetersi  stancamente uguale: la guerra, la miseria e le violenze. Tutto appariva assolutamente immutabile, l’opposizione era annichilita e impotente, prontamente disarticolata dagli onnipresenti uomini della Pide. La guerra in Africa continuava senza grandi vittorie e senza grandi sconfitte. La tragedia si era in sostanza routinizzata. Fu in questo clima di immanenza che si svolse la Rivoluzione dei garofani. Nella notte tra il 24 e il 25 aprile i capitani lanciavano il segnale di inizio delle operazioni: da Radio Renascença occupata, le note della canzone proibita Grandola di José Afonso, il cantautore della libertà, si diffusero per tutto il paese, mentre dalle caserme i capitani si incamminavano verso la conquista dei luoghi strategici del potere. Alle 7,30 i militari diramavano un comunicato radio nel quale palesavano i loro obiettivi: ritorno alla democrazia, elezioni libere e fine della guerra coloniale. Alle 18.00, Marcelo Caetano, asserragliato sulla collina del Carmo, sede della Guarda Nacional Republicana, consegnava il potere nelle mani del generale Spinola. Poco distante, la Pide sparava una raffica di mitra contro i manifestanti, provocando gli unici due morti della giornata rivoluzionaria.
Il 25 aprile del 1974, a Lisbona, non fu un giorno come gli altri innumerevoli che l’avevano preceduto, perché da allora, per il Portogallo, la storia prese un’altra strada. Tuttavia, i problemi da risolvere erano enormi e sessant’anni di dittatura non potevano essere cancellati in un momento. Più e più generazioni si erano formate nelle scuole del regime e non esisteva una classe politica a cui rifarsi come era avvenuto per esempio in Italia. Servivano soldi, molti soldi per ridare dignità a una popolazione terribilmente povera, ma il mondo viveva la più grande crisi economica del dopoguerra e di soldi da ridistribuire ce n’erano pochi. Occorrevano nuovi dirigenti, nuovi partiti e una nuova costituzione. In meno di ventiquattro ore, il Portogallo dovette abbandonare ciò di cui era stato sempre orgoglioso: l’impero. In meno di ventiquattro ore il Portogallo girava le spalle all’Africa per tornare in Europa.

Politica e democrazia
Tre furono le grandi forze intorno a cui si ricostruì la democrazia: il Partito comunista portoghese (PCP) di Alvaro Cunhal, l’unico che poteva vantare una certa continuità di azione durante tutto il periodo della dittatura, il Partito socialista (PS), guidato da Mario Soares e il Partito popolare democratico (PPD) di Francisco de Sá Carneiro, partito figlio della ‘primavera marcellista’ e già presente nel parlamento della dittatura. A fianco di queste tre forze si sviluppò, al di fuori dei partiti, un forte movimento popolare. Negli anni ’74 e ’75 sembrava che tutto ciò che era stato represso per più di mezzo secolo dovesse sfogarsi in un momento solo. Il “potere cadde nelle strade” titola un libro dedicato allo studio di quegli anni.
Non tutti gli equilibri si erano però stabiliti in quel 25 aprile, al contrario molte erano le strade che avrebbe potuto imboccare il paese: democrazia, golpe di sinistra, golpe di destra. Nel marzo del 1975, quando mancava appena un mese alle elezioni per l’Assemblea costituente, militari fedeli al generale Spinola tentarono, senza riuscirvi, di prendere il potere e guidare, soli, il processo di costruzione di un nuovo regime. Fu in questo clima incandescente che si tennero le elezioni del 25 aprile: fino ad allora nessuno aveva idea di quale sarebbe stata la forza su cui i partiti potevano contare. Il PCP era sicuramente la formazione che più aveva sofferto durante tutta la dittatura e il suo leader, Cunhal, dal 1937 al 1974 aveva vissuto la sua vita tra la clandestinità, la prigione e l’esilio. Dall’altro lato vi era il PS di Soares, il partito che più avrebbe garantito una transizione morbida al paese. Le elezioni furono vinte dai socialisti (38%), seguiti dal PPD con il 26,4%, mentre il PCP ottenne appena il 12,5%. Dopo l’estate calda del ’75 gruppi alla sinistra del Partito comunista tentarono la via armata, che, se pur facilmente neutralizzata, fu comunque fonte di delegittimazione per il PCP, accusato, ingiustamente, di essere uno dei principali responsabili.

Le elezioni del 1976
Fu dopo il novembre del ’75 che il quadro politico si fece decisamente più chiaro. Il 2 aprile del ’76 si conclusero i lavori dell’Assemblea costituente e il 25 aprile dello stesso anno si tennero le elezioni legislative. Sebbene il modello costituzionale scelto fosse quello del semipresidenzialismo alla francese, con un capo dello stato eletto dai cittadini, nella pratica la prassi tuttora in uso rende simile il modello portoghese a quello italiano che vede la sua centralità nel parlamento.
Il sistema elettorale adottato dai costituenti fu quello proporzionale, sebbene corretto in modo da scoraggiare il più possibile la frammentazione politica. I grandi vincitori delle elezioni furono ancora una volta i socialisti di Soares, con il 34% dei voti. Al secondo posto si affermò il PPD che, nel frattempo, era venuto a chiamarsi Partito social democratico (PSD, di centro destra). Il PCP sarebbe arrivato solamente quarto con il 14,4%, superato da un’altra forza di destra, il Centro democratico social (CDS), che con il 16% era il terzo partito. A chiudere un lungo percorso di stabilizzazione vi furono infine le elezioni del capo dello stato che videro la vittoria del generale Ramalho Eanes, candidato del PS, PSD e CDS contro uno degli eroi della rivoluzione, Otelo de Carvalho.

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