Costa d’Avorio, il ritorno degli squadroni

Scritto da: Alberto Tundo
Fonte:http://it.peacereporter.ne 

Uccisioni sommarie e sequestri, la crisi ivoriana si fa sempre pù grave mentre Gbagbo alza il tiro contro le Nazioni Unite che decidono la proroga della loro missione

La crisi politica in cui si è avvitata la Costa d’Avorio si fa sempre più grave, come dimostrano le bande di miliziani ricomparse sabato notte, a dimostrazione che il presidente Laurent Gbagbo pur di non farsi da parte è disposto veramente a tutto. Anche a minacciare le Nazioni Unite, da lui accusate di avere interferito nel processo elettorale e di essersi schierate con il leader dell’opposizione, Alassane Ouattara, vincitore delle presidenziali del 30 novembre. L’ultimo atto di questo braccio di ferro diplomatico è una minacciosa dichiarazione del ministro dell’Interno Emile Guirieolou, secondo il quale la missione Onu in Costa d’Avorio (Unoci) potrebbe essere considerata alla stessa stregua della guerriglia che controlla il nord del Paese. Con tutto ciò che questo comporta. Che il confronto si stesse sinasprendo lo si è capito tra sabato e domenica, quando pattuglie di militari delle Nazioni Unite sono state attaccate. Il capo dei peacekeepers, Alain LeRoy, ha dichiarato all’Agence France Presse, che soldati fedeli a Gbagbo, oltre agli attacchi ai Caschi blu, stanno cacciando i funzionari Onu dalle loro case e che hanno interrotto i rifornimenti di carburante.

Blitz notturni. La ricomparsa degli squadroni è il segno più tangibile di quanto il Paese si trovi vicino a quel baratro che lo aveva inghiottito tra il 2002 e il 2004. Il bilancio delle manifestazioni degli ultimi giorni è di una sessantina di morti e di oltre 200 feriti. Ancora più inquietante è il ritorno alla prassi dei sequestri: miliziani in uniforme, accompagnati da uomini dei servizi di sicurezza, da alcuni giorni razziano il quartiere della capitale dove si concentra lo stato maggiore del partito di Ouattara, l’Rdr: entrano nelle case nel cuore della notte per uccidere e sequestrare quelli che sono obiettivi scelti. Lo hanno confermato a Peacereporter fonti vicine al leader del partito, le quali hanno denunciato anche l’esistenza di una fossa comune nei pressi della prigione civile di Abdjan. Non sono molte le informazioni a riguardi, perché Gbagbo ha chiuso le emittenti che trasmettono programmi stranieri, notiziari compresi, e ha dato ordine ai suoi scagnozzi di far sparire le copie dei quotidiani a lui ostili. Di vitale importanza per il vecchio leader è la fedeltà di una corte di “giapponesi”, come Pierre Brou Amessan, il direttore della televisione di stato, la principale fonte di propaganda o come Blè Goudé, ministro della Gioventù, sottoposto a sanzioni nel 2006 dalle Nazioni Unite, che lo accusano di guidare un gruppo paramilitare,i Giovani Patrioti, responsabili di torture e uccisioni sommarie.

Le prime crepe nell’esercito. Una fedeltà che ha fatto saltare le catene di comando. Sempre più ininfluente, ad esempio, è il ruolo di Philippe Mangou, generale di Corpo d’armata, un quattro stelle scavalcato dal generale di brigata Dogbo Ble Brunot, il capo della Garde Republicaine, la guardia pretoriana che protegge il palazzo presidenziale. Sono i suoi vertici ad aver preso il comando dell’esercito e a tenere i collegamenti con le milizie private ricomparse sabato notte, provvidenziali ora che l’appoggio delle Forze armate ai golpisti si fa meno convinto: mercenari liberiani, orfani della guerra della Sierra Leone, e miliziani angolani, arrivati in nome dell’amicizia tra Gbagbo e il presidente dell’Angola Josè Eduardo Dos Santos. Secondo quanto appurato da Peacereporter, l’esercito non è più un potere monolitico: a diversi ufficiali sinceramente repubblicani il colpo di stato in atto non piace. Anche nella Gendarmeria sono emerse posizioni critiche, come quella del comandante del corpo, Edouard Tapiè Kassaraté, che si è rifiutato di sparare sulla folla scesa in piazza a favore di Ouattara.

La guerriglia in attesa. I guerriglieri delle Forces Nouvelles intanto rimangono a guardare: a parole esibiscono una ritrovata fedeltà alla Repubblica ma in realtà sanno che, con Gbagbo fuori dai giochi, ci sarà un rimescolamento dei posti di comando nell’esercito, con cui si sono fusi, e sanno che non conviene tornare alla guerriglia proprio ora. C’è una postilla, però: rimarranno fermi finché le truppe fedeli al vecchio presidente non attaccheranno i soldati dell’Onu che proteggono l’Hotel Du Golf, dove vive blindato Ouattara. Non a caso, in quell’albergo si trova anche il generale Soumaila Bakayoko, il loro comandante. Quella dell’Onu resta una presenza ingombrante per il regime, che sperava di liberarsene approfittando della scadenza del mandato, prevista per il 31 dicembre. Lunedì 20 però la missione dell’Unoci è stata prorogata di altri sei mesi. E’ il primo avvertimento a Gbagbo e ai suoi giapponesi. Un secondo è arrivato a stretto giro: l’Unione Europea ha adottato un divieto d’ingresso per il presidente, la moglie e altre 17 membri della cerchia presidenziale. Il congelamento dei conti bancari e il blocco dei beni sarà il prossimo passo.