Il ruolo essenziale (e sconosciuto) degli animali nel ciclo del carbonio

Fonte: http://www.greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/ruolo-essenziale-animali-iclo-del-carbonio/

Yale-Scholl-320x234Lo studio “Animating the Carbon Cycle”, pubblicato su “Ecosystems”, sottolinea «La comprensione dei processi biogeochimici che regolano il ciclo del carbonio è fondamentale per la mitigazione delle emissioni atmosferiche di CO2». Finora si è tenuto conto del ruolo degli organismi viventi, ma l’attenzione è stata posta sui contributi di piante e microbi, mentre un team internazionale di ricercatori ha esaminato il ruolo degli animali nel mediare i processi biogeochimici ed ha quantificato i loro effetti sulla stoccaggio del carbonio e lo scambio tra i “pozzi” terrestri e acquatici di CO2 e l’atmosfera, scoprendo che le popolazioni animali possono avere un effetto molto significativo sulle stoccaggio.

Il nuovo studio realizzato da un team guidato dai ricercatori della Yale School of Forestry & Environmental Studies (F&ES) evidenzia che in alcune regioni impatto sull’assorbimento o il rilascio di Co2 di specie o gruppi di animali, come i coleotteri dei pini invasivi che stanno divorando le foreste dell’America nord-occidentale, sono in grado di rivaleggiare con l’impatto delle emissioni da combustibili fossili nella stessa regione. Il principale autore dello studio, Oswald Schmitz, spiega che «Mentre i modelli solitamente tengono conto di come le piante e microbi influenzano il ciclo del carbonio, spesso sottovalutano quanto gli animali possono indirettamente alterare l’assorbimento, il rilascio, o il trasporto di carbonio all’interno di un ecosistema. Storicamente, il ruolo degli animali è stato ampiamente sottovalutato poiché le specie animali non sono distribuite globalmente e perché la biomassa totale degli animali è notevolmente inferiore rispetto alle piante sulle quali si basano e pertanto contribuiscono poco al carbonio attraverso la respirazione. Questo tipo di analisi non ha prestato attenzione a quello che noi chiamiamo gli effetti moltiplicatori indiretti. E questi effetti indiretti possono essere molto grandi e sproporzionati rispetto alla biomassa delle specie che stanno innescando il cambiamento».

In “Animating the Carbon Cycle”, il team di 15 autori provenienti da 12 università, enti di ricerca ed agenzie governative cita numerosi casi in cui gli animali hanno innescato un profondo impatto sul ciclo del carbonio a livello locale e regionale. Oltre al già citato scarabeo che sta devastando i boschi della British Columbia, in Africa orientale gli scienziati hanno scoperto che una diminuzione iniziata decenni fa della popolazione di gnu negli habitat di prateria-savana del Serengeti-Mara ha permesso un accumulo della materia organica che alla fine ha alimentato incendi nell’80% degli ecosistemi, con un forte rilascio di carbonio dalle piante e il suolo.

«Questi sono esempi nei quali i maggiori effetti degli animali non sono quelli diretti – spiega Schmitz – Ma a causa della loro presenza attenuano o mediano i processi degli ecosistemi che quindi possono avere questi effetti ramificati».

Peter Raymond, anche lui della F&ES, dice: « Speriamo che questo articolo possa ispirare gli scienziati ed i manager ad includere gli animali quando pensano ai bilanci del carbonio locali e regionali».

Secondo lo studio una più corretta valutazione di questi fenomeni permettere di realizzare tipi di gestione per contribuire a mitigare la minaccia del cambiamento climatico: «Ad esempio nella regione artica, dove circa 500 gigatonnellate di carbonio vengono stoccate nel permafrost, il pascolo di grandi mammiferi, come i caribù ed buoi muschiati, può aiutare a mantenere le praterie che hanno un alto albedo e quindi riflettono più energia solare. Inoltre, calpestando il suolo questi branchi possono realmente contribuire a ridurre il tasso di disgelo del permafrost».

Secondo Schmitz si tratta di un buon argomento per ripristinare l’equilibrio naturale tra predatori e prede: «Non stiamo dicendo che la gestione di animali riuscirà a compensare queste emissioni di carbonio. Quello che stiamo cercando di dire è che i numeri sono ad una scala per la quale vale la pena di iniziare a pensare a come potrebbero essere gestiti gli animali per realizzare tutto questo».

Lo studio “Animating the Carbon Cycle”, pubblicato su “Ecosystems”, sottolinea «La comprensione dei processi biogeochimici che regolano il ciclo del carbonio è fondamentale per la mitigazione delle emissioni atmosferiche di CO2». Finora si è tenuto conto del ruolo degli organismi viventi, ma l’attenzione è stata posta sui contributi di piante e microbi, mentre un team internazionale di ricercatori ha esaminato il ruolo degli animali nel mediare i processi biogeochimici ed ha quantificato i loro effetti sulla stoccaggio del carbonio e lo scambio tra i “pozzi” terrestri e acquatici di CO2 e l’atmosfera, scoprendo che le popolazioni animali possono avere un effetto molto significativo sulle stoccaggio.

Il nuovo studio realizzato da un team guidato dai ricercatori della Yale School of Forestry & Environmental Studies (F&ES) evidenzia che in alcune regioni impatto sull’assorbimento o il rilascio di Co2 di specie o gruppi di animali, come i coleotteri dei pini invasivi che stanno divorando le foreste dell’America nord-occidentale, sono in grado di rivaleggiare con l’impatto delle emissioni da combustibili fossili nella stessa regione. Il principale autore dello studio, Oswald Schmitz, spiega che «Mentre i modelli solitamente tengono conto di come le piante e microbi influenzano il ciclo del carbonio, spesso sottovalutano quanto gli animali possono indirettamente alterare l’assorbimento, il rilascio, o il trasporto di carbonio all’interno di un ecosistema. Storicamente, il ruolo degli animali è stato ampiamente sottovalutato poiché le specie animali non sono distribuite globalmente e perché la biomassa totale degli animali è notevolmente inferiore rispetto alle piante sulle quali si basano e pertanto contribuiscono poco al carbonio attraverso la respirazione. Questo tipo di analisi non ha prestato attenzione a quello che noi chiamiamo gli effetti moltiplicatori indiretti. E questi effetti indiretti possono essere molto grandi e sproporzionati rispetto alla biomassa delle specie che stanno innescando il cambiamento».

In “Animating the Carbon Cycle”, il team di 15 autori provenienti da 12 università, enti di ricerca ed agenzie governative cita numerosi casi in cui gli animali hanno innescato un profondo impatto sul ciclo del carbonio a livello locale e regionale. Oltre al già citato scarabeo che sta devastando i boschi della British Columbia, in Africa orientale gli scienziati hanno scoperto che una diminuzione iniziata decenni fa della popolazione di gnu negli habitat di prateria-savana del Serengeti-Mara ha permesso un accumulo della materia organica che alla fine ha alimentato incendi nell’80% degli ecosistemi, con un forte rilascio di carbonio dalle piante e il suolo.

«Questi sono esempi nei quali i maggiori effetti degli animali non sono quelli diretti – spiega Schmitz – Ma a causa della loro presenza attenuano o mediano i processi degli ecosistemi che quindi possono avere questi effetti ramificati».

Peter Raymond, anche lui della F&ES, dice: « Speriamo che questo articolo possa ispirare gli scienziati ed i manager ad includere gli animali quando pensano ai bilanci del carbonio locali e regionali».

Secondo lo studio una più corretta valutazione di questi fenomeni permettere di realizzare tipi di gestione per contribuire a mitigare la minaccia del cambiamento climatico: «Ad esempio nella regione artica, dove circa 500 gigatonnellate di carbonio vengono stoccate nel permafrost, il pascolo di grandi mammiferi, come i caribù ed buoi muschiati, può aiutare a mantenere le praterie che hanno un alto albedo e quindi riflettono più energia solare. Inoltre, calpestando il suolo questi branchi possono realmente contribuire a ridurre il tasso di disgelo del permafrost».

Secondo Schmitz si tratta di un buon argomento per ripristinare l’equilibrio naturale tra predatori e prede: «Non stiamo dicendo che la gestione di animali riuscirà a compensare queste emissioni di carbonio. Quello che stiamo cercando di dire è che i numeri sono ad una scala per la quale vale la pena di iniziare a pensare a come potrebbero essere gestiti gli animali per realizzare tutto questo».

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Lo studio “Animating the Carbon Cycle”, pubblicato su “Ecosystems”, sottolinea «La comprensione dei processi biogeochimici che regolano il ciclo del carbonio è fondamentale per la mitigazione delle emissioni atmosferiche di CO2». Finora si è tenuto conto del ruolo degli organismi viventi, ma l’attenzione è stata posta sui contributi di piante e microbi, mentre un team internazionale di ricercatori ha esaminato il ruolo degli animali nel mediare i processi biogeochimici ed ha quantificato i loro effetti sulla stoccaggio del carbonio e lo scambio tra i “pozzi” terrestri e acquatici di CO2 e l’atmosfera, scoprendo che le popolazioni animali possono avere un effetto molto significativo sulle stoccaggio.

Il nuovo studio realizzato da un team guidato dai ricercatori della Yale School of Forestry & Environmental Studies (F&ES) evidenzia che in alcune regioni impatto sull’assorbimento o il rilascio di Co2 di specie o gruppi di animali, come i coleotteri dei pini invasivi che stanno divorando le foreste dell’America nord-occidentale, sono in grado di rivaleggiare con l’impatto delle emissioni da combustibili fossili nella stessa regione. Il principale autore dello studio, Oswald Schmitz, spiega che «Mentre i modelli solitamente tengono conto di come le piante e microbi influenzano il ciclo del carbonio, spesso sottovalutano quanto gli animali possono indirettamente alterare l’assorbimento, il rilascio, o il trasporto di carbonio all’interno di un ecosistema. Storicamente, il ruolo degli animali è stato ampiamente sottovalutato poiché le specie animali non sono distribuite globalmente e perché la biomassa totale degli animali è notevolmente inferiore rispetto alle piante sulle quali si basano e pertanto contribuiscono poco al carbonio attraverso la respirazione. Questo tipo di analisi non ha prestato attenzione a quello che noi chiamiamo gli effetti moltiplicatori indiretti. E questi effetti indiretti possono essere molto grandi e sproporzionati rispetto alla biomassa delle specie che stanno innescando il cambiamento».

In “Animating the Carbon Cycle”, il team di 15 autori provenienti da 12 università, enti di ricerca ed agenzie governative cita numerosi casi in cui gli animali hanno innescato un profondo impatto sul ciclo del carbonio a livello locale e regionale. Oltre al già citato scarabeo che sta devastando i boschi della British Columbia, in Africa orientale gli scienziati hanno scoperto che una diminuzione iniziata decenni fa della popolazione di gnu negli habitat di prateria-savana del Serengeti-Mara ha permesso un accumulo della materia organica che alla fine ha alimentato incendi nell’80% degli ecosistemi, con un forte rilascio di carbonio dalle piante e il suolo.

«Questi sono esempi nei quali i maggiori effetti degli animali non sono quelli diretti – spiega Schmitz – Ma a causa della loro presenza attenuano o mediano i processi degli ecosistemi che quindi possono avere questi effetti ramificati».

Peter Raymond, anche lui della F&ES, dice: « Speriamo che questo articolo possa ispirare gli scienziati ed i manager ad includere gli animali quando pensano ai bilanci del carbonio locali e regionali».

Secondo lo studio una più corretta valutazione di questi fenomeni permettere di realizzare tipi di gestione per contribuire a mitigare la minaccia del cambiamento climatico: «Ad esempio nella regione artica, dove circa 500 gigatonnellate di carbonio vengono stoccate nel permafrost, il pascolo di grandi mammiferi, come i caribù ed buoi muschiati, può aiutare a mantenere le praterie che hanno un alto albedo e quindi riflettono più energia solare. Inoltre, calpestando il suolo questi branchi possono realmente contribuire a ridurre il tasso di disgelo del permafrost».

Secondo Schmitz si tratta di un buon argomento per ripristinare l’equilibrio naturale tra predatori e prede: «Non stiamo dicendo che la gestione di animali riuscirà a compensare queste emissioni di carbonio. Quello che stiamo cercando di dire è che i numeri sono ad una scala per la quale vale la pena di iniziare a pensare a come potrebbero essere gestiti gli animali per realizzare tutto questo».

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