Operazione ‘Condor’, l’Argentina ha chiuso la sua pagina più buia

Scritto da: Michele Caltagirone
Fonte: http://it.blastingnews.com/cronaca/2016/05/operazione-condor-l-argentina-ha-chiuso-la-sua-pagina-piu-buia-00942921.html

La Casa Rosada, il palazzo presidenziale di Buenos Aires

(La Casa Rosada, il palazzo presidenziale di Buenos Aires)

Condannati 15 ex militari della giunta Videla, feroci esecutori di un piano repressivo che insanguinò il Sudamerica

“Prima i sovversivi, i collaborazionisti ed i simpatizzanti. Poi elimineremo gli indifferenti ed infine gli indecisi”. Purtroppo non è una citazione da film, questa frase è stata pronunciata realmente da Jorge Rafael Videla, 42° presidente dell’Argentina dal 1976 al 1981. Il suo fu il regime dei “desaparecidos” che nell’arco di un quinquennio uccise oltre 40 mila presunti dissidenti ma la gran parte, circa 30 mila, sono scomparsi senza lasciare traccia. L’ex dittatore è morto tre anni fa nel carcere “Marcos Paz” di Campo de Mayo, a Buenos Aires, all’età di 87 anni, portandosi più di un segreto nella tomba. Ieri però, in un’aula di tribunale, l’Argentina ha chiuso con una sentenza l’ultimo capitolo della pagina più buia della sua storia.
Colpo di martello contro il marxismo

Il golpe militare che nel marzo del 1976 permise al generale Videla di prendere il potere nel Paese è una delle “appendici” dell’operazione “Condor”. Nel 1975 i capi dei servizi segreti di cinque nazioni del Sudamerica: Argentina, Cile, Uruguay, Bolivia e Paraguay, si riunirono pianficando la loro azione repressiva nei confronti della crescente ideologia marxista nel continente. Dal Paese che aveva dato i natali ad Ernesto “Che” Guevara partiva dunque il colpo di martello verso quella che veniva considerata una “deriva politica”. In un secondo momento collaborarono all’operazione Condor anche i governi di Brasile, Perù ed Ecuador, anche se in modo marginale. L’intenzione era quella di eliminare fisicamente la maggior parte degli oppositori ai regimi militari nascenti o già presenti da tempo nei Paesi suddetti, molte di queste persone avevano trovato rifugio in Argentina negli anni precedenti al colpo di Stato e sarà proprio nel Paese del Rio della Plata che avrà luogo la repressione più dura.
La sentenza dopo tre anni di udienze

Ieri il Tribunale di Buenos Aires ha chiuso l’ultima pagina dopo oltre quarant’anni. Su 17 imputati, 15 ex militari sono stati condannati da una corte composta da rappresentati di sei nazioni: oltre all’Argentina, infatti, il processo è stato voluto dai governi di Cile, Brasile, Paraguay, Uruguay e Bolivia. La pena più pesante è stata inflitta a Reynaldo Bignone, presidente argentino per poco più di un anno, dal luglio ’82 a dicembre ’83, ed ultimo dittatore della giunta golpista del ’76. Per l’88enne ex militare 20 anni di reclusione che si vanno a sommare alle altre condanne a 25 e 15 anni, rispettivamente del 2010 e 2012. Alla sbarra c’erano 25 persone quando è iniziato il processo, nel 2013. In otto, tra cui il generale Videla, sono deceduti nell’ultimo triennio.

Il coinvolgimento della CIA

Le indagini presero il via nel 1992, quando il giudice paraguaiano Josè Agustin Fernandenz scoprì ad Asuncion i cosiddetti “archivi del terrore”. I documenti attestavano chiaramente la sorte di migliaia di persone arrestate ed assassinate, in Argentina e Cile ma anche in altri Paesi del continente. In cifre, sono circa 50 mila gli omicidi di Stato, 400 mila le persone incarcerate ed oltre 30 mila desaparecidos. Anche se in maniera indiretta, la CIA fornì appoggio logistico, copertura, assistenza e fondi alle organizzazioni golpiste allo scopo di “spezzare” qualunque svolta a sinistra in America Latina. Un lusso che, dopo Cuba, Washington non voleva più permettere. Lo scorso marzo, in occasione della visita ufficiale in Argentina, Barack Obama ha promesso al presidente Mauricio Macri che, presto, il governo americano aprirà gli archivi segreti sulla dittatura argentina. “Gli Stati Uniti stanno riflettendo su quanto accaduto in Argentina”. In tanti, tra i familiari delle vittime del regime, avrebbero preferito che Obama ammettese “apertamente” le responsabilità statunitensi nel sostegno non dichiarato al golpe del ’76. Ma aprire completamente gli armadi lasciando rotolare rovinosamente tutti gli scheletri ivi contenuti non è semplice e lo dimostrano le recenti visite del presidente americano in Vietnam e Giappone.

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