Il domani che verrà?

Scritto da: Piero Cammerinesi
Fonte: http://www.liberopensare.com/articoli/1123-il-domani-che-verra

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Si sa, a Dallas non perdono il vizio di sparare dai tetti.

Questa volta non per uccidere un presidente scomodo per il military-industrial-complex, ma per vendicare i 136 neri morti ammazzati dall’inizio dell’anno per mano di una delle polizie più violente e razziste del mondo.

di Piero Cammerinesi

Era prevedibile che prima o poi – dopo una serie di assassinii a freddo di neri disarmati da parte della polizia senza nessuna reale minaccia per gli agenti – la rabbia e lo sdegno della comunità nera sarebbero esplosi in modo violento.

A onor del vero va detto che statisticamente sono gli afroamericani a delinquere di più, e questo per una serie di motivi socio-culturali complessi, e che la polizia si vede spesso impegnata in sparatorie cruente in un Paese in cui è più facile comprare un fucile d’assalto che una confezione di siringhe in farmacia.

Tuttavia il problema reale è costituito sia dalle regole d’ingaggio della polizia – pesantemente militarizzata – che dalla sostanziale impunità dei poliziotti anche per palesi abusi o eccessi di aggressività che causano morti innocenti.

Non è neppure il caso di ricordare le decine di omicidi perpetrati dalle forze dell’ordine anche quando gli agenti non erano stati minacciati e per motivi che vanno dal rifiuto di mettersi a terra alla fuga a piedi per sfuggire alla multa per un fanalino rotto dell’automobile.

Né viene fatta dalle forze dell’ordine USA alcuna differenza per l’età dell’arrestato; ho visto bambini di 10 anni o anziani di 80 portati via con le manette ai polsi per reati che in Europa comporterebbero solo una tirata d’orecchi.

Ma tant’è, nel Nuovo Mondo la legge di fatto non è cambiata molto dai tempi della Frontera, quando si impiccavano al primo albero i ladri di cavalli.

Dopo la strage di poliziotti bianchi di Dallas e le chiacchiere politically correct di due presidenti – Obama e Bush, uno peggio dell’altro – quello che sta accadendo negli USA è davvero inquietante.

Il fatto che cinque agenti di polizia siano stati uccisi da un singolo cecchino ai Dallas, ha rappresentato il più alto numero di vittime di polizia in un attacco dall’11 settembre ad oggi e ciò ha naturalmente suscitato un’ondata di emozioni nella pubblica opinione, sagacemente alimentata dalle Breaking News con interviste e dibattiti 24 ore su 24 tendenti ad alimentare il patriottismo e l’esaltazione della figura del tutore dell’ordine – negli USA secondo solo a Dio come potere.

Come risultato – a caldo – abbiamo in primo luogo una criminalizzazione del movimento Black lives matter (le vite dei neri contano) un’associazione pacifica nata per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle centinaia di uccisioni di neri per futili motivi.

E, come se ciò non fosse abbastanza grave, si sta anche avverando l’incubo del film Minority Report, nel quale venivano arrestate persone non per crimini commessi ma per averne solo parlato o per averli semplicemente pensati.

Per chi non lo avesse visto, il film Minority Report – regista Steven Spielberg – ambientato nel 2054, liberamente ispirato al racconto breve “Rapporto di minoranza” di Philip K.Dick, s’impernia sul sistema del Precrimine, grazie al quale, per mezzo delle premonizioni di tre individui dotati di poteri extrasensoriali, la polizia riesce a impedire gli omicidi prima che essi avvengano, arrestando i potenziali “colpevoli”.

In tal modo non viene punito il fatto (che non avviene), bensì l’intenzione di compierlo.

Fantascienza?

Forse…tuttavia tre mesi prima di iniziare le riprese, Spielberg convocò un gruppo di futurologi perché ipotizzassero un 2054 credibile. Tra di loro c’erano esperti del MIT, del dipartimento di ricerca biomedica della difesa, nonché di software e di realtà virtuale.

Dunque sembra meno fantascienza di quello che si potrebbe immaginare…

È quel ‘divieto di pensare liberamente’ che ormai dagli USA si sta diffondendo in tutto l’Occidente, concretizzando gli incubi di scrittori come Orwell o Huxley o lo stesso Philip K.Dick.

È la globalizzazione, babe.

Esagero?

Non credo, dato che la scorsa settimana quattro persone sono state arrestate per dei post sui social media definiti minacciosi dalla polizia.

Un uomo è stato arrestato per aver definito su Twitter Micah Johnson, l’autore della strage di poliziotti, un eroe.

Di fronte alla difficoltà di trovare un capo d’accusa calzante, il capo della polizia di Detroit, James Craig, ha candidamente affermato: “So che questo è un problema nuovo, ma voglio che queste persone siano accusate di un crimine”.

Insomma, come dire, non so se c’è una legge per punirli, ma in qualche modo ne troveremo una.

“Ho ordinato ai miei sottoposti di preparare mandati [d’arresto] per questi quattro individui, e vedremo quale sarà la sede migliore per perseguirli legalmente”, ha aggiunto.

Ora, se da una parte i poliziotti iniziano a capire che, come si dice, ‘enough is enough’, quando è troppo, è troppo anche per una popolazione tenuta sotto schiaffo da una polizia violenta e impunita, molti dipartimenti di polizia in tutto il Paese hanno iniziato ad arrestare le persone solo a causa di messaggi sui social media, mettendo sostanzialmente fine alla libertà di parola e contraddicendo di fatto il primo emendamento della Costituzione americana che recita: “Il Congresso non potrà fare alcuna legge per il riconoscimento di qualsiasi religione, o per proibirne il libero culto; o per limitare la libertà di parola o di stampa; o il diritto che hanno i cittadini di riunirsi in forma pacifica e di inoltrare petizioni al governo per la riparazione di torti subiti”.

Lo scorso fine settimana la polizia del Connecticut ha arrestato, infatti, Kurt Vanzuuk per aver definito Johnson un eroe su Facebook e per aver aggiunto che gli sbirri meritano di essere uccisi. È stato accusato d’incitamento a commettere crimini contro persone e cose.

Nell’Illinois, invece, una donna, Jenesis Reynolds, è stata arrestata per aver scritto in un post sempre su Facebook che avrebbe sparato al poliziotto che l’avesse fatta accostare con la macchina. “Non avrei alcun problema a sparare a un poliziotto per un blocco stradale, dato che lui non avrebbe alcun problema a sparare a me”, ha scritto. Accusa: condotta molesta.

Rolando Medina è stato arrestato nel New Jersey, con l’accusa di molestia informatica per aver affermato su un social media che avrebbe distrutto la sede della polizia locale.

In Louisiana, infine, Kemonte Gilmore è stato arrestato per un video online in cui avrebbe minacciato un agente di polizia. È stato arrestato con l’accusa di intimidazione.

Ora è certamente vero che i pensieri espressi nei post dei cinque arrestati non sono particolarmente gradevoli, ma sempre e solo di pensieri si tratta, non di crimini.

Il pensiero deve poi trasformarsi in decisione e la decisione in azione criminale per essere punibile dalla legge. D’altra parte la stessa Corte Suprema aveva stabilito l’anno scorso che i pubblici ministeri, per perseguire un reato di minacce devono dimostrare sia che quelle fatte siano ragionevolmente considerabili delle minacce sia che l’intento del soggetto sia quello di minacciare.

Ma evidentemente dall’altra parte dell’Atlantico s’inizia a utilizzare l’enorme quantità di dati – traffici telefonici, email, computer – che viene registrata e memorizzata – coperta a malapena dalla foglia di fico della national security – non solo per la “War on Terror”, ma anche per meglio controllare il proprio popolo.

Così anche in questo caso le profezie distopiche di Hollywood prendono forma nel Nuovo Mondo e il film Minority Report ci sembra oggi un po’ meno fiction e un po’ più angosciosa realtà.

È questo ciò che ci aspetta nel prossimo futuro?

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