In Europa 3 milioni di siti contaminati

Fonte: http://www.terranuova.it/News/Ambiente/In-Europa-3-milioni-di-siti-contaminati

Sono 3 milioni in Europa i siti potenzialmente contaminati anche se, in assenza di una legislazione specifica a livello europeo, non esistono dati puntuali. Il problema era già emerso in occasione della pubblicazione del rapporto del Centro comune europeo di ricerca del suolo. Un problema di dimensioni così vaste può essere risolto solo con scelte drastiche e incisive.

Contrariamente a quanto viene ordinariamente percepito, il suolo non è una risorsa rinnovabile. Nei climi temperati occorrono circa 100 anni per formare 1 centimetro di terra che deve anche essere mantenuta sana per garantire la produzione alimentare e un’adeguata qualità di vita.
La situazione mondiale del suolo presenta diverse criticità, destinate ad aumentare considerevolmente nei prossimi anni.

Attualmente, a livello mondiale, solo il 15% è utilizzabile per usi alimentari, ma tale percentuale continua a diminuire. Per contro, si stima che al 2050, quando la popolazione mondiale raggiungerà i 9 miliardi di persone, la domanda di suolo per la produzione di alimenti, mangimi e fibre aumenterà del 70%.

In Europa, secondo il Rapporto del Centro comune di ricerca del suolo in Europa, il consumo attuale è di circa 250 ettari al giorno a danno in prevalenza delle aree coltivabili. Aumentano anche i tassi di impermeabilizzazione, erosione e contaminazione, la perdita della biodiversità, la diminuzione di materia organica.

Si stima che siano circa 3 milioni i siti potenzialmente contaminati anche se, in assenza di una legislazione specifica a livello europeo, non esistono dati puntuali.

Ad oggi, il processo di caratterizzazione e risanamento che è in corso ha individuato circa 115.000 siti, le cui superfici vanno dai pochi metri quadrati delle stazioni di servizio alle decine di chilometri dei grandi siti industriali, dei quali il 46% sono già stati risanati.

«Tra i 29 casi presi in esame dal Rapporto, c’è la bonifica di Porto Marghera (VE) e lo studio per la valutazione dei rischi dell’area del comune di Portoscuso (CI) – spiega Arpat citando il rapporto – Porto Marghera, che ospitava un impianto di Enichem Agricoltura per la produzione di concimi chimici, è un sito di importanza strategica per la città di Venezia, sia per la sua collocazione a 5 km di distanza dalla Città, sia per la vicinanza ai maggiori nodi di comunicazione. Da tempo dismesso e identificato come area industriale in declino ha avuto accesso ai finanziamenti europei per oltre 30 milioni di euro gestiti dalla Regione del Veneto. La fase di caratterizzazione del sito è iniziata tra il 1995 e il 1996 e alcuni lavori sono iniziati subito, ma gli studi sono continuati per diversi anni a causa della complessità delle indagini e delle varie e diverse tipologie di contaminazioni del suolo e delle acque derivate da attività particolarmente inquinanti. Il progetto è partito con le demolizioni nel 1998 e nella seconda metà degli anni ’90 è iniziata la riconversione durata circa dieci anni fino all’accordo di programma del 2012 che ha dato il via alla rivitalizzazione economica dell’intera area industriale di Porto Marghera. L’area bonificata, i cui edifici sono stati ristrutturati mantenendo le parti storiche secondo i criteri dell’archeologia industriale, ora ospita VEGA, un parco scientifico e tecnologico no profit realizzato da trentaquattro membri, tra cui il Consiglio comunale di Venezia che detiene la maggioranza delle azioni, il Gruppo ENI, l’Agenzia per l’Innovazione della Regione Veneto, la Provincia di Venezia e le due Università veneziane».

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