J. Stiglitz: Ormai i costi di mantenere in piedi l’eurozona sono superiori a quelli di smantellarla

Scritto/Traduzione: Malachia Paperoga
Fonte: http://vocidallestero.it/2016/12/09/j-stiglitz-ormai-i-costi-di-mantenere-in-piedi-leurozona-sono-superiori-a-quelli-di-smantellarla/

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Un bell’intervento del Nobel Stiglitz sul sito della London School of Economics chiarisce due punti fondamentali: il problema dell’Europa è l’eurozona, e ormai il costo di tenerla insieme sta superando il costo di procedere al suo smantellamento. Tutte cose che abbiamo letto anni or sono sul miglior sito di economia italiano, ma che è importante veder apparire finalmente sui canali mainstream.

intervista di Artemis Photiadou a Joseph Stiglitz, 05 settembre 2016

L’euro si può salvare? In un’intervista di Artemis Photiadou e dell’editore di EUROPP Stuart Brown, l’economista vincitore del Premio Nobel e autore di best-seller Joseph Stiglitz discute i problemi strutturali alla radice dell’eurozona, la ragione per cui uno scioglimento consensuale sarebbe preferibile al mantenimento della moneta unica, e come i leader europei dovrebbero reagire al voto del Regno Unito per lasciare l’UE.

Il suo nuovo libro – “L’euro minaccia l’Europa” – sottolinea i problemi alla radice dell’euro e i loro effetti sulle economie europee. L’euro si può salvare?

L’idea di base del libro è che è la struttura stessa dell’eurozona, non le azioni dei singoli paesi, che è alla radice del problema. Tutti i paesi fanno errori, ma il vero problema è la struttura dell’eurozona. Un sacco di gente dice che ci sono stati errori di gestione politica – e davvero ce ne sono stati un sacco – ma nemmeno le migliori menti economiche del pianeta sarebbero state capaci di far funzionare l’euro. È fondamentalmente un problema strutturale dell’eurozona.

Quindi, esistono riforme che potrebbero far funzionare l’euro? Sì penso che ce ne siano e nel mio libro parlo di quali dovrebbero essere. Non sono molto complicate economicamente, dopo tutto gli Stati Uniti sono composti da 50 stati distinti che usano tutti la stessa moneta, quindi sappiamo che è possibile far funzionare un’unione monetaria. Ma la domanda è: esiste la volontà politica di applicarle, esiste sufficiente solidarietà perché funzionino?

Qualcuno dice che anche se l’euro è stato un errore, i costi di smantellamento potrebbero essere così alti che è meglio spingere per un euro riformato che cercare una “separazione consensuale”. I benefici di un euro che funzionasse nella maniera giusta ne varrebbero la pena?

Ha ragione. La decisione riguardo il formare l’unione è differente da quella riguardo il rompere un’unione esistente: il passato conta. Penso che ormai sia molto chiaro che dare il via all’euro sia stato un errore a suo tempo, con le istituzioni allora disponibili. Ci sarà un costo per smantellarlo, ma da qualunque parte si guardi la situazione, negli ultimi 8 anni l’euro è stato un costo enorme per l’Europa. E penso che il costo di smantellarlo sarebbe gestibile e che stante la situazione attuale, il costo di mantenere insieme l’eurozona è probabilmente più alto del costo di smantellarla.

Se accettiamo che l’euro è stato un fallimento si è trattato in primis di un fallimento politico o economico?

Chiaramente è un fallimento politico in questo senso: il progetto era spinto dalla politica. Non esisteva alcun imperativo economico a creare l’euro. La motivazione era politica, ma i politici non sono stati abbastanza forti da completare il lavoro. Il tutto era basato sulla visione di far avanzare il progetto europeo di integrazione. Ma non si è capito che non basta volere una cosa, occorre prestare attenzione alle forze e alle leggi economiche.

E penso davvero che fossero animati da ottime intenzioni. Penso che credessero davvero che l’euro avrebbe portato prosperità e che questa prosperità avrebbe portato più solidarietà, alimentando la visione che avevano in mente. Ma hanno ignorato le realtà economiche di quello che proponevano e il risultato finale è quello che oggi vediamo in Europa.

[Noi invece ne dubitiamo leggendo le spudorate parole di un T. Padoa Schioppa o di un J. Attali–ma di un processo alle intenzioni poco ci importa NdVdE]

Naturalmente l’Unione Europea deve anche affrontare le sfide poste dalla Brexit. Alcuni personaggi politici e universitari hanno suggerito che la migliore risposta che la UE possa dare sarebbe di punire il Regno Unito facendone un esempio, in modo da prevenire l’uscita di altri paesi. Lei pensa che questo possa essere controproducente?

Sì, lo penso, e il fatto che alcuni lo propongano mi sembra indicativo dei problemi dell’Europa e della UE. Dovremmo sperare che il valore di far parte della UE sia la ragione stessa per cui i popoli dovrebbero volerci rimanere. Dire che l’unica ragione per cui i popoli rimarranno nella UE è perché se se ne vanno saranno puniti, non è un argomento persuasivo per l’Europa e certamente non tende a generare solidarietà genuina.

Il problema è che alcuni dei principali leader europei, come Juncker, hanno assunto questo atteggiamento, e il fatto che questo venga dal vertice è ovviamente preoccupante. E questo è particolarmente grave considerando il ruolo di Juncker di responsabile di uno dei più grandi problemi che deve affrontare attualmente l’Europa – l’evasione fiscale – quando era Primo Ministro del Lussemburgo. In teoria, la globalizzazione dovrebbe dare benefici a tutti i Paesi, ma Juncker ha mostrato una forma di globalizzazione che funziona benissimo per un piccolo Paese, a discapito di tutti gli altri. Chiaramente, non capisce come la globalizzazione dovrebbe essere.

[Ci permettiamo di pensare che qui Stiglitz cada nel questismo di chi vuole una ‘altra’ globalizzazione NdVdE]

Per restare in argomento, una delle spiegazioni che vengono date della Brexit o della popolarità di politici come Donald Trump è che i governi del mondo hanno ampiamente fallito nel rispondere alle preoccupazioni degli sconfitti della globalizzazione. Anche se la globalizzazione può dare benefici ai paesi in senso generale, certi individui o gruppi possono essere penalizzati da questo processo. Lei pensa che la globalizzazione possa essere resa conveniente per tutti?

Sì, se le persone credono che ci siano benefici sociali significativi, allora questi benefici possono essere condivisi. Possiamo avere tasse progressive, possiamo trovare il modo di catturare questi benefici e indirizzarli verso i perdenti della globalizzazione. Se credete nei sistemi sociali, allora dovete credere che quantomeno si possano mitigare i danni.

Una parte del problema è che negli ultimi accordi di scambio internazionale, per esempio, i sistemi sociali guadagnano poco o addirittura escono indeboliti. Sto parlando di accordi come il TPP e il possibile TTIP tra la UE e gli Stati Uniti. Questi accordi sono per lo più strumenti nelle mani delle multinazionali. Non si occupano di rivedere le regole del gioco globale, o di avvantaggiare tutti gli individui, cercano invece di cambiare le regole per renderle più favorevoli alle multinazionali.

Infine, come molti paesi dell’eurozona, il governo britannico ha adottato politiche di austerità nel Regno Unito a seguito della crisi finanziaria. Considerando che il Regno Unito non era soggetto agli stessi problemi strutturali dei paesi che usano l’euro, come giudica il modo in cui il Paese ha gestito la crisi?

Penso che questo esempio sia indicativo: lasciare la UE non immunizza dagli errori nelle scelte politiche. Si possono perseguire cattive politiche sia dentro che fuori dalla UE. Credo fortemente che l’austerità non funzioni e che l’unica ragione per cui l’Inghilterra è andata piuttosto bene è che non ha fatto tutta l’austerità che George Osborne si vanta di aver fatto. C’è stato molto fumo, ma c’è stata molta più retorica di austerità che vera austerità nella pratica – fortunatamente per l’Inghilterra.

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