Pico della Mirandola

Fonte: http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=2756&biografia=Pico+della+Mirandola

Pico della Mirandola

Giovanni Pico, Conte di Mirandola e Principe della Concordia, nasce nel suo castello nel modenese il 24 febbraio 1463, da Giovan Francesco I e Giulia Boiardo. Appena nato, viene vista una fiamma in forma di cerchio stare sopra il giaciglio della partoriente. Il segno è evidente, il neonato chiamato Pico è destinato a illuminare il mondo, ma solo per un breve periodo di 31 anni, in cui gli capita di tutto.

Viene condannato come eretico, ma anche definito il più grande pensatore della cristianità dopo sant’Agostino; viene accusato di omosessualità, ma per amore si improvvisa rapitore di donne già sposate venendo incarcerato, ma riesce a uscire da questa situazione imbarazzante “in maniera dignitosa” e in particolare modo libero; grazie al suo prestigio si guadagna un posto in una sacra rappresentazione dipinta dal grande Botticelli.

Il giovanissimo Pico Della Mirandola è ricco, bello, generoso, colto ed estremamente intelligente, con il suo coraggio e la sua sfrontatezza da ragazzo lo vede rispondere implacabile a un cardinale che sostiene che i bambini prodigio (riferendosi a Pico) in età adulta diventano dei perfetti idioti “Chissà com’era dotata da piccolo Vostra Eminenza” replica Pico al Cardinale esterrefatto. Il giovane Pico Della Mirandola non ha torto a risentirsi per quella battuta del cardinale portata dall’invidia e dall’ignoranza dell’epoca; Pico conosce a memoria tutta la Divina Commedia di Dante Alighieri e qualunque Lettura o Poema che ha ascoltato ho letto solo una volta.

Questo dono il giovane Pico l’ha ereditato dai parenti materni (amanti della cultura). Suo cugino Matteo Boiardo ha scritto il famoso poema dal titolo “Orlando Innamorato”, al contrario dei suoi due fratelli molto bellicosi Anton Maria e Galeotto, dediti alla pratica e all’arte delle armi e all’amministrazione dello Stato. Del potere a Pico non importa nulla e alla guerra preferisce le poesie d’amore. In seguito rinuncia ai beni di famiglia, riservandosi una rendita sufficiente a un’agiata vita da intellettuale, spendendo la sua fortuna in rari testi antichi o per soggiornare nei maggiori centri di studi. Un’occupazione, quest’ultima, alla quale si dedica molto presto; nel 1477 all’età di 14 anni su suggerimento della Madre si sposta di Università in Università, prima a Bologna e dopo la morte prematura dell’amata Madre Giulia Boiardo (nel mese di agosto del 1478), si trasferisce a Ferrara su invito del Duca Ercole I D’este, in seguito si trasferisce nelle città di Padova e Pavia, fino ad arrivare a Parigi per dedicarsi al diritto canonico, agli studi umanistici, ai corsi di retorica e di logica matematica.

Nel frattempo studia con molta facilità la lingua Ebraica e la lingua Greca, lingue che insieme al Latino, all’Arabo e al Caldaico gli sono utili per il futuro, quando si cimenta con la cabala, l’antica “sapienza occulta” degli Ebrei. All’età di 21 anni arriva a Firenze (all’epoca attivissimo centro culturale) entrando a fare parte della cerchia dell’Accademia Platonica, un circolo per gli amici letterati di Lorenzo de’ Medici, mecenate e Signore del capoluogo toscano.

Eppure la sua fama e l’incondizionata ammirazione di Lorenzo il Magnifico, non bastano a fare accettare le sue idee. Dicevano i Latini “Nomen omen” (il destino è nel nome) e infatti Pico che preferisce il titolo di Conte Della Concordia, cerca di riconciliare l’antica filosofia aristotelica, quella platonica e i vari elementi della cultura orientale in una filosofia universale, con l’intenzione di riunire idealmente tutte le religioni, nella convinzione che i grandi filosofi hanno come unico scopo la conoscenza di Dio e che in questo senso hanno contribuito alla nascita del Cristianesimo.

La Chiesa in questo periodo è ossessionata dalle streghe e dagli eretici: Pico lo scopre presto. Nel 1486 decide di organizzare a Roma un congresso filosofico: la sua idea è di sostenere le proprie tesi “uno contro tutti” di fronte a una sala di potenziali dotti oppositori, non calcolando che il primo e più accanito di questi è proprio il papa. Il pontefice Innocenzo VIII rinvia lo svolgimento della disputa, e istituisce una commissione per esaminare le 900 Proposizioni dialettiche, morali, fisiche, matematiche, teologiche, magiche, cabalistiche, sia proprie che dei sapienti caldei, arabi, ebrei, greci egizi e latini formulate dal giovane filosofo.

In tre mesi i teologi vaticani ne dichiarano eretiche 7 e infondate 6. Pico Della Mirandola che possiede una memoria straordinaria, difetta sicuramente in diplomazia (scrivendo una furiosa Apologia), in cui rivendica la sua libertà di filosofo dando degli ignoranti ai censori. In questo modo Pico non fa altro che peggiorare la situazione: Innocenzo VIII condanna in blocco le 900 tesi e ne vieta la lettura, la copiatura e la stampa, pena la scomunica. L’ira papale segue Pico anche Oltralpe, il filosofo viene arrestato in Francia (dove si è rifugiato) e dopo meno di un mese di prigionia viene rispedito in Italia per intercessione di Lorenzo il Magnifico.

Dall’estate del 1488 Pico della Mirandola si stabilisce sui colli fiesolani nelle vicinanze di Firenze. Affetto dalla scabbia e profondamente turbato per la condanna di eresia (che gli viene revocata solo cinque anni dopo, da papa Alessandro VI Borgia) si converte a uno stile di vita quasi monacale, con il desiderio di ottenere l’assoluzione. In una lettera di Matteo Bossi, il superiore dell’Abbazia di Fiesole ne loda il comportamento ossessivamente virtuoso: “Egli ha allontanato talmente il piede da ogni mollezza e tentazione della carne che sembra (al di là dei sensi e dell’ardore giovanile) vivere una vita da Angelo“.

Pico della Mirandola non è sempre stato uno stinco di santo: solo un paio di anni prima (il 10 maggio 1946), ad Arezzo aveva tentato di rapire la bellissima Margherita (moglie di Giuliano Mariotto de’ Medici, lontano parente di Lorenzo il Magnifico). L’amata, stregata dagli occhi azzurri, dai capelli biondi e dalle spalle larghe e muscolose di quel ragazzo alto quasi due metri, scappa con lui verso Siena fingendosi vittima di un rapimento. Ma i due vengono raggiunti dal marito tradito e dai suoi soldati, che con le armi si riprendono la fuggiasca. La perdita dell’amata irrita Pico che riesce a consolarsi: le donne non gli mancano mai e probabilmente neppure gli spasimanti del suo stesso sesso.

All’interno dell’Accademia fiorentina, l’umanista Marsilio Ficino (noto omosessuale) propone l’amore socratico (l’amore spirituale fra uomini), perché a suo dire “nelle donne la perfezione dell’anima non esiste“, frase decantata molti secoli prima dall’antico filosofo greco Platone (anche lui omosessuale) come mezzo per avvicinarsi alla Bellezza di Dio (una bella scusa per screditare l’amore passionale di una donna e giustificare la loro omosessualità).

Pico sperimenta questo tipo di amore con l’umanista Girolamo Benivieni. Con lui divide anche tomba e lapide con la scritta “Affinché dopo la morte la separazione di luoghi non disgiunga le ossa di coloro i cui animi in vita congiunse Amore“. La conferma di questo amore omosessuale tra Pico e Benivieni la fornisce il frate Girolamo Savonarola, legato a Pico da un’amicizia nata durante gli ultimi anni di vita del passionale Conte della Concordia.

Dopo la morte dell’amico, durante una predica il domenicano rivela che la sua anima “non è potuta andare subito in Paradiso, ma è assoggettata per un certo tempo alle fiamme del Purgatorio“. Visto che il frate ha rilevato il peccatore ma furbescamente non il suo peccato, ci pensano i fedeli a ricamare su quella notizia data solo a metà, spiegando che negli ultimi tredici giorni di vita di Pico della Mirandola egli soffriva in maniera straziante di febbri dolorose portata dalla sifilide, che hanno portato alla morte prematura il grande filosofo, il 17 novembre del 1494, all’età di 31 anni.

Alcuni storici credono che Pico sia stato una delle prime vittime della grande epidemia chiamata “mal francese”, che ha colpito tutta l’Europa tra gli anni 1493 e 1494. Il nobile senese Antonio Spanocchi racconta in una lettera datata 29 settembre 1494, che un altro membro dell’Accademia Platonica, Angelo Poliziano è morto in modo altrettanto rapido e inaspettato due mesi prima di Pico, ammalandosi poco dopo un suo giovane amante. Ma come succede anche al giorno d’oggi “l’affaire sessuale” vero o presunto viene usato per nascondere vicende molto più torbide. Secondo gli antropologi, analizzando le ossa di Pico della Mirandola, si è scoperto che è stato avvelenato e assassinato con l’arsenico trovato in abbondanza nei suoi poveri resti. Tra le varie ipotesi, la più probabile vuole che l’unico amore proibito che è costato la vita a Pico è quello per la Scienza.

Il geniale Pico Della Mirandola è convinto che i corpi celesti non hanno il potere di influire sulle vicende umane e che non è possibile prevedere il futuro basandosi sulle congiunture astrali. Afferma che solo l’uomo può decidere del proprio destino con le sue libere scelte. Pico critica quello che nella sua epoca per molti è una scienza esatta, relegandola al ruolo di “arte divinatoria” nel suo manoscritto dal titolo “Disputationis adversus astrologiam divinatricem”, pubblicato postumo dal nipote Gianfrancesco.

Una lettera anonima scritta pochi mesi dopo la morte di Pico della Mirandola, secondo molti da Camilla Rucellai, guida della potente corporazione degli astrologi, indirizzata al suo allievo nelle arti dell’occulto Marsilio Ficino, rivela: “Dopo la morte del nostro nemico hai fallito. L’Assassinio di Pico è una sciocchezza. Si sarebbe fatto dimenticare ritirandosi dal gioco e adesso eccolo trasformato in vittima. Il suo libro assumerà ancora più importanza. Pico esitava a pubblicarlo, ora il suo erede si sente il dovere di farlo. Il Papa vuole il libro per comprometterci. Quel manoscritto deve sparire, ritrovalo“. Ma il fatto che il pamphlet di Pico contro l’astrologia riesce a vedere le stampe grazie al nipote, è la prova che i suoi nemici se la cavano meglio con gli oroscopi che con i furti.

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