La vita di Prospero Alpini

Fonte: http://www.prosperoalpini.it/index.php/prospero-alpini/la-vita-di-prospero-alpini

Prospero Alpini (1553-1616) fu il quarto Prefetto dell’Orto botanico di Padova, certamente uno dei più famosi. Nel 1963, sulla base di un approfondito studio documentario, è stato possibile dimostrare che la forma corretta del suo cognome è Alpini, e non Alpino, come più comunemente si usa.

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La forma Alpini, infatti, non soltanto compare in quasi tutti i documenti dell’epoca in cui è riportato in volgare il casato di lui (dall’atto di matrimonio a quello di morte), ma anche (e ciò ha un peso decisivo) è da lui utilizzata negli autografi in volgare che hanno il carattere di atti ufficiali, come la polizza dei beni e il testamento.

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Nato a Marostica (Vicenza) il 23 novembre 1553, figlio del medico Francesco, Prospero Alpini conseguì il dottorato in filosofia e medicina nello Studio di Padova il 28 agosto 1578. Nel 1580, spinto dall’esempio del suo maestro Melchiorre Guilandino (Wieland, 1520-1589), egli colse l’occasione che gli si presentò, grazie ai buoni uffici di Antonio Morosini, di accompagnare in qualità di medico il patrizio Giorgio Emo, nuovo console di Venezia al Cairo in Egitto. Il suo soggiorno in Egitto si protrasse fino ai primi giorni dell’ottobre 1584: la sua attività in quel periodo e le molteplici osservazioni compiute, non soltanto mediche e naturalistiche, ma anche etnologiche, storiche e archeologiche, sono in buona parte contenute nelle tre opere De medicina Aegyptiorum libri quatuor (1591), De balsamo dialogus (1591) e De plantis Aegypti liber (1592). Nel De plantis Aegypti sono descritte e illustrate una cinquantina di specie medicinali spontanee e coltivate delle regioni da lui visitate, di largo uso nella medicina egiziana del tempo; l’opera è corredata da illustrazioni molto precise, eseguite da un pittore veneziano di cui si ignora il nome. Tra le specie descritte e delineate figura la pianta del caffè (Coffea arabica L.), ma già l’anno precedente nel De medicina Aegyptiorum aveva presentato gli impieghi terapeutici della bevanda ottenuta dai semi tostati. Altre due opere dedicate alle osservazioni compiute in quegli anni furono pubblicate postume, De plantis exoticis libri duo, pubblicata nel 1627 dal figlio Alpino Alpini, e Rerum Aegyptiarum libri IV, da lui ordinata e preparata per la stampa negli ultimi anni di vita, ma uscita soltanto nel 1735, a cura di Bartolomeo Sellari, cancelliere dell’Università.

Le opere pubblicate tra il 1591 e il 1592 ebbero un’accoglienza molto favorevole e, soprattutto, richiamarono su di lui l’attenzione dei Riformatori dello Studio di Padova, che, convinti d’esser riusciti a porre la mano sopra un soggetto che l’avrebbe degnamente occupata, si risolsero a far cessare la lunga vacanza della cattedra di lettura dei semplici, che si protraeva fin dal 1568. Nominato lettore dei semplici con ducale del 19 aprile 1594, con lo stipendio annuo di duecento fiorini, l’Alpini si dedicò con grande impegno all’insegnamento, giungendo a spendere del proprio denaro per procurarsi i semplici necessari per le dimostrazioni agli scolari. Riconfermato alla lettura dei semplici con ducale del 23 giugno 1601, con un aumento di stipendio di 150 fiorini annui, nello stesso anno pubblicò un’opera destinata ad avere un grande successo, intitolata De praesagienda vita, et morte aegrotantium libri septem, che in realtà era parte di un più ampio lavoro «de medico praesagio», di cui nel 1966 è stata pubblicata una parte superstite, intitolata De longitudine et brevitate morborum. Il De praesagienda è un’opera clinica, semeiologica, che si fonda sull’antico pensiero ippocratico, in cui l’Alpini introduce un criterio sistematico, arricchito e verificato dalle proprie osservazioni personali.

cortusi giacomo antonio

Ma nel frattempo essendo giunto a morte nel giugno 1603 Giacomo Antonio Cortuso (1513-1603), prefetto dell’Orto botanico di Padova e ostensore dei semplici, il 3 ottobre dello stesso anno l’Alpini «prontamente» si offrì ad unire alla lettura dei semplici anche gli incarichi resisi vacanti. Così nel 1603 fu incaricato anche della prefettura dell’Orto e dell’ostensione dei semplici, con aggiunta di 50 fiorini ai 350 che già riceveva. La successiva ricondotta, avvenuta con la ducale del 5 agosto 1606, nel riconoscere i meriti dell’Alpini portava il suo stipendio a 550 fiorini.

Con la nomina a Prefetto dell’Orto e ad ostensore dei semplici, la sua fama di medico, di naturalista e di insegnante superò i confini del Veneto e dell’Italia. Il decennio che va dal 1603 al 1613 segna il culmine della sua attività didattica e scientifica. Nel 1611 pubblicò il De medicina methodica libri XIII, interessante e acuto tentativo di ridestare l’attenzione dei medici verso l’antica dottrina dei metodici e quindi verso il pensiero solidista. Attinente alla botanica e alla materia medica è invece l’operetta De Rhapontico disputatio in Gymnasio Patavino habita (1612), in cui è illustrata una specie di rabarbaro (Rheum rhaponticum L.) proveniente dai monti di Rodope nella .Tracia (l’odierna Bulgaria), ricevuta nel 1608 dal medico Francesco Crasso di Ragusa e che aveva attecchito facilmente nell’Orto, mantenendo in parte le proprietà terapeutiche: l’Alpini pertanto auspicava che la possibilità di coltivare questa specie a Padova eliminasse la dispendiosa importazione della droga e facesse cessare lo spaccio di surrogati poveri di principi attivi. Nel 1614 furono completati il De plantis exoticis e il Rerum Aegyptiarum libri IV, che – come si è detto – furono pubblicati postumi.

bauhin gaspard 1550 1624

Sotto la direzione di Prospero Alpini l’Orto botanico di Padova diventò un importante centro di studio e di ricerca, soprattutto per quanto riguarda la diffusione della coltivazione di molte specie esotiche. L’Alpini fu in corrispondenza con molti studiosi italiani e stranieri, con i quali effettuò scambi di piante e di semi, tra i quali Gaspard Bauhin (1560-1624) e Joachim Camerarius iun. (1534-1598).

Ricondotto il 29 marzo 1613, con uno stipendio portato a 750 fiorini annui, gli ultimi anni di vita dell’Alpini furono pesantemente segnati dalle sue precarie condizioni di salute. Tra il 1613 e il 1614 l’Alpini per quattro mesi soffrì di violenti dolori articolari («dolores arthritici miserabiles»), ai quali fece seguito un accidente apoplettico («malum gravissimum symptoma apoplecticum»), che lo condusse in fin di vita. Sopravvennero quindi dapprima una gravissima infiammazione cutanea («erysipelas perniciosum») e quindi nel settembre 1614 una «phrenitis letalissima», con febbre altissima e delirio, che durò per quattordici giorni. In aggiunta a questi mali, l’Alpini improvvisamente fu colpito da un nuovo genere di sordità («surditatis genere inaudito»): sentiva le voci e i suoni ma non li comprendeva, come se gli uomini parlassero lingue a lui sconosciute. È la prima descrizione della particolare forma di sordità che in seguito fu chiamata sordità verbale di Wernicke, ossia la perdita della capacità di comprendere il significato delle parole, come se si trattasse di una lingua sconosciuta. «Profecto fateor me infelicissimum vivere», egli scrive con parole accorate, accennando al grave stato depressivo («melancholia») che gli derivò. Ma, abituato com’era a trar partito da ogni osservazione, concepì l’idea di scrivere un trattato De sur­ditate, convinto che nessun medico ne avesse compreso la vera natura.

Infine, colpito da una «lenta febris» negli ultimi mesi di vita, si spense sessantatreenne a Padova il 23 novembre 1616, suo giorno natale. Fu sepolto nella Basilica di Sant’Antonio.

Prospero Alpini si sposò due volte. La prima moglie fu la bassanese Guadagnina Guadagnini, vedova, figlia di Lazzaro Guadagnini, con cui si sposò a Bassano il 16 novembre 1587, deceduta anteriormente al 1598. La seconda moglie la padovana Bartolomea Tarsia, figlia del notaio Marco Tarsio, e dal loro matrimonio nacquero almeno sette figli, tra cui Alpino Alpini, che nel 1633 fu incaricato della lettura e dell’ostensione dei semplici e della prefettura dell’Orto nello Studio di Padova, ma che morì il 12 dicembre 1637.

Medico acuto e illuminato, «attento e accurato scrutatore delle piante», come lo definì il Saccardo, le sue ricerche botaniche furono sempre mirate alla conoscenza degli eventuali usi terapeutici delle specie considerate. Fu studioso della flora esotica, principalmente egiziana e cretese, ma si occupò anche della flora italiana e descrisse una nuova specie di Campanula, da lui trovata sul Grappa e descritta accuratamente nel De plantis exoticis e a cui diede il nome di C. pyramidalis minor (fig.), ribattezzata da Linneo Campanula alpini, ma ora chiamata Adenophora liliifolia (L.) D.C. Osservatore attento di fenomeni naturali, egli descrisse il movimento di veglia e di sonno delle foglie, da lui osservato particolarmente nel tamarindo (Tamarindus indica L., Caesalpiniaceae); inoltre, deve essere considerato un precursore dell’idea di una riproduzione sessuale nelle piante, con le sue osservazioni sulla fecondazione delle palme da datteri (Phoenix dactylifera L., Arecaceae) femminili da parte della ’polvere’ delle infiorescenze maschili.

Numerose e di grande interesse sono anche le osservazioni zoologiche (figg. ). La sua esplorazione dell’Egitto riguardò tutti gli aspetti di questo straordinario paese, e suscita una certa emozione ancor oggi leggere che tra i graffiti lasciati dai visitatori sulla sommità della grande piramide di Cheope egli trovò anche quello del suo maestro Guilandino.

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