Bottone rosso del Viminale: fake news e ragion di Stato

Scritto da: Ga.Si.
Fonte: http://www.clarissa.it/editoriale_n1993/Bottone-rosso-del-Viminale-fake-news-e-ragion-di-Stato

Persino l’imperatore romano Tiberio, che non era certamente un democratico, quando il Senato romano si rese disponibile ad approvare una legge per perseguire chi lo criticava, lo ingiuriava, diffondeva tremende notizie sui suoi misfatti, si dice abbia risposto: “in uno Stato libero la parola ed il pensiero debbono essere liberi” (in civitate libera linguam et mentem liberas esse debent, Suet., III, 28).
Un paio di millenni più tardi, la nostra Costituzione, all’articolo 21, come tutti sanno, sancisce che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto ed ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.
Eppure, con Internet, del quale si è magnificata per decenni la funzione liberatrice e propagatrice di idee cultura liberà (ricordate la “primavere arabe”?), tutto sta cambiando.
Per chi ancora non lo sapesse, dal 18 gennaio 2018 il Ministero dell’Interno italiano ha infatti dato agli Italiani la possibilità di effettuare quella che potremmo chiamare la prima “delazione telematica” della nostra storia. Grazie ad essa, teoricamente (ci auguriamo), anche questo nostro modesto contributo alla libertà di espressione potrebbe essere soggetto ad indagine ed eventuale deferimento alla magistratura.
È sufficiente che uno di voi, meno affezionato o più deluso lettore di altri, vada sul sito web https://www.commissariatodips.it/notizie/articolo/protocollo-operativo-per-il-contrasto-alle-fake-news.html e utilizzi il nuovo “bottone rosso”, indicando questo nostro testo come una fake news, per attivare una procedura automatizzata che tira in ballo addirittura il CNAIPIC, un organismo specializzato della Polizia postale che, dapprima in sordina nel 2005, poi ufficialmente nel 2008, è stato costituito allo scopo di proteggere le infrastrutture telematiche e cibernetiche del nostro Paese e che ora verrà impiegato 24/7, come dicono i tecnici del settore, anche al servizio di tutti coloro che magari vorranno premere quel bottone dopo aver letto questo nostro articolo…
Quindi, per favore, pensateci bene prima di proseguire!
È davvero una possibilità stimolante, questa, soprattutto per chi come noi ha appena pubblicato su clarissa.it un pezzo sulla questione delle “verità dicibili” della Repubblica. Quando cioè è venuto a dirvi che i primi sistematici generatori di fake news in genere sono, in Italia come negli altri Paesi, gli Stati stessi: per il semplice fatto che è la cosiddetta Ragion di Stato quella che più richiede di mentire, ingannare, disinformare la gente – allo scopo di puntellare il proprio potere, soprattutto nei momenti critici.
Qualcuno potrebbe ricordare fake news come quelle che la presidenza degli Usa diffuse nel 2002-2003 sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, rivelatesi poi una storica bufala – ma che intanto ha portato a un quarto di secolo di guerre, centinaia di migliaia di morti militari e civili, distruzioni immani, in tutto il Medio Oriente.
Nel 1980 sostenere che il Dc-9 Itavia precipitato nel Tirreno era stato abbattuto da caccia Nato (Usa, francesi?) sarebbe stata considerata senz’altro una fake news, ma qualche settimana fa un marinaio della portaerei Saratoga ha rilasciato un’intervista nella quale sostiene che dei piloti di quella unità americana gli parlarono dell’abbattimento di almeno due aerei libici in quel tragico giorno.
Anche sostenere che l’arresto di Totò Riina era frutto di un accordo Stato-mafia avrebbe fatto sicuramente scattare sul momento il bottone rosso di cittadini indignati, eppure l’altro ieri un Procuratore della Repubblica ha pronunciato in un’aula giudiziaria una requisitoria che avrebbe dovuto far scendere la gente in piazza per la gravità degli elementi che ha esposto sulla responsabilità di organi dello Stato in quella trattativa.
Quando Vincenzo Vinciguerra nel 1989 parlò di una struttura mista civile-militare al servizio della Nato, che operava in Italia dalla fine della guerra, i più avrebbero premuto il bottone rosso: eppure nell’agosto del 1990, un certo Giulio Andreotti, per ragioni che non stiamo qui a dettagliare, confermò che quella struttura esisteva e si chiama stay-behind/Gladio.
Per tornare quindi al principio e così chiudere l’articolo, nel 1978 affermare che il sequestro Moro veniva in qualche modo controllato da apparati dello Stato, avrebbe sicuramente fatto premere il bottone rosso a milioni di Italiani: oggi viene messo nero su bianco da una relazione finale del Parlamento repubblicano.
E se noi cittadini cominciassimo a usare quel bottone rosso per segnalare le affermazioni dei nostri politici, dei responsabili dei servizi di sicurezza, degli alti dirigenti economici, dei banchieri, di tutti coloro che manipolano la realtà per uno scopo solo – conservare il potere? E se quei poveri poliziotti che in turni massacranti se ne devono stare a consumarsi gli occhi sui megaschermi del CNAIPIC cominciassero ad accorgersi che chi minaccia la verità non è l’autore di questo modesto articoletto ma sono proprio quegli alti papaveri della Nato che li obbligano a studiarsi le raffinate tecniche della OsInt (forse clarissa.it si occuperà anche di questo prima o poi), cioè la raccolta di informazioni da fonti aperte, tra cui internet?
Davvero gli otto caccia che l’Italia manda per conto della Nato sul Baltico, a ronzare sulla frontiera con la Russia, stanno là in nome della pace del mondo?
Non sarà magari anche questa una fake news? Allora, perché non premere subito il bottone rosso del Viminale?

 

 

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