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L’orango di Tapanuli minacciato da diga cinese

Fonte: http://www.salvaleforeste.it/it/biodiversity/4406-l-orango-di-tapanuli-minacciato-da-diga-cinese.html

L’Orango di Tapanuli, una specie identificata solo nel 2017, è già in pericolo di estinzione. Si contano solo 800 esemplari nella foresta di Sumatra. La costruzione di una diga idroelettrica distruggerà il loro habitat. Dobbiamo fare tutto il possibile per proteggere gli ultimi Oranghi di Tapanuli rimasti.

Solo pochi mesi fa, nel novembre 2017, la comunità scientifica ha scopertoche l’Orango in questione era una specie a sé stante e non una sottospecie dell’orango orango di Sumatra. Gli diedero il nome di Orango di Tapanuli (Pongo tapanuliensis). Le analisi del genoma hanno dimostrato che l’Orango di Tapanuli si separava dalla linea degli oranghi del Borneo. È la specie più rara di orango identificata fino ad oggi.

La scoperta mostra quanto poco sappiamo dei nostri parenti più stretti e quanto lacunosa la nostra conoscenza sulla biodiversità. L’essere umano distrugge più velocemente di quanto riesca ad osservare e descrivere. Questo potrebbe accadere all’Orango di Tapanuli se venisse costruita nel loro habitat una diga per alimentare una centrale idroelettrica.

Nella foresta a sud del lago Toba, vivono gli ultimi esemplari della specie, circa 800. Nella foresta di Batang Toru, la compagnia statale cinese Sinohydro ha in programma di costruire una centrale idroelettrica da 510 Mw. La comunità scientifica non valida il progetto che distruggerebbe, inondando, una parte dell’habitat degli Oranghi di Tapanuli: questo potrebbe significare la fine della rara specie di primati.

Una parte della foresta di Batang Toru è protetta, sebbene non esistano altre aree di valore ecologico, in cui il numero di oranghi sia particolarmente alto. La diga isolerebbe anche alcune popolazioni di oranghi gli uni dagli altri.

Rainforest Rescue invita a firmare una petizione per fermare la  costruzione della diga idroelettrica .

Repubblica Centrafricana: i taglialegna che difendono la foresta

Fonte: http://www.salvaleforeste.it/it/blog/6-news-ita/good-news/4404-repubblica-centrafricana-quei-taglialegna-che-difendono-la-foresta.html

Narcisse Makiandavo ha abbattuto centinaia di alberi, tutti illegalmente: li bruciava per produrre carbonella da vendere nella capitale Bangui. Oggi lui e i suoi colleghi sono divenuti attivi difensori dell’ambiente. “Abbiamo deciso di farla finita con la deforestazione. Ci siamo resi conto che stava spazzando via intere foreste native distruggendo l’ambiente di molte specie selvatiche”, spiega Makiandavo, che ora dirige un’associazione di ex taglialegna illegali. La sua associazione conta oltre 80 membri, tutti ex taglialegna che ora si battano per l’ambiente.
Dal 2014, il WWF sostiene associazioni locali e comunità indigene nella lotta alla deforestazione illegale. Tra esse, sono Initiatives pour la Démocratie et le Développement Durable (I3D), Jeunesse pour la Protection de l’Environnement en Centrafrique (JPEC) e Action Verte. Queste ONG hanno aiutato le comunità locali e indigene a organizzare i Comitati di governance delle foreste del villaggio (CVGF).

“Abbiamo insegnato ai membri dei comitati le tecniche di monitoraggio della foresta”, spiega Basile Imandjia, di Action Verte. “Li abbiamo anche aiutati ad organizzarsi in associazioni e ora sono impegnati in attività legali e si prendono cura delle loro famiglie proteggendo la foresta”.

I difensori dell’ambiente, ora affiliati alle associazioni, desiderano impegnarsi in attività legali per fonti di reddito alternative. “Vogliamo vivere una vita migliore contribuendo alla lotta contro la distruzione della foresta, che ha gravi conseguenze per la vita degli agricoltori centrafricani”, spiega Narcisse Makiandavo, un ex taglialegna ora attivo protettore della foresta.

Le associazioni locali, sostenute dal WWF, hanno aiutato oltre 80 taglialegna illegali a sviluppare nuove attività in grado di creare reddito proteggendo la foresta. Tra esse il rimboschimento e la coltivazione di teak o altri alberi come il Sapelli, Essesang, Ayous, Fraké, che producono legno ma forniscono anche servizi forestali (medicine, miele ecc).

Le aree di rimboschimento garantiranno una quantità sufficiente di legname, legna da ardere e carbonella. In questo modo il valore del legname prodotto aumenta mentre le foreste restano in piedi.

Parco del Delta del Po, un luogo magico poco conosciuto tra Veneto e Romagna

Fonte: Luca Scialò
Fonte: https://www.tuttogreen.it/parco-del-delta-del-po-un-luogo-magico-poco-conosciuto-tra-veneto-e-romagna/

Il Parco del Delta del Po, questo sconosciuto. Eppure rientra in una delle tante ricchezze naturalistiche del nostro Paese. Questo parco regionale si estende tra Emilia-Romagna e Veneto, sebbene principalmente nella prima Regione, con 54mila ettari. E’ stato istituito nel 1988, entrando a far parte, il 2 dicembre 1999, nei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO.

 

Il Parco offre altresì un patrimonio culturale tra i più interessanti dell’Emilia Romagna. Basta annoverare l’abbazia di Pomposa, la regione lagunare di Comacchio, la basilica di Sant’Apollinare in Classe poco fuori Ravenna.

Molto variegata la fauna presente nella zona: 374 specie di vertebrati, di cui 297 specie di uccelli. Di queste, 146 sono nidificanti, pari a 35mila individui, mentre 151 sono svernanti, altri 55mila. Tra le specie più rare vanno menzionate il fenicottero maggiore, la spatola, il marangone minore, e altre come il mignattaio, il tarabuso, il fraticello, il falco di palude e il mignattino piombato.

Quanto ai mammiferi, nel Parco sono presenti 41 varietà. Tra queste vanno ricordate il cervo nobile, il daino, la volpe, l’istrice, la puzzola e lo scoiattolo.

Di tutto rispetto anche la fauna. Tra gli alberi risaltano i salici e i pioppi, fra gli arbusti la biangola, e nei prati spuntano i ciuffi di carice spondicola, la campanella maggiore e il giunco fiorito. Non mancano particolari specie di orchidee.

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Il Parco del Delta del Po

L’aspetto unico, fuori dal tempo, del Parco del Delta del Po.

I visitatori, oltre che apprezzare le ricchezze naturalistiche, possono svolgere anche varie attività. Vengono proposte infatti diverse iniziative didattico-ricreative. Molteplici le attività da poter svolgere: da una semplice passeggiata in bicicletta sugli argini dei sei rami del Po a un’escursione in barca o in canoa per i più sportivi.

Per i fanatici delle fotografie, sono diversi i punti dove poter scorgere stupendi panorami o immortalare splendide specie animali o faunistiche. Non mancano anche possibilità di birdwatching.

Quella raganella venuta dal passato

Fonte: http://www.salvaleforeste.it/it/blog/7-news-ita/forests/4399-quella-raganella-venuta-dal-passato.html

E’ stata scoperta in Birmania, l’attuale Myanmar, la specie di rana più antica che sia mai vissuta nelle foreste pluviali tropicali, battezzata come Electrorana limoae. L’esemplare, conservato nell’ambra, risalirebbe a circa 99 milioni di anni fa, quindi al Mesozoico e più precisamente al Cretaceo. La scoperta, svolta dai ricercatori del museo di storia naturale della Florida, è stata pubblicata sulla rivista “Scientific Reports”

Oltre un terzo delle circa 7 mila diverse specie tra rane e rospi vive nelle foreste pluviali. Ma il clima tropicale accelera l decomposizione, ed è difficilissimo trovare esemplari intatti, in grado di fornire indicazioni circa  La documentazione fossile di questi anfibi che abitano i luoghi umidi dei tropici è però inesistente, fornendo ai paleontologi pochi inidizi sulle origini della loro evoluzione.

Ora dei grumi di ambra risalenti al Cretaceo hanno rivelato un insieme di quattro piccole raganelle tropicali che hanno vissuto ai tempi di dinosauri, facendone i fossili più antichi del loro genere. I campioni comprendono anche i resti di un’antica rana sufficientemente completa da averne permesso l’identificazione con una nuova specie che è stata chiamata Electrorana limoae. Questo ritrovamento potrebbe rappresentare una chiave molto importante per capire meglio la storia evolutiva degli anfibi.

L’esemplare di Electrorana ritrovato mostra un ottimo stato di conservazione: risultano essere visibili e riconoscibili il cranio, alcuni tratti della colonna vertebrale, le zampe anteriori e una zampa posteriore. Non sono purtroppo presenti altri tratti anatomici che avrebbero potuto dare un notevole contributo in chiave evolutiva. David Blackburn, responsabile della sezione di erpetologia all’interno del museo di storia naturale della Florida, ha spiegato che ritrovare dei fossili di anfibi così ben conservati e dettagliati, nonché tridimensionali, è molto raro. Un elemento che evidenzia la particolarità della scoperta consiste nell’ ambiente  in cui è stato trovato: le foreste pluviali, infatti, non si prestano allo sviluppo di fossili a causa del clima molto umido.
La scoperta di Electrorana è fondamentale per ricostruire la storia evolutivadegli anfibi, che presenta molti aspetti da chiarire. Si tratta di una testimonianza diretta molto importante delle prime specie di rana mai vissute e permette di svolgere analisi più approfondite sull’ecosistema in cui gli anfibi si svilupparono: poiché le rane iniziarono a svilupparsi circa 200 milioni di anni fa e il reperto risale a 99 milioni di anni fa, i ricercatori ipotizzano che le rane si adattarono in un secondo momento a vivere nelle umide foreste pluviali, che presentavano un clima non molto diverso da quello attuale. Per capire invece la filogenesi degli anfibi, gli studiosi intendono procedere attraverso l’anatomia comparata. L’idea, infatti, è di confrontare i resti scheletrici di altri fossili e di specie attualmente esistenti con Electrorana per capire la famiglia a cui quest’ultima appartiene.

Gli italiani eleggono il vetro materiale sostenibile per eccellenza: siamo i primi consumatori d’Europa.

Vetro materiale sostenibile? Sì, lo è per 28 milioni di Italiani che non rinuncerebbero mai alla sua versatilità. Al primo posto tra gli adulti spopolano le motivazioni legate alla salute dei cibi, tra i millennials invece “vetro” significa soprattutto materiale riciclabile.

Europei ed italiani amanti del vetro

Cosa usano gli europei per conservare i cibi o per portarsi il pranzo in ufficio? Una persona su due utilizza proprio contenitori in vetro. Ne sono contenti? Pare proprio di sì, l’85% dei cittadini comunitari e il 91% degli italiani lo consiglia vivamente.

Lo studio ha rivelato che è proprio l’Italia il paese in Europa con la più alta percentuale di gradimento nei confronti di questi antico materiale: addirittura il 6% in più rispetto alla media EU!

Vetro materiale sostenibile anche per l’economia

Una particolare simpatia che si riflette anche nella nostra economia e nell’occupazione: la produzione di bottiglie in vetro nei primi dieci mesi del 2017 ha goduto di un incremento dell’1,8% rispetto al 2016.
La lavorazione di 3,7 milioni di tonnellate di materiale (circa 62 kg per abitante) offre lavoro a 36 mila addetti e garantisce un fatturato di 1,5 miliardi di euro l’anno.

Il vetro è uno di quei materiali che possono essere riciclati al 100%: tra le bottiglie che ci passano sotto le mani 9 su 10 sono riciclate. Un materiale più eco-friendly di così è davvero difficile da trovare.
Le previsioni sono ottimiste: nei prossimi anni la percentuale di riciclaggio potrebbe raggiungere il 75%, ovvero due terzi del totale!

Il riciclaggio facilita la vita fiscale delle industrie riducendo drasticamente i costi di produzione se comparati al materiale vergine. Non solo, il beneficio è anche ambientale: è stato stimato che, in 10 anni di riutilizzo dei vetri usati, siano state emesse il -20% di emissioni di azoto, -9% di zolfo e -50% di polveri.

Una fiducia sempre solida tra italiani e vetro

Vetro materiale sostenibile che viene incontro alla mutata percezione degli italiani nei confronti dell’ambiente e della loro stessa salute.

Sono 28 milioni gli italiani che non lo sostituirebbero mai con altri materiali. Per quasi la metà di noi è impensabile comprare del vino in un packaging che non sia di vetro; circa il 31% invece non rinuncerebbe mai ad una bottiglia di birra!
L’81% degli italiani lo considera il packaging più sostenibile in assoluto.

Questi sono i dati dell’ultimo studio Censis chiamato “Valore sociale di prodotti e attività dell’industria vetraria in Italia” che ha indagato il rapporto tra italiani e vetro, vetro e ambiente.

Solo una questione di tradizione? No.
Al primo posto c’è la sicurezza alimentare. Il 65% dei nostri compatrioti lo reputa più sicuro per gli alimenti: dura nel tempo, non assorbe l’odore dei cibi e, quando scaldato, non li contamina con il rilascio di micro particelle o sostanze potenzialmente tossiche come avviene invece con plastiche di bassa qualità.

Nuovi valori per i giovanissimi

Sono però le nuove generazioni quelle che ritengono il vetro materiale sostenibile e versatile per eccellenza: al primo posto nella loro visione non c’è tanto tradizione o igiene, ma rispetto per la natura. Chiedendo ai millennials quale fosse l’aggettivo più adatto al vetro quasi il 30% ha risposto “ecologico” o “riciclabile”.
Nella concezione dei giovani infatti questo materiale è il paradigma di un potenziale infinito ciclo di raccolta e riutilizzo. E quindi anche un simbolo di economia circolare.

“Questa indagine, che vede l’Italia tra le prime nazioni d’Europa per la scelta di contenitori in vetro, più rispettosi dell’ambiente, più sicuri per gli alimenti e simboli dell’economia conferma una tendenza in atto, che vede in Italia consumatori sempre più attenti alla salute e alla sostenibilità dei prodotti alimentari. Ormai non si legge solo l’etichetta di un prodotto, ma si tiene conto anche della sostenibilità dei contenitori”. Marco Ravasi, Presidente dei contenitori in vetro di Assovetro

Infinite forme, colori, infiniti utilizzi e riutilizzi

Con il vetro si può giocare con forme diverse per supplire a varie necessità. La sua antica tradizione artigiana ci permette di arricchirlo di colori per dare libero sfogo ad esigenze estetiche senza trascurare il design.

 

Soprattutto, come rivelato dal Censis, il vetro è uno di quei materiali di cui la nostra società ha bisogno: è ecologico e, con l’aiuto dei consumatori, potrebbe non divenire mai rifiuto grazie al suo essere riciclabile al 100% (senza perdere le sue proprietà).

Il fatto che gli italiani gli siano così affezionati è sintomo di una società stanca dell’usa e getta, attenta alla propria salute e all’inquinamento ambientale.
Il valore che le nuove generazioni danno ai materiali riutilizzabili inoltre ci fa ben sperare in un futuro più green.

“L’ indagine del Censis dimostra come oggi il vetro sia sulla frontiera più avanzata dell’innovazione e delle culture sociali e interpreti, meglio di altri materiali, il nostro tempo, diventando protagonista assoluto dei comportamenti, per i quali la sostenibilità è criterio d’elezione. Anche i numeri dimostrano questo crescente appeal del vetro: nei primi 10 mesi del 2017 la produzione di contenitori in vetro è aumentata del 2,05% rispetto allo stesso periodo del 2016”. Marco Ravasi, Presidente della sezione vetro cavo di Assovetro

Scoperto un enzima mutante (chiamato PETase) che mangia la plastica

Scritto da: Nicoletta
Fonte: https://www.soloecologia.it/02052018/scoperto-un-enzima-mutante-chiamato-petase-che-mangia-la-plastica/11405

PNAS.org

La messa a punto è stata casuale: alcuni scienziati inglesi e americani hanno creato un enzima mutante che si nutre di rifiuti di plastica e che potrebbe costituire una soluzione a molti problemi di inquinamento marino e delle discariche.

L’antefatto è avvenuto in Giappone nel 2016, quando alcuni ricercatori hanno trovato nel terreno di un impianto per il riciclaggio di materie plastiche un microbo già evoluto e diventato capace di nutrirsi delle bottiglie di plastica. Altri ricercatori dell’Università di Portsmouth nel Regno Unito e del Laboratorio Nazionale delle Energie Rinnovabili del Dipartimento di Energia degli USA (NREL) hanno preso a esaminare in cha maniera quel microbo (Ideonella sakaiensis) riusciva a digerire le plastiche PET. Lo faceva grazie a un enzima che riusciva ad accorciare lievemente l’abbattimento della plastica (che in maniera naturale impiega letteralmente secoli), ma non molto rapidamente.  Poi si sono imbattuti in una sua versione mutante, più potente dei batteri naturali, che funziona meglio nella riduzione dei poliesteri ai loro elementi base. Il team di ricerca ha dunque “ottimizzato” la struttura dell’enzima aggiungendo alcuni aminoacidi creando un enzima che lavora più rapidamente di quello naturale.

L’enzima modificato, chiamato PETase, può abbattere il PET in pochi giorni, precisamente inizia a degradare il PET dopo 96 ore. La portata della scoperta è potenzialmente enorme. Ricordiamo infatti che anche se la plastica delle bottiglie viene in parte riciclata per essere trasformata in fibre di poliestere per moquette o per tessuti pile, la soluzione del riciclo non fa altro che spostare il problema più in là nel tempo. Invece con questo enzima i poliesteri ridotti a blocchi potrebbero essere usati per produrre altra plastica all’infinito evitando di usare altro petrolio e chiudendo il ciclo in maniera perfetta.

 

L’India è la nuova Indonesia? La deforestazione prossima ventura

Fonte:http://www.salvaleforeste.it/it/deforestazione/4375-l-india-%C3%A8-la-nuova-indonesia-la-deforestazione-prossima-ventura.html

Sta accadendo adesso. Il Ministero indiano dell’ambiente, delle foreste e dei cambiamenti climatici pubblicato una nuova Policy forestale nazionale che, se approvata, aprirà le foreste demaniali allo sfruttamento privato Finora, questo è stato esplicitamente vietato dall’attuale legge forestale.  La precedente (ancora in vigore, ma per poco) legge forestale affermava ch le foreste fungono da risorsa genetica per il mantenimento dell’equilibrio ecologico. Per questa ragione, non saranno messe a disposizione delle imprese per lo sviluppo di piantagioni o altre attività”. Ora invece, sembra che le foreste saranno messe in vendita o cedute per espandere le piantagioni industriali.
La nuova bozza recita: “La produttività delle piantagioni forestali è molto scarsa nella maggior parte dell’unione. Queso sarà risolto adottando una gestione scientifica e intensiva delle piantagioni di specie rilevanti come teak, sal, sisham, pioppo, gmelina, eucalyptus, casuarina, bamboo ecc. I terreni disponibili degradati e sotto-utilizzati saranno gestiti per produrre legname di qualità con interventi scientifici. Modelli di compartecipazione pubblico-privato saranno adottati per affrontare la piantumazione nella aree forestali degradate nelle aree forestali e non, assieme alle imprese forestali.”
Gli ecologisti sostengono che la nuova bozza è una versione annacquata dell’attuale politica e scarsa nei contenuti. Alcuni hanno commentato che si tratta di un documento redatto frettolosamente, che mina il ruolo della comunità locali nella conservazione delle foreste, mentre altri sottolineano come la nuova bozza di linee guida ignori completamente le diffuse attività di distruzione delle foreste. Diversi studi scientifici mostrano come grandi aree di foresta vengono frammentati a causa di progetti industriali o di sfruttamento mal pianificati. La frammentazione delle foreste ha impatti devastanti e rappresenta una delle più gravi minacce alla conservazione. Ma la nuova policy ignora il rischio e dichiara che “si è verificato un aumento della copertura forestale e una riduzione della deforestazione … nonostante … l’aumento popolazione, l’industrializzazione e la rapida crescita economica “.
Nel 2013, uno studio degli avvocati ambientali Ritwik Dutta e Rahul Choudhary ha rivelato come il paese, ogni giorno, perda in media, ha 135 ettari di foresta naturale a causa di progetti di sviluppo. Dutta e Choudhary sostengono he solo nel 2017 il governo abbia approvato circa 10.000 permessi di eccezione alla legge forestale.
Persino i principali habitat per la tigre non vengono risparmiati. Progetti di esploraizione minoritaria, di costruzione di dighe o di trade pretendono l’abbattimento di 200 kmq a Panna (Madhya Pradesh), di oltre 83 kmq ad Amrabad (Telangana), di 1.000 ettari a Palamau (Jharkhand), di 39 ettari da Pench (MP) e 50 kmq da Corbett (Uttarakhand).

Perché l’abbigliamento low-cost risulta dannoso per l’ambiente

Scritto da: Nicoletta
Fonte: https://www.soloecologia.it/18042018/perche-labbigliamento-low-cost-risulta-dannoso-per-lambiente/11386

Comprare, comprare, comprare – abiti, calzature e accessori a prezzi bassi, a volte bassissimi. Così si potrebbe descrivere il comportamento odierno di molti di noi. La produzione di abbigliamento sta aumentando in tutto il mondo, ma con conseguenze nefaste per l’ambiente.

Oggi come oggi difficilmente si rammenda o si ripara un capo di abbigliamento rovinato: è più semplice comprarne un altro. Molte persone consumano un’eccessiva quantità di articoli e lo fanno troppo rapidamente: basti pensare che tra il 2003 e il 2018 le vendite di in tutto il mondo sono raddoppiate. Qualcuno ha calcolato che in media non conserviamo un capo nemmeno per un anno. Quando non ci serve più lo conferiamo negli appositi cassonetti, da dove spesso i nostri vecchi abiti vengono presi e inviati in paesi in via di sviluppo dell’Africa o dell’Asia. Ma paradossalmente, alcuni di queste nazioni non vogliono più accettare queste forniture: ne hanno già un eccesso.

Alla radice di tutto stanno i prezzi esigui a cui la merce viene venduta al cliente. Ma se il portafoglio è contento il prezzo che l’ambiente paga è molto alto: la produzione tessile mondiale causa oltre l’emissione di un miliardo di tonnellate di CO2 ogni anno – una quantità di gas serra che supera quella emessa da tutti gli aerei e le navi del mondo nel corso di un anno. A questo si aggiungono altri problemi (come l’inquinamento dell’ambiente mediante l’uso di sostanze chimiche tossiche per l’agricoltura intensiva) e lo sfruttamento della manodopera in molti paesi in via di sviluppo.

Che cosa possiamo fare per contrastare il fenomeno? Dovremmo esercitare maggiore pressione sulle aziende affinché producano fibre tessili biologiche dando la preferenza alle aziende che producono materiali senza utilizzare prodotti chimici tossici, ovvero favorendo una produzione tessile più sostenibile. Questi capi di abbigliamento costeranno sicuramente di più – tuttavia questo costituirà per noi un ottimo stimolo per indurci a a comprarne di meno e riutilizzarli il ​​più a lungo possibile, magari riparandoli o rimodernandoli in maniera creativa. Se non cambierà nulla la produzione di abbigliamento nel 2050 sarà triplicata rispetto a quella attuale.