La Venere di Morgantina torna ad Aidone

Scritto da: Aezio
Fonte: http://ilfattostorico.com/   Foto: la Repubblica.it

Ritornata ma sempre ambita. La Dea di Morgantina, rubata 30 anni fa da tombaroli della zona e restituita allo Stato italiano dal Paul Getty Museum di Malibu, torna a casa, nel museo di Aidone, nell’Ennese, a pochi passi da dove era stata scoperta, ma continua a essere contesa.

Il presidente della Regione Siciliana, Raffaele Lombardo, nel giorno dell’apertura al pubblico, è categorico: «La statua è arrivata qui, deve restare qui, e qui resterà». Più possibilista il ministro dei Beni culturali, Giancarlo Galan: «Può restare se c’è un circuito che cresce», e in ogni caso «una bellezza del genere deve essere portata nel mondo, chiedendo delle royalty».

Al centro della festa, e della contesa sulla futura destinazione, c’è una statua greca, alta 2,30 metri, realizzata con due tipi di materiali lapidei: calcare per il corpo e marmo pario per la testa e gli arti. Lo stile e la tecnica fanno pensare all’opera di un artista della scuola di Fidia. E siccome la statua è lavorata su tutti i lati gli studiosi pensano che fosse tenuta al centro di un ambiente, forse un luogo sacro. Per questo è stata subito chiamata Venere di Morgantina, ma in realtà sarebbe una delle divinità pagane molto venerate nella Sicilia greca: Demetra o Kore.

Dopo il furto, e diversi passaggi nella rete commerciale illegale, nel 1988 la statua è stata acquistata dal Paul Getty Museum per 18 milioni di dollari. Dopo pressioni diplomatiche gli Stati Uniti hanno ceduto alle richieste dell’Italia, restituendola. Non è un caso se alla festa di Aidone partecipano anche rappresentanti del museo di Malibu, il console Usa a Napoli, Donald Morre e Luis Godart, consigliere del presidente della Repubblica per il patrimonio artistico che «porta il saluto del Capo dello Stato». C’è anche il leader dell’Api Francesco Rutelli, che da ex ministro ai Beni culturali favorì il ritorno della statua e che si dice «felice per la conclusione di un accordo che porterà grandi opportunità al Paese e alla Sicilia».

Galan, che ha visitato anche la preziosa Villa romana del Casale di Piazza Armerina, sottolinea come il polo culturale dell’Ennese, arricchito dall’arrivo della Dea, dagli acroliti e dagli argenti di Morgantina (arrivati lo scorso dicembre, ndr), sia «straordinario, ma bisogna essere bravi per trasformarlo una cosa pratica». «Piazza Armerina fa 500 mila visitatori l’anno – rileva il ministro -, con l’arrivo della dea devono diventare almeno 700 mila, creando un circuito. Se così non dovesse essere, sarà il fallimento delle politiche di promozione e valorizzazione. Io spero il contrario, invece, che la Regione Sicilia, che è autonoma, sappia raccogliere un’occasione che è davvero straordinaria. Noi la dea gliela abbiamo riportata – chiosa Galan -, ma adesso devono farci vedere come si fa…». Il ministro annuncia anche che sta lavorando a una legge «contro il furto del patrimonio storico italiano, perchè nessuno per questo reato va in carcere». «Ho un’idea – rivela – ma non faccio annunci».

Il presidente Lombardo è fermo nella sua decisione e crede nel futuro di cultura e turismo in Sicilia: «Nella zona – ricorda – ci sono tre grandi distretti, che mettono insieme altrettante civiltà: quella sicula, quella greca e quella romana. In questo contesto territoriale – ribadisce il governatore – si può costruire un grande distretto di valore nazionale e internazionale». La Dea di Morgantina resta nel salone più grande del convento dei frati francescani realizzato nel 1600 che la Regione ha trasformato in un museo: quella è casa sua. Almeno per il momento.

Cina, troppi fertilizzanti e le angurie esplodono

Scritto da: Alessia Ferla
Fonte: http://www.informasalus.it/

Troppi fertilizzanti e le angurie diventano ‘esplosive’. All’origine dello scoppio di angurie nelle coltivazioni della provincia orientale cinese del Jiangsu vi sarebbe infatti un uso eccessivo di additivi chimici. Lo ha riferito l’agenzia Nuova Cina.

A partire dall’inizio di maggio oltre 46 ettari di coltivazioni di angurie nella città di Danyang hanno registrato il curioso fenomeno dello scoppio. Nel solo villaggio di Dalu, il 67% delle angurie coltivate sono esplose mentre erano messe in ordine.

Secondo una indagine delle autorità, su queste angurie sarebbe stata spruzzata una sostanza, il Forchlorfenuron, che ne accelera la crescita. Oltre a questo, i coltivatori hanno aggiunto anche calcio istantaneo, tutto il 6 maggio. Il giorno dopo, come ha riferito un contadino all’agenzia Nuova Cina, 180 angurie, quasi tutte le angurie che aveva raccolto sono scoppiate.

Secondo gli esperti, che hanno condotto test su oltre 10 produttori, l’aggiunta della sostanza chimica e le forti piogge degli ultimi tempi, dopo mesi di siccità, hanno determinato lo scoppio delle angurie. Tuttavia anche altri produttori che hanno assicurato di non aver aggiunto sostanze chimiche ai loro prodotti hanno denunciato lo scoppio delle angurie.

Xu Jinhua, della Jiangsu Academy of Agricultural Sciences, ha spiegato che è normale che una piccola percentuale di cocomeri esploda, ma è strano che ne siano così tanti.

Il Forchlorfenuron è legale in Cina e usato anche in altri paesi per frutta come uva e kiwi.

L’inchiesta della televisione di stato cinese CCTV dimostra come in Cina sia una prassi diffusa quella di abusare di agenti chimici, come pesticidi e fertlizzanti, sia legali sia talvolta, illegali.

Il governo cinese ha espresso preoccupazione sull’abuso di additivi (come tinture e dolcificanti) impiegati nei cibi per rendere i prodotti più appetibili al pubblico. Secondo Feng Shuangqing, professore alla China Agricultural University, questo problema dimostra come la Cina abbia bisogno di migliorare la normativa in materia di agenti chimici utilizzati in agricoltura al fine di tutelare la salute dei cittadini.

China über alles

Scritto da: Giulietto Chiesa
Fonte: http://www.megachip.info/   Articolo tratto dal  quinto numero della rivista ComEtA

Molta è, in Occidente, la retorica sull’ascesa della Cina nel consesso mondiale. Ce ne siamo accorti tardi, noi, in Italia. Fino a una quindicina di anni fa quasi nessun media italiano aveva un corrispondente a Pechino. Adesso ne parliamo di più, anche perché sarebbe impossibile non farlo. Eppure continuiamo, tetragoni a ogni barlume di ragione, a privilegiare le relazioni e le valutazioni che passano sopra l’Atlantico, come se il baricentro del mondo fosse ancora in questo nostro emisfero.

Cioè non vediamo ancora quasi niente di ciò che sta in realtà accadendo. In questo, mi pare, europei, russi e americani fanno combriccola, discutendo dei destini del mondo tra di loro, come se dipendessero ancora, essenzialmente, da loro.

Intendiamoci, in parte è ancora così e così continuerà ad essere per un certo periodo di tempo. Solo che questo periodo si va accorciando velocemente. Leggo analisi di commentatori politici europei, americani e russi, che sognano di “alleanze strategiche” interatlantiche, da Vancouver a Vladivostok, e penso alla inesorabile limitatezza di queste ritardatarie (e perfino pericolose) speranze. Penso che, se non si capisce la Cina nella sua realtà, tutti i calcoli risulteranno sbagliati e, alla fine, l’Occidente si troverà più debole di quanto ancora potrebbe essere.

Dunque occorre capire fino in fondo, in primo luogo , cosa significa il fatto che la Cina si delinea come il vero colosso mondiale del XXI secolo.

Che non è già più e non potrà essere, un nuovo “secolo americano”.

I dirigenti cinesi sono stati, e restano, prudenti in merito. Tendono a evitare frasi clamorose, proclami; evitano l’enfasi con studiata ritrosia. Ma sanno ormai di essere decisivi in quasi tutti i campi che influiscono sugli equilibri mondiali. E hanno già dimostrato di sapere prendere decisioni anche da soli, senza aspettare il consenso dell’ex impero americano. Sono gli unici a poterlo fare e già lo fanno.

Ci troviamo nel momento sottile e delicato di una transizione, in cui la Cina – che è avvinghiata al destino americano (e lo sa) – sta cambiando pelle e colore e sta mutando da partner subordinato a partner dominante.

La leadership cinese sa anche un’altra cosa, decisiva per il proprio (e il nostro) futuro: che sarà molto difficile, molto improbabile, che i gruppi dirigenti americani ed europei accettino un tale passaggio di consegne senza tentare d’impedirlo. Tutto induce a pensare che non solo le élites occidentali sono mille miglia lontane da questo realismo, ma che lo sia anche il popolo americano nel suo insieme e tutto il “miliardo d’oro” di cui noi siamo parte.

Dunque non è azzardato attendersi scintille nei prossimi decenni (nei prossimi due decenni, che saranno decisivi). Nel famoso documento del PNAC (Project for the New American Century), che fu scritto alla fine degli anni ’90, i neo-con, che presero il potere negli Stati Uniti nell’anno 2000, avevano delineato uno scenario in cui, nel 2017, la Cina sarebbe divenuta “la principale minaccia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America”.

Se, per “minaccia” intendevano dire che la Cina avrebbe scelto la propria strada senza chiedere il permesso a nessuno, e, nel 2017, sarebbe stata nella condizione di fare rispettare le sue scelte, possiamo dire che i neo-con si sbagliarono per difetto: ci siamo già.

Ed è ora assai scomodo, per gli Stati Uniti, sentirsi minacciati da qualche cosa che è, appunto, avvinghiato a loro, così come loro sono avvinghiati ad esso in un intrico inestricabile, che potrebbe diventare drammatico. Perché, come “fermare” la Cina visto che fermarla equivarrebbe a subire una violenta frenata e imprevedibili contraccolpi? E come “non fermarla”, visto che non fermarla equivale ad arrendersi?

Qui l’analisi razionale, politically correct, s’interrompe per forza di cose. Ricordate l’aneddoto dello scorpione che chiede alla rana di traghettarlo dall’altra parte del fiume in piena? La rana chiede garanzie: “Non mi pungerai?” Lo scorpione risponde: “Come potrei essere così sciocco? Pungendoti morirei anch’io”. La rana accetta e mal gliene incoglie, perché nel mezzo della corrente lo scorpione la pungerà. Prima di morire troverà appena il tempo di gridare: “Ma perché lo hai fatto?”. E lo scorpione, affogando anche lui, le risponde:”Scusami, ma non ho saputo resistere”. La rana cinese si aspetta il morso e non traghetterà lo scorpione. Tra il 2015 e il 2018, con gli attuali tassi di crescita, la Cina supererà percentualmente gli Stati Uniti come principale importatore mondiale di petrolio. Un calcolo elementare dice che, un modo per “pungerla” (cioè , se non per fermarla, per costringerla almeno a rallentare, a venire a patti), sarà quello di rendere più difficili i già difficili per tutti approvvigionamenti energetici. Lo si può fare in molti modi. Il più semplice dei quali è di far scoppiare una o più guerre che s’incaricheranno di tagliare comunicazioni, oleodotti e gasdotti.

Da qui la decisione, davvero strategica, del Governo cinese di varare un piano energetico di lunga durata, fino al 2050, che non è eccessivo definire “autarchico”. Se la sicurezza dipende dall’autonomia assoluta in materia energetica (ed è proprio così), Pechino sceglie senza mezzi termini la sicurezza, consapevole che la partita – Brzezinski direbbe sulla scacchiera mondiale – è per la sopravvivenza. La Cina varerà, al prossimo Congresso del Popolo, nel marzo 2011, o addirittura alla fine del 2010, affidando la decisione al Comitato Permanente di 175 membri, un piano energetico generale che punta sul carbone. La diversificazione prevede tutti i tipi di energia, con quella nucleare ai primissimi posti, ma il carbone sarà la Muraglia Cinese, poiché la Cina dispone della terza più vasta riserva di quel combustibile dopo Russia e America, e ce l’ha sul proprio territorio, non deve né trasportarla, né comprarla.

E’ una decisione che equivale a un gigantesco tsunami, le cui onde arriveranno sulle coste di tutti i continenti. E’ una decisione globale, ma che riduce l’interdipendenza della Cina con il resto del mondo. Essa avrà ripercussioni profonde su tutti i mercati energetici mondiali, in direzioni diverse e per ora imprevedibili. Equivale, del resto, a una intensificazione, appunto strategica, della linea già assunta di fatto, in cui i quattro quinti dell’energia elettrica cinese sono prodotti da centrali a carbone, il cui numero si accresce al ritmo di una nuova centrale ogni settimana.

Ma una tale decisione avrà effetti soprattutto sulle future sorti mondiali del clima. La Cina non è ancora il principale emettitore di gas a effetto serra, essendo per il momento sopravanzata dagli Stati Uniti, ma lo diventerà rapidamente. Quali che siano gli sforzi profusi dalle autorità cinesi, sarà difficile evitare un peggioramento della situazione climatica a livello planetario.

Dunque si possono trarre alcune conclusioni preliminari.

La prima, forse la più importante tra queste, è che il mondo non può più crescere nella quantità, nelle forme, nei ritmi dettati dai paesi dell’Ocse, a causa dei limiti dello sviluppo ormai evidenti, e dello stato di sovrapproduzione dell’economia mondiale nel suo complesso.

In secondo luogo saranno proprio i paesi più industrializzati a dover affrontare il problema della contrazione della loro crescita, mentre, all’opposto, emergono nuovi giganti (non solo Cina, ma anche India e Brasile) che non possono non crescere e, soprattutto, ai quali non sarà possibile impedire di crescere (s’intende: non sarà possibile impedirglielo pacificamente).

Detto in altri termini, stiamo assistendo a un immenso trasferimento di risorse dal nord verso il sud e verso l’est. In assenza di una nuova architettura dei rapporti mondiali, i grandi giocatori giocheranno gli uni contro gli altri. La rotta di collisione tra Cina e Occidente è già nei fatti, sotto i nostri occhi. La decisione cinese non fa che sottolinearla e rivela il retropensiero dei dirigenti di Pechino. Il mainstream occidentale sta già disegnando l’immagine del nuovo “nemico”.

Ma è davvero il nemico? C’è di che dubitarne. Lo è, e lo sarà, solo per coloro che, in Occidente, non intendono rinunciare neppure ad una goccia del loro benessere e della supremazia della quale hanno goduto negli ultimi due secoli almeno.

Potrebbe non esserlo per alcuni miliardi di individui che hanno poco o nulla da perdere. La Cina, per fare solo un esempio, è già il primo produttore al mondo di turbine a vento e di pannelli solari. La Cina ha avviato un programma di rimboschimento che non ha eguali sul pianeta. Ma non ce la farebbe, da sola, senza una cooperazione internazionale leale e tra eguali. Se non ce la facesse sarebbe un guaio per tutti. La leadership cinese sembra essere perfino più consapevole di molti circoli occidentali dei problemi che gli uni e gli altri dovranno affrontare. Dipingerla come il futuro nemico non servirà a niente.

Libia, l’accusa del vescovo di Tripoli: ‘La Nato sta uccidendo civili’

Scritto da: Alberto Tundo
Fonte: http://it.peacereporter.net

Monsignor Martinelli accusa l’Alleanza di bombardamenti indiscriminati: “Sono una cosa immorale”. L’invito ai politici: “Venite a vedere cosa state facendo”

Informazioni distorte per coprire i crimini della Nato, morti innocenti, donne, vecchi e bambini e un Paese in cui è stata distrutta la vita sociale. A Tripoli non si può più nemmeno dormire, i bombardamenti sono costanti e indiscriminati: ordigni esplodono neile vicinanze di case e ospedali. Monsignor Martinelli, vescovo della capitale libica, racconta a Peacereporter la disperata resistenza di una popolazione stretta tra le bombe dell’Alleanza e la morsa di un regime che è ancora in piedi e non sembra in procinto di cadere.

Cosa sta accadendo in Libia?
Quello che succede è quello che la Nato fa succedere. Sono le bombe che cadono senza tregua. Lei può immaginare quello che dicono giornali e televisioni: la tv libica non fa che mostrare vittime civili a Brega, Tripoli, in ogni parte della Libia. L’Europa sta compiendo un diastro, distruggendo la vita sociale di un Paese.

Le vittime mostrate dalla televisione di regime sono vere? Non sono una messinscena?
Sono vere! Le bombe cadono sulle case e io che devo pensare, che sono vittime false? Le bombe cadono sugli ospedali. Venga a vedere! Dica ai responsabili che vengano a vedere quello che stanno facendo le loro bombe che cadono vicino alle case. Muoiono bambini, muoiono anziani. Adesso a Marsa el Brega ieri sono morti sessanta imam, uomini di religione. Non sono storie, basta venire a vedere e constatatre. La televisione sta documentando costantemente quello che accade, le morti di innocenti. La notte, poi, è una cosa impossibile: tutta la notte sembra che ci sia un terremoto. Io non capisco che cosa vogliono colpire ancora, perché colpiscono siti civili. Dicono che sono siti militari ma non è vero. Forse non conoscono la Libia. Forse hanno una topografia sbagliata, informazioni sbagliate. Chiedo quindi di venire a vedere cosa sta facendo l’Europa, solo questo.

Quali cifre fornisce la tv libica per quanto riguarda i morti civili?
Non lo so con certezza. So dei 60 imam morti nei bombardamenti Nato nella zona di Brega e di alcuni bambini morti vicino all’ospedale degli ustionati a Tripoli.
Noi siamo stati invitati in una moschea della capitale per partecipare alla commemorazione degli imam morti giovedì.

Dalla Libia giungono informazioni contraddittorie ed è difficile farsi un’idea su come si stia evolvendo il conflitto. A Tripoli qual è la situazione?
Al di fuori delle bombe della Nato, la situazione è tutto sommato tranquilla. Certo, ci sono molti problemi. La gente ha paura di uscire. La paura è il problema principale, perché impedisce una vita sociale normale.

Quindi le notizie che compaiono periodicamente su alcune testate occidentali, circa defezioni, ammutinamenti e rivolte nella capitale libica non corrispondono al vero?
No, no, sono tutte bugie, per reggere il gioco della Nato e coprire quello che sta facendo con le sue bombe. L’Alleanza ha persino rifiutato una tregua per dare respiro alla popolazione, nonostante le richieste dell’Onu e del Santo Padre. Di notte e di giorno si bombarda, non si può più nemmeno dormire. Continuare a bombardare è una cosa immorale.

A lei che ha un punto d’osservazione privilegiato chiedo quale sia, a suo giudizio, la capacità di tenuta del regime: è ancora in piedi, è sul punto di crollare?
Non credo crollerà, per lo meno non a Tripoli. Va avanti come sempre, anche se ha ridotto la sua attività e mantiene la sua autorità sulla capitale e su parte della Tripolitania. Certo, c’é un certo irrigidimento ma mi sento abbastanza sicuro. Le autorità ci proteggono, se ci sono problemi ci avvisano.

Una Cia privata

Scritto da:  Enrico Piovesana
Fonte: http://it.peacereporter.net/

Annunciata a Washington la nascita della Jellyfish Intelligence: compagnia di spionaggio privata, emanazione diretta della famigerata compagnia di mercenari Blackwater ed erede del discusso programma di spionaggio militare ‘Able Danger

Dopo la privatizzazione delle forze armate, con il proliferare delle compagnie di mercenari, arriva la privatizzazione dei servizi di spionaggio.
Negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Australia esistono da tempo società private* che forniscono servizi d’intelligence ad aziende e governi, ma la neonata compagnia americana Jellyfish (medusa, in inglese) Intelligence si presenta come una vera e propria Cia privata.

La Jellyfish, presenta nei giorni scorsi con un a conferenza stampa a Washington, è infatti un’emanazione diretta della famigerata e potentissima compagnia di contractors Blackwater/Xe e una reincarnazione del discusso programma di spionaggio militare ‘Able Danger’ (ufficialmente chiuso nel 2000).

Il presidente della nuova società, l’ex ufficiale di marina Keith Mahoney, era il direttore del settore intelligence della Balckwater. Anche il vicepresidente, Michael Yorio, viene da lì. Da ‘Able Danger’ arrivano invece il consigliere militare, l’ex agente segreto militare Tony Shaffer (famoso per aver scritto un’autobiografia poi censurata dal Pentagono), e il direttore tecnico, James D. Smith.

La nuova compagnia vanta un una vasta rete globale di agenti, informatori e infiltrati sparsi in tutti i paesi ‘caldi’, dal Pakistan all’Iran, dall’Egitto alla Somalia, dalla Colombia alla Serbia. Ma il focus della Jellyfish sembra comunque essere il Medio Oriente scosso dalla ‘primavera araba’, dove l’azienda afferma di avere ”risorse umane ben inserite nei gruppi d’opposizione”, vale a dire con quelle forze ‘rivoluzionarie’ che oggi vengono aiutate a salire al potere affinché domani facciano affari con le compagnie occidentali.

Se la rete di spie nelle ‘zone calde’ è il patrimonio umano che la Jallyfish riceve in dote dalla Balckwater, da ‘Able Danger’ la compagnia eredita un know-how informatico in grado di offrire ai clienti software personalizzati per ricevere dati e informazioni riservate tagliate su misura.

Si stima che già oggi il 70 per cento dei budget della Cia venga speso per pagare società private d’intelligence cui l’agenzia ‘esternalizza’ il lavoro. Tra queste non ci sarà però la Jellyfish: Keith Mahoney, ha infatti dichiarato che la sua compagnia non lavorerà per il governo degli Stati Uniti, lasciando intendere che la medusa partorita dalle torbide acque della Blackwater lavorerà in proprio.

A forza di delegare attività d’intelligence tradizionalmente svolte dallo Stato a compagnie private, queste stanno acquisendo informazioni, contatti, strumenti ed esperienza tali da poter operare per conto proprio.
Se finora la privatizzazione dei servizi erogati dallo Stato (istruzione, sanità, trasporti telecomunicazioni, sicurezza, ecc.) ha sacrificato l’interesse pubblico a favore di quello privato, i diritti della collettività ai privilegi di un élite, facile, e inquietante, immaginare cosa accadrà se anche lo spionaggio diventerà un business privato.

* Le principali sono: Stratofr, Site Institute, Intel Center, Jane’s Information Group, Asi Group, Control Risk Group, Global Strategies Group, Global Source, iJet, International Regional Security Agency, Nc4, Olive Group, Secure Solutions International, Specialist Intelligence and Security Services, Kroll, The Steele Foundation , TranSecur, World-Check, Hacklyut, ecc.

 

Arrestato (eliminato) Strauss-Kann, rivale di Sarkozy alle elezioni francesi

Scritto da : lino Bottaro
Fonte: Stampa Libera

Roma, 15 mag. (Adnkronos/Ign) – E’ stato arrestato a New York il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Dominique Strauss-Kahn. Il numero uno dell’Fmi è stato fermato all’aeroporto JFK, qualche minuto prima della partenza per la Francia, con l’accusa di tentato stupro ai danni di una cameriera del Sofitel Hotel a Times Square dove è stato ospite una sola notte. La donna, portata in ospedale, è stata curata per lievi ferite.Strauss-Kahn, 62 anni, sposato in terze nozze con la giornalista televisiva Anne Sinclair, è direttore generale del Fondo monetario internazionale dal 2007 ed è probabile candidato socialista alle elezioni presidenziali francesi del 2012. Secondo l’accusa, il direttore dell’Fmi ha aggredito la cameriera, una 32enne che era entrata nella sua stanza per pulirla, e l’ha costretta a fare sesso orale. La donna, che a un certo punto è riuscita a liberarsi e a scappare, ha riferito l’accaduto al personale dell’albergo che ha chiamato la polizia. Ma quando gli agenti sono arrivati Strauss-Kahn aveva già lasciato la stanza diretto all’aeroporto dove è stato prelevato a bordo del volo diretto a Parigi e portato in commissariato.

Nella stanza d’albergo è stato trovato il suo cellulare. Le accuse nei suoi confronti sono tentato stupro, atto sessuale criminale e sequestro illegale. I suoi legali hanno comunque già fatto sapere che il loro assistito si dichiarerà non colpevole.  ”Non credo un solo secondo alle accuse che sono rivolte a mio marito. Non dubito che la sua innocenza sarà dimostrata” afferma in una nota, secondo quanto riferiscono i media francesi, la moglie Anne Sinclair  Stupore e bocche cucite all’hotel Sofitel di New York. Al Gaby, il bar del grande hotel sulla 44ma, la tv è accesa su ‘Fox News’ quando appare sullo schermo la foto di Strauss-Khan e alcune immagini dell’albergo. “Perché guardate la tv, ragazzi?”, chiede un cliente americano al cameriere, secondo quanto riferito da un corrispondente locale di un tabloid francese. I dipendenti hanno ricevuto l’ordine di tenere le bocche cucite fino alla conclusione dell’inchiesta. “La sicurezza del nostro staff e dei nostri clienti è una priorità – riferisce una nota ufficiale di Sofitel – Prendiamo la vicenda molto seriamente e lo staff collabora con le autorità nelle indagini”. Nell’albergo di lusso del gruppo Accor molto utilizzato dai francesi, diversi turisti commentano l’accaduto ma su Times Square la notizia che riguarda Strauss-Khan scorre senza il suo nome sulle strisce luminose delle news. “Il capo dell’FMI arrestato per presunta aggressione sessuale” si legge, e sono in pochi a farci caso. La reputazione di Dominique Strauss-Kahn si era già macchiata nel 2008 per via dell”affaire’ con una economista ungherese sua dipendente. Lo riporta il quotidiano ‘New York Times’, ricordando che all’epoca il Fondo monetario internazionale decise di schierarsi al fianco del suo direttore generale, pur concludendo che aveva mostrato poco giudizio nella vicenda. Strauss-Kahn si scusò con i dipendenti e con la moglie. Nella lettera di scuse Strauss-Kahn affermava: “Sono grato che il board abbia confermato che non c’è stato abuso di autorità da parte mia, ma ammetto che questo incidente rappresenta un grave errore di giudizio”. L’economista Piroska Nagy, riporta ancora il quotidiano americano, ha in seguito lasciato l’FMI nell’ambito di un buyout di circa 600 dipendenti deciso da Strauss-Kahn per tagliare i costi. Lo scandalo che coinvolge il direttore generale lascia l’Fmi senza guida in una fase cruciale per le relazioni fra l’istituzione di Washington e le autorità europee, impegnate nelle complesse operazioni di salvataggio di Grecia e Portogallo. Quella che si apre è infatti una settimana calda, forse decisiva, per entrambi i fronti. Con le riunioni di Eurogruppo ed Ecofin in programma domani e martedì, c’era attesa per un incontro fra Strauss-Kahn e la cancelliera tedesca Angela Merkel. I due avrebbero dovuto analizzare le possibili modifiche al piano di salvataggio predisposto per Atene e mettere a punto i termini della copertura ‘politica’ per le decisioni che i tecnici sono pronti a mettere in campo. Domani, invece, sarà Nemat Shafik, il vice direttore generale che supervisiona il lavoro dell’Fmi in un certo numero di paesi dell’Ue a partecipare alla riunione dell’Eurogruppo. Inoltre, con il numero due dell’Fmi, John Lipsky, che ha già annunciato la sua intenzione di fare un passo indietro entro la fine dell’estate, la principale istituzione finanziaria mondiale si trova di fatto ‘decapitata’. Questo, proprio quando sta per essere avviata la procedura che dovrebbe portate all’investitura di Mario Draghi alla presidenza della Bce. Domani all’Eurogruppo sarà presentata formalmente la candidatura italiana e, inevitabilmente, il convitato di pietra saranno anche le ripercussioni dell’affaire Strauss-Kahn e il problema della sua successione.

Gallio: via libera al cemento. A cinque anni dall’attentato al sindaco Stella

Scritto da : Gianni Belloni
Fonte: http://www.estnord.it/

A Gallio (in provincia di Vicenza) il 26 aprile scorso viene approvata la variante al piano d’assetto del territorio [Pat].Il piano è quello delineato dalla giunta precedente guidata da Antonella Stella, vittima, nel 2006, di un pacco bomba, sufficientemente potente da poter ucciderla e che, per fortuna, le inflisse «solamente» delle profonde ferite alle mani. Attentato originato, secondo molti, dalla politica urbanistica perseguita dal sindaco che impose severi vincoli alla cementificazione del territorio. Una delle pagine più inquietanti dell’ultimo decennio a nordest.Ora, con la variante promossa dall’amministrazione guidata dal sindaco Pino Rossi, i vincoli vengono allentati.

Allentamento in particolare motivato dalla necessità di edificazione di prime case per residenti. Necessità contestata dai dati della Commissione Internazionale per la protezione degli Alpi [Cipra], pubblicati dal quindicinale L’Altopiano, che certificano come vi siano, nella conca centrale dell’altopiano – comuni di Roana, Gallio ed Asiago –, prime case ogni 2,57 abitanti.

La variante introduce il meccanismo della perequazione urbanistica così sintetizzata dal sindaco in una dichiarazione resa a L’Altopiano: «Chi costruisce un albergo, potrà avere a disposizione aree per costruire anche case in base alla percentuale che si stabilirà».

L’approvazione della variante ha riaperto vecchie ferite nella piccola comunità di Gallio, gli esecutori e i mandanti dell’attentato all’ex sindaco non sono mai stati trovati anche se è da ritenersi inconsistente la pista, ventilata con insistenza all’inizio, di qualche paziente di Antonella Stella, psichiatra.

Molto più realistica l’ipotesi che la politica dell’ex sindaco avesse disturbato più di qualche potente interesse nell’altipiano dove l’economia è stata, fino ad oggi, trainata dal mattone delle seconde case per i turisti. L’indagine della Cipra rileva inoltre la presenza di 14.317 seconde case nell’altipiano di cui oltre 4mila nella sola Gallio. Molte di queste costruite durante gli anni ’80 e ’90.

I sostenitori dell’ex sindaco vedono nell’approvazione della variante un tradimento del sacrificio della Stella. «Quel giorno è morta in me l’innocenza di credere che chi cerca di fare il Bene non può rischiare nulla – scrisse la Stella in una recente lettera aperta – l’innocenza di pensare che MAI la morte possa arrivarti deliberatamente per mano di un altro essere umano».

Nello spazio di discussione del sito «Gallio rinasce», che fa riferimento all’opposizione all’attuale amministrazione, divampa il dibattito: «anche se nessuno a quel che ne so io ha mai concretizzato queste indagini e tanto meno chi sa qualcosa si è mai sentito in dovere di svuotarsi la coscienza, non credo ci siano molti dubbi sul fatto che il nostro paese sia meno innocente di quanto ancor oggi tu cerchi di fare apparire» scrive un partecipante.

A parte il piccolo gruppo di Libera dell’altopiano nessuno sembra aver analizzato e discusso liberamente quanto accaduto. Il tentativo di omicidio di Antonella Stella pesa come un incubo. Un incubo riemerso con i recenti provvedimenti dell’attuale amministrazione. «’Chi sa’ si liberi finalmente l’anima e parli» scrisse Antonella Stella negli auguri d’inizio anno.

15 maggio 2021 – Edizione Straordinaria: Barack Obama è morto

Scritto da: Fahad Ansari
Fonte: CagePrisoners    Tradotto da:http://www.megachip.info/

Il criminale di guerra Barack Obama è stato ucciso nel Regno Unito dalle forze di sicurezza del Pakistan, secondo le parole del Primo Ministro pakistano, Hasan Abdullah.

Obama è stato colpito a morte in un compound presso Camberley, in un’operazione di terra eseguita dall’intelligence pakistana, la prima portata a termine dopo quello che è emerso lo scorso agosto.

Il signor Abdullah ha riferito che le forze del Pakistan hanno preso possesso del corpo dopo “una sparatoria”.

Si ritiene che Obama abbia ordinato quasi 200 attacchi nel nord e nel sud del Waziristan tra il 2009 e il 2011, nel corso dei quali circa 2000 persone sono rimaste uccise mentre era in servizio come Comandante in Capo delle Forze Armate USA. Si crede inoltre che Obama abbia ordinato i continui bombardamenti in Afghanistan durante lo stesso periodo a causa dei quali altre migliaia di persone sono rimaste uccise.

Era in cima alla lista dei ‘più ricercati’ dal Pakistan.I test del DNA hanno poi confermato che Obama era morto, secondo le parole dei dirigenti pakistani.Gli ufficiali dell’ISI hanno riferito che Obama è stato cremato in una pira dopo un funerale cristiano tenuto a bordo di un velivolo.

Nell’annunciare il successo dell’operazione, il signor Abdullah ha detto che questo è stato “sino ad ora il nostro successo più significativo nell’impegno della nazione per sconfiggere la CIA”.

Il Pakistan ha messo in allarme i musulmani in tutto il mondo, avvertendoli della possibilità di attacchi statunitensi in risposta all’uccisione di Obama.Il direttore dell’ISI, Mohammed Akram, ha detto che l’America “quasi certamente” cercherà di vendicarsi della morte di Obama.

Dopo l’annuncio della notizia, una folla si è riunita al di fuori della Moschea Rossa a Islamabad, cantando “Allah Akbar”.

Il Ministro degli Esteri del Pakistan, Mullah Jundullah, ha riferito che l’operazione ha inviato un segnale ai Neoconservatori sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito.

Ha anche detto che “non potete aspettare la nostra fine, non potete sconfiggerci, ma potreste fare la scelta di abbandonare la CIA e di partecipare a un processo politico di pace”.

Il raid nel compound

Obama, 60 anni, ha autorizzato la campagna di terrore in Waziristan per circa tre decenni, durante i quali sono state uccise circa 2.000 persone.È riuscito a sfuggire alle forze del Pakistan e a quelle dei suoi alleati per quasi un decennio, nonostante la taglia da 50 milioni di dollari che pendeva sulla sua testa.

Il signor Abdullah ha detto di esser stato ragguagliato in agosto su una possibile pista per rintracciare Obama. Ha autorizzato l’operazione la scorsa settimana una volta che ha verificato l’esistenza di informazioni sufficienti per avviare l’azione.”Non era affatto certo e ci sono voluti mesi per portare a compimento questo proposito”, sono le parole del signor Abdullah.

Domenica le forze del Pakistan che si ritiene facessero parte della brigata scelta Badr hanno preso il comando delle operazioni a Camberley nel Surrey, che si trova 50 chilometri a sud-est di Londra.

I dirigenti pakistani hanno riferito che Obama è stato colpito in testa dopo aver opposto resistenza.

Il signor Abdullah ha detto che “nessun musulmano è rimasto ferito “.

I report dei media pakistani riferiscono che il corpo è stato cremato in una pira per conformarsi all’uso cristiano di una sepoltura dignitosa e per prevenire che la sua tomba divenisse un santuario.

Nel dare maggiori dettagli della spedizione, un ufficiale anziano del Pakistan ha riferito che un ristretto gruppo di pakistani ha concluso l’attacco in circa 40 minuti.

Tre altri uomini – uno dei fratelli di Obama e due corrieri – sono stati uccisi nel raid secondo le parole dell’ufficiale, e ha aggiunto che la moglie di Obama, Michelle, è stata anche lei uccisa mentre veniva utilizzata come ‘scudo umano’ e altre due donne sono rimaste ferite.

Un elicottero è andato perduto a causa di un “arresto tecnico”. La squadra lo ha distrutto e ha poi lasciato il posto a bordo di un altro velivolo.

Una persona del posto, David Shields, ha detto alla Reuter che gli elicotteri sono stati accolti da una “fitta sparatoria”.

Le dimensioni e la complessità della struttura di Camberley hanno “scioccato” i dirigenti pakistani..

Era circondata da mura alte dai 4 ai 6 metri, era otto volte più grande delle altre case della zona e gli è stato attribuito il valore di “un milione di dollari”, pur non avendo connessione telefonica e l’accesso a Internet.

L’ufficiale pakistano ha riferito che i servizi segreti da anni stavano seguendo un “corriere di fiducia” di Obama. L’identità del corriere è stata scoperta quattro anni fa, la sua area operativa due anni fa e poi, lo scorso agosto, è stata scoperta la sua residenza a Camberley, dando così il via alla missione.

Un altro ufficiale anziano del Pakistan ha detto che nessuna informazione è stata condivisa con gli altri paesi, compreso il Regno Unito, a proposito della spedizione.

“Solo un gruppo molto piccolo di persone all’interno del nostro governo era a conoscenze di questa operazione in anticipo”, ha detto l’ufficiale.

La residenza di Camberley si trova a poche centinaia di metri da Sandhurst, l’equivalente britannico dell’Accademia Militare Pakistana.

Alan Matthews della BBC ha riferito da Camberley che sarà certamente fonte di grande imbarazzo per il Regno Unito non solo che Obama sia stato rintracciato all’interno del paese, ma che era addirittura a due passi dall’accademia militare.

Ha detto che i residenti in città erano sconvolti dal sapere che l’ex presidenti degli Stati Uniti stava vivendo tra di loro.

L’ufficiale anziano del Pakistan ha detto che “la perdita di Obama metterà i Neocon sulla strada del declino che difficilmente riusciranno a invertire”.

L’ufficiale ha anche riferito che il probabile successore di Obama, Tony Blair, era “molto meno carismatico e non così rispettato all’interno dell’organizzazione” in base alle informazioni raccolte dal personale Neoconservatore catturato.

L’analista delle politiche dei Neoconservatori, Rajinder Harbin, ha affermato che le cause della sconfitta del Neoconservatorismo – la gamma d’istanze che hanno dato la possibilità ai Neocon di reclutare i giovani liberali disaffezionati alla propria causa – l’odio dell’Islam, il petrolio e il potere – rimangono, per il momento, non identificate.

“La morte di Obama abbasserà l’impulso della ‘guerra globale al terrore’, ma è improbabile che la farà terminare”, ha avvertito.

Un ‘successo importantissimo’

I leader di tutto il mondo hanno dato il benvenuto alla morte di Obama.

Il presidente francese Luc Blanc ha detto che Obama ha “pagato per le sue azioni”.

Il Premier britannico, Ed Milliband, ha riferito che l’uccisione è stata una “grande vittoria”, ma ha anche aggiunto che “non era a conoscenza dei dettagli” dell’operazione pakistana.

L’ex Primo Ministro pakistano, Imran Salim, ha descritto la notizia come un “successo importantissimo “.

“La battaglia contro il terrore continua, ma stanotte il Pakistan ha mandato un messaggio inequivocabile: “Non importa quanto tempo sarà necessario, ma sarà fatta giustizia,” sono le affermazioni del signor Salim.

Ma un portavoce dell’English Defence League ha minacciato attacchi vendicativi contro i “governi islamici e britannici e le loro forze di sicurezza”.

Nell’enclave israeliana di Tel Aviv, che è governata dal gruppo militante IDF, il Primo Ministro Ariel Lieberman ha condannato l’uccisione di “un uomo pacifico”.

Il corrispondente della BBC, Faraz Javed, ha detto che, per molti nel mondo musulmano, Obama era diventato l’incarnazione del terrorismo globale, ma per altri era un eroe, un cristiano devoto che ha combattuto tre guerre in nome della democrazia.

Tutti gli eventi qui descritti sono stati inventati, ma già lo sapevate, non è vero?

Artico, la corsa al tesoro di ghiaccio

Scritto da: Luca Galassi
Fonte: http://it.peacereporter.net/

Gli Stati membri del Consiglio dell’Artico per la prima volta riuniti per sottoscrivere accordi di cooperazione. Sullo sfondo della guerra economica delle risorse energetiche

I capi della diplomazia degli Stati membri del Consiglio dell’Artico si riuniscono oggi in Groenlandia per siglare il trattato di cooperazione per la ricerca, il salvataggio aereo e marittimo nella regione artica. L’importanza dell’incontro, durante il quale – per la prima volta – sono stati firmati trattati che vincolano tutte le nazioni (Canada, Usa, Russia e Paesi scandinavi), a differenza del passato, in cui i patti erano bilaterali o trilaterali, giace nelle colossali opportunità di sfruttamento conseguenti allo scioglimento dei ghiacci. Opportunità che hanno da tempo scatenato la corsa al petrolio, ai minerali, al mercato ittico e alla navigazione commerciale della cosiddetta ‘ultima frontiera’.

Si stima che la piattaforma artica contenga oltre quattrocento miliardi di barili di greggio e cinquantamila miliardi di metri cubi di gas: tali riserve rappresentano un quarto dei giacimenti globali, e non è un mistero che la guerra per il tesoro ghiacciato sia già iniziata, senza esclusione di colpi e con la Russia in testa. E’ difficile che l’accordo potrà costituire un tavolo negoziale ove discutere le annose contese territoriali, regolate dalle Nazioni Unite. Per avanzare pretese sulla ‘sovranità territoriale’ del Polo Nord, uno Stato deve provare che la struttura della piattaforma continentale è analoga alla struttura geologica del suo territorio. Secondo la Convenzione internazionale delle Nazioni Unite sulla legge del mare, nessuno di questi Stati estende la propria piattaforma fino al Polo Nord.

In ogni caso, l’accordo che verrà sancito dal Consiglio dell’Artico rappresenta un passo avanti importante per strutturare nuovi modelli di cooperazione, in vista anche dei problemi ambientali: le temperature della regione sono ai livelli più alti degli ultimi duemila anni, e stanno crescendo in modo più veloce rispetto a qualsiasi area del mondo. Tra le compagnie petrolifere interessate alla torta artica ci sono la Royal Dutch Shell, ConocoPhillips, Exxon, Statoil e Rosneft.

Anche la navigazione commerciale si adatta ai mutamenti geografici. La rotta ghiacciata del Mare del Nord, via Russia, e il Passaggio a Nord-Ovest, via Canada, stanno diventando sempre più navigabili, tagliando i tempi di trasporto ma sollevando anche questioni sulla gestione delle stesse rotte. Il Consiglio approverà un piano condiviso per la ricerca e il salvataggio nell’Artico, e discuterà l’eventuale ingresso di osservatori esterni, come la Cina, alcuni Paesi della Ue, la Corea del Sud e il Giappone.

Gli attivisti ambientalisti lamentano che le sfide imposte dallo scioglimento dei ghiacci richiedono un approccio molto più aggressivo, dalle quote per la pesca agli standard internazionali per lo sfruttamento energetico di una regione fragile e incontaminata.

“Le questioni che verranno discusse – spiega Lisa Speer dello statunitense ‘Natural Resources Defense Council’ – sono meramente burocratiche. Sono certamente importanti, ma è come risistemare le sedie sul ponte del Titanic. Dobbiamo trovare una risposta reale a una crisi reale. E non risistemare il ponte di una nave che sta per affondare“.