Guerre. E adesso… il resto dell’Africa.

Scritto da: Debora Billi
Fonte: http://crisis.blogosfere.it/

Racconta John Pilger, celebre giornalista del Guardian, dell’Independent e molti altri, che gli Stati Uniti hanno annunciato l’invio di nuove truppe in Africa.

La prima nazione a beneficiare della trasferta militare è l’Uganda, dove “l’aiuto umanitario” (parole di Obama) è vòlto a combattere la stravagante LRA, “Esercito di Resistenza del Signore”, che vuole instaurare una specie di sharìa cristiana basata sui dieci comandamenti. Siccome questi sant’uomini combattono a suon di stupri, rapine e saccheggi contro donne e bambini, bisogna pur fermarli. Pilger ricorda che però la LRA non è mai stata così debole come oggi, e che per 24 anni le sue atrocità sono state bellamente ignorate. E’ la richiesta di aiuto del Presidente Museveni che non può essere ignorata, visto che Museveni oggi torna utile per combattere a sua volta i fantomatici ribelli della Somalia.

Ma non basta: altre truppe saranno presto inviate in Sudan, Congo e Repubblica Centrafricana. Secondo Pilger, il vero nemico è la Cina.

L’Africa è la storia dei successi della Cina. Dove gli americani hanno portato i droni e le destabilizzazioni, i cinesi hanno portato strade, ponti e dighe. Quello che vogliono sono le risorse, specialmente combustibili fossili. Con le più grandi riserve petrolifere dell’Africa, la Libia di Gheddafi era uno dei principali fornitori della Cina.

Per più di un decennio gli USA hanno tentato di stabilire un comando sul continente africano, l’AFRICOM, ma è sempre stato rifiutato dai governi, timorosi delle tensioni locali che avrebbe causato. La Libia, e ora l’Uganda, il Sudan e il Congo, offrono un’ottima opportunità. Come i cablo di Wikileaks, e il Centro Stategico USA per l’antiterrorismo hanno rivelato, i piani americani per l’Africa fanno parte di un disegno globale in cui 60 mila forze speciali opereranno in 75 Paesi, che diventeranno in seguito 120.

Intanto si annuncia il ritiro delle truppe dall’Iraq. Ritiro solo formale: in realtà, racconta la CNN, resteranno sul posto migliaia di contractors privati.

Una sepoltura navale vichinga intatta

Fonte: http://www.dailymail.co.uk
Tradotto da: Aezio per http://ilfattostorico.com/

A giudicare dalla ricchezza della sua tomba, l’uomo sepolto in una barca insieme alle sue armi era un guerriero vichingo destinato a prendere il suo posto nel Valhalla, la residenza dei morti gloriosamente in battaglia.

Il luogo di sepoltura del potente normanno è stato scoperto dagli archeologi in una zona remota delle Highlands scozzesi.

La tomba, rinvenuta ad Ardnamurchan, è la prima del suo genere ad essere trovata intatta in Gran Bretagna ed è datata al 1.000 d.C.

Per quasi 200 anni, a partire dalla fine dell’VIII secolo, i pirati danesi e norvegesi continuarono a compiere saccheggi sulle coste inglesi, finendo poi a conquistare l’entroterra. Nel 1016, la conquista venne completata quando Canuto il Grande divenne il primo re danese di tutta l’Inghilterra.

La tomba risale a quel periodo. All’epoca, molti vichinghi si stavano convertendo al cristianesimo, ma dai manufatti rinvenuti è chiaro che quest’uomo era rimasto devoto alla vecchia religione norrena.

Della nave, grande 5 x 1,5 metri, tutto quello che rimane sono circa 200 rivetti di metallo con piccole schegge di legno attaccate.

Sepolti con lui vi erano un’ascia, una spada con l’elsa decorata, una lancia, la borchia di uno scudo, una spilla di bronzo e vasellame. Tra gli altri oggetti vi sono un corno in bronzo usato per bere, una cote dalla Norvegia per affilare lame, e una spilla proveniente dall’Irlanda, forse una testimonianza di un suo lontano viaggio.

Il guerriero, di cui restano solo due denti e alcuni frammenti di ossa, sarebbe stato sepolto con un rito pagano. Venne posto dentro la nave con il suo scudo sopra il corpo; la tomba venne poi ricoperta con pietre.

Il corno potorio in bronzo e le armi lo avrebbero accompagnato nel Valhalla, la “sala dei morti in battaglia” dove i più coraggiosi guerrieri vichinghi credevano di passare l’eternità.

Il dott. Hannah Cobb dell’Università di Manchester, che ha co-diretto il progetto, ha dichiarato: ‘La gente è rimasta affascinata da queste navi per molto tempo, ma è estremamente raro trovare un luogo di sepoltura intatto, per cui la sua importanza è di livello internazionale”.

Le sepolture vichinghe nelle barche sono molto rare poiché riservate solo a personaggi importanti, e comunque molte venivano poste nelle zone costiere che nel corso degli anni si sono erose.

I rischi globali del rallentamento della Cina

Fonte: http://www.atimes.com/atimes/China_Business/MJ18Cb01.html
Copyright 2011 Francesco Sisci – traduzione dall’inglese di Niccolò Locatelli
Fonte: http://temi.repubblica.it/limes/i-rischi-globali-del-rallentamento-della-cina/28164

PECHINO – Il recente rallentamento dell’economia cinese, per quanto minimo, è un segnale della fine della magica estraneità asiatica alla crisi iniziata nel 2008? Rappresenta forse l’indicazione che un’imminente ricaduta è possibile? Sono domande con implicazioni enormi, alla cui risposta stanno lavorando molti rinomati economisti. Qualche considerazione “di sistema” – anche se non propriamente macroeconomica – dalla Cina potrebbe essere utile. (1)

Le difficoltà delle banche cinesi non sono una novità. Da circa due anni un gruppo di economisti ispirato dall’ex premier Zhu Rongji parla dei problemi del sistema finanziario, da questi modificato negli anni Novanta. Tali problemi sono il frutto di storture del sistema e di alcune misure emergenziali adottate durante la crisi.

Nel 2009 la Repubblica Popolare Cinese (Prc) ha lanciato un piano di stimolo finanziario per circa 600 miliardi di dollari (più di mille miliardi secondo alcune stime) che dall’inizio ha tenuto fuori dalle difficoltà economiche mondiali per un paio d’anni sia il paese sia l’Asia. Ora che la crisi nel resto del mondo persiste, anche Pechino inizia ad avere qualche problema.

I fondi concessi nel 2009 dovevano essere usati rapidamente. Le banche li hanno quindi prestati alle imprese pubbliche, per un motivo molto semplice: se una banca di Stato presta soldi a un’impresa di Stato e l’investimento non va a buon fine, è un problema di quest’ultima, perchè la banca ha fatto il proprio dovere, ovvero prestare denaro alle imprese pubbliche.

Se invece concede un prestito a un’azienda privata e l’investimento non va a buon fine, può nascere il sospetto che il responsabile della banca e quello dell’azienda si siano messi d’accordo per frodare l’istituto di credito. Per questo motivo i prestiti a privati sono molto più complicati da concedere e da ottenere, mentre all’interno del sistema statale il denaro circola velocemente e con facilità.

C’è un però: le imprese pubbliche sono inefficienti quasi per definizione, e la grande crescita degli ultimi trent’anni è stata soprattutto merito delle aziende private. Tutti questi prestiti a companies statali hanno prodotto uno spreco di denaro difficile da quantificare per la sua vastità.

Senza dubbio sono proprio gli investimenti affrettati nel settore delle infrastrutture la causa del recente incidente ferroviario di Wenzhou (in cui ci sono state decine di morti) e nella metro di Shanghai (nessun morto ma almeno duecento feriti). Il problema più grande è però un altro: le imprese pubbliche non investono abbastanza denaro in veri e propri progetti industriali e produttivi perché preferiscono farlo nel settore finanziario – investimenti nell’immobiliare o prestiti “triangolari” a imprese private a tassi anche superiori al 30%.

Il primo fenomeno è alla radice della recente bolla edilizia. Nel 2010 sono stati venduti terreni per circa 500 milioni di dollari, più del doppio dell’anno precedente; nei primi sei mesi del 2011 c’è stato un incremento del 32% degli investimenti nel settore immobiliare rispetto allo stesso periodo del 2010. Non c’è stato invece il boom delle vendite di appartamenti o il raddoppio dell’immigrazione dalle campagne alle città.

Secondo una pubblicazione di settore, nelle città sono stati costruiti appartamenti per un totale di 43 miliardi di metri cubi. Anche ammettendo che la popolazione urbana in Cina sia pari a 800 milioni (cioè più del 50% del totale, e più del dato ufficiale), ogni cittadino avrebbe a disposizione 53,75 metri quadrati. Una famiglia di tre persone dovrebbe avere una casa di 160 metri quadri, addirittura più delle sue controparti americane o europee. Questi calcoli non sono esatti, ma dato che le famiglie cinesi di norma non vivono in appartamenti così grandi, danno l’idea dell’eccesso di offerta del mercato immobiliare.

Un altro studio sottolinea che attualmente sono in costruzione appartamenti per più di tre miliardi di metri quadri. Se fossero pronti entro il 2012, per occuparli servirebbe una migrazione dalle campagne alle città di 60 milioni di uomini, tenendo fermo il dato di 53,75mq/persona. In un anno però non si muovono tutte queste persone, per cui molti di quegli appartamenti rimarranno vuoti.

Alcuni saranno comprati in contanti e usati come bene-rifugio dai ricchi che non saprebbero come investire altrimenti il loro denaro. Altri invece rimarranno invenduti e peseranno per anni sui bilanci delle banche. Nel tempo il mercato li assorbirà, dato che in Cina tra vent’anni più di un miliardo di persone vivrà nelle città, ma per ora bisognerà quasi fermare le nuove costruzioni.

Oltretutto la bolla edilizia ne ha alimentata un’altra, quella della riscossione fiscale dei comuni, che oggi in molti casi ricavano dalla vendita dei terreni più del 50% del totale delle tasse. Si è creata così una collusione di fatto tra i costruttori e gli amministratori locali ai danni dello Stato centrale e dei cittadini.

Un improvviso stop all’edilizia danneggerebbe le banche che hanno prestato ai costruttori, e gli interessi di chi ha comprato una casa a 10 e scopre che un anno dopo vale solo 7, o 5. Anche se hanno pagato in contanti, come molti cinesi fanno, queste persone non saranno contente di veder fallire un investimento.

Perciò a) un ulteriore stimolo al settore edilizio drogherebbe il mercato – rendendo i pochi connessi al settore più ricchi e i tanti che prendono uno stipendio più poveri, oltre ad ampliare i buchi nei bilanci delle banche – e b) gli incidenti di Wenzhou e Shanghai dimostrano quanto sia difficile eseguire rapidamente progetti infrastrutturali senza studi adeguati e puntuali. Quindi anche se lo Stato volesse destinare altri fondi alla costruzione di strade e ferrovie (progetto costoso, ma la Cina ha ancora un sacco di soldi a disposizione), l’impatto economico di questa mossa sarebbe differito nel tempo: prima dovrebbe esser messo su un accurato sistema di controlli, compito non di rapida soluzione.

Poi c’è il problema che le imprese non statali sono spesso esportatrici, e devono affrontare la doppia pressione dell’aumento del costo del denaro (pari o maggiore al 20%) e dell’apprezzamento dello yuan rispetto ad altre valute, che danneggia la loro competitività.

Infine c’è l’effetto più immediato: la crescita dell’inflazione, che danneggia uno strato della popolazione ancora più vasto. Per abbatterla e sgonfiare la bolla edilizia il governo sta limitando le transazioni finanziarie, mettendo così in difficoltà le aziende che devono ripagare le banche.

In questa situazione la Cina prova a sostenere le piccole e medie imprese in difficoltà, come a Wenzhou, dove il premier Wen Jiabao ha ordinato alle banche locali di aiutare gli imprenditori sull’orlo della bancarotta a causa dell’improvviso congelamento dei crediti. Sono segnali positivi, ma pur sempre misure a breve termine: Pechino dovrebbe cercare soluzioni a lungo termine, come quelle applicate negli anni Novanta.

Questa volta ci vorrebbe una ristrutturazione del sistema bancario, di modo che questo possa offrire i propri servizi alle imprese private, più efficienti. Servirebbe inoltre il sostegno alla riorganizzazione di queste ultime, che sono nate in una zona grigia della legge e spesso coprono le loro mancanze passate in maniera non cristallina. Bisognerebbe conceder loro una sorta di amnistia finanziaria per farle operare in maniera completamente legale d’ora in poi.  La Cina dovrebbe anche privatizzare e smembrare le potenti Soe, che rappresentano una grande fonte di “inquinamento” del mercato. Per farlo ci vuole tempo, dato che le Soe sono uno Stato nello Stato in grado di imporre i propri interessi a discapito di quelli nazionali. Questo processo potrebbe essere una delle questioni da affrontare al congresso del Partito dell’anno prossimo.

La situazione potrebbe presto divenire meno stabile. Nelle ultime settimane Wen ha allertato sui possibili fallimenti di alcune imprese private. Secondo alcune stime il 23% dei prestiti delle banche per progetti sostenuti dai comuni andrà perduto, e un altro 50% è a rischio. Una banca internazionale dava notizie drammatiche nei giorni scorsi:

Le perdite delle banche cinesi sui prestiti potrebbero toccare un livello pari al 60% del capitale di rischio, visto che le imprese edilizie e i governi locali non pagano i debiti, secondo Credit Suisse. I prestiti non remunerativi probabilmente saliranno dall’8 al 12% del debito totale “nei prossimi anni”, causando perdite tra il 40 e il 60% del capitale di rischio delle banche cinesi, secondo uno studio del 12 ottobre di analisti di Hong Kong guidati da Sanjay Jain di Credit Suisse.(2)

Naturalmente la Cina non rischia di implodere. Severi vincoli amministrativi impediscono fughe di capitali, i conti dello Stato sono in ottima forma, e per scongiurare problemi ulteriori può essere utilizzata una parte degli oltre tre mila miliardi di dollari di riserve.

Gli studi econometrici di Paolo Savona e degli esperti dell’Accademica cinese di scienze sociali dimostrano inoltre che il tasso di uso del capitale bancario sui depositi in Cina è pari a 2, mentre in Europa è pari a 9. C’è ampio spazio per aumentare l’efficienza dei servizi finanziari e l’uso del capitale. 

I conti vanno comunque rimessi a posto, e ciò potrebbe essere molto costoso per lo Stato. Tra il 1998 e il 2004, prestiti per oltre 500 miliardi sono stati classificati come non remunerativi e dirottati. Oggi il conto potrebbe essere molto più salato e portare a un calo della crescita cinese, prevista per il 2011 al 9%.

Tale riduzione sarebbe una brutta notizia per l’economia mondiale. Nel 2010 Pechino ha contributo alla crescita del mondo per il 19%, e quest’anno potrebbe arrivare al 24%, divenendo così il più grande fattore di crescita in assoluto.
Le esportazioni cinesi sono calate a settembre, a causa dell’indebolimento della domanda, soprattutto in Europa, mercato primario della Prc. Sono diminuite inoltre le importazioni, anche se per ora ciò non sembra indicare un rallentamento della performance di Pechino. L’inflazione è rimasta ufficialmente al 6%, un livello che richiede ulteriori interventi del governo per raffreddare l’economia.

Fattori internazionali e nazionali non sono al momento favorevoli alla crescita cinese, e ciò si riflette su altre parti del mondo, con il rischio che si crei un circolo vizioso. Intanto, avanza minaccioso lo spettro di una nuova recessione, e tutti guardano all’Italia: dichiarerà il default o no? Sarà la miccia di una bomba globale?

A questo punto l’economia assume risvolti politici e sociali. Anche la primavera araba è in parte frutto dell’instabilità economica; la crisi finanziaria del 1997 ha trasformato la politica asiatica. Viene da chiedersi se le proteste di Occupy Wall Street o gli incidenti della manifestazione di Roma – sembra che la durezza delle manifestazioni greche stia diventando contagiosa – non siano il presagio di qualcosa di più grande e radicale mentre la prospettiva di una crisi è sempre più probabile.

BEN…

Scritto da: Angelo Paratico
Fonte: http://www.zam.it/3.php?libro=9788842544814&id_autore=4801

Casa editrice: Mursia Autore: Angelo Paratico

John Macbeth, giovane agente segreto al servizio di Sua Maestà, viene inviato in Italia per una missione impossibile: trovare e distruggere il carteggio segreto tra Winston Churchill e Benito Mussolini e con esso le prove di un patto segreto tra Londra e Roma per spingere il Duce a entrare in guerra a fianco dei nazisti. Carte che proverebbero un piano lucido e cinico: usare l’Italia fascista come elemento moderatore della furia nazista in cambio di concessioni alla fine del conflitto. Sull’enigma più inquietante del Novecento si dipana questo romanzo che con il ritmo mozzafiato di una spy story fa rivivere un intrigo internazionale dove, negli ultimi mesi della vita di Benito Mussolini e di Claretta Petacci, si scontrano agenti dell’intelligence inglese e sovietica, politici, partigiani. In un susseguirsi incalzante di colpi di scena questo romanzo trascina il lettore tra le pagine di una storia che gli studiosi non hanno ancora potuto scrivere.

Chi è l’autore…
Fonte: http://www.zam.it/biografia_Angelo_Paratico

Angelo Paratico, milanese, da 27 anni risiede a Hong Kong. Scrive su un quotidiano romano e collabora con varie riviste stampate in lingua inglese. Ha pubblicato il romanzo ‘Gli assassini del Karma’ e ‘Un manuale per uomini superiori. Il Lun Yu di Confucio’. È un profondo conoscitore di ceramiche orientali e di libri antichi.

Dal 1995 scrive sul Secolo d’Italia dove tiene una propria rubrica con cadenza settimanale, ogni mercoledi’ e intitolata “Minima Orientalia”.

Un suo libro e’ uscito negli USA, ed e’ intitolato “The Karma Killers”.

Una traduzione del “Gli Assassini del Karma.” Nel mese di agosto 2010 la casa editrice Mursia di Milano ha pubblicato il suo ultimo romanzo, intitolato BEN. Questo vuol essere il primo romanzo mai scritto avente per tema la “Pista Inglese” nella morte di Mussolini e di Claretta Petacci. Il protagonista di questo libro, infatti, pare essere James Bond.

NOTIZIE DA S.O.S. LIBIA

Fonte: http://libyasos.blogspot.com/p/news.html
Tradotto da: Stampa Libera

Quello che segue è parte del testo del messaggio apparso su libyasos riguardante l’uccisione di Muammar Gheddafi. Le enfasi sono quelle originali del messaggio. Le parentesi indicano interpretazioni del traduttore.

Report da Sirte: molti ribelli se ne sono andati. Rimane solo una piccola parte di ribelli della brigata di Misurata e alcune brigate di Benghasi.

È confermato che forze di terra della NATO lunedì 17 e martedì 18 hanno invaso Sirte. La prima forza della NATO lunedì è stata sconfitta.

Poi, martedì le forze di terra della NATO hanno usato esplosivi molto potenti e grosse quantità di armi chimiche che a Sirte hanno causato la morte di oltre 20mila civili. I Jet della NATO hanno colpito martedì il convoglio di Muamar Gaddafi sulla linea del fronte e poi le forze di terra della NATO lo hanno attaccato. Egli ha combattuto, ma poi è stato catturato. Le forze di terra della NATO hanno rapito Muamar (portandolo) a Sirte (dove) è stato interrogato per due giorni (ma) egli si è rifiutato di parlare. Hillary ha dato l’ordine di ucciderlo. Le forze di terra della NATO hanno attaccato Sirte dopo un mese di pesanti bombardamenti aerei. Persa la prima battaglia. Catturato Muamar al successivo tentativo con (le armi) chimiche.

Hillary Clinton ha dato ordine di ucciderlo e perciò il martedì le forze armate della NATO hanno consegnato il Leader Muamar Gaddafi alla brigata Misurata per l’esecuzione.

Fonti all’interno del Pentagono hanno dichiarato che sia lui che suo figlio hanno opposto una forte resistenza e perfino i Ribelli hanno ammesso che è stata la NATO ad effettuare l’intera operazione. Si, Hillary è venuta a Tripoli per dare (di persona) l’ordine di ucider(lo).

Hillary Clinton in un suo pubblico discorso aveva dichiarato “io preferisco che Muamar Gaddafi venga ucciso”. E poi, quando ha domandato “è stato ucciso?” lei ha risposto “WOW” (alla risposta). Si, Hillary è venuta a Tripoli per dare l’ordine di uccider(lo).

Sono stati trovati documenti della NATO che dicevano che l’uccisione doveva essere effettuata dai “mercenari” al fine di far iniziare una guerra civile cosicchè ci si potesse impadronire del petrolio. Si è scoperto che il piano della NATO (consiste) nella divisione della Libia in piccoli stati… Consegnando Muamar ai ribelli affinché lo uccidessero… sperando di incrementare (in tal modo) la guerra tribale.

Sono arrivati a Tripoli 3000 uomini delle forze speciali dell’Iraq per combattere contro i Ribelli. E 5000 sauditi e 400 somali e 700 sudanesi e 6000 algerini.

Attualmente, molte aree di Sirte sono ancora una volta sotto il controllo della resistenza verde. Alcune brigate dei ribelli di Misurata e di Bengasi stanno ancora combattendo qui.

Libia, una missione da 192 milioni di euro

Scritto da: Lorenzo Bagnoli
Fonte: http://it.peacereporter.net/articolo/31164/Libia%2C+una+missione+da+192+milioni+di+euro

Gheddafi è morto ma la guerra durerà ancora molto. E i soldi continuano a scorrere per finanziare le operazioni militari. L’opinione di Francesco Vignarca e Paolo Busoni.

Dopo 246 giorni di guerra, Gheddafi è caduto. Ad affondarlo sono stati soprattutto i colpi dei raid aerei della Nato: 26mila bombardamenti nel giro dei sette mesi di operazioni militari. Per l’Italia, l’impegno in Libia è costato 192 milioni di euro, divisi in due tranche: una prima da 134 milioni, in cui si sono disposti sul campo 1.970 uomini; la seconda, riferita al trimestre giugno-settembre, da 58 milioni di euro.

In Parlamento, però, non si discute del rifinanziamento della missione militare da luglio. Colpa dei malumori leghisti, che avrebbero potuto mettere il governo in minoranza nel momento della votazione in aula. “L’esercito – spiega Francesco Vignarca di Rete disarmo -è schierato senza il consenso del Parlamento. Le missioni militari sono votate per un certo periodo, non possono essere approvate indefinitamente”. In sostanza, l’esercito italiano spara senza il consenso del Parlamento.

Ma la vera notizia di oggi, secondo Francesco Vignarca, è la riapertura del polo di costruzione di elicotteri della Agusta Westland, in Libia. “Finmeccanica – ha detto il 21 ottobre il ministro Franco Frattini, interpellato a margine del Forum Confindustria-Bdi – ha già riaperto il suo stabilimento. C’e’ un laboratorio di costruzione degli elicotteri che ha ripreso a funzionare normalmente”. Liatec è il nome dell’azienda, controllata per il 50 percento dalla Libyan Company for Aviation Industry , una società per azioni del Paese nordafricano, per il 25 percento da Finmeccanica e per il restante 25 percento da Agusta. Quindi, il ricavato della società va equamente diviso tra le due sponde del Mediterraneo. “È l’unica joint venture alla pari con un Paese acquirente – dichiara Vignarca – . Questo lascia intendere la forza contrattuale del vecchio regime. E continuerà anche con il Cnt perché non sono molte le aziende che fabbricano elicotteri. Ciò che verrà messo in discussione sarà il nostro primato sulle esportazioni, finora incontrastato”.

Nonostante gli affari, le operazioni militari non si interromperanno in tempi brevi. È questa l’opinione di Paolo Busoni, collaboratore di Emergency ed esperto in operazioni militari. “Ritengo – afferma – che ci saranno almeno ricognizioni aeree e qualche raid isolato, che verrà tenuto nascosto”. La guerra, oggi, “si fa con le informazioni”. Si chiama “situation awarness”: anche senza la presenza fisica, si mantiene costante il flusso notizie per avere sempre tutto sotto controllo e non perdere il vantaggio acquisito con l’intervento militare. Anche in questo caso, il primo Paese della lista è la Francia di Sarkò.

Chi mette le mani sulla Libia, infatti, difficilmente lascia la preda così in fretta. E chi ci rimetterà, secondo Busoni, sarà di nuovo l‘Italia, che rischia di trovarsi poco attrezzata anche per affrontare questa fase ‘post conflitto armato’: “Non so se la politica avrà l’intelligenza per dare una risposta adeguata. In Italia si spera sempre nei soliti meccanismi di corruttela e di amicizia con cui si reggevano i rapporti con il regime di Gheddafi”. Ma in questa corsa al consenso dei ribelli libici, l’Italia partirà sempre svantaggiata: la prima a premere il grilletto e a sostenere la rivolta è stata la Francia di Nicholas Sarkozy.

Secondo Busoni, la nuova Libia non avrà la stessa fisionomia di quella vecchia. “Credo che il Paese si frammenterà”, dice. Il Paese ormai è stracolmo di armi “soprattutto leggere, facili da usare”: un contesto ideale per far scatenare una “guerra tra bande”. Tra queste armi, forse, ci sono anche 7.500 pistole, 1.900 carabine e 1.800 fucili che sembra siano finiti nelle mani del settore di Pubblica Sicurezza del Comitato Popolare Generale (l’istituzione di Governo Libica), a fine 2009. Nei documenti italini che testimoniano la vendita, però, la destinazione finale è celata sotto il segreto di Stato. La partita vale 8,1 milioni di euro: salpata da La Spezia, si sa solo che si è fermata a Malta per uno scalo tecnico, poi più nulla. Un misterioso affare su cui ha indagato Altreconomia e attorno a cui s’annidano ancora molti dubbi solo perché l’Italia non ha l’obbligo di tracciare il traffico degli armamenti leggeri.

“Chi è inquadrato militarmente – prosegue Busoni- è fortemente islamista e si è preparato in Afghanistan o con Hamas“, a differenza del resto del governo provvisorio, fuoriuscito dalle gerarchie dell’ex Jamahiriya. D’altronde, come ha ricordato il generale Fabio Mini, in questi ultimi anni non si è conclusa nessuna guerra. La fine di Gheddafi, quindi, rischia di essere solo un punto di svolta in un conflitto molto più lungo.

Terme e ayurveda: italiani alla ricerca del benessere

Fonte: http://www.informasalus.it/it/articoli/terme-ayurveda-benessere.php

l rapporto sul turismo italiano 2011 rivela che gli italiani sono sempre più interessati al turismo termale, non soltanto a scopo terapeutico ma anche per trattamenti volti a garantire un completo benessere. Località e siti termali risultano infatti sempre più apprezzati da giovani e meno giovani.

Di questa tendenza si discuterà il prossimo fine settimana, 22-23 ottobre, a Riolo Terme (Ravenna), nel corso del convegno “Comunicare le Thermae: Media, Scienza e Società per una corretta e responsabile informazione” patrocinato da Federterme Confindustria e Federazione mondiale del Termalismo.

Per eliminare l’ansia e ritrovare il benessere gli italiani, in particolare i giovani, ricorrono sempre più spesso ai benefici dell’ayurveda. Si tratta di un’antica scienza indiana, diffusasi in Occidente soprattutto per quanto riguarda il campo medico-salutistico. In sanscrito Ayurveda significa “scienza della vita” ed è un metodo di cura olistico che, come tale, considera spirito mente e corpo come parti di un “tutto”.

Attraverso la cura dell’individuo nella sua totalità, l’Ayurveda è in grado di depurare e purificare in profondità la persona, senza focalizzare l’attenzione su un disturbo particolare. Il suo fine ultimo è quello di portare l’individuo a una completa armonia psicofisica. Tale “antica scienza” medica, tra le sue molteplici pratiche, contempla alcuni massaggi molto particolari attraverso cui l’individuo può raggiungere stadi di rilassamento elevati.

Un Dna per materiali artificiali

Scritto da Roberto Cantoni
Fonte: http://oggiscienza.wordpress.com/2011/10/21/un-dna-per-materiali-artificiali/

FUTURO – Ricercatori dell’Università di New York hanno sviluppato strutture artificiali capaci di autoreplicarsi: si tratta di un risultato dalle grandi potenzialità, che potrebbe portare a nuovi tipi di materiali. Nel mondo naturale, l’autoreplicazione è un processo che avviene in tutti gli esseri viventi, ma non si era ancora riusciti a ottenere il suo equivalente artificiale. La nuova invenzione è il primo passo verso un processo generale di autoreplicazione di una grande varietà di strutture-seme arbitrariamente progettate. Le strutture-seme sono composte da Dna organizzato in motivi a tegola, che hanno la funzione di lettere disposte in modo tale da formare una particolare parola. Il processo di replicazione conserva la sequenza di lettere e la forma della struttura-seme, e di conseguenza le informazioni necessarie a produrre ulteriori generazioni.

Lo studio, eseguito da ricercatori dei dipartimenti di Fisica e Chimica e dal Centro per la ricerca sulle materie soffici dell’università statunitense, è apparso sull’ultimo numero della rivista Nature. La ricerca ha creato molte aspettative per quanto riguarda la creazione di nuovi materiali. Il Dna è un’entità funzionale solida, che può organizzare sia se stessa sia altre molecole in strutture complesse. Più di recente, il Dna è stato anche usato per organizzare la materia inorganica, come particelle metalliche. La ricreazione da parte dell’équipe newyorchese di questo tipo di assemblaggi in laboratorio rende tutt’altro che remota la prospettiva di un eventuale sviluppo di materiali autoreplicanti che possiedano un’ampia gamma di motivi e che siano in grado di eseguire un certo numero di funzioni. L’importante risultato cui sono arrivati i ricercatori è la replicazione di un sistema che contiene informazioni complesse: infatti la replicazione di questo materiale, come quella del Dna nella cellula, non è limitata a motivi che si ripetono.

Per dimostrare questo processo di autoreplicazione, il gruppo ha creato dei motivi a tegola artificiali di Dna: delle brevi disposizioni di Dna della scala del miliardesimo di metro. Ogni tegola rappresenta una lettera, A o B, che riconosce e si lega alle lettere complementari A’ e B’. Nel mondo naturale, il processo di replicazione del Dna comporta abbinamenti complementari tra basi – l’adenina si accoppia con la timina, e la guanina con la citosina – per formare la celebre doppia elica. I ricercatori americani, invece, hanno sviluppato una tegola e un motivo artificiali, detti Btx (molecole di tripla elica ripiegate, contenenti tre doppie eliche di Dna): ogni molecola Btx è composta da dieci filamenti di Dna. Al contrario del Dna, però, il codice Btx non è limitato a quattro lettere: in principio, può contenere milioni di miliardi di lettere e tegole diverse, che si abbinano usando la complementarità di quattro filamenti individuali di Dna, o “estremità adesive”, di ogni tegola, per formare un fascio di sei eliche.

Per ottenere l’autoreplicazione delle file di tegole Btx, è necessaria una parola seme per dare vita a diverse generazioni di file identiche. Il seme del Btx consiste in una successione di sette tegole, cioè in una parola di sette lettere. Per innescare il processo di autoreplicazione, la struttura-seme è immersa in una soluzione chimica, in cui si assembla con tegole complementari per formare una “fila di Btx figlia”, cioè una parola complementare. La fila figlia è poi separata dalla struttura-seme riscaldando la soluzione a circa 40 ºC, e poi si ripete il processo. La fila figlia si lega alle sue tegole complementari per formare una “fila nipote”, ottenendo in questo modo l’autoreplicazione del materiale e delle informazioni nella struttura-seme, e quindi riproducendo la sequenza che è all’interno della parola-seme originale. Questo processo, tuttavia, è distinto da quelli di replicazione che avvengono all’interno della cellula, poiché durante il suo svolgimento non vengono usati componenti biologiche, in particolare enzimi, e anche perché il Dna è di sintesi.

“Questa è la prima tappa verso la creazione di materiali artificiali autoreplicanti di composizione arbitraria”, sostiene Paul Chaikin, fisico e uno degli autori dello studio. “La prossima sfida è creare un processo in cui l’autoreplicazione avvenga non solo per poche generazioni, ma abbastanza a lungo da mostrare una crescita esponenziale”.

“Benché il nostro metodo di replicazione richieda molteplici cicli di trattamento chimico e termico, abbiamo dimostrato che è possibile replicare non soltanto molecole come il Dna o l’Rna cellulari, ma strutture discrete che potrebbero in linea di principio assumere molte forme differenti, avere diverse caratteristiche funzionali ed essere associate a diversi tipi di specie chimiche”, aggiunge il chimico Nadrian Seeman, coautore della ricerca.

Storia dei Cimbri (cenni)

Scritto da :  Sergio Bonato
Fonte: http://user.uni-frankfurt.de/~obaumann/text/italian/asbii.htm

As bi biar! Così come Noi! Questo è il nostro saluto cimbro a tutti coloro, che hanno aperto questa Home Page! Vi auguriamo lo stesso – se non un maggiore – interesse e un identico entusiasmo per il piccolo mondo dei Cimbri.


L’antica Saga inizia con queste parole: “De ünsarn eltarn habent hortan kchöt, dass dar ünsar stam vun zimbarn ist von tåüschen lentarn af an nort kömet in des bellische lant, in zait vom krige, ba dar grosse stroach ist den gant übel./ I nostri genitori hanno sempre raccontato, che la nostra stirpe dei Cimbri è venuta dal Nord in tempo di guerra in terra italiana , poichè la grande battaglia aveva avuto per loro esito negativo.” <1> Ogni saga ha un carattere eziologico, cerca cioè di chiarire ciò che a primo acchito appare fuori del comune.

Il nostro racconto si occupa del problema, di come sia possibile che un popolo, che parla una lingua dai suoni germanici, viva all’estremo bordo meridionale delle Alpi nord occidentali in piena area linguistica italiana. La saga mette in relazione la provenienza dei Cimbri settecomunigiani con la storia del popolo dei Cimbri, provenienti dallo Jutland in Danimarca, che emigrarono – primi tra tutti i popoli germanici – nella penisola italiana, ma furono sconfitti nel 101 a. C. dall’esercito romano di Mario. Uno sparuto numero di guerrieri cimbri sarebbe sopravvissuto nel “grande scontro” (grossen Stroach) e avrebbe trovato rifugio sulle montagne del Veneto.


In questo modo si sarebbero formati i Sette Comuni in provincia di Vicenza e i Tredici Comuni in provincia di Verona, gli abitanti dei quali parlerebbero ancora l’antica lingua germanica dei cimbri appunto. La ricerca storica e l’analisi linguistica hanno da tempo appurato come la saga dei Cimbri sia un racconto mitico, che non contiene nulla di scientificamente accertato. Nonostante non domini ancor oggi in alcun modo una assoluta evidenza sulla “Questione Cimbra” <cfr2.> una serie di documenti testimonia uno stretto collegamento già a partire dal X secolo tra l’area linguistica tedesca e i territori delle odierne province di Trento, Verona e Vicenza nel Nordest italiano.

È molto probabile che proprio attraverso questi relazioni – la diocesi di Frisinga, ad esempio, aveva possedimenti che confinavano con i Sette Comuni vicentini -, immigranti, a ondate successive, siano giunti dalla Baviera e dall’Austria occidentale nel suddetto territorio nel XI e XII secolo. La più antica colonia cimbra è, senza dubbio, quella dei Sette Comuni, nella odierna provicia di Vicenza, nel Veneto, la cui variante linguistica presenta alcune caratteristiche dell’Antico Alto Tedesco, la lingua parlata nella Germania meridionale dal 750 fino al 1050 circa.

Il periodo preciso della prima ondata immigratoria si può difficilmente definire, ma sembra che questa sia in collegamento con gli incentivi offerti da vescovi di origine tedesca nelle diocesi di Verona e di Vicenza (983-1122), i quali diedero ai coloni l’autorizzazione a stanziarsi nel territorio dei Sette Comuni e a renderlo coltivabile. Nel 1216 il vescovo principe di Trento Friedrich von Wangen autorizzò lo stanziamento di coloni, provenienti dai Sette Comuni, sull’altopiano di Folgaria e Lavarone, affinchè bonificassero questa zona e vi costruissero 20 masi.

Questa immigrazione portò alla fondazione della colonia cimbra del Trentino meridionale. Nonostante questi colonizzatori provenissero dai Sette Comuni, la variante linguistica, da loro parlata, è molto più vicina al Medio Alto Tedesco (lingua parlata nella Germania meridionale dopo il 1050), che non all’ Antico Alto Tedesco, motivo questo per credere che questi immigranti fossero i membri di un gruppo arrivato intorno al 1100 nei Sette Comuni, e cioè più di 200 anni dopo lo primo stanziamento cimbro sull’altopiano settecomunigiano. Poco tempo dopo la concessione di Friedrich von Wangen (1216) alcune famiglie di lavarone occuparono l’altopiano di Luserna, pagando l’affitto alla parrocchia di Brancafora nella Val d’Astico, che aveva ricevuto questo territorio nel 917 dal re Berengario attaverso il vescovo di Padova Sibicone. L’autorizzazione per la fondazione della terza colonia cimbra, quella cioè dei Tredici Comuni, fu concessa al 5 Febbraio 1287 dal vescovo di Verona Bartolomeo della Scala.

Destinatari erano due uomini provenienti dal contado vicentino, entrambi di nome Olderico (Oldericum), i quali ricevettero come rappresentanti del loro gruppo il beneficio dello stanziamento e della costruzione di un numero imprecisato (dai 25 ai 50 e più) di masi sul territorio dell’odierna Roveré di Velo, in provincia di Verona. Sia l’atto di concessione che la sua conferma il giorno 6 Agosto dell’anno 1376 estendono il beneficio a tutti coloro che si verrano a trovare, anche nel tempo futuro, nel suddetto territorio (et omnium et singulorum aliorum qui pro tempore futuro stabunt et habitabunt indicta terra Roveredj Vellj) (Rapelli, G., >>Per una storia dei Cimbri tredicicomunigiani<<. In: Volpato 1983: 76), segno questo, che anche la colonizzazione dei Tredici Comuni da parte dei Cimbri si estese nell’arco di un secolo e più ed avvenne, come per i Sette Comuni ad ondate successive, attraverso l’infiltrazione di singoli gruppi o clans. La comunità cimbra conobbe nei secoli un destino diverso. Per i Cimbri dei Tredici Comuni iniziò già nel XV secolo quella lenta, ma inarrestabile Emorragia di abitanti, che alla fine porterà alla frammentazione del gruppo etnico e alla decadenza della lingua e cultura cimbra.

Il parroco di Boscochiesanuova nei Tredici Comuni riportò negli archivi della sua parrocchia il motivo dell’emigrazione di così tanti Cimbri: “per povertà”! (Rapelli, G., 1983: 81). La colonia dei Sette Comuni, invece, conobbe nel XVII e XVIII secolo un periodo di fioritura, che si concretizzò nell’indipendenza politica, già peraltro ottenuta nel 1310, e nella produzione di una vera e propria letteratura, con traduzioni e poesie in cimbro come pure con opere di carattere religioso e di sapienza popolare (proverbi). Il colpo mortale arrivò, però, con lo scoppio della prima guerra mondiale: gli abitanti dei Sette Comuni si trovarano in piena linea di fronte.

L’Altopiano fu teatro di alcune tra le più cruente battaglie della grande guerra e i Cimbri settecomunigiani furono evaquati nella pianura padana, dove furono costretti a parlare italiano sia tra di loro che con i bambini, altrimenti avrebbero corso il pericolo di essere scambiati per nemici o quantomeno per filoaustriaci (cfr. i racconti di Costantina Zotti). Molti rifugiati cimbri non ritornarono più sull’altopiano dei Setti Comuni. La storia della colonia cimbra del Trentino meridionale, è ancora più differenziata da quella delle altre due colonie cimbre, in quanto essa si trovò, già dal tempo della sua fondazione, nel territorio della contea del Tirolo, di cui condivise fino al 1919 le sorti, e non in quello della Repubblica marinara di Venezia, sotto il dominio della quale vissero i Cimbri dei Sette e dei Tredici Comuni.

La lingua cimbra era un tempo parlata in tutta la parte orientale del Trentino meridionale, sull’altopiano di Pinè, nell’alta Valsugana, sull’altopiano di Folgaria e Lavarone, a Terragnolo e nella Vallarsa, nella Valle dei Ronchi e addirittura a Trento. A causa della presenza di un forte sostrato romanzo, precedente la colonizzazione cimbra, ma anche spesso attraverso un’opera di sistematica italianizzazione (a Terragnolo, ad esempio, la lingua cimbra scomparve con la creazione di una scuola parrocchiale italiana (1786), voluta dal parroco don Leonardo Zanella, che proibì nel modo più severo possibile agli adulti (anche nella confessione) “di parlare questa lingua barbarica con i bambini”) il numero dei parlanti cimbro si ridusse sempre più fino a coincidere, già agli inizi di questo secolo, con i soli abitanti di Luserna. Luserna ottenne l’indipendenza comunale da Lavarone il 4 Agosto 1780; a qual tempo il piccolo paese di montagna aveva circa 250 abitanti.

La sua storia fu sempre caratterizzata , già fin dai tempi della prima colonizzazione, dall’indicibile povertà del suolo, che costrinse da sempre i Lusernesi a lavorare come stagionali all’esterno del paese. Nell’anno 1911 la gran parte del paese, le cui case erano ricoperte da tetti di scandole, fu distrutta da un incendio <cfr.>. Il paese venne ricostruito, anche attraverso gli aiuti finanziari provenienti dall’Austria. Immediatamente dopo la dichiarazione di guerra da parte dell’Italia (24. 05. 1915) i Lusernesi dovettero abbandonare nel giro di poche ore il villaggio, situato nel settore austriaco del fronte di guerra, sotto una vera e propria grandinata di bombe. Ci fu una vittima civile e un ferito grave <cfr.>. I circa 900 abitanti furono condotti come rifugiati di guerra in Boemia, nella circoscrizione di Aussig); poterono ritornare solo nel Gennaio del 1919.

A causa della sua posizione vicino al forte “Lusern” sulla linea di fronte, il paese fu completamente distrutto e dovette essere nuovamente ricostruito. Nel giro di pochi anni il numero degli abitanti raggiunse quota 1200, tuttavia, a causa della forte emigrazione, determinata dalla crisi economica mondiale, scese rapidamente a 850, nel 1935. Tra le turbolenze, in seguito alla Seconda Guerra Mondiale, fu data anche ai Lusernesi, come pure ai Mocheni e ai Sudtirolesi la possibilità di optare per l’impero germanico; 280 persone credettero, dopo tanta povertà alle promesse di una vita migliore e optarono. Dopo la Seconda Guerra Mondiale il numero degli abitanti a Luserna rimase fino al 1967 stabile, intorno alle 650 unità, anche se la forza lavorativa doveva come sempre trovare lavoro stagionale all’esterno: nell’attività edilizia gli uomini, nel turismo le giovani donne.

Però, la riforma scolastica degli anni 70 costrinse molte famiglie ad emigrare a Trento, dato che il pendolarismo giornaliero di studenti e lavoratori non era praticabile. Delle tre colonie cimbre rimangano oggi tre enclavi linguistiche: Giazza/Ljetzan nei Tredici Comuni, Roana/Robaan con la frazione Mezzaselva/Toballe nei Sette Comuni e Luserna/Lusern, ultimo resto di quella colonia del Trentino meridionale, che solo 200 anni fa’ contava 20.000 parlanti cimbri. Il numero di coloro, che nelle due prime isole linguistiche, si servono dell’Antico e Medio Alto Tedesco come lingua madre è sceso a poche dozzine; sta’ aumentando, però, sempre più il numero di coloro, in larga parte giovani, che, motivati dall’interesse personale, imparano il cimbro e si dedicano alla sua propagazione. Gli abitanti di Luserna, invece, furono in grado di conservare, a causa dell’estremo isolamento del loro paese, nella quasi totalità, la lingua cimbra. Attualmente vivono 362 persone a Luserna; un centinaio, però, è assente durante i giorni lavorativi.

Tuttavia, ci sono circa 500 persone, native di Luserna, (più i loro figli e i nipoti) che, nonostante l’emigrazione, parlano ancora il cimbro e mantengono i contatti con il loro paese nativo. Tutto sommato, il numero dei membri del gruppo etnico cimbro ammonta a circa 1000 unità, anche se la maggior parte di quest’ultimi è dispersa all’ esterno della loro patria. La sopravvivenza dei Lusernesi come gruppo etnico cimbro è legata alla concretizzazione di due importanti condizioni, e cioè il riconoscimento giuridico come gruppo etnico e la promozione economica. Agli abitanti di Luserna dev’essere data la possibilità di poter salvaguardare e incentivare la propria lingua madre e la propria identità. Inoltre, devono essere create, nella stessa Luserna, le condizioni economiche necessarie a chè gli abitanti possano rimanere nel loro paese e il trend emigratorio possa essere così fermato.

Dopo gli infruttuosi tentativi di creare posti di lavoro nell’ambito della piccola industria il comune di Luserna ha elaborato un piano di sviluppo turistico orientato alla natura, alla cultura e alla salute. La provincia di Trento ha, dal canto suo, assicurato il finanziamento del progetto. Tra le altre cose è prevista la costruzione di un impianto per bagni di fieno, di un ostello della gioventù, di un centro di sci da fondo e di Sledog, di un osservatorio astronomico, di un museo del folclore e l’allestimento di un centro di documentazione sulla Prima Guerra Mondiale. Il 5 Luglio 1996 fu decisa dal consiglio comunale la fondazione del “Centro di Documentazione Luserna”. Lo scopo immediato di questa nuova fondazione è l’approfondimento scientifico e la promozione della conoscenza degli avvenimenti, dal lontano passato fino ai giorni nostri, che interessarono Luserna e i territori vicini, nei quali tedeschi e italiani entrano in non sempre pacifico contatto tra di loro. Il Centro si propone, inoltre, la raccolta, la conservazione e, per quanto sarà possibile, l’esposizione di documenti di ogni tipo e di oggetti, come ad esempio i fortilizi e le altre costruzioni militari. Noi ci auguriamo di poter intessere rapporti di conoscenza con tutti coloro, che sono interessati all’approfondimento scientifico della lingua e della cultura cimbra, ma anche con quelli, che desiderano venirci a trovare per poter gustare le proposte turistiche di Luserna. In questo modo potrete contribuire allo sviluppo economico e alla sopravvivenza dell’isola linguistica tedesca più meridionale d’Europa.

Abbiamo lasciato sparire tanti sentieri,
abbiamo lasciato prosciugare tante sorgenti,
abbiamo lasciato incolti prati e boschi:
siamo perduti sempre più nel deserto
in un esodo senza terre promesse.

Ma la nostra terra promessa è qui,
tra questi monti e questi sassi:
qui, contro oppressioni di schiavitù avvilenti
qui, contro illusori idoli dorati,
qui, per raccogliere le tavole di nuove e antiche alleanze,
qui, per stillare latte e miele da questa dura terra.

1 Hornung, Maria (1984): “Die Herkunft der
sogenannten Zimbern.” In: G. B. Pellegrini,
S. Bonato & A. Fabris, ed., 56.

2 cfr. Nicolussi Paolaz, D., (ed.), 1990: “Lusern
vor un dopo in earst beltkriage”.
Identità 2, novembre 1990, 10-12

3 Sergio Bonato. In: Quaderni di Cultura
Cimbra 22, iuglio 1987

4 cfr. per esempio Stella, A. (1989): “Nuovi
oriantamenti storiografici sulla Repubblica
contadina dei Sette Comuni“. In: Quaderni
di Cultura Cimbra 25, gennaio 1989, 12-19

 

Philofobia: la paura dell’amore, nuova tendenza tra i giovani

Scritto da: Roberta Santoro
Fonte: http://www.larosanera.it/?p=3720

Adesso stava alla finestra e tornava con il pensiero a quell’istante. Che altro poteva essere se non l’amore, che era venuto in quel modo da lui a farsi conoscere? Ma era davvero l’amore? […] Non si trattava piuttosto dell’isteria di un uomo che, scoprendo nel profondo della sua anima la propria incapacità di amare, aveva cominciato a fingere l’amore con se stesso? […] E gli dispiaceva che in una situazione simile, quando un vero uomo avrebbe saputo immediatamente come agire, lui esitava privando in tal modo l’istante più bello della sua vita del suo significato”. (tratto da “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, Milan Kundera)

Questa società ci vuole forti, determinati e sentimentalmente convinti. Purtroppo tra l’immagine che tutti vorremmo avere e dare di noi e il riflesso nello specchio della nostra intimità si notano diverse discordanze – se proprio non vogliamo parlare di totale assenza di punti in comune.
La sfera che preoccupa di più è quella sentimentale. Avere una vita soddisfacente, ma essere single è fonte di isteria per molte persone. Al contrario, l’essere appagati sentimentalmente fa sì che anche l’ostacolo più difficile possa essere superato. È la nostra generazione che ha sviluppato questa estrema necessità dell’altro oppure è dalla comparsa dell’uomo che si ricerca la famosa “metà della mela”?

Si notano, però, strani cambi di tendenza. Non abbiamo più fiducia nelle nostre sensazioni perché siamo inconsciamente portati a pensare in modo malvagio dell’azioni altrui. Viviamo di fobie. La paura della bugia, di essere raggirati o illusi, di aver bisogno semplicemente di qualcuno e non di quella persona in particolare. Vorremmo davvero provare ad affidarci all’altro, ma rimaniamo sempre troppo distanti dall’idea di un rapporto. Mascheriamo le insicurezze con la bandiera della libertà. Sì, perché è questo che ci raccontiamo. Non vogliamo perdere le nostre abitudini da single. Come se avere un rapporto sentimentalmente stabile possa essere limitante. Tendiamo a sentirci soffocati dalla presenza, oppressi dall’attenzione in più che quella persona possa rivolgerci. Arriviamo anche al punto di esserne visibilmente infastiditi.

Tra l’uomo e la donna non c’è distinzione. I sintomi sono gli stessi: ansia, fastidio, somatizzazione dell’oppressione (il mal di testa o il mal di stomaco sono le reazioni più comuni), agitazione e anche tachicardia. Nessuna malattia fisica, si tratta della Philofobia. È il termine tecnico per indicare la paura di innamorarsi o di essere innamorati. È un processo evolutivo limitante che si sviluppa da un trauma. Sfociando poi in un meccanismo di difesa che non permette alla persona affetta di avvicinarsi e compenetrarsi all’altro.

I traumi possono derivare da una “banale” delusione sentimentale passata per la quale si è sofferto oppure da un rapporto sbagliato con i genitori nel corso dell’infanzia. Quest’ultimi soggetti sviluppano particolari difficoltà nel mostrare le proprie debolezze e le proprie emozioni. Cercano relazioni impossibili, magari con persone già impegnate oppure di cui si sentono inferiori (motivo per il quale verranno poi lasciati). In un particolare stadio della fobia – quello più avanzato – c’è la consapevolezza (di per sé già invalidante) della limitazione. Si prova ad andare oltre, a provarci. Il potenziale fallimento potrebbe derivare anche dall’incapacità di esprimere le proprie difficoltà. Bisogna avere il coraggio di chiedere aiuto all’altro affinché l’approccio possa essere graduale e consolidante ad ogni step. L’altro, dal canto suo, può far fronte alla situazione negando di essere innamorato. Paradossalmente è l’unico modo per evitare che il philofobico possa fuggire. Che tu sia il philofobico oppure la persona che tenta di stargli accanto, bisogna optare per il dialogo. Parlare della difficoltà, aiutarsi a comprendere le emozioni. Si tratta delll’unico approccio per curare questa fobia, oltre a consultare uno specialista (nei casi estremi).