Lettini abbronzanti: aumentano rischio di cancro alla pelle

Scritto da: Enrico Ferdinandi
Fonte: http://2duerighe.com/scienza-e-tecnologia/3111-lettini-abbronzanti-aumentano-rischio-di-cancro-alla-pelle.html

Nel 2009 l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) l’allarme l’aveva già lanciato, alzando il livello di rischio delle apparecchiature abbronzanti Uv (come i lettini solari) da “probabili cancerogeni” a “cancerogeni per l’uomo”.
Oggi, a 2 anni di distanza, cosa è cambiato? Pressappoco niente, i “seguaci” della tintarella perenne, ma artificiale, sono in continuo aumento mentre le disposizioni volte a garantire maggior sicurezza e controllo rimangono ben ancorate all’atto burocratico ma non a quello pratico. A portare nuovamente l’attenzione su questo problema è in questi giorni uno studio dei ricercatori della Yale School of Public Health che pubblicato su Journal of American Academy of Dermatology, ha nuovamente acceso il dibattito sull’effettiva sicurezza nell’uso di apparecchiature abbronzanti. La ricerca ha difatti evidenziato che le persone che utilizzano il lettino abbronzante (sono state esaminate 750 persone under 40) vanno incontro ad un rischio molto più alto di sviluppare il carcinoma delle cellule basali (BCC) prima dei quaranta anni a dispetto delle persone che si abbronzano naturalmente.
Gli studiosi dello Yale Cancer Center hanno così appurato che chi usa i lettini solari ha un rischio più alto del 69% di sviluppare carcinomi precoci alle cellule basali. I carcinomi negli ultimi anni – prosegue la ricerca – hanno avuto un sostanziale aumento soprattutto nelle donne giovani, che costituiscono il 70% dei casi, percentuale che potrebbe esser ridotta del 43% se si evitasse l’esposizione a raggi Uv artificiali.
La coordinatrice della ricerca, Susan T. Mayne, si è dichiarata sorpresa nello scoprire: “che un terzo dei partecipanti allo studio, colpito da BCC, aveva già avuto un BCC aggiuntivo prima dei 40 anni”

 

Vattenfall: legname africano in Germania per salvare il clima?

Scritto da: Klaus Schenck, Rainforest Rescue
Traduzione: /www.salvaleforeste.it/201112151619/vattenfall-legname-africano-in-germania-per-salvare-il-clima.html

L’impresa energetica Vattenfall importa alberi africani per produrre “energia verde” in Germania. Sembra fantascienza, ma è parte di un accordo con la municipalità di Berlino. La Vattenfall Europe e il Senato berlinese hanno sottoscritto un accordo nel 2009, chiamato “Accordo per la Protezione del Clima” volto all’abbattimento del 20% delle emissioni di CO2 – e fin qui tutto bene – espandendo l’impiego delle biomasse. E qui iniziano i problemi, perché evidentemente i boschi della Germania non hanno tutto questo surplus di legname, e la Vattenfall ha iniziato a importarso dalla Liberia. Con tutti i problemi che ne seguono. E la biomassa mostra il suo volto contraddittorio come “energia pulita”.

Vattenfall è una multinazionale energetica – il quinto produttore europeo – di proprietà dello stato svedese. La sua affiliata Vattenfall Europe, con sede a Berlino, è uno dei principali fornitori sul mercato energetico tedesco. La produzione di energia della Vattenfall ci è principalmente basata sul carbone (65% – l’impresa controlla miniere di lignite nella Germania orientale) e uranio (26%). Ma l’azienda ha anche investito nelle cosiddette energie  “pulito” le fonti di energia, come le biomasse. Secondo quanto riportato dal suo sito web, la Vattenfall possiede oltre 40  centrali elettriche in Europa, alimentate in tutto o in parte da biomassa, e si definisce “uno dei leader mondiali del settore”.  E difatti consuma più di tre milioni di tonnellate di biomassa all’anno, di cui il 60% è costituito da rifiuti domestici e industriali, e il 30% da sottoprodotti dell’industria forestale.

Per anni, Vattenfall è stata considerata una delle “pecore nere” del mercato energetico tedesco, a causa del suo alto consumo di carbone e per lo sfruttamento delle sue miniere di lignite, così come i suoi impianti nucleari. L’impresa è stata oggetto di ripetute proteste da parte dei cittadini e delle associazioni ambientaliste, come quando era prevista la costruzione di una nuova centrale a carbone a Berlino. In quella occasione, l’impresa ha cambiato i suoi piani e ha annunciato nel marzo 2009 che avrebbe invece costruito due centrali a biomassa e due centrali a gas naturale. Il Senato di Berlino e gli ambientalisti sono stati soddisfatti della decisione e si sono congratulati con l’azienda.

L’8 ottobre 2009, Vattenfall Europe e il Senato di Berlino hanno firmato l’accordo per la protezione del clima volto a una riduzione del 20% delle emissioni di CO2 entro il 2020 a Berlino. In questo accordo, l’impiego di biomasse svolge un ruolo chiave. L’impresa costruirà a Berlino una delle centrali a biomasse più più grandi d’Europa, con una capacità totale di 190 megawatt (MW), oltre a un impianto di dimensioni più ridotte (32 MW) e attuerà la co-combustione (per 260 MW) nelle quattro centrali a carbone già esistenti.

Nei mesi successivi però, sono emersi maggiori dettagli circa i piani dell’impresa e sono stati sollevati i primi dubbi sono stati sollevati su sulla provenienza della biomassa. Nel maggio 2010 la Vattenfall ha dichiarato che i suoi impianti a Berlino richiederanno 1,3 milioni di tonnellate di biomassa legnosa all’anno, più di tre volte l’importo inizialmente annunciato (400.000 tonnellate l’anno). A questo punto è stato chiaro che è impossibile trovare tutta questo biomassa nella regione.

Tra Berlino e lo stato del Brandeburgo, che circonda la città, ci sono già 42 impianti a biomasse, che, assieme alle imprese del legno e alle cartiere, consumano quasi tutta la biomassa legnose disponibile. La Vattenfall sostiene che di utilizzare principalmente prodotti di scarto, come gli alberi di Natale, i residui di potatura degli alberi nei parchi urbani, ecc, L’impresa ha anche suggerito la creazione di piantagioni di alberi a crescita rapida, e ha identificato circa 300.000 ettari intorno a Berlino per questo scopo. Va ricordato che a sud della città ci sono già grandi piantagioni di monocoltura industriale di pino, erroneamente classificati come foreste.

Ma alla fine di febbraio 2010, i media hanno riferito di un accordo firmato da Vattenfall con la Buchanan Renewables in Liberia, per l’importazione di un milione di tonnellate di trucioli di legno di albero della gomma. Il 9 giugno 2010, l’associazione tedesca Rettet den Regenwald ha lanciato una petizione, firmata da 21.433 persone. Ma una settimana dopo, la Vattenfall ha annunciato di aver acquisito per 20 milioni di euro una quota del 20% delle azioni della Buchanan Renewables, mentre l’impresa statale svedese di investimento Swedfund ne ha acquisito un’ulteriore quota del 10%.

Nei mesi successivi sono aumentate le voci critiche. Vattenfall e il Senato di Berlino hanno contratto la società di consulenza IFEU e il Forest Stewardship Council (FSC) per valutare la possibilità di certificare il progetto, ma è risultato impossibile. Lo studio ha confermato numerosi problemi, limiti e conflitti del progetto.

Il 15 aprile 2011, Vattenfall Europe e il Senato di Berlino hanno firmato un Accordo sulla Sostenibilità nel rifornimento di biomassa. Il documento però è non contiene dati concreti o misure che definiscono come questa presunta “sostenibilità” sarà garantita. Vattenfall e i suoi partner sostengono che i due terzi degli alberi di caucciù in Liberia sono vecchi e improduttivi e debbono essere sostituiti. La raccolta di legname questo avrebbe generato reddito per la popolazione e le entrate valuta pregiata per il paese.
Inoltre, il trasposto di  questa biomassa per 6.000 km dalla Liberia alla Germania, rischia di creare nuove emissioni di gas a effetto serra.

La Buchanan Renewables è stata fondata nel 2008 da investitori nord americani, tra i quali il miliardario canadese John McCall MacBain. Inizialmente, l’azienda ha raccolto alberi da piccole aziende agricole dei contadini. Molti di loro avevano piantato gli alberi della gomma lungo i confini dei loro campi per delimitarli: una pratica comune in un paese dove poche persone hanno titoli di loro proprietà scritti. Il prelievo degli alberi da parte dell’impresa ha creato numerosi episodi di malcontento tra la popolazione locale. L’attività è di prelievo stata condotta sulla base di accordi verbali poco chiari, e si sono moltiplicati i conflitti sui volumi degli alberi abbattuti, per il mancato pagamento, o a causa della distruzione di campi vicini.

Negoziare con centinaia di singoli piccoli agricoltori – ciascuno proprietario di pochi alberi – non è un compito facile, e rendere difficile per acquisire la grande quantità di legname che era stata prevista. La Buchanan Renewables ha quindi avviato il prelievo meccanizzato delle piantagioni industriali di alberi della gomma della multinazionale giapponese Bridgestone / Firestone, nei pressi di Kakata, la più grande piantagione di caucciù del mondo.

La situazione in Liberia

Dissanguata da anni di dittatura e due guerre civili, la Liberia è attualmente uno dei paesi più poveri del mondo. L’economia dipende in larga misura le esportazioni di ferro, gomma e legname. Circa 260.000 ettari di terreno sono destinati alla piantagione industriale del caucciù. Le associazioni locali come SAMFU e perfino le Nazioni Unite hanno descritto le disastrose condizioni lavorative nelle piantagioni e i loro impatti sociali, in particolare quelli gestiti da Bridgestone / Firestone. Tra le accuse, figurano quelle di  lavoro minorile, violenza e una generale l’assenza di legalità. Inoltre, circa 200.000 ettari di foresta pluviale vengono abbattuti ogni anno per fare spazio alle piantagioni.

La fonte primaria di energia per le famiglie in Liberia è biomassa legnosa, sotto forma di legna da ardere e carbonella. Secondo lo United Nations Development Programme (UNDP), il 99,5% delle famiglie cucina con legna da ardere. Le foreste pluviali, le principali fonti sono le mangrovie e alberi della gomma quando sono invecchiati e devono essere sostituiti. Il combustibile viene venduto da una rete di migliaia di raccoglitori informali di legna da ardere e piccoli venditori. Gli attivisti locali riferiscono come negli ultimi due anni si sia verificato stato un brusco aumento dei prezzi di legna da ardere e carbonella, dovuti alla concorrenza con la le Buchanan Renewables.

Il Ministero dell’Energia della Liberia, nel redarre un piano d’azione per le energie rinnovabili e l’efficienza ha messo in guardia circa “la scarsità di legna da ardere sta diventando un serio problema nella maggior parte della Liberia, soprattutto in Montserrado County [intorno alla capitale, Monrovia]. A livello nazionale, la Liberia viene prelevato ben al di sopra del livello di sostenibilità annuale senza esaurire lo stock attuale e degradare l’ambiente. (…) L’uso di biomassa legnosa come fonte di energia aumenterà in relazione alla crescita della popolazione rurale e alla povertà. Se questa richiesta non viene soddisfatta in modo sostenibile, essa porterà alla deforestazione, al degrado ambientale e, probabilmente, alla desertificazione in Liberia “.

La fornitura di energia elettrica è quasi inesistente in Liberia. Chi che se lo può permettere, ha un generatore a gasolio, un metodo  altamente inefficiente e inquinante per produrre elettricità. Tuttavia, ci sono piani del governo per ricostruire la rete elettrica di alimentazione. Nel gennaio 2009, le energie Buchanan Renewables è aggiudicata la concessione per costruire e gestire una centrale elettrica a biomasse da 34 MW per la fornitura di energia elettrica nella capitale, Monrovia. Secondo il contratto di concessione, il costo stimato del progetto è stato 149 milioni di dollari. La biomassa da utilizzare per il progetto era di legno da vecchi alberi della gomma. Tuttavia, quasi tre anni dopo, i lavori di costruzione deve ancora cominciare, e la Liberia resta senza elettricità. D’altra parte, dal 2009, Buchanan Renewables ha iniziato a esportare in Europa trucioli di legno dell’albero della gomma.

Il progetto di Vattenfall in Liberia è il primo di questo genere in Germania, ma è istruttivo: l’utilizzo su larga scala delle biomasse può difficilmente essere soddisfatte da fonti locali, e questo porta direttamente ai mercati globali e grandi piantagioni industriali. L’espansione massiccia dell’impiego di biomasse è una scorciatoia ben poco verde, che al tempo stesso mette fuori mercato le soluzioni realmente sostenibili, come il risparmio energetico e l’efficienza. Invece di aprire la strada a una vera economia verde, la crisi energetica e il cambiamento climatico sono stati utilizzati per aumentare il controllo delle grandi imprese sulla terra, sull’acqua, sulla biodiversità, sull’agricoltura … e sulla vita.

Gli ebrei che danno (ancora) la caccia ai nazisti

Scritto da: Tommaso Caldarelli
Fonte: http://www.giornalettismo.com/archives/178739/gli-ebrei-che-danno-ancora-la-caccia-ai-nazisti/

Il centro Simon Wiesenthal offre taglie per gli ultimi criminali rimasti in libertà.

Parte l’Operazione Ultima Possibilità, ovvero “Operation Last Chance” lanciata dal Centro Simon Wiesenthal: il museo del razzismo, dell’intolleranza e della memoria della Shoah a New York, nonchè centro ebraico mondiale, è pronto ad offrire vere e proprie taglie per “consegnare alla giustizia” gli ultimi criminali dell’era nazista rimasti in libertà; una campagna mondiale di caccia, dunque, che parte con sensibili probabilità di riuscita.

LE TAGLIE – Ci sono taglie fino ad oltre 25mila euro per qualsiasi informazione, o, addirittura, la consegna di un reduce nazista inserito fra i criminali ricercati. “Il centro promette 5mila euro per l’indicazione di un sospetto, 5mila se il soggetto va in carcere e 100 euro al giorno per i primi 150 giorni di galera del sospettato”: insomma, un bottino ricco. Il tutto è reso possibile da un precedente legale: una corte tedesca ha condannato John Demjanjuk, già guardiano del campo della morte di Sobibor, Polonia, presso Lublino: è stato ritenuto responsabile di oltre 28mila omicidi, ovvero quelli di tutti i soggetti rimasti uccisi nella struttura in cui lui era arruolato, sulla base di una colpa praticamente oggettiva – una culpa in vigilando, come si dice dal punto di vista giuridico: “Posto che Demjanjuk lavorava al campo, il suo ruolo di guardia lo ha reso automaticamente complice degli omicidi commessi nell’area”. E’ la prima volta che una corte tedesca utilizza un argomento del genere; peraltro per condannare un uomo ormai ultra-novantenne. Sulla base di questo precedente, il centro – che funziona anche come organizzazione mondiale di supporto al movimento ebraico – ha lanciato la caccia all’uomo. Un po come Bastardi Senza Gloria, il film di Quentin Tarantino in cui una posse di ebrei si aggira per la Francia occupata facendo strage di nazisti.

SENZA TREGUA – “L’arresto di Demjanjuk ci permette alla fine di perseguire gli individui che sono stati partecipanti attivi degli omicidi di massa degli ebrei praticamente ogni giorno per un lungo periodo di tempo”, dice Efraim Zuroff, il direttore per Israele del centro americano, al Jerusalem Post. “Questa anomalia della giustizia, ovvero il fatto che queste persone per ragioni legali non possano essere perseguite per i loro crimini, può essere ora corretta. Siamo però in una vera e propria corsa contro il tempo per trovare i sopravvissuti e procedere ad una regolare vicenda legale”. L’età non conta: “La vecchiaia non esime gli assassini. Tutte le vittime meritano ogni sforzo per trovare i killer. Manda un messaggio importante ai nazisti che vivono in libertà: li consegneremo alla giustizia. Il principale ricercato si chiama Carel Farber, un assassino delle SS “accusato di aver assassinato 22 persone”. Zuroff dice inoltre che la campagna ha già portato “all’avvistamento di un nazista di alto rango”, ma che non è possibile dire chi sia per ragioni investigative. Il sito di Operation Last Chance è il punto di raccolta e diffusione di tutte le informazioni su processi a nazisti di alto rango, molto spesso finiti in nulla di fatto.

 

Bottiglie luminose per le favelas brasiliane: come funzionano realmente?

Scritto da : Fabio Reghellin
Fonte: http://www.howtobegreen.eu/greenreport.asp?title=555

Il settore dell’energia ed in particolare i progressi nelle tecnologie per il risparmio energetico sono spesso fonte di incomprensioni per i lettori e non solo: i mezzi di informazione fanno la loro parte nel confondere le idee ai lettori! E’ solo colpa della scarsa importanza che si da alle scienze nella scuola italiana?
Questa notizia non fa eccezione: come potete verificare dai link e magari da una ricerca su google molti hanno frainteso il funzionamento di questo sistema.

Di che si tratta? Di un buco circolare nel tetto da cui far entrare la luce.
In “edifici” come quelli delle favelas o degli slum non ci sono finestre semplicemente perché sono troppo costose e gli abitanti non possono permettersele. Di conseguenza l’interno è buio anche durante il giorno costringe a tenere accese delle lampadine con un peso notevole sulla bolletta. E nel frattempo fuori splende il sole!
Ecco quindi che basta forare il tetto in lamiera per far entrare luce sufficiente per cucinare, leggere o lavorare. Il lato negativo di questa semplice soluzione è che così come la luce entrano anche la pioggia ed il vento. Bisognerebbe tappare il foro con qualcosa di trasparente… come… una bottiglia di plastica!

L’invenzione consiste quindi nell’infilare una bottiglia di plastica in un foro circolare in cui resta incastrata e viene sigillata così da evitare l’ingresso delle intemperie. Ottimo!
A questo punto si sono scoperti alcuni problemi: l’aria all’interno della bottiglia si scalda e si raffredda e… cosa succede ad un gas che si scalda? Si espande! E quando si raffredda? Si contrae! Chiaramente dato che la bottiglia era chiusa l’aria non poteva aumentare liberamente di volume, ma la bottiglia non è rigidissima, quindi subiva un po’ di deformazione e questo non aiutava a mantenere l’impermeabilità. Inoltre la luce all’interno manteneva la direzione dei raggi del sole, quindi non illuminava uniformemente.

Il successivo miglioramento è stato quindi il riempimento con acqua: i liquidi infatti si espandono meno dei gas e quindi la bottiglia non si deforma più e poi a quelle latitudini le temperature non scendono mai sotto allo zero, quindi non c’è il problema che possa ghiacciarsi.
Inoltre l’acqua contribuisce a distribuire la luce uniformemente grazie alla diffrazione. Due problemi risolti in un colpo solo!

Si presentava però un altro problema: proprio a causa delle temperature elevate le alghe ed i microorganismi presenti nell’acqua proliferavano velocemente e la bottiglia diventava torbida lasciando passare meno luce. Stavolta la soluzione era chiara: bisognava aggiungere all’acqua qualcosa che non permetta la crescita delle alghe. Le alternative economiche sono ad esempio sale o candeggina e questo ha contribuito a mandare in confusione giornalisti e blogger che hanno parlato di “reazioni chimiche” e che hanno pensato che producessero luce anche dopo il calar del sole.

In qualche filmato vedrete che sopra ai tappi delle bottiglie viene infilata la scatoletta di un rullino fotografico o in altri casi viene spalmato del mastice. Perché? Perché la plastica non è tutta uguale: le bottiglie sono fatte di PET (PoliEtilene Tereftalato) che resiste alla luce del sole mentre i tappi, che per chiudere bene devono essere più morbidi, sono in Polipropilene che è molto più sensibile alla luce (in particolare ai raggi ultravioletti) e quindi viene protetto coprendolo.

Cina, il governo dei microblogger

Scritto da: Gabriele Battaglia
Fonte: http://it.peacereporter.net/articolo/32101/Cina%2C+il+governo+dei+microblogger

Meglio cavalcare la tigre se non si può abbatterla. Le istituzioni a ogni livello aprono i propri account.

Più di cinquanta piattaforme per circa duecento milioni di post al giorno. Una moltitudine di caratteri impazziti che sfuggono a qualsiasi pretesa di controllo sistematico. Sono le cifre dei microblog cinesi, quei servizi simil-Twitter attraverso cui si comunicano pensieri, opinioni, segnalazioni e link.

Twitter è vietato in Cina e, tecnicamente, se si digita il suo url dall’interno del Celeste Impero, appare il famigerato “Error 404 – Page not found”. Ma aggirare il Grande Firewall è un gioco da ragazzi, basta connettersi a un virtual private network (VPN) offerto da qualche provider straniero (ce ne sono anche di gratuiti). Lartista-attivista Ai Weiwei, ora sotto accusa sia per evasione fiscale sia per pornografia, twitta quotidianamente nonostante sia a Caochangdi (periferia di Pechino) e gli sia stato esplicitamente vietato.
Ma la gran parte dei cinesi non lo sa o, semplicemente, non è particolarmente interessato a Twitter. Per loro c’è quindi Weibo, piattaforma di Sina.com che ha oltre 250 milioni di user, più altri agguerritissimi concorrenti, come Tencent, Sohu e NetEase.

Dato che la tigre non può essere abbattuta, che almeno si provi a cavalcarla (come, del resto, da antico proverbio cinese). E così il governo e molte altre agenzie pubbliche hanno deciso di aprire account sulle piattaforme di microblogging per informare sulle proprie attività: una concorrenza istituzionale, ad armi pari, al libero proliferare della rete; o forse solo l’ennesima voce nel continuo brusio dell’informazione contemporanea.

Un rapporto diffuso lunedì dal Quotidiano del Popolo, stima che sul solo Weibo gli account riconducibili ad agenzie governative siano ormai circa 20mila. Tra questi, oltre diecimila dipendono da ministeri e circa novemila da uffici delle provincie.
Secondo il documento, questo iperattivismo istituzionale sui social media ha permesso al governo di rafforzare la propria immagine, far sentire la propria voce e valutare le reazioni dell’opinione pubblica.
Se infatti, come ha detto qualcuno, la democrazia liberale è come un ristorante con un solo piatto nel menu ma con la possibilità di scegliere da quale cameriere essere serviti, il regime confuciano-leninista cinese assomiglia un ristorante dove un solo cuoco, sempre lui, è costretto però a soddisfare gli ordini più strampalati dei clienti.
Pur dubitando che un Paese sia un ristorante – ma nella Cina iperconsumista delle metropoli lo si potrebbe pure sospettare – la sintesi fuor di metafora è che il governo di Pechino rincorre pulsioni che vengono da una società che si fa sempre più complessa e quindi meno governabile. Come si fa del resto a soddisfare il contadino, il nuovo ricco e, appunto, il giovane smanettone che passa ore a postare su Weibo? Ci vuole il giusto grado di duttilità. Stare al passo con i tempi. Percorrere quei luoghi.

Per quanto riguarda il microblogging, la svolta è arrivata dopo il disastroso incidente ferroviario di Wenzhou, a luglio, quando l’informazione in rete smascherò in fretta i primi tentativi ufficiali di ridimensionare il bilancio delle vittime, creando parecchi imbarazzi al governo.
A ottobre i funzionari sono stati incoraggiati a “utilizzare Weibo per servire la società” da Wang Chen, capo dell’ufficio di Stato per l’informazione su internet. Lo stesso Wang ha poi scritto un articolo a novembre in cui faceva appello ai funzionari affinché si dedicassero al microblogging per guidare l’opinione pubblica e favorire una cultura di internet “sana e positiva”.
L’utilizzo diretto delle piattaforme simil-Twitter da parte delle autorità è del tutto complementare a quel tentativo di far tacere i rumors su internet che sembra la nuova urgenza dei dipartimenti addetti all’informazione. Zhu Huaxin, segretario dell’ufficio di monitoraggio dell’opinione pubblica, dice a tal proposito che i microblog bypassano i portavoce del Partito e i media mainstream, interagendo con la gente e inaugurando “un innovativo metodo di management sociale“.

“Il governo era solito alienarsi dalla gente comune e parlare in tono autoritario – sostiene il professor Wang Yukai, dell’accademia cinese di Governance – la gente non ha mai avuto la possibilità di esprimere le proprie opinioni. Ma ora [le autorità] possono seguire le tendenze in atto e interagire con gli utenti internet.”
Sta di fatto che la nuova tendenza al microblogging istituzionale parte proprio da Pechino, la “città dal potere” di imperiale memoria, tradizionalmente poca propensa agli “spazi pubblici”, anche virtuali (a questo proposito va segnalato il capitolo riservato alla capitale cinese nel libro di Daniel A. Bell e Avner de-Shalit, The Spirit of Cities, Princeton University Press). La polizia pechinese ha il proprio account che si chiama Ping’an Beijing (“Pechino sicura”) con ben 2 milioni di followers. Zhao Feng, l’ufficiale addetto al mantenimento del microblog, dice che 10 funzionari rispondono 24 ore su 24 alle domande poste dalla cittadinanza e offrono altre informazioni.
Il 17 novembre, il municipio della capitale è stato il primo a lanciare un microblog, anticipando di 11 giorni Shanghai.

I gabinetti pubblici sono uno specchio delle diverse “Cine” che si sono succedute negli ultimi sessant’anni. Nell’era pre-informatica, nell’atto dell’evacuazione collettiva la gente si scambiava informazioni che non riusciva a comunicarsi altrove. Oggi, negli stessi bagni, non è raro trovare giovani che, in posizione improbabile, digitano freneticamente su Weibo con lo smartphone saldamente in mano (magari fumando pure una sigaretta). Per il governo, si tratta di presidiare anche questo nuovo spazio pubblico virtuale.

 

Qmilch: l’innovativa fibra biologica derivante dalla caseina del latte

Fonte: http://www.soloecologia.it/15122011/qmilch-linnovativa-fibra-biologica-derivante-dalla-caseina-del-latte/

L’azienda tedesca Qmilch, fondata dalla biochimica e designer di moda Anke Domaske ad Hannover, esiste da un anno. Produce tessuti a base di caseina, una proteina del latte. Una fibra naturale, antiallergica (perché non contiene elementi chimici), lavabile ma anche biodegradabile. A vederli, i capi di abbigliamento sembrano di normale cotone, ma la morbidezza del tessuto è molto maggiore. Dalla caseina si può ricavare una polvere che, bollita e successivamente pressata in strisce, si fila poi come un tessuto.

Il brevetto ha vinto il premio “Innovazione” dall’associazione degli industriali tessili tedeschi. Per il momento, il procedimento di fabbricazione della fibra resta più costoso della lavorazione del cotone, ma in compenso si risparmia sulle spese (e sulle emissioni di CO2) derivanti dal trasporto della materia prima. Basso impatto ambientale, dunque, soprattutto considerando che per la produzione si usa soltanto latte non adatto all’alimentazione umana.

Poiché questo tessuto non causa alcun tipo di allergia e di irritazione alla pelle, se ne sta studiando l’uso per lenzuola di ospedali e hotel.

Ordine Nuovo

Fonte: http://www.ecn.org/inr/caradonna/destra/destra12.htm

Ordine nuovo”, formalmente sciolta da un decreto governativo del 21 novembre 1973, fu creata nel 1960 da alcuni iscritti al MSI che, come i fondatori di Avanguardia nazionale, trovavano troppo moderata la linea del partito. Ordine nuovo costituì il gruppo forse più aggressivo dell’intero campo neonazista. Secondo un rapporto della polizia esso si ispirava alle dottrine razziste e nazionalsocialiste del barone Julius Evola, il filosofo dell’idealismo mistico, autore nel 1937 del libro “Il mito del sangue”, ma che ancora nel 1967 rimproverava Almirante perché non organizzava apertamente squadre d’azione per “distruggere i centri della sovversione” e “stroncare scioperi”.
………. All’origine “Ordine nuovo” aveva adottato come simbolo l’ascia bipenne in cerchio bianco su fondo rosso e, come motto, quello delle SS naziste: “Il nostro onore si chiama fedeltà”. Le sue posizioni politiche erano di un oltranzismo delirante.

………. A rendere l’idea di come ragionavano i capi di “Ordine nuovo”, basti questo brano programmatico, tratto dal giornale del movimento allora guidato da Pino Rauti (oggi deputato del MS-Fiamma Tricolore alla Camera):
………. “Se ci sentiamo legati al fascismo come al movimento politico autoritario e gerarchico più vicino alle nostre esperienze dirette, più prossimo all’epoca storica nella quale siamo vissuti, non per questo non potremmo non dire che egualmente ci sentiamo vicini alla sostanza e ai valori, ai principi e alle idee fondamentali che informarono l’essenza politica di ogni Stato autoritario o aristocratico dei tempi andati […]. Siamo vicini tanto alla Repubblica sociale italiana che al III Reich, quanto all’lmpero napoleonico o al Sacro romano impero […]. Chi viene al nostro fianco avrà un’altra sensazione che è propria del combattente quando a pie’ fermo attende l’istante per balzare dalla trincea e gettarsi nella mischia per colpire, colpire, colpire”.

………. Probabilmente ispirato dalle critiche di Evola al MSI, nel 1966 “Ordine nuovo” prese l’iniziativa di costituire un certo numero di Comitati di insurrezione nazionale (CIN) che, con il loro attivismo, avrebbero dovuto strappare al MSI gli iscritti e portarli su posizioni più combattive. Infatti i Comitati diedero inizio a una campagna terroristica che tuttavia non raggiunse all’interno del partito gli scopi desiderati. Ciò indusse i principali dirigenti di Ordine nuovo e lo stesso Pino Rauti [inquisito perché tra gli organizzatori dell’attentato alla Banca dell’Agricoltura di Milano] a riprendere la tessera del MSI.
………. Dopo il rientro di Rauti e dei suoi più vicini collaboratori nel MSI, Ordine nuovo continuò la propria attività, dandosi nuovi capi e spingendosi su posizioni sempre più oltranziste e polemiche sia nei confronti di Rauti [il “traditore”] che di Almirante [la “spia antifascista”].
………. Da un rapporto di polizia steso dopo il fallito golpe del dicembre 1970, si è saputo che Ordine nuovo era in rapporti con il Fronte nazionale di Valerio Borghese e con altre organizzazioni di estrema destra italiane, francesi, spagnole, portoghesi, sudafricane, nonché con il governo dei colonnelli greci. Poiché molti affiliati di Ordine nuovo operavano all’interno di altre organizzazioni eversive, è legittimo ritenere che questo movimento abbia svolto un ruolo operativo di paricolare rilevanza nel far procedere la strategia della tensione.
………. Lo scioglimento decretato alla fine del 1973, oltreché essere tardivo, non costituisce un serio procedimento in quanto ha lasciato liberi di agire altri gruppi che, perseguendo obiettivi non dissimili da quelli di Ordine nuovo, ne hanno adottato anche gli stessi mezzi. Inoltre tutto lasciava pensare che, di fronte alla tolleranza dimostrata dalle autorità, l’organizzazione disciolta sarebbe stata presto ricostituita. Difatti, due giorni dopo lo scioglimento di Ordine nuovo veniva annunciata l’esistenza dell’organizzazione clandestina “Ordine nero” che, dopo aver dichiarato “guerra allo Stato”, firmava i principali attentati terroristici del 1974.
………. La clandestinità di quest’ultimo movimento si può considerare molto relativa, dal momento che esso ha dato vita a un giornale intitolato “Anno Zero” e che notoriamente ha assunto l’eredità di Ordine nuovo. Copie di “Anno Zero” sono state trovate accanto al cadavere dilaniato del neofascista Silvio Ferrari, saltato in aria nel maggio 1974 a Brescia, mentre trasportava una potente carica di esplosivo a bordo di un ciclomotore. Copie dello stesso giornale sono state trovate nell’auto di un gruppo di neofascisti schiantatasi, venti minuti dopo la morte del Ferrari, nella stessa città. Il periodico era comunque diffuso in numerose sedi missine.

Dal 2013 Rfid obbligatorio negli Stati Uniti

Scritto da: Francesca Penza
Fonte: http://www.wakeupnews.eu/dal-2013-rfid-obbligatorio-negli-stati-uniti/

Roma – Non poche polemiche sono nate a proposito del disegno di legge sulla salute presentato da Obama e che a partire dal 2013 renderà obbligatorio per tutti i cittadini statunitensi l’impianto di un microchip Rfid che contenga tutte le informazioni relative a ogni americano.

L’intento dichiarato è quello di facilitare il monitoraggio e il controllo della salute di ogni singolo individuo, con la creazione di un apposito registro nazionale in cui ogni chip – e quindi ogni persona – sia registrato.

Fin troppo facile lanciarsi in speculazioni in degne dell’orwelliano Grande Fratello, ma il nuovo progetto sulla salute – l’HR 3200 – adottato di recente dal Congresso prevede la necessità di impiantare il chip per identificare tutti i cittadini che usufruiscono del sistema sanitario.

Il progetto era già in studio nel 2004, come rivelano alcuni documenti della Food and Drug Administration, con il nome di Implantable Radiofrequency Transponder System for Patient identification and Health information (Sistema di transponder impiantabile a Radiofrequenze per l’identificazione dei Pazienti e le informazioni relative alla salute).

Di fatto, con il pretesto di garantire una migliore assistenza sanitaria, gli Stati Uniti stanno cercando di marcare ogni cittadino, senza tra l’altro, aver previsto alcun tipo di regolamentazione per l’impianto e l’uso dei microchip Rfid, cosa che potrebbe causare conseguenze impreviste – almeno non da noi comuni mortali – per la vita anche democratica dei cittadini americani.

In morte di un imprenditore di se stesso

Scritto da: Debora Billi
Fonte: http://crisis.blogosfere.it/2011/12/in-morte-di-un-imprenditore-di-se-stesso.html

Tutto regolare, tutto legale, tutto secondo flessibilità. E così, quando muore un facchino sfruttato sotto un palco che crolla, dovrebbero anche avere la faccia tosta di ripetere: è morto un imprenditore di se stesso

Se fosse stato extracomunitario, se fosse caduto da un’impalcatura di un qualsiasi palazzone di periferia, avrebbe meritato a malapena un trafiletto. Ma era un bel ragazzo italiano e lavorava per una popstar, quindi la tragica morte di Francesco Pinna è su tutte le prime pagine.

Non importa. Quel che conta è che Francesco non ci sia più, che abbia perduto la vita per mettersi in tasca 5 euro l’ora e vedere un concerto gratis. A 19 anni sembra tanto.

Mi chiedo quale fosse il contratto di lavoro di Francesco, che lavorava a giornata per una coop. Cococo? Cocopro? A progetto? Non è una questione secondaria.

La morte sul lavoro è un rischio che corrono in tanti, non solo chi fa lavori oggettivamente pericolosi: gente che finisce vittima di incidenti stradali, di disgrazie, di disattenzioni proprie o altrui. Si rischia sul lavoro, come si rischia semplicemente nel vivere. Quello che fa differenza, quello che indigna (almeno a me indigna), è che il rischio sul lavoro dovrebbe essere sempre compensato almeno con la dignità del lavoro. Dignità che si esprime nella messa in sicurezza dell’ambiente circostante, che costa, e che si esprime in un contratto e una paga dignitosi, come recita la Costituzione. Anche questi ahinoi costano.

Per diminuire questi costi, è arrivata la “flessibilità”. E per farla digerire ai cittadini recalcitranti, è stata accompagnata da una propaganda battente che ha valorizzato il precariato come se fosse una conquista: basta col posto fisso, vendi le tue competenze e guadagnaci su, diventa imprenditore di te stesso. “Imprenditore di te stesso”: uno slogan efficacissimo che innesca l’automatica associazione mentale imprenditore=ricco, di successo, libero, figo. Tutti imprenditori di se stessi. Poi nella realtà, paghe da fame, sfruttamento, lavoretti a giornata, tasse e contributi opprimenti, insicurezza e disperazione. Milioni di persone in queste condizioni. Le aziende, contente, risparmiano in dignità.

Si arriva al punto che si firmano contratti a ore per cooperative di facchinaggio, tutto regolare, tutto legale, tutto secondo flessibilità. E così, quando muore un facchino sfruttato sotto un palco che crolla, dovrebbero anche avere la faccia tosta di ripetere: è morto un imprenditore di se stesso.

Ma forse il furbo slogan non funzionerebbe più.

 

Le cinque stelle auree, simbolo del successo cinese

Fonte: http://www.statopotenza.eu/1008/le-cinque-stelle-auree-simbolo-del-successo-cinese

Si dice spesso che ogni bandiera nazionale racchiuda al suo interno la storia e le tradizioni del paese che rappresenta. A conferma di ciò non vi è esempio migliore della Cina. La prima bandiera nazionale cinese risale al 1863 e venne adottata come simbolo della marina militare. In quell’anno fu autorizzata dall’Imperatore la creazione di una marina “cinese”, effettivamente comandata da europei e istituita allora con lo scopo di proteggere mercanti e missionari, alla quale venne imposto di usare come bandiera di bompresso un vessillo giallo con il drago imperiale al centro. In realtà, però, fu adottato un altro simbolo. Nella nuova bandiera della marina infatti, il drago imperiale in campo giallo figurava in dimensioni minime come emblema centrale, mentre il disegno del campo era rappresentato dalla croce decussata di sant’Andrea, raffigurata nei colori verde e giallo del tartan di famiglia del comandante della nuova marina, Charles Gordon. Insomma, la nuova bandiera fu imposta ai Cinesi dagli occupanti britannici, e per di più essa non rispecchiava neppure in minima parte la tradizione vessillologica dell’Impero. Vediamo quindi come le vessazioni dell’Occidente ai danni della Cina hanno pesantamente condizionato anche la scelta di un simbolo nazionale. Nel 1890, fu infatti adottata come bandiera di Stato un drappo giallo e rettangolare su cui campeggiava il drago blu, simbolo dell’impero.

Cinque anni più tardi Sun Yat Sen, che avrebbe poi fondato il partito nazionalista del Kuomintang, scelse come bandiera del suo movimento il “Sole bianco nel Cielo azzurro”. Il disegno rifletteva la natura dell’organizzazione politica di appartenenza, che combinava il simbolismo tradizionale cinese con i concetti vessillologici occidentali. Il sole rappresentava l’esistenza dello yang, in cui i Cinesi ravvisavano la forza positiva dell’esistenza universale, il cielo invece era associato all’energia e a un governo giusto e integerrimo. Dopo la rivoluzione del 1911, nonostante Sun Yat Sen fosse stato uno dei principali esponenti del movimento rivoluzionario, la bandiera adottata dalla neonata Repubblica di Cina non fu quella raffigurante il sole bianco con dodici raggi su sfondo azzurro, anche per evitare contrasti con il generale Yuan Shikai, che aveva il potere effettivo del nord del Paese. Sun Yat Sen abdicò quindi in favore di quest’ultimo che scelse come bandiera nazionale un vessillo con 5 strisce di colore rosso, giallo, azzurro, bianco e nero. Ogni colore aveva antichi significati di carattere filosofico. La Fenice Rossa del sud corrispondeva all’estate e al meriggio, il Drago Giallo, essendo l’emblema imperiale per eccellenza rappresentava ora il potere e quindi il centro, il Drago Azzurro d’Oriente corrispondeva alla primavera e al mattino mentre la testuggine, nota come il Nero Guerriero del Nord, impersonava l’inverno e la notte. Il bianco come già detto raffigurava lo yang. L’alternanza di colori che rappresentavano le stagioni, con altri che rappresentavano il potere e la filosofia, simboleggiavano anche l’idea di circolarità del tempo (molto radicata nella cultura cinese) al cui interno si stagliano la filosofia e il potere dello Stato. Inoltre a questi colori potevano essere associate anche determinate aree geografiche. Il rosso, colore degli Han, rappresentava la Cina vera e propria, il giallo la Manciuria, l’azzurro la Mongolia, il bianco il Tibet e il nero i musulmani cinesi. Questa bandiera rimase in uso fino al 1928 quando la definitiva consacrazione del Kuomintang al potere, fece sì che fosse scelto il drappo rosso come simbolo nazionale, ovvero il colore degli Han e della Cina, definita appunto Terra Rossa, su cui campeggiava, nell’angolo in alto sul lato dell’asta, il simbolo del partito nazionalista. Questa rimase la bandiera cinese fino al 1949 ed è tuttora l’emblema nazionale della Repubblica di Cina, non riconcosciuta, di Taiwan. Nonostante un’iniziale collaborazione tra il Kuomintang di Sun Yat Sen e il Partito Comunista Cinese, con l’avvento al potere da parte di Chiang Kai-shek nel 1927 i rapporti tra i due movimenti politici si inasprirono a tal punto che, dal 1940 al 1943, alla bandiera della Repubblica di Cina venne aggiunto superiormente un pennone giallo che recava l’iscrizione: “Pace, Anticomunismo, Edificazione Nazionale.” Dopo la rivoluzione guidata da Mao Zedong che porto alla creazione della Repubblica Popolare Cinese,
Zeng Liansong ricevette il compito di disegnare la nuova bandiera nazionale della Cina socialista. Il nuovo drappo era interamente rosso a rappresentare tre fattori: l’ideale comunista che aveva guidato la rivoluzione, il sangue versato durante la lotta e il popolo Han. Su questo sfondo, nella parte superiore, dalla parte del pennone, brillano cinque stelle dorate. La stella più grande rappresenta il ruolo guida del Partito Comunista e quelle più piccole simboleggiano le quattro categorie sociali degli operai, dei contadini, dei piccoli borghesi e dei produttori patrioti, nel fronte unito per la ricostruzione della Patria. Tuttavia, le cinque stelle possono ricordare anche gli antichi significati cinesi dati al numero “5″ che, come per la bandiera dai cinque colori, raffigurano la Cina propriamente detta, la Manciuria, la Mongolia, lo Xinjiang e il Tibet. Inoltre in Cina il numero “5″ è sinonimo di completezza e forza, e non appare un caso numerosi trattati filosofici cinesi parlino proprio di Cinque Sovrani, Cinque Elementi, Cinque Virtù e così via. Con l’avvento al potere di Deng Xiaoping molti hanno reinterpretato la bandiera alla luce delle nuove scelte politiche intraprese dal leader comunista. La stella più grande rappresentava sempre il Partito mentre le altre più piccole raffiguravano le quattro modernizzazioni che avrebbero lanciato la Cina sulla via dello sviluppo.
Per un governo, che da una parte fa appello al patriottismo cinese e, dall’altra, si ispira agli ideali del comunismo, non potevano esistere disegni e colori più adeguati di quelli presenti nella bandiera disegnata da Zeng Liansong. Ancora una volta quindi la bandiera nazionale non è soltanto simbolo di un paese, ma rappresenta anche la riscossa del suo popolo e la linea politica, lanciata da Mao ancor prima della rivoluzione e continuata dai suoi successori, che avrebbe portato la Cina all’attuale splendore. Cinque stelle d’oro in campo rosso, simboli di unità, sovranità, autorità e dignità dello Stato e della nazione cinese. Cinque stelle d’oro simbolo del successo cinese.