«Da qui iniziano le missioni di pace. Altro che guerra»

Scritto da: Eugenio Marzotto
Fonte: Il Giornale di Vicenza

Intervista al Generale Umberto Rocca, direttore del Coespu di Vicenza dal 2009.

Una sorta di “fortino” con 140 militari a poca distanza dal centro e a pochi chilometri dalla nuova base americana. È l’ex caserma Chinotto di via Medici, smobilitata dieci anni fa e diventata oggi una scuola di eccellenza europea per le operazione di peacekeeping, che traduzione alla mano significa mantenimento della pace in zone di guerra.
Eppure per i vicentini quel fortino resta un mistero e per chi considera la città del Palladio una specia di braccio operativo dell’esercito americano, si rischia di fare di tutta un’erba un fascio.
«Noi con il Dal Molin non c’entriamo nulla». Basta fare confusione sembra dire il generale Umberto Rocca, direttore dal 2009 del Center of excellence for stability police units. Che già a pronunciarlo in inglese si resta impressionati come davanti ad un’astronave che plana in città.
«Mi rendo conto della distanza che esiste tra questa struttura e il territorio che ci ospita – spiega il generale Rocca seduto nel suo ufficio tra attestati, bandiere e riconoscimenti – ma la città deve rendersi conto che qui si formano ufficiali di tutto il mondo che poi interverrano per ripristinare la pace. Questa città ospita una scuola di cui andare fieri».
Ma questi studenti che imparano dai carabinieri italiani e che a loro volta diventano formatori nei loro Paesi d’origine, al massimo li vedi passeggiare per il Corso prima di andare a mangiarsi una pizza in borghese. Tanto basta per avere un rapporto con il capoluogo prima di tornarsene in Indonesia, piuttosto che in Pakistan, in Nepal o in qualche nazione africana. Sono ufficiali che vengono formati secondo gli standard delle Nazioni Unite e dell’Unione europea, nelle aule della Chinotto passano funzionari dell’Ue, dell’Onu o della Nato. Insomma, alti ufficiali che passano settimane a Vicenza prima di andare in missione. «Attenzione però – spiega il generale di brigata – guai a pensare che qui si studino le tattiche di antiguerriglia. Vorrei che fosse chiaro che qui si studiano le basi per gestire sicurezza pubblica, protezione civile e repressione del crimine in quei paesi ritenuti a rischio, come il Darfour, il Sud Sudan, Congo, Somalia e Haiti. È in questi posti e molti altri che gli ufficiali che hanno studiato a Vicenza poi vanno ad operare in missioni di pace. Il Coespu di Vicenza per parlarci chiaro lo conosce bene anche Obama».
Come dire che al Center of excellence di Vicenza certo non si insegnano tecniche di repressione come quelle viste in Egitto. «Mi è capitato di vedere gruppi manifestare davanti alla caserma – spiega Rocca -. Legittima la protesta, ma va chiarito che il Coespu ha un’altra missione».
Vorrebbe spiegarlo anche agli studenti il generale. «Mi piacerebbe spiegare nelle scuole superiori o all’Università come funzionano le missioni.  Pochi sanno ad esempio che qui a Vicenza abbiamo realizzato dei corsi a favore della polizia africana su come gestire la piaga degli stupri etnici. Questo facciamo, mica la guerra». Dal 2005 al 2010 sono state addestrate 3.600 persone in decine di corsi di alta specializzazione, il Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite nel novembre scorso ha assegnato a Vicenza un ruolo privilegiato nell’addestramento delle forze di tutto il mondo destinate a lavorare sotto le bandiere dei Caschi blu. Due mesi fa infatti gli inviati dell’Arma hanno incontrato alti rappresentanti delle Nazioni Unite e del governo americano. Obiettivo: fare il punto su una collaborazione ancor più stretta anche in vista del ritiro accelerato degli Usa dall’Afghanistan.
«A Vicenza – sorride il generale – non c’è solo il Dal Molin».

AHNENERBE…Le origini ancestrali

Scritto da: Riccardo Pelucchi
Fonte: http://www.croponline.org/ahnenerbe.htm

Sicuramente la maggior parte di noi ricorderà il film Sette anni in Tibet, in cui un ottimo Brad Pitt nei panni dello scalatore Heinrich Harrer trascorreva un periodo di tempo alla corte del Dalai Lama, il capo spirituale della religione Buddista.

In pochi però sapranno che la vera storia di Heinrich Harrer nasconde particolari di una delle pagine più misteriose della storia dell’umanità.
L’Ahnenerbe occupa un posto di primo piano nell’insieme delle aberrazioni più misteriose della storia del regime nazista. Questo gruppo operativo fu costituito ufficialmente il 1 gennaio 1935 ad opera di Heinrich Himmler, uno dei gerarchi nazisti più potenti, con il nome di “Deutsche Ahnenerbe – Società di studio sulla storia antica dello spirito”, ma presto divenne nota con il nome di “Eredità Ancestrale”.

Tuttavia, già dal 1928, l’Ahnenerbe era identificabile con la Wirth, una società segreta di studio del germanismo fondata dall’olandese Hermann Wirth. Lo stesso Wirth fu il responsabile del primo reparto operativo dell’Ahnenerbe, che si occupava dello studio della simbologia germanica e, soprattutto, delle rune, l’antica scrittura dei popoli del nord.

Lo stesso simbolo della società è preso direttamente da questo primitivo alfabeto ed indica la vita. I membri della società, oltre ad una notevole preparazione culturale, erano tenuti ad allenare anche il carattere e soprattutto il fisico, la cui cura rivestiva una grande importanza: ogni singolo membro era obbligato a praticare alpinismo e arrampicata, gli sport che nella logica nazista maggiormente mettevano alla prova il corpo umano.
Nel periodo di massimo splendore, l’Ahnenerbe contava 43 dipartimenti più o meno importanti e dedicati ad una grande varietà di studi, quali antropologia, botanica, astronomia, erboristeria, geografia, geofisica, danze popolari, canzoni tradizionali, archeologia, sociologia, magia e occultismo. Quest’ultimo campo di studi è quello a cui l’Ahnenerbe deve la maggior parte della sua fama: capitanato da Friederich Hielscher, si occupò di ricerche negli angoli più sperduti del globo, quali Tibet, deserto del Gobi, Amazzonia, Africa, nonché della caccia ad oggetti di elevato valore mistico, quali il Sacro Graal, la lancia di Longino e il tesoro dei Templari, e luoghi misteriosi quali la Terra Cava e Shamballa, la capitale di Agharti.

L’importanza dell’associazione era talmente alta che annoverava nelle sue file persino degli scienziati di origine ebrea. Godette di autonomia più completa sino al 1944, quando passò direttamente sotto il controllo delle SS.
Gli obiettivi dell’Ahnenerbe erano molteplici:
· Investigare la sfera di influenza territoriale e spirituale della Germania.
· Riscattare e ricostruire le tradizioni tedesche.
· Diffondere la cultura tradizionale germanica nella popolazione.
L’Ahnenerbe si occupava anche della ricerca dei cosiddetti “Oggetti del potere”, che secondo la credenza popolare permettono al loro padrone di dominare la Terra ed il cui possesso tanto ossessionava Adolf Hitler. Le investigazioni dei membri della società univano in una sorta di simbiosi metodi di ricerca scientifica ed ideologie di partito..
Il primo dei numerosi oggetti recuperati dai ricercatori dell’Ahnenerbe fu la mitologica Lancia di Longino, che la leggenda indica come l’arma con cui il centurione Longino trafisse il costato di Cristo dopo la morte.

La lancia era parte del tesoro del palazzo imperiale di Hofburg a Vienna, appartenuto a Carlo Magno. In gioventù Hitler era solito soffermarsi ad osservare la mitologica lancia esposta al pubblico, come in uno stato di trance. Successivamente all’Anschluss, si affrettò a traslarla a Norimberga, la futura capitale del Rechi Millenario. Gli scienziati del reich si prodigarono anche nella ricerca dei famosi teschi di cristallo, una serie di teschi scolpiti in materiale vetroso in tempi antichi, la cui perfezione rappresenta una sorta di anacronismo costruttivo. Giunsero persino nell’Etiopia fascista, alla ricerca della perduta Arca dell’Alleanza, oggetto sacro della tradizione ebraica. L’oggetto che Hitler cercò con più insistenza fu però il Santo Graal. Per giungere al suo ritrovamento, l’associazione reclutò l’esperto Otto Rhan. I risultati delle sue ricerche portarono gli uomini con la svastica sin nel sud della Francia, a Montsegur, l’ultima roccaforte catara. Esaminò le cripte e i sotterranei della rocca ed inviò ciò che aveva trovato a Berlino, nel massimo segreto. Nell’ottica delle ricerche del Santo Graal si inserisce probabilmente anche il massacro di Oradour-Sur-Glande, un paese i quali abitanti furono apparentemente massacrati senza motivo da un’intera colonna delle Panzer SS.
Nel profondo della foresta amazzonica, gli scienziati tedeschi effettuarono ricerche e studi sulle potenti droghe e sulle sostanze allucinogene usate dagli sciamani, forse in ricerca di una droga capace di annullare completamente la volontà dell’uomo, preziosa sia per inculcare ai diversi individui le dottrine di regime, sia per formare un esercito di uomini totalmente obbedienti e pronti a tutto in nome della difesa della patria.

Ma le spedizioni più famose rimasero quelle in Tibet. I membri dell’Ahnenerbe erano convinti della sopravvivenza di determinate tradizioni ancestrali indoeuropee nelle vestigia antropologiche ed archeologiche delle popolazioni orientali. Nel 1938 l’Ahnenerbe finanziò una spedizione nell’estremo oriente a capo del dottor Ernst Schaeffer, etnologo ed alpinista: sua missione era realizzare uno studio scientifico del popolo tibetano.

Durante la spedizioni esaminò più di trecento crani di abitanti del Tibet e del Sikkim, registrando minuziosamente le loro caratteristiche fisiche. Determinò che il popolo tibetano si situava in una posizione intermedia tra le popolazioni europee e mongolidi, e che i caratteri europei erano tanto più marcati quanto lo stato sociale si alzava. Ma un altro dei compiti assegnati a questa spedizione era la ricerca della mitica Agarthi, regno sotterraneo in cui risiederebbe il Re del mondo, entità con cui Hitler sosteneva di mantenere una sotra di contatto telepatico. L’ultima spedizione in Tibet avvenne nel 1939, agli ordini del già nominato Heinrich Harrer, ma fu bloccata a Karachi dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale: è l’inizio della storia che sarebbe stata in futuro ripresa da Hollywood con il nome di Sette anni in Tibet.
Nel luglio del 1943, in concomitanza con l’inizio dei bombardamenti degli Alleati sopra la Germania, tutti gli oggetti ed i documenti dell’Ahnenerbe furono trasferiti in una paese della Franconia chiamato Waischenfelf, dove giacquero sino al momento della loro distruzione, avvenuta prima della disfatta finale. I gerarchi dell’associazione vennero giustiziati in base alle decisioni del processo di Norimberga, portando con sé per l’eternità tutti i segreti e le scoperte a cui questa associazione venne a capo.

 

La tempesta solare che arriverà

Fonte: http://www.giornalettismo.com/archives/192111/la-tempesta-solare-che-arrivera/

24 gennaio 2012 Problemi ai sistemi elettronici alle rotte aeree per la più grande turbolenza dal 2005

Viaggia a circa 2300 km all’ora la tempesta solare più grande degli ultimi (quasi) dieci anni: è una Coronal Mass Ejection che arriva direttamente dallo strato più esterno del Sole. Si tratta di un fenomeno naturale, previsto e affatto sorprendente, visto che, come ricorda Gizmodo, si tratta di qualcosa che succede almeno 2000 volte ogni ciclo solare, della durata di 11 anni: quella che sta viaggiando verso la Terra, però, è particolarmente forte, visto che si tratta del fenomeno più intenso di questo genere dal 2005. E, di più, non arriva nemmeno da sola.

LE TEMPESTE – E’ accompagnata da una tempesta di protoni di livello tre (su cinque), evento molto più raro visto che accade, di solito, “un paio di dozzine per ciclo solare”: e, scrive il portale di tecnologia, “questa potrebbe essere pericolosa”. Relativamente pericolosa, s’intende, perché con qualche attenzione in più nessuna delle apparecchiature potenzialmente sensibili arriverà a subire danni: primo, per tutti gli aeroplani, evitare rotte che passino sopra i poli. “A causa della struttura del campo magnetico che circonda la terra, le cuspidi polari hanno una protezione molto bassa contro i picchi di radiazioni solari, così che qualsiasi aeroplano che passi nell’area finirebbe per essere esposto al problema”, scrive Gizmodo riportando il suo colloquio con Doug Biesecker, fisico della Noaa, l’amministrazione ambientale americana. “Potrebbero essere coinvolti anche i satelliti, che potrebbero dover riavviare i computer di bordo; ancora, potrebbero esserci interferenze nei sistemi di immagine e nella telemetria causata da quelli che vengono chiamati “single events upsets”, fenomeni che cambiano i dati di telemetria. “Essendo noi al corrente di queste interferenze in anticipo, gli ingegneri nelle basi di terra possono prenderle in considerazione e correggere le disfunzioni”, spiega ancora Biesecker.

DANNI IMPERCETTIBILI – Saranno coinvolti anche i Gps, in maniera però impercettibile dai dispositivi casalinghi che tutti utilizziamo. “Le persone comuni non noteranno niente di questo. Potrete usare il vostro Gps normalmente, ma le persone che usano Gps ad alta precisione – trivellatori, militari, ingegneri, minatori – noteranno sicuramente il problema”, scrive il sito internet di tecnologia; ad alte concentrazioni, una tempesta di protoni potrebbe avere effetto anche sulle persone passeggere di voli ad alta quota, anche se, spiegano gli esperti, quella che abbiamo davanti è ben al di sotto del livello che causerebbe queste preoccupazioni. Finito l’effetto della tempesta di protoni, sarà il turno dell’arrivo della tempesta solare. “Ci sarà un blackout radio di livello R2, che è moderato. Secondo la scala Noaa, causerà “blackout limitati delle radio ad alta frequenza, e perdite di contatto radio per decine di minuti, come anche la degradazione di segnali di navigazione a bassa frequenza per decine di minuti”. Se la tempesta fosse più potente, arriverebbe a coinvolgere in qualche modo anche le linee elettriche, ma in maniera tale da permettere alle compagnie elettriche di affrontare la questione a livello di rete: “Se la tempesta fosse abbastanza lunga, però, potrebbe danneggiare i trasformatori”.

McDonald’s lascia la Bolivia per disinteresse clienti e chiude tutti i suoi ristoranti

Fonte: http://europeanphoenix.com/it/component/content/article/3-societa/210-mcdonalds-lascia-la-bolivia-per-disinteresse-clienti-e-chiude-tutti-i-suoi-ristoranti

Tutti gli sforzi impiegati dalla catena di hamburger “McDonald’s” per inserirsi nel mercato boliviano sono risultati infruttuosi. A nulla è servito preparare la salsa ‘llajwa’, favorita nel paese latinoamericano, nè portare i migliori complessi musicali locali dal vivo.

Dopo 14 anni di presenza nel paese, e malgrado tutte le campagne effettuate, la catena si è vista obbligata a chiudere gli otto ristoranti che aveva aperto nelle tre principali città del paese: La Paz, Cochabamba e Santa Cruz de la Sierra.

Si tratta del primo paese latinoamericano senza “McDonald’s” e il primo paese nel mondo dove la multinazionale chiude per avere i conti in rosso per più di un decennio.

L’impatto per i ‘creativi’ e responsabili di marketing è stato così forte che è stato realizzato un documentario dal titolo “Perché McDonald’s ha fallito in Bolivia”, dove si cerca in qualche modo di spiegare le ragioni che hanno portato i boliviani a preferire le “empanadas” (piatto locale composto da pane di farina o mais, ripieno all’interno) agli hamburger.

Rifiuto culturale

Il documentario include interviste a cuochi, sociologi, nutrizionisti, educatori, storici ed altri, tutti concordi su un punto: il rifiuto non è degli hamburger né del loro gusto, il rifiuto è nella mentalità dei boliviani. Tutto indica che il “fast-food” è, letteralmente, l’antitesi della concezione che ha un boliviano nel preparare il cibo.

Pietro Mennea, la Freccia del Sud

Scritto da: Stefano Vigorelli
Fonte: http://www.pagine70.com/vmnewPietro Mennea.

Davvero c’è bisogno di ricordarlo? Forse qualcuno lo ha dimenticato? Non crediamo proprio. Se negli anni del suo fulgore la sua popolarità è stata straripante, anche ai giorni nostri solo il pronunciare il nome “Mennea” riesce a comunicare qualcosa sia all’appassionato di sport sia alla classica casalinga di Voghera.
Durante gli anni della sua attività, si è calcolato che Pietro abbia occupato più spazio sui giornali nientemeno che della Ferrari, e con questo crediamo di avere detto tutto.
Mennea deve i suoi successi sportivi al lavoro duro, alla regolarità di 350 giorni all’anno di allenamenti e alla forza di volontà, che gli hanno permesso di smentire chi non credeva che il suo fisico gracile potesse fare di lui un campione – tra cui chi ha detto che quel ragazzo mingherlino prima di correre doveva pensare a mangiare.
Pietro nasce a Barletta il 28 Giugno 1952, ed è il terzo di cinque figli del sarto Salvatore e della casalinga Vincenza.
Viene presto preso sotto l’ala protettrice del Prof. Autorino, il primo ad avere fiducia nel nostro, a cui farà seguito l’allenatore della squadra italiana di atletica Carlo Vittori, con il quale formerà un binomio che porterà il ragazzo ad emergere dalla tranquilla Puglia fino a diventare per tutti “La Freccia del Sud”.
Sono i primi anni agonistici, quelli veramente formativi del suo carattere forte, introverso, ostinato, che gli insegnano che non vi sono ostacoli insuperabili, nonché a passare sopra alle critiche degli altri e affidarsi alla propria forza, alle proprie convinzioni.
Naturale che a certa stampa Mennea risulti scontroso e ruvido, sicuramente poco propenso a compiacere i media o a fare il PR di sé stesso. Concentrato sulla propria fatica, sul lavoro e sull’instancabile sfida del quotidiano miglioramento delle sue performance, Pietro non sarebbe rimasto sul tetto del mondo dell’atletica per un ventennio partecipando a ben 5 Olimpiadi.
La prima medaglia è del 1971, un bronzo nella staffetta 4×100 agli europei di Helsinki nei quali guadagna comunque anche la finale individuale dei 200 m.
Nel 1972, appena ventenne, è già protagonista alle Olimpiadi di Monaco dove vince il bronzo ancora nei 200 m, la specialità che diviene la sua preferita poiché la più adatta al suo fisico. Troppo brucianti infatti i 100 m, per lui che preferisce controllare le prima fasi della corsa e scegliere un punto di riferimento tra gli avversari per poi chiudere in poderosa rimonta: sarà questo il leit-motif, la tattica vincente sviluppata nelle sue più importanti imprese.
Ai Giochi tedeschi Borzov, al suo culmine e con il suo fisico studiato e modellato in laboratorio, è irraggiungibile. La scaltrezza del sovietico e del suo staff si manifesta ancora agli Europei di Roma ’74: mentre infatti il giovane e inesperto Mennea si spreme alla ricerca del risultato cronometrico durante le batterie, Borzov invece si risparmia per esplodere durante la finale che farà sua. Ma la rivincita di Pietro deve attendere solo tre giorni: il sovietico, stremato, non si presenta neppure, mentre Mennea può conquistare la medaglia d’oro davanti ai migliori specialisti continentali (Ommer e Bombach inclusi).
Dopo le sfortunate Olimpiadi di Montreal del 1976 in cui rimane a secco di medaglie, complice il pessimo clima creatosi tra la Federazione e Vittori, già i primi soloni lo bollano già a 22 anni come promessa non mantenuta, mentre i trionfi della Freccia del Sud devono ancora venire!
Agli Europei di Praga del 1978 compie un’impresa storica riuscita a soli 4 atleti in passato (tra cui Borzov), e cioè la doppietta di medaglie d’oro nei 100 m e nei 200 m, ma la grande impresa, quella con la I maiuscola, quella di cui tutti quanti ci ricordiamo verrà l’anno dopo.
Infatti è il 12 Settembre 1979 quando durante le Universiadi a Città del Messico, Mennea dà la caccia alla performance che lo può consacrare definitivamente tra i Greatest di ogni tempo: il record mondiale dei 200 m. Pietro riesce nell’impresa stabilendo quel famoso tempo di 19″72 che abbiamo poi sentito ripetere incessantemente per ben 17, lunghissimi anni durante i quali nessun atleta al mondo è mai riuscito ad avvicinarlo. Ci vorrà Michael Johnson, e tutt’altro tipo di preparazione e di aiuti per riuscire a far crollare quel muro praticamente ieri, nel 1996.
La medaglia d’oro olimpica dei 200 m ai giochi di Mosca del 1980 (a cui si aggiungerà anche il bronzo della 4×400), sarà la sua ultima nelle competizioni planetarie, consegnando alla memoria degli anni 70 un atleta ed un uomo veramente irraggiungibili.
Gli anni 80 vedranno Mennea ancora protagonista e capace di vincere altre importanti medaglie, tra cui gli ori nella Coppa Europa di Londra del 1983 e nei Giochi del Mediterraneo di Casablanca dello stesso anno, in cui Pietro riesce anche a conquistare un argento e un bronzo ai Mondiali di Helsinki.
Una carriera eterna, la sua, proseguita attraverso due ritiri e due incredibili ritorni – seguiti da polemiche nei confronti di molta stampa, che lo invita a lasciare perdere – sino alle Olimpiadi di Seul del 1988 dove ha l’onore di essere scelto come portabandiera degli atleti azzurri.
Ultimamente Mennea porta le sue doti, i suoi valori e il suo lavoro al servizio della lotta al doping e di diversi enti benefici, ma soprattutto – dopo essersi laureato in Giurisprudenza, Scienze Politiche e Scienze dell’Educazione Motoria – è stato eletto nel 1999 al Parlamento Europeo. Inoltre esercita le professioni di docente universitario di diritto dello sport, dottore commercialista, procuratore e dirigente sportivo – tra l’altro è tra i protagonisti, qualche anno fa, del ritorno della Salernitana nella serie A di calcio.
s/wmview.php?ArtID=702

Cina allerta la marina e avverte USA: “pronti a entrare in guerra in favore Iran”

Fonte: http://www.nocensura.com/2012/01/cina-allerta-la-marina-e-avverte-usa.html

Durissimo monito della Cina agli Usa e ai suoi alleati: nel caso in cui l’Iran verra’ attaccato da Washington e qualunque altro paese, Pechino entrera’ subito in azione scegliendo l’opzione militare a favore di Teheran.L’ha detto il presidente cinese Hu Jintao citato da ‘European Union Times’, organo del Pentagono. A confermare la notizia e’ stato per primo il premier russo, Vladimir Putin, che ha menzionato le parole del capo di stato di Pechino secondo cui l’unica via per fermare l’aggressione occidentale all’Iran e’ quella militare; la Cina adottera’ misure di rappresaglia contro ogni azione ostile alla Repubblica islamica. Le forze marine della Cina sono attualmente in stato di massima allerta dietro l’ordine dello stesso Hu Jintao, il quale secondo Fars News, in un incontro con i capi dell’esercito del suo paese ha promesso di sostenere l’Iran ad ogni costo correndo persino il rischio di entrare nella terza guerra mondiale.

CONCORDIA: 10 DOMANDE “ALL’EROICO” GREGORIO DE FALCO

Scritto da:Luca Venturini
Fonte: http://www.lindipendenza.com/eroe-defalco/

Dopo l’articolo “7+1 responsabili del naufragio del Giglio“, molte sono state le domande giunte all’autore dell’articolo, che ora replica con altre 10 domande per “l’eroe” italiano Gregorio De Falco, assurto alle cronache per il famoso “torni a bordo cazzo”!

Gentile Comandante De Falco,

come tutti ormai sanno, lei e’ il comandante della sala operativa della Capitaneria di Porto di Livorno. Mi rivolgo a lei per porle dieci semplici domande riguardanti, sia i fatti della notte del naufragio della Costa Concordia, sia le attività poste in essere dalle forze dell’ordine per prevenire simili accadimenti.

1. Nella notte del naufragio della Costa Concordia lei ha registrato alcune telefonate fatte dalla sala operativa della Capitaneria di Porto al cellulare privato del comandante Schettino. Ci vuol dire se si tratta di una prassi abituale oppure se ha dovuto mettere in atto accorgimenti particolari per effettuare la registrazione? Se sì, ci può dire quanto tempo sia servito, a lei o ai suoi uomini, per organizzare la registrazione della telefonata? A beneficio dei lettori ricordo che in quel momento lei coordinava i soccorsi relativi al un naufragio di una nave con circa 4000 persone persone a bordo.

2. La registrazione della telefonata è stata data ai media. Ci vuole spiegare se è consuetudine dare ai media il traffico telefonico della sala operativa? In questo caso, ci vuol dire dove possiamo reperire il traffico telefonico di una data a caso, ad esempio del 14 agosto 2011? Se invece non è consuetudine pubblicare le registrazioni del traffico telefonico, ci vuol spiegare chi ha dato ai media tale registrazione e soprattutto se sia stata data a titolo gratuito o meno?

3. Nella sua telefonata al comandante Schettino lei chiede al suo interlocutore di presentarsi. Successivamente lei interrompe il suo interlocutore, che le stava dando alcune informazioni utili sull’accaduto, chiedendogli di alzare la voce. Questo nonostante si capisse bene cosa stava dicendo. Ci vuole spiegare se tutte le volte che c’è un’emergenza si passa per questa specie di assurda pantomima sul volume della voce, oppure se si tratta di una accortezza legata all’esigenza di produrre una registrazione di buona qualità? Cerchi di capire la nostra posizione di spettatori in questa vicenda: vorremmo capire se anche questo possa aver fatto perdere del tempo oppure possa averle fatto perdere delle informazioni che il suo interlocutore avrebbe potuto darle.

4. L’articolo 1120 del Codice della Navigazione punisce il comandante della nave che “si trovi in tale stato di ubriachezza da menomare la sua capacità di comando”. Ci vuol spiegare per quale motivo non ha ordinato l’effettuazione di un test alcolemico al comandante della nave? Nel caso in cui lei non sia autorizzato a dare un simile ordine, ci vuol spiegare chi sia l’autorità preposta ad ordinare un simile test e se lei, che aveva sentito il comandante Schettino al telefono, ha comunicato a tale autorità il fatto che il comandante avrebbe potuto non essere del tutto lucido?

5. Ci vuol dire, in base ai dati AIS in possesso della sala operativa che lei dirige, quante volte, nell’ultimo anno, la nave Costa Concordia sia passata a meno di 500 metri dalle coste dell’isola del Giglio? Ci vuol dire se lei veniva informato ogni qualvolta una nave da crociera faceva il cosiddetto “inchino”?

6. Ci vuol spiegare se c’è un modo, da parte delle forze dell’ordine imbarcate nell’area (Guardia di Finanza, Carabinieri, Capitanerie di Porto), di sapere quali piccole imbarcazioni vengono controllate, in modo da non usare inutilmente risorse per controllare più volte la stessa imbarcazione?

7. Ci vuol dire, nell’ultimo anno, quanti controlli siano stati effettuati su piccole imbarcazioni a vela nelle acque dell’Arcipelago Toscano? Ci vuol dire quanti di questi controlli riguardavano il rispetto della distanza minima che un’imbarcazione all’ancora deve tenere dalla costa dell’isola del Giglio? Ci sa dire quanti uomini vengono utilmente impiegati per questi importantissimi controlli?

8. Ci può dire, nell’ultimo anno, quanti controlli siano stati fatti su navi da crociera? Ci può dire, in particolare, quante volte nell’ultimo anno avete fatto un qualunque tipo di controllo sulla nave Costa Concordia?

9. Ci può dare una sua stima del costo per il contribuente, nell’ultimo anno, dei controlli effettuati dalle forze dell’ordine su piccole imbarcazioni a vela? Ci può dare la stessa stima per controlli effettuati su grandi navi da crociera?

10. Al fine di ridurre al massimo la perdita di vite umane in mare, nella sua opinione, ritiene più importanti i controlli su una nave da crociera da 100’000 tonnellate e 4’000 persone imbarcate oppure quelli su una barca da 10 metri e 5 persone imbarcate?

In attesa di sue cordiali risposte, cordiali saluti

Power Balance, c’è la sentenza definitiva del Consiglio di Stato: nessun effetto benefico

Fonte: http://www.informasalus.it/it/articoli/power-balance-nessun-effetto-benefico.php

Ieri il consiglio di stato ha reso nota la sentenza con cui ha respinto definitivamente il ricorso della Power Balance Italy con riferimento sia all’ingannevolezza delle affermazioni contenute nei messaggi pubblicitari sia all’entità della sanzione.

Il 22 dicembre 2010 l’Autorità garante della concorrenza aveva passato al vaglio la campagna pubblicitaria dei bracciali e delle collanine con il marchio Power Balance, con la quale sono stati enfatizzati gli effetti positivi sulla persona che indossa tali articoli in termini di aumento di equilibrio, forza fisica, flessibilità, resistenza.

L’Antitrust, sulla base anche del parere espresso dall’Istituto superiore di sanità, aveva contestato l’assenza di studi scientificamente validi in grado di provare l’efficacia dei prodotti in questione. Per questi motivi aveva deliberato una sanzione di 300.000 euro per la Power Balance Italy (società che importa in Italia questi articoli) e di 50.000 euro per la Sport Town (rivenditore autorizzato).

Inoltre aveva disposto la pubblicazione di una rettifica sui siti delle due società e attraverso ripetute inserzioni su alcuni importanti quotidiani del seguente tenore “I messaggi lasciano intendere che mediante l’uso dei prodotti Power Balance i consumatori possano ottenere un aumento dell’equilibrio, della forza e della resistenza fisica. In realtà gli effetti vantati nei messaggi non corrispondono alla realtà in quanto non sono supportati da alcuna documentazione scientifica”.

Già il Tar aveva rigettato il ricorso della società condividendo l’impostazione dell’Antitrust. Ieri con la sentenza definitiva del Consiglio di Stato non ci sono più dubbi.

La battaglia dell’Ortigara

Fonte: http://www.lagrandeguerra.net/ggortigara.html

Il Golgota degli Alpini

Il toponimo Ortigara costituisce una imponente bastionata facilmente raggiungibile dall’altopiano di Asiago, ma accessibile solo con impervi sentieri dalla Val Sugana.

E’ quindi Asiago, con i comuni limitrofi, la porta di accesso alle pietrose pendici dell’Ortigara e delle altre cime consacrate alla storia dal sangue di migliaia di combattenti dell’una e dell’altra parte. Una discreta carrozzabile parte da Gallio e scorrendo in mezzo a foreste di abeti, ove ancora sono evidenti le tracce dei manufatti e delle postazioni, raggiunge il parcheggio alle falde del Monte Lozze, base di partenza per le escursioni nella zona della Battaglia. Monte Ortigara è una montagna che nella realtà costituì solo uno, e nemmeno il più importante, degli obbiettivi che si prefissava l’attacco italiano sferrato nella prima parte dell’ estate del 1917.

Il fronte che vede protagoniste le truppe Italiane e Austriache, si estende per solo un chilometro e mezzo di linea all’incirca, e comprende, partendo da nord, quota 2003, il Passo dell’Agnella, l’Ortigara con le due quote 2101 (per gli austriaci quota 2075 “Le Pozze”) e quota 2105 (per gli austriaci quota 2107), Regione dei Ponari, Valle dell’Agnella e Monte Campigoletti.

I prodromi della battaglia vanno ricercati nell’anno precedente, quando a seguito dell’offensiva austriaca nel Sud Tirolo, entrata nella storia con il nome di Strafexpedition, la linea difensiva italiana dovette retrocedere fino ai margini dell’altopiano dei Sette Comuni, con ciò abbandonando posizioni che si ritenevano di capitale importanza per la salvaguardia dei confini.

Pur riuscendo a contenere la discesa al piano delle truppe imperiali, l’esercito italiano fu costretto dall’abile manovra nemica di arretramento a portarsi su una nuova linea assolutamente inadeguata e in posizione tattica subordinata rispetto a quella dell’esercito austro-ungarico. Si rendeva pertanto necessaria, secondo gli intendimenti di Cadorna, la riconquista delle posizioni perdute nel 1916.

Complessivamente la 52a Divisione perse nella Battaglia dell’Ortigara 12.633 uomini, dei quali ben 5.969 soltanto l’ultimo giorno, il 25 giugno. Pochi giorni dopo, il generale Mambretti, considerato l’unico, vero responsabile del disastro (per dovere di cronaca è necessario ricordare che Cadorna, a metà giugno, si era già rivolto nuovamente alla fronte Isontina, dopo aver perso interesse alle poco promettenti vicende dell’Ortigara – un suo classico atteggiamento che ne comprova le scarsissime abilità di reale condottiero ), fu rimosso dal comando.

La stessa Sesta armata fu sciolta il 20 luglio, facendone confluire una parte nella Prima armata e una parte nella Quarta armata di stanza in Cadore. Mambretti finì a presidiare il confine Italo-Svizzero; a causa dei suoi reiterati e sanguinosi insuccessi, oltre che a confermargli la fama di “jettatore” , l’Italia intera fu certa di poter perdere, grazie a lui, anche una eventuale guerra contro la Svizzera!

Mentre i comandanti e tutti gli artefici di una delle più sanguinose battaglie mai combattute dall’esercito italiano, si ricoprirono di infamia che anche i posteri non sapranno mai cancellare, moltissimi furono gli eroi, immacolati nella loro estrema dedizione, caduti ad affollare quel terribile cimitero all’aria aperta che, ancor oggi, è l’intera zona dell’Ortigara.

Land grabbing. Un nuovo colonialismo?

Fonte: http://www.terranews.it/news/2012/01/land-grabbing-un-nuovo-colonialismo

Luca Puddu, coordinatore Desk Africa del centro studi Equilibri

Una superficie ampia otto volte la Gran Bretagna. Questo il bottino delle multinazionali dopo 11 anni di accaparramento di terre africane. La comunità scientifica tenta di arginare il fenomeno. Tra i “pasdaran” del neoliberismo e gli oppositori altermondialisti, si affaccia una terza via che propone la ristrutturazione degli accordi di scambio internazionali e riforme agrarie redistributive

Aumenta la pressione commerciale sugli appezzamenti agricoli nel Sud del mondo. L’entità del fenomeno, che implica dal 2000 ad oggi il trasferimento di terre per una superficie pari a circa otto volte il territorio della Gran Bretagna, è tale ormai da suggerire una profonda ristrutturazione della filiera globale del cibo, le cui ricadute si rifletteranno tanto sui Paesi presi di mira dagli investimenti, Africa sub-sahariana in primis, che sui consumatori finali nel Nord industrializzato. Data la sensibilità del tema, la terra disponibile per la coltivazione tende a ridursi, mentre la popolazione mondiale continua a crescere in maniera esponenziale, il dibattito ha rapidamente assunto connotati ideologici, riflettendo la polarizzazione d’opinioni tra le diverse parti in causa. Le dinamiche che vedono protagoniste le multinazionali del cibo e dei bio-carburanti vengono ora inquadrate all’interno di una cornice neo-colonialista, ora elevate a soluzione per i problemi della sicurezza alimentare, del deterioramento ambientale e della povertà.
Le stesse formule terminologiche impiegate risultano, talvolta, frutto di un’adesione preconcetta al progetto di cui sono espressione. Ciò vale sicuramente per il World Bank Development Report del 2008 – manifesto della rivoluzione verde del XXI secolo, che rispolvera il miraggio della modernizzazione e promette emancipazione dal bisogno per il Sud del mondo, tramite l’industrializzazione dell’agricoltura; è però altrettanto vero per alcuni detrattori, poiché il termine “land grabbing – letteralmente “accaparramento della terra” – esprime di per sé una connotazione negativa, catalogando all’interno del medesimo insieme le transazioni più diverse. È ad esempio interessante notare come, proprio per sfuggire ad un’eccessiva generalizzazione, l’International Land Coalition abbia adottato, in occasione della conferenza di Tirana nel Maggio 2011, una definizione formale di “land grabbing” che ne restringe il campo d’applicazione a specifiche fattispecie. Sono così classificate come “land grabbing” le concessioni o acquisizioni fondiarie che implicano: la violazione dei diritti umani, in particolar modo dei diritti delle donne; l’assenza di consenso preventivo, libero e consapevole da parte delle persone espropriate della terra; l’assenza di studi adeguati sull’impatto ambientale, sociale ed economico dell’investimento; la mancata stipulazione di accordi scritti che determinino preventivamente la distribuzione di utili e ulteriori oneri a carico dell’azienda; l’assenza di partecipazione democratica nella negoziazione del progetto da parte delle comunità interessate.
I soggetti del dibattito
Come evidenziano in un recente saggio Eric Gimenéz e Annie Shattuck, negli ultimi anni i temi dello sviluppo agrario e della sovranità alimentare hanno raccolto intorno a sé l’attenzione di un numero crescente di attori, portatori di interessi riconducibili a specifiche istanze di natura geografica, politica ed economica. I favorevoli e i contrari al processo di internazionalizzazione del settore primario possono essere genericamente ricompresi all’interno di tre categorie: i pasdaran del progetto neo-liberale, quali il Fondo Monetario Internazionale e l’International Financial Corporation; la fronda dei cosiddetti riformisti, comprendente, tra gli altri, il braccio “terzomondista” della Banca Mondiale, l’International Development Association, la FAO e l’International Federation of Agricultural Producers (IFAP); l’ampio fronte d’opposizione, all’interno del quale si muovono organizzazioni di produttori, consumatori e della società civile, da Via Campesina a Fair Trade International.
Per i fautori del progetto neo-liberale, il trasferimento di larghi tratti di terra nelle mani di grandi imprenditori, locali o esteri, consentirà di strappare alla povertà milioni di persone nei più remoti angoli del pianeta. I nuovi flussi di investimenti comporterebbero l’aumento della produzione alimentare e la creazione di nuovi posti di lavoro, ponendo così un argine alle perduranti carestie e alla penuria di opportunità economiche nelle campagne. La fede ideologica nel libero mercato si attenua nella prospettiva riformista, che riconosce alcune contraddizioni in tema di sicurezza alimentare e tutela del tessuto sociale, auspicando un maggior interventismo dello Stato per garantire i diritti delle comunità espropriate. Nel rapporto preparato da un gruppo di esperti nel Luglio 2011, la FAO auspica ad esempio una più concreta tutela degli usi consuetidinari fondiari – l’insieme di norme informali per regolare le modalità di accesso e utilizzo della terra – e nuovi sforzi in direzione del loro riconoscimento legale, attraverso apposite procedure di registrazione.

Nella prospettiva degli oppositori, le dinamiche che contraddistinguono la corsa all’accaparramento fondiario celano piuttosto la dismissione della dimensione pubblica dello Stato a favore degli interessi del grande capitale, così come l’abrogazione dei diritti conquistati negli ultimi decenni da categorie sociali storicamente discriminate, quali i gruppi nomadi e i piccoli coltivatori. Il ventaglio di soluzioni è ampio, anche in ragione della moltitudine di soggetti confluenti all’interno della galassia progressista. In termini generali, le ricette prospettate spaziano da una ristrutturazione degli accordi di scambio internazionali all’adozione di riforme agrarie redistributive, che spezzino il monopolio dei grandi latifondi e garantiscano l’accesso ai fattori di produzione su un piano di uguaglianza.
Ricadute sociali del fenomeno
A prescindere dai singoli punti di vista, è comunque arduo trarre conclusioni certe sull’impatto di questi investimenti, visto il breve lasso temporale di osservazione del fenomeno. Nonostante ciò, appaiono già evidenti le contraddizioni insite nel discorso del fronte neo-liberale. Ne è prova la graduale presa di distanza di alcuni soggetti dalle posizioni messianiche espresse nel World Bank Development Report 2008. La Banca Mondiale, in uno studio del 2011, torna parzialmente sui suoi passi, richiamando l’attenzione sui rischi di speculazione finanziaria e marginalizzazione sociale in quei Paesi, soprattutto in Africa sub-sahariana, che si contraddistinguono per una governance poco trasparente. Nel rapporto “Land Rights and the Rush for Land” dell’ILC, tra i primi a presentare risultati fondati su indagini empiriche, emerge un ritratto di sostanziale pessimismo. Anche laddove si registrano benefici economici e occupazionali, questi rimangono spesso retaggio delle elite locali, formali e informali, lasciando alle comunità espropriate le esternalità negative.

Si delinea dunque un quadro che ripercorre, in forme nuove e contingenti, dinamiche già sperimentate nel passato recente. Cambiano parzialmente gli attori, oggi riconducibili in buona parte al novero delle cosiddette potenze emergenti, ma non le inevitabili contraddizioni insite nell’espansione del modello di produzione capitalistico a società spesso prive di quei pesi e contrappesi maturati nel tempo dai sistemi occidentali. Da una parte, è forte il rischio di idealizzare l’organizzazione sociale ed economica pregressa nelle realtà dove hanno luogo queste acquisizioni, come nota Paul Collier in un articolo d’accusa al populismo nostalgico della middle-class verso il mondo contadino. D’altro canto, è opportuno sottolineare come la terra, considerata nella nostra visione alla stregua di una qualunque merce, incorpora in Africa un insieme di valori che travalicano la sola sfera economica: l’espropriazione arbitraria delle risorse naturali può dunque costituire nell’immediato futuro un fattore di destabilizzazione anche politica. In contesti liquidi come quello africano, dove le identità collettive travalicano e sfidano i confini amministrativi dello Stato, ciò rischia di rafforzare ulteriormente le spinte centrifughe e le rimostranze armate di minoranze etniche, linguistiche e religiose.