Le foreste di pietra e di fossili

Fonte: http://andreamulas.wordpress.com/

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“Then he changed the new forest to rocks”. Alcune leggende hanno un fondo di verità…Esistono infatti nel nostro mondo differenti “foreste di pietra” che si sono formate attraverso la sostituzione della materia organica da parte di quella inorganica, processo che richiede milioni di anni. Una delle più famose è la Petrified Forest in Arizona in cui resti di alberi appartenenti al Giurassico hanno subito lentamente la infiltrazione di silicio tanto da assumere la consistenza della roccia.

Anche in una delle terre più antiche del Mediterraneo, la Sardegna, si trovano questi luoghi magici. Il panorama italiano offre la possibilità di incontrare una di queste bellezze patrimoniali anche in Liguria. Nei pressi di  Livorno è, infatti, presente una foresta di pietra con un età di ben 10 milioni di anni. Qui gli alberi sono stati coperti da silice e quarzo cristallino, la cosa più incredibile è che l’anatomia delle piante rimane invariata dalla mineralizzazione.

La foresta di Dunarobba, vicino ad Avigliano, non è un esemplare di foresta pietrificata, ma un cimitero dalle sembianze lunari di conifere giganti fossilizzate che un tempo (3 milioni di anni fa ) raggiungevano anche i 30 metri di altezza. Un altro esempio di foresta fossilizzata è quella di Lesbo antica quasi 20 milioni di anni. Una caratteristica che la accomuna a quella di Dunarobba è la verticalizzazione dei reperti fossili

Ecuador: la guerra indigena al petrolio

Fonte: http://www.salvaleforeste.it/popoli-indigeni/3429-ecuador-la-guerra-indigena-al-petrolio.html

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Sono pronti a combattere con le cerbottane contra le armi da fuoco. I 400 indigeni della tribù Kitchwa vivono bel cuore del Parco Nazionale delle Yasuni, in Ecuador, che la Chevron Oil si prepara a invadere. La compagnia mira a mettere le mani sui 70 mila ettari di foresta pluviale, dove sono state identificate risreve petrolifere per un valore di 7,2 milioni di dollari. “Combatteremo fino alla morte. Ognuno di noi difenderà il proprio territorio” sostengono gli indigeni”. La comunità ha deciso di rifiutare un’offerta della compagnia petrolifera perché preoccupata per gli effetti a lungo termine dell’attività estrattiva sull’ambiente. Di recente, inoltre, si è saputo che il capovillaggio, senza alcuna autorizzazione, avrebbe firmato per conto suo un contratto che dava il via libera alle prospezioni. Il documento lascia cadere tutte le precedenti offerte di costruire una nuova scuola e garantire agli abitanti del villaggio l’assistenza sanitaria e prevede un indennizzo di appena 40 dollari per ettaro. Ma più dell’80 per cento degli indigeni è contrario alle ricerche petrolifere e pronto a battersi con le armi per salvare paesaggi che ricordano il pianeta “Pandora” di “Avatar”.
“Se ci sarà uno scontro fisico – ammette lo sciamano Patricio Jipa- finirà certamente in tragedia, Noi possiamo solo morire per difendere la foresta. Preferiremmo la resistenza passiva, ma in questo caso non è più possibile. Non saremo noi a iniziare, ma tenteremo di fermarli e poi accadrà quel che deve accadere”.

L’Equador è l’unico paese del mondo a riconoscere il valore giuridico della natura nella propria costituzione. Ma la pressione degli interessi economici si fa sempre più forte, e pochi hanno ascoltato l’appello del governo equadoregno a sostenere finanziariamente il parco dello Yasuni per evitare le esplorazioni petrolifere. Che ora sono puntualmente arrivate.

Nel Paraco dello Yasuni vivono anche comunità indigene mai contattate, come le tribù dei Tagaeri e dei Taromenane, che hanno combattuto taglialegna illegali e missionari con le loro cerbottane, per proteggere la loro foresta e la loro cultura.

Finestre a vetri elettrocromici per risparmiare energia

Scxritto da: Nicoletta
Fonte: http://www.soloecologia.it/17012013/finestre-vetri-elettrocromici-risparmiare-energia/4939

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Esistono già da qualche anno e sono in fase di ingegnerizzazione materiali e dispositivi elettrocromici, capaci di controllare la quantità di luce che attraversa un finestra, oscurandola in caso di necessità per trarne un forte risparmio energetico.

Il principio chimico-fisico sui cui si basano questi dispositivi è l’ossidoriduzione, ovvero una reazione che avviene tra due componenti che si scambiano degli elettroni. In pratica si accoppiano due film molto sottili (dello spessore di circa 100 nanometri) previa “verniciatura” della superficie di contatto con apposite soluzioni chimiche. A fornire gli elettroni che scatenano la reazione chimica all’interno del doppio film è un piccolo generatore di elettricità, del tutto simile a una comune batteria alcalina ,che invia una corrente dalla tensione molto bassa (1-1,5 Volt) ma sufficiente per fare cambiare colore al materiale nel giro di una frazione di secondi e a mantenerlo tale senza ulteriore consumo di energia fino a che non si inverte la tensione.

In futuro si tratterà dunque di rivestire i vetri delle finestre delle abitazioni con queste pellicole di materiale plastico organico sottilissimo, leggero, flessibile e talmente poco costoso da poter essere sostituito dopo aver effettuato 100.000 cicli (in media, ogni 4-5 anni) – ovvero quando inizieranno a evidenziarsi perdite di contrasto ottico. Lo stesso materiale è perfetto per le finestre dei grattacieli (su cui non è esteticamente piacevole installare tende) e per essere applicato sugli oblò degli aerei.

Per chi se lo fosse domandato, non si tratta qui del medesimo principio fisico sfruttato dalle lenti degli occhiali fotocromatici, che funzionano sfruttando la radiazione luminosa e non l’elettricità – con un fenomeno comunque più lento, non controllabile a piacere e mal funzionante negli ambienti freddi.

Con le finestre intelligenti potremo quindi dosare la luce che passa attraverso i vetri, con notevole risparmio energetico, sia per il riscaldamento che per il raffreddamento delle case. Infatti, grazie a questa tecnologia, nello stadio in cui il vetro è incolore, la frazione infrarossa della luce (ovvero, quella che porta al riscaldamento delle superfici illuminate) viene riflessa; perciò è possibile far penetrare la luce ma non il calore dalle finestre.

Paranoie da Film

Fonte: http://ilporticodipinto.it/

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Da quando ho iniziato a studiare i libri dedicati alla propaganda, la mia prospettiva è cambiata su diversi aspetti della quotidianità; non ultimo quello relativo al cinema e ai film.Mentre prima vedevo un film come semplice veicolo di intrattenimento anche se in alcuni casi era impossibile non notare alcune pellicole sfacciatamente propagandistiche come un certo cinema prodotto nell’era di Reagan (Commando, Rambo 3 o l’aquila d’acciaio, solo per fare alcuni esempi).

In questi ultimi casi però, preso nota della ridicolaggine di concetti e situazioni espresse, continuavo a considerarli meri veicoli di intrattenimento più stupidi di altri ma se visti senza impegno, facilmente dimenticabili e in alcuni casi, perfino godibili. Comprendere a che livello di applicazione scientifica è arrivata la propaganda al giorno d’oggi mi ha però fatto completamente stravolgere questa visione; tanto che adesso anche il film apparentemente più libero, serio e impegnato, lo guardo con occhio attento, pronto a captare quei segnali capaci di farmi capire se sono state utilizzate delle tecniche di propaganda. Se la pellicola mi prende me la godo; ma poi devo rivederla con distacco, utilizzando un pensiero analitico, attento a dialoghi, simbolismi, immagini evocative e tenendo a mente ciò che ho imparato finora. Riconoscere alcune di queste tecniche è diventato un fattore quasi automatico il chè, non lo nego, spesso mi rovina il piacere di un film. Mi sento come quello che dopo 5 minuti ha già capito chi è l’assassino che verrà scoperto soltanto alla fine; soltanto che nel mio caso, non si tratta di capire la trama in anticipo ma di smascherare tutta una serie di idee e concetti piazzati volutamente e abilmente camuffati in modo da passare inosservati e fare presa sulle coscienze e sull’emotività del pubblico. E quando capisci questo ti cascano le braccia. Non stai più assistendo a un’opera d’arte o anche alla semplice passione di un regista che vuole divertirsi e far divertire, ma ti trovi davanti ad un’operazione ben pianificata allo scopo di manovrare le tue opinioni… E realizzare questo fatto da piuttosto fastidio.

 

Mali: eccoci arruolati nella Legione Straniera, alla faccia della Costituzione!

Scritto da: Fausto Carotenuto
Fonte: http://www.coscienzeinrete.net/

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Il Governo si sta preparando a fornire sostegno all’intervento nel Mali da parte delle truppe francesi.

Lo ha annunciato il Ministro degli Esteri Terzi, che si è già consultato con il ministro della Guerra. (Ormai dire ministro “della Difesa” è retro’ e non più corrispondente alla realtà di un paese interventista come il nostro).

Le “impavide” e armatissime truppe francesi stanno avanzando nel deserto verso il Nord, per “ripulire” il Paese dai “covi” di terroristi islamici jihadisti. In effetti per eliminare i Tuareg filogheddafiani. Con la scusa dell’infiltrazione islamica di Al Qaeda. E per riprendere influenza su un territorio strategico e ricchissimo di risorse minerarie.

Una volta Gheddafi faceva da ostacolo alla espansione degli estremisti islamici in Nord Africa. Dopo che abbiamo fatto fuori Gheddafi con il superesercito NATO, ora abbiamo la bellissima opportunità di fare un’altra guerra, con la scusa delle infiltrazioni islamiche.

Alla faccia della Costituzione italiana che all’art. 11 vieta l’uso della guerra come strumento per la risoluzione delle controversie internazionali.

I nostri governanti diranno che daremo solo appoggio logistico alle truppe francesi sul terreno. Ma dare appoggio logistico significa partecipare ad una operazione bellica allo stesso modo che se si è sul campo. La parte di appoggio aereo e logistico è un elemento fondamentale di una operazione militare, che senza quel sostegno non è possibile.

Non è che i militari sul terreno fanno la guerra e chi fornisce appoggio logistico no. E’ la stessa cosa. E poi certamente sono i francesi che non ci vogliono sul terreno perché considerano la zona “roba loro”.

Gheddafi li contrastava nel loro neocolonialismo con la sua politica di influenza africana. Erano concorrenti, e per questo furono felicissimi di farlo fuori.

E la nostra italietta armata è ormai sempre pronta a menare le mani… Per conto di superiori forze europee. Del resto l’unico settore che non ha visto seri tagli al bilancio è proprio quello militare.

Noi teniamoci saldi nella nostra opposizione a qualsiasi conflitto, e non lasciamoci mai imbrogliare sulle “buone ragioni” di qualsiasi guerra. Non esistono.

Anche se a citarle è un diplomatico solo apparentemente mite e con il tipico birignao della Farnesina…

Scienziati spagnoli producono mattoni coi rifiuti dell’industria cartaria

Fonte: http://www.improntaecologica.it/

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Gli scienziati Università di Jaén (in Spagna) hanno trovato un modo per produrre mattoni utilizzando carta da macero.
In particolare il processo utilizza i sottoprodotti e gli scarti generati dalle industrie cartarie durante la produzione così che, invece di finire in discarica, possono essere trasformati in mattoni per l’edilizia.
I vantaggi? A parte il riciclo di rifiuti, questi mattoni possono essere prodotti in meno tempo rispetto ai tradizionali, con il conseguente risparmio di energia e denaro.
Ma come sono fatti questi mattoni? Il materiale di scarto delle cartiere e i fanghi derivati dalla depurazione delle acque reflue durante il processo industriale di fabbricazione della carta vengono mescolati con argilla.
Il composto così ottenuto è pressurizzato ed estruso in un lungo pezzo di materiale base, una vera e propria “salsiccia” che viene tagliata in singoli mattoni i quali vengono poi cotti in un forno.
Oltre che a richiedere, come dicevamo prima, minor tempo e quindi minor energia per la loro produzione, sembra che questi piccoli mattoni a base di cellulosa (le dimensioni sono di appena 3x1x6 centimetri) abbiano una bassa conducibilità termica, caratteristica che dà loro grandi proprietà isolanti.
Peccato solo che i mattoni abbiano una resistenza meccanica notevolmente inferiore rispetto a quelli tradizionali e presentino ancora difficoltà in fatto di adesione e formatura durante il processo di produzione.
Ad ogni modo il team di ricercatori non si lascia scoraggiare e continua a lavorare per trovare un equilibrio tra sostenibilità e resistenza del materiale, oltre sperimentare combinazioni con altri fanghi industriali prodotti durante altri processi come la produzione di birra, olio d’oliva o biocarburanti.
Staremo a vedere…

COSMETICI NATURALI: LE CREME

Scritto da: Rossana Vella
Fonte:http://ilgirasolenonsolocosmesi.blogspot.it

cosmetici a confronto

In tanti si chiedono quali siano i vantaggi nel preferire i cosmetici naturali ai più noti cosmetici industriali.
I perché sono davvero tanti. Se scegliamo di autoprodurli, peraltro, faremmo un gran gesto d’Amore verso l’ambiente… visto il notevole risparmio sul packaging, che verrà riutilizzato dopo un’accurata pulizia e sterilizzazione.

Ma vediamo nel dettaglio i vari vantaggi:

– La fase acquosa in entrambi i casi è costituita da comunissima acqua demineralizzata, ma molto spesso nelle creme naturali possiamo trovare infusi o idrolati, nei quali sono contenuti preziosi principi attivi (idrosolubili) dei quali andremo a beneficiare.

– La fase grassa delle creme industriali è costituita prevalentemente, ahinoi, da sostanze di derivazione petrolchimica (oli minerali, vaselina, petrolati, paraffina liquida). Il “vantaggio” degli oli minerali è quello di non irrancidire facilmente e di essere stabile alle alte temperature, ma soprattutto quello di essere reperito a buon prezzo. Vi sarete già chiesti che effetto faccia spalmarsi in faccia un derivato del petrolio. Per prima cosa gli oli minerali, creando un film sulla pelle, occludono i pori risultando pertanto comedogeni e favoriscono l’insorgere di episodi di acne e dermatosi.
Nelle creme naturali la fase grassa è costituita da oli di origine vegetale e spesso dai loro insaponificabili (es. squalane, karitene) che sono una vera e propria miniera di sostanze preziose. I migliori oli vegetali sono spremuti a freddo, attraverso una macinatura a pietra, e non con l’ausilio di solventi che confluirebbero inesorabilmente nel prodotto finito.

– Le creme naturali molto spesso presentano una concentrazione maggiore di sostanze funzionali a dispetto delle dosi lillipuzziane contenute nelle creme industriali e in tal senso risulterebbero essere più efficaci.

– Gli emulsionanti nel caso di creme industriali sono di derivazione petrolchimica anch’essi, nel caso di creme naturali si sfruttano emulsionanti di origine vegetale. La funzione dell’emulsionante è quella di far legare due fasi immiscibili tra loro (acqua e grassi) e rendono di conseguenza la pelle più penetrabile. Ottima cosa se parliamo di creme biologiche. Diversamente… oltre alle sostanze funzionali assorbiremo anche le sostanze nocive presenti nel prodotto.

– Gli umettanti nelle creme industriali sono costituiti da glicerina e siliconi. Questi ultimi donano un tocco setoso e vellutato alla pelle ma il loro vantaggio è solo apparente, dal momento che in realtà occludono i pori e spesso scatenano l’insorgere di comedoni (punti neri) e brufoli.
Nelle creme naturali si utilizza la glicerina vegetale, che utilizzata in dosi opportune, mantiene un corretto stato di umidità e permette alle sostanze funzionali di penetrare oltre lo strato corneo.

– Le creme industriali hanno molto spesso un profumo accattivante. Ma sapevate che sono proprio i profumi di sintesi a contenere un numero abnome di allergeni? Cosa che non accade nelle creme naturali visto l’utilizzo di profumi di origine naturale! Peraltro alcuni profumi sintetici sono accusati di oltrepassare lo strato corneo e di depositarsi nei tessuti.

– Il gelificante viene utilizzato per trasformare la fase acquosa in un gel. Nel caso di creme industriali si utilizzano sostanze di sintesi, nel caso di creme naturali gomme di origine naturale (acacia, guar, xanthana) che svolgono altresì una funzione idratante e talvolta garantiscono persino un effetto tensore.

– Ed infine i conservanti, di cui tanto si è parlato negli ultimi tempi. In particolare il phenoxyethanol e i cosiddetti parabeni che permettono sì al prodotto di durare a lungo ma che purtroppo sono sospettati di essere fortemente allergizzanti e persino cancerogeni.
Le creme naturali utilizzano invece conservanti approvati da Ecocert (l’Organismo internazionale che certifica l’origine biologica di taluni prodotti). Risulta chiaro però che la durata di un cosmetico naturale è di gran lunga inferiore rispetto ad un prodotto industriale.

Alla luce di tutto questo, siete ancora certi di voler utilizzare le creme industriali?! Creme che offrono solo l’illusione di avere una pelle perfetta e sana ma che in realtà giocano contro la vostra bellezza!
Vi invito a fare le dovute riflessioni facendo il verso ad un noto slogan commerciale: PERCHE’ VOI VALETE! :-p

Bioeconomia in ascesa in Europa, per garantire lo sviluppo di una società «post-petrolifera»

Fonte: http://greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=19769

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Il settore ha già un fatturato di 2 trilioni di euro e occupa 22 milioni di persone, ma occorre vigilare perché la sua avanzata sia sostenibile.

L’importanza della bioeconomia sta rapidamente aumentando in tutto il mondo e in particolare in Europa. Secondo Maive Rute, numero uno del settore biotecnologie, agricoltura e alimentazione della Direzione generale ricerca e innovazione della Commissione europea, «Con la popolazione mondiale che raggiungerà i 9 miliardi nel 2050 e la diminuzione delle risorse fossili, l’Europa deve rivedere la sua gestione e l’uso delle risorse biologiche rinnovabili. L’esaurimento delle risorse fossili, dalle quali l’economia europea dipende in larga misura, richiede uno spostamento verso una nuova società post-petrolifera.

Con la sua natura trasversale – continua Rute – la bioeconomia offre un’opportunità unica per affrontare le sfide complesse e interconnesse, oltre a raggiungere la crescita economica. Può aiutare l’Europa a realizzare la transizione verso una società più efficiente nell’uso delle risorse, che si basi più fortemente sulle risorse biologiche rinnovabili per soddisfare le esigenze dei consumatori, la domanda dell’industria e affrontare il cambiamento climatico. La bioeconomia UE ha già un fatturato di circa 2 trilioni di euro e impiega più di 22 milioni di persone, pari al 9% dell’occupazione totale nell’Ue. Comprende l’agricoltura, la silvicoltura, la pesca, la produzione alimentare, nonché settori della chimica, delle biotecnologie e delle energie. Comprende la produzione sostenibile di risorse biologiche rinnovabili e la loro conversione, così come quella dei flussi di rifiuti in bioprodotti, biocarburanti e bioenergia».

Nel febbraio 2012 la Commissione Ue ha approvato la comunicazione per il Parlamento europeo e il Consiglio europeo “Innovating for Sustainable Growth: a Bioeconomy for Europe”, che introduce la strategia e il piano di azione per aiutare le società e le economie europee ad utilizzare sostenibilmente le risorse biologiche rinnovabili. Il 27 marzo 2012 la presidenza di turno danese dell’Ue ha organizzato a Copenhagen la prima Stakeholders Conference-Bioeconomy Day e nel novembre 2012 si è tenuta la conferenza “New Skills for a European Bioeconomy”. Dal 12 al 14 febbraio la presidenza di turno irlandese dell’Ue organizzerà a Dublino la seconda Stakeholders Conference-Bioeconomy Day “”Bioeconomy in the EU: achievements and directions for the future”.

Come spiega il bollettino scientifico dell’Ue Cordis, la conferenza del novembre 2012 «Ha riunito esperti di bioeconomia e di istruzione e formazione per discutere il ruolo dello sviluppo di competenze per guidare e facilitare la transizione verso la bioeconomia e per cogliere le opportunità di impiego implicate da questa transizione. La conferenza aveva lo scopo di delineare le nuove competenze necessarie per il settore accademico, industriale e della produzione primaria, il percorso per la loro acquisizione e come queste nuove abilità, competenze e capacità potrebbero essere sfruttate in modo ottimale per guidare il cambiamento e sviluppare nuovi modelli per il futuro dei settori della bioeconomia.

Le conclusioni della conferenza saranno riferite alla conferenza delle parti interessate sulla bioeconomia, in programma per il 14-15 febbraio a Dublino. Le discussioni della conferenza dovrebbero fornire spunti utili per attività future nell’ambito di Orizzonte 2020, specialmente per quanto riguarda quelle attività che promuovono lo Spazio europeo della ricerca (Ser)».

Gotta, i formaggi freschi aiutano a prevenirla

Scritto da Andrea Sperelli
Fonte: http://www.italiasalute.it/3960/h/Gotta-i-formaggi-freschi-aiutano-a-prevenirla.html

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Spesso derubricata a malattia del passato, la gotta è in realtà ben presente nel nostro paese, dove sono più di mezzo milione i pazienti accertati e altri 5 milioni a rischio. È una malattia tipica di uno stile di vita benestante, tanto che ha colpito nel passato grandi uomini che hanno fatto la storia: Carlo Magno, Giulio Cesare, Galileo, Darwin, Newton, Luigi XIV.
“La gotta rappresenta l’artrite più frequente nell’uomo, dove raggiunge una prevalenza del 7% dopo i 65 anni” – ricorda il prof. Carlomaurizio Montecucco, Unità Operativa di Reumatologia del Policlinico San Matteo Pavia, Direttore della Scuola di Specializzazione in Reumatologia dell’Università di Pavia; “nelle donne compare dopo la menopausa, con una prevalenza che tende ad aumentare con l’età, fino a raggiungere un valore del 3% oltre gli 85 anni”.
Secondo la Società Italiana di Reumatologia, “seguire un sano stile di vita e nutrirsi in modo corretto può ridurre il rischio di insorgenza della gotta e anche limitare la severità degli attacchi nei pazienti che già ne soffrono”.
Il latte e i formaggi sono tra gli alimenti più efficaci nella prevenzione della gotta, perché hanno dimostrato di avere un effetto protettivo nei confronti di questa malattia.
“La presentazione clinica e la presenza di un’iperuricemia nota possono indirizzare alla diagnosi; la certezza può essere ottenuta solo dimostrando la presenza di cristalli di urato monosodico nel liquido sinoviale o in un tofo” – afferma il prof. Leonardo Punzi, Dipartimento di Reumatologia, Medicina Clinica e Sperimentale del Policlinico Universitario di Padova. “Purtroppo” – precisa il prof. Punzi – “i progressi nella precisazione diagnostica sono, talvolta, vanificati dall’assenza di strumenti terapeutici adeguati; in Italia non tutti i pazienti tollerano la terapia attualmente disponibile”.
“Le malattie spesso parlano un linguaggio diverso nell’anziano, dove possono presentare manifestazioni un po’ differenti da quelle attese” – spiega il prof. Antonio Cherubini, Dipartimento di Geriatria e Gerontoloia dell’Università di Perugia. “Il dolore può essere meno violento, rispetto a quello tipico della gotta acuta; può esserci l’interessamento di più articolazioni anziché di una sola; bisogna sempre considerare che il soggetto anziano soffre spesso di più patologie. Non è raro che siano già presenti condizioni che possono provocare un dolore articolare, come l’artrosi che, fra l’altro, può a sua volta facilitare la comparsa di gotta”.
Una serie di fattori che possono sviare il medico, considerando non raro che un anziano abbia avuto degli attacchi in passato, possa essersene dimenticato o che consideri la comparsa di un dolore articolare un’inevitabile conseguenza dell’invecchiamento e quindi non si rivolga al medico ma tenda ad autogestire il problema.
Il sempre maggior coinvolgimento della popolazione anziana non è però l’unica variazione che la gotta ha subito nel corso degli anni: se il paziente tipico rimane l’uomo di 40-50 anni con un’artrite acuta dell’alluce, sempre più spesso si osservano casi fra le donne.
“Il rapporto fra i due sessi, che fino al 1999 era di sette casi fra i maschi e uno fra le femmine, attualmente è di quattro maschi per una donna – precisa il prof. Marco Cimmino, Clinica Reumatologica dell’Università di Genova. “L’aumento di frequenza della gotta interessa soprattutto le donne dopo la menopausa: se in età fertile viene colpita dalla malattia una donna su 2.000, si stima che, sopra i 50-60 anni, si verifichino 2-3 nuovi casi per 1.000 persone/anno”.
Dopo la menopausa calano i livelli di ormoni femminili che, avendo l’effetto di favorire l’eliminazione dell’acido urico con le urine, proteggono la donna in età fertile.
A giustificare l’aumento del numero di casi, sia nelle donne che negli uomini, partecipano diversi fattori. “Un contributo è dato dall’uso di una serie di farmaci che sono in grado di determinare un aumento dell’uricemia” – precisa il prof. Montecucco. “Fra quelli di uso più comune i diuretici, farmaci largamente utilizzati come antipertensivi, anche negli individui anziani, e l’aspirina a basse dosi, utilizzata come antiaggregante. Anche la ciclosporina, impiegata per prevenire il rigetto nei trapianti, provoca facilmente iperuricemia e gotta”.

Accanto al progressivo invecchiamento della popolazione, altri fattori giustificano l’aumento della gotta: la diffusione dell’insufficienza renale cronica (caratterizzata da aumento dell’acido urico), le variazioni subite dalle abitudini alimentari, col progressivo allontanamento dalla dieta mediterranea a favore di altri alimenti (hamburger, birra fonte di purine, cioè precursori dell’acido urico), la diffusione dell’obesità e del sovrappeso.
Anche un’altra ragione ha fatto risvegliare l’interesse per iperuricemia e gotta: l’aumento dei livelli di acido urico nel sangue non si risolve unicamente in un problema articolare; l’acido urico infatti risulta essere un fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di danni e di eventi cardiovascolari e renali.
“Per quanto riguarda per esempio l’aumento di rischio di eventi cardiovascolari negli ipertesi, in uno studio condotto in circa 8.000 pazienti, si è potuto dimostrare come coloro che avevano un’uricemia superiore a 7.4 mg/dL presentassero un rischio di eventi cardiovascolari superiore del 50% rispetto a chi aveva valori inferiori a 5 mg/dL – puntualizza la prof.ssa Francesca Viazzi, Dipartimento Cardionefrologico dell’A.O Universitaria San Martino di Genova. “Osservazioni analoghe confermano i legami fra acido urico e danno renale. In uno studio che ha coinvolto oltre 13.000 individui senza patologia renale all’origine, è stato documentato un aumento del 7% del rischio di sviluppare insufficienza renale per ogni mg/dl di incremento dei livelli di acido urico, mentre in un altro studio, su oltre 21.000 volontari sani, è stato possibile dimostrare come un lieve aumento dell’acido urico, (valori compresi fra 7 e 9 mg/dl) comportasse un aumento del 26% di sviluppare insufficienza renale e come per valori superiori a 9 mg/dl l’incremento del rischio fosse addirittura del 63%”.
Oggi chi soffre di gotta? Anziani in sovrappeso ma anche chi non ti aspetti: modelle, giovani, belle e magre che, a causa dell’assunzione di diuretici per mantenersi filiformi, ostacolano l’eliminazione dell’acido urico da parte dei reni con comparsa conseguente di iperuricemia che le espone al rischio di attacchi. Un motivo in più per riportare all’attenzione di tutti i medici questa malattia, affinché non sia confusa con altre ma se ne possa fare una diagnosi corretta per prevenirla e curarla.
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Grandi banche indagate per frode

Scritto da: Mario Lettieri e Paolo Raimondi
Fonte: http://fantpolitik.blogspot.it/

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In questi giorni di fine 2012 le grandi banche internazionali, soprattutto quelle europee, sembrano infastidite. Si lamentano dei controlli più attenti, ma da loro ritenuti troppo invadenti, da parte degli organi di vigilanza.
L’ultimo caso riguarda l’UBS, la più grande banca svizzera, che ha accettato di patteggiare e di pagare oltre un miliardo e mezzo di dollari di multa per chiudere il caso dello scandalo-truffa del Libor!
In merito si ricordi che alcuni mesi fa, la SEC, la lenta e burocratica agenzia di controllo americana, e l’inglese British Financial Service Authority denunciarono una ventina di banche internazionali per aver manipolato il famoso London Interbank Offered Rate (Libor), cioè il tasso che stabilisce la base per definire tutti gli altri tassi di interesse applicati sui mercati finanziari. Erano quelle del cosiddetto cartello delle “too big to fail”: le inglesi Barclays, HSBC, Royal Bank of Scotland, la Deutsche Bank tedesca e le americane, JP Morgan, Citigroup e Bank of America.
Dal 2005 al 2007 le banche in questione avevano gonfiato i loro dati per far salire il Libor e incassare sui tassi alti. Dopo lo scoppio della crisi hanno invece giocato i loro dati al ribasso per mascherare le proprie difficoltà e abbassare il costo dei prestiti di cui avevano bisogno per sopravvivere. Hanno quindi semplicemente fornito informazioni fasulle a proprio profitto.
Sei mesi fa, la Barclays, ritenuta una delle capofila di tale “frode organizzata”, ha pagato 450 milioni di dollari di multa per chiudere la faccenda. Adesso è toccato all’UBS.
Di primo acchito le multe sembrano molto salate. In realtà, per tali banche sono solo dei fastidiosi esborsi, a fronte degli enormi profitti incassati negli anni della “grande truffa”.
Si stima infatti che circa 800 trilioni di dollari di prodotti finanziari, a cominciare dai derivati Otc, siano legati all’andamento del Libor. Perciò la sola manipolazione di uno 0,01% equivale mediamente a 80 miliardi di dollari all’anno di profitti da spartire tra i grandi operatori finanziari.
Inoltre, come sappiamo dai dati della Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea e dell’Office of the Comptroller of the Currency (Occ) americano, sono state, e lo sono tuttora, sempre le stesse banche indagate per la truffa del Libor a controllare la quasi totalità delle operazioni finanziarie globali.
Vi sono poi le indagini nei confronti della Deutsche Bank, i cui uffici sono stati “visitati” per ben due volte in pochi giorni dagli investigatori delle polizia tedesca che ha sequestrato montagne di documenti.
Uno degli scandali-truffa riguarda una evasione fiscale per circa 300 milioni di euro frutto del commercio dei certificati CO2 nei mesi a cavallo del 2009-10. Uno schema tristemente noto anche in Italia, su cui sarebbe doveroso indagare.
Per l’intera Europa l’Europol stima una truffa ed una evasione fiscale legata ai certificati CO2 per oltre 5 miliardi di euro! Oramai si specula e si truffa anche sull’aria che respiriamo!
A seguito di accordi internazionali e dei tanti movimenti e dibattiti sulle questioni ambientali e climatiche, l’UE ha stabilito un “Emissions Trading System” che assegna un tetto di emissione di anidride carbonica ad ogni impresa e ad ogni impianto di produzione di energia. In pratica si è creato un mercato per acquistare certificati-permessi per maggiori emissioni e per vendere eventuali surplus. Su ciò si è innestato anche un mercato di derivati.
I casi della Barclays, dell’UBS, della Deutsche Bank, così come quello precedente dell’inglese HSBC coinvolta anche nel riciclaggio dei soldi della droga tra Messico e Stati Uniti, sembrano assegnare un ruolo centrale nel malaffare alle banche europee. Ma in realtà sappiamo quanto pesantemente siano state coinvolte le maggiori banche americane nelle truffe dei mutui sub prime e dei prodotti finanziari strutturati.
Tutte queste banche continuano a giocare sul ricatto di essere “too big to fail” per sottrarsi alle indagini ed a ogni forma di regolamentazione. Le frodi venute alla luce provano che il loro comportamento, già responsabile della crisi finanziaria ed economica globale, non è minimamente cambiato.
In relazione a ciò ed al progressivo peggioramento della situazione economica e finanziaria delle economie degli Usa e dell’Europa saranno determinanti le decisioni che il rieletto presidente Obama prenderà entro i prossimi mesi.
Se, con l’indispensabile collaborazione dell’UE, saprà operare con la stessa determinazione di Franklin Delano Roosevelt del 1933 nel mezzo della Grande Depressione allora potremo costruire la necessaria riforma della finanza e dell’economia e rimettere in moto la ripresa del sistema produttivo.
Se invece il presidente americano sarà tenuto sotto scacco dalle lobby di Wall Street e dei vari “gattopardi”, come è avvenuto nel suo primo mandato, allora dovremo essere consapevoli che una seconda e più violenta crisi sistemica potrà verificarsi.
Di questo ovviamente dovranno preoccuparsi anche il prossimo governo e le autorità europee.