Trappole del big data: se Google non scova l’influenza

Scritto da: Eleonora Degano
Fonte: http://oggiscienza.wordpress.com/

Schermata 03-2456735 alle 14.44.21CRONACA – Google Flu Trend: uno strumento per la raccolta e l’analisi dei dati sui casi di influenza in giro per il mondo, un’opportunità per comprendere meglio le malattie e prevederne la diffusione. Ma anche un modo come un altro per mostrare che lo studio dei big data non è infallibile, anzi, potrebbe essere addirittura fuorviante. Soprattutto se si basa sulle ricerche nel web che oramai quasi tutti facciamo nel timore d’esserci ammalati.

GFT ha sovrastimato i casi di influenza tra 2012 e 2013, ma anche quelli del biennio precedente, di più del 50%, ed è stata la rivista Science a pubblicare la ricerca “La parabola di Google Flu: le trappole nell’analisi dei big data”, finanziata dalla National Science Foundation. Lo scopo di Google Flu Trend (GFT) è quello di garantire un monitoraggio in tempo reale di tutti i casi di influenza che si verificano nel mondo, basandosi sulle ricerche che corrispondono a particolari termini associati con la malattia. Brividi, tosse, febbre, chi più ne ha più ne metta insomma, fino ad arrivare a intere frasi standard che, a quanto pare, googliamo molto in preda all’auto-diagnosi online.

Lo strumento d’analisi GFT non è rimasto inalterato negli anni, anzi, ha seguito le modifiche e i miglioramenti ai quali è andato incontro Google stesso. Eppure questo non è bastato a renderlo più attendibile, perché secondo Ryan Kennedy dell’Università di Houston e il suo team ha decisamente sovrastimato i casi di influenza verificatisi negli Stati Uniti durante gli ultimi anni. Come spiegano gli autori, alla base va messa in discussione la validità del raccogliere i dati da Twitter e Facebook, perché le aziende possono facilmente manipolare l’utilizzo di queste piattaforme di social-networking a favore dei propri prodotti e servizi.

Con queste premesse diventa dunque piuttosto dubbio quanto davvero i dati raccolti si avvicinino alla situazione reale. Ma il metodo non è completamente da buttare: secondo Kennedy e il suo team, combinando le informazioni raccolte da GFT con quelle fornite da metodologie più tradizionali si può raggiungere risultati molto accurati e affidabili. Non abbandonare il vecchio per il nuovo insomma, ma integrarli. “La nostra analisi ha dimostrato che la via più efficace da percorrere è quella di unire i dati provenienti da più fonti. Piuttosto che parlare di rivoluzione dei big data, dovremmo prima discutere di quella che riguarda tutti i dati, perché le nuove tecnologie che abbiamo a disposizione ora ci permettono di fare analisi accurate di ogni tipo”.

“Molte delle fonti dei cosiddetti big data sono compagnie private, che proprio come Google modificano costantemente i propri servizi in base al modello di business aziendale”, commenta Kennedy. “È necessario comprendere meglio come questo si rifletta sui dati che producono: altrimenti corriamo il rischio non solo di trarre conclusioni sbagliate, ma anche di prendere provvedimenti assolutamente non adatti”.

Crimea: le cinque bugie più frequenti della stampa internazionale su Putin

Scritto da: Eugenio Cipolla
Fonte: http://www.qelsi.it

 

PutinE’ davvero incredibile come Usa e Ue ormai assomiglino a una setta: o sei con loro o contro di loro. Ed è quello che sta succedendo in queste ore a Vladimir Putin, presidente della Federazione Russa, alle prese con il problema Crimea.

Non siamo qui a tessere le lodi di quello che non rappresenta certo un modello di democrazia (chi è stato almeno una volta nella vita in Russia, lo sa), ma le storture dell’informazione internazionale sulla vicenda della Crimea hanno raggiunto un livello talmente alto da meritare qualche precisazione.

Perché non accettare le condizioni dell’Occidente equivale a mettersi contro un potentissimo network di interessi capace di sganciare sopra la testa dei bersagli prescelti il peggio del peggio. E’ successo già in altri casi: Saddam Hussein, Mubarak, Gheddafi, Assad. Tutti dittatori che sono rimasti al proprio posto per anni, per poi essere “gettati” con nonchalance, quando non più utili.

E’ improbabile che Putin faccia la stessa fine di Gheddafi o Saddam, ma la violenza mediatica nei suoi confronti è simile a quella che abbiamo visto più volte.

Ecco, dunque, le cinque bugie più frequenti sulla Crimea che avete letto in questi giorni:

«Putin ha invaso la Crimea, inviando decine di truppe sul posto e violando la sovranità nazionale dell’Ucraina. I suoi soldati hanno occupato scuole, aereoporti e uffici statali»
Per chi non lo sapesse, la Crimea è una zona strategica non solo economicamente (da lì potrebbe passare il gasdotto russo South Stream con un notevole abbattimento dei costi di costruzione), ma anche militarmente. Sul mar Nero la flotta navale russa è lì dai tempi di Caterina II, pressappoco duecento anni fa. L’ultimo accordo stipulato tra Russia e Ucraina prevede la presenza dell’esercito russo sul territorio della Crimea per un massimo dodici mila uomini. Dunque, parlare d’invasione è un’inesattezza.

«Il referendum tenutosi il 16 marzo è incostituzionale e illegale. Viola la Costituzione ucraina e la sua integrità territoriale»
Tra tutte, questa è la peggiore. Come si può definire illegale e incostituzionale un referendum? E’ un controsenso. La Costituzione ucraina in questo senso parla chiarissimo. All’articolo 5 c’è scritto che il popolo è l’unico ad avere la “sovranità”. E “l’unica fonte di potere in Ucraina” e questo potere viene esercitato direttamente. Cos’è dunque ad essere illegale, secondo Ue e Usa? La democrazia? La volontà popolare? E allora il Kosovo?

«No, ma Kosovo e Crimea non sono assolutamente paragonabili. Non diciamo stupidaggini. Due cose assolutamente diverse tra loro»
Le analogie tra le due secessioni (Kosovo-Serbia vs Crimea-Ucraina) sono piuttosto evidenti. Che poi non si voglia vederle, è un altro discorso. Si tratta di secessioni unilaterali scaturite per motivi etnico-culturali (e per interessi sovranazionali). Nemmeno a Pristina avevano il consenso di Belgrado, eppure Usa e Ue in quell’occasione non batterono ciglio, anzi.

«La gente è stata costretta a votare per l’annessione alla Russia, ma in realtà vogliono stare con l’Ucraina»
Un’analisi corretta della vicenda comporta, come minimo, uno sguardo alla composizione demografica della regione in questione. L’ultimo (e unico) censimento fatto dalla Repubblica Ucraina nel 2001 (il prossimo è previsto nel 2016) è piuttosto eloquente: in Crimea (esclusa la città di Sebastopoli, che ha sempre avuto status particolare, dove i russi sono il 72% della popolazione) vivono il 58,3% di russi, il 24,3% di ucraini, il 12,1% di tatari. Tralasciando il fattore tempo (in 13 anni la demografia cambia, dunque i russi potrebbero anche essere sensibilmente aumentati e questo potrebbe avere determinato il risultato schiacciante che abbiamo visto), è impensabile ipotizzare che la maggioranza russa possa aver votato l’annessione alla propria patria sotto la minaccia di fucili e pistole, come hanno voluto far credere in molti. L’Ucraina è storicamente e culturalmente divisa in due blocchi: est e ovest. I primi filorussi, i secondi filoeuropei. Se a Lviv (estremo ovest), culla del nazionalismo ucraino, tenessero un referendum simile, vincerebbe il no con il 100% dei voti. E nessuno griderebbe allo scandalo.

«Putin vuole conquistare tutta l’Ucraina, è un dittatore spietato con mire espansionistiche come Hitler»
Putin non sa che farsene dell’Ucraina e l’ha detto anche durante l’odierno intervento con il quale ha chiesto al Parlamento russo di accettare l’annessione della Crimea. Questo perché anche economicamente l’Ucraina è un paese diviso in due blocchi: sempre est e ovest. Il primo pieno di industrie e materie prime, il secondo no. E non è difficile immaginare quale sia la parte che rientra tra le mire del presidente russo.

Cucinare è il segreto per non ingrassare

Fonte: http://www.italiasalute.it/copertina.asp?Articolo_ID=12688

Diete_12688CChi è appassionato di cibo da asporto dovrebbe riflettere sulle proprie abitudini. Mangiare spesso cibo già pronto, al ristorante, al bar o portandolo appunto a casa, espone la persona a un rischio maggiore di ingrassare e di rischiare il sovrappeso o l’obesità.
Ovviamente il cibo già pronto è molto più comodo perché non bisogna perdere tempo a cucinare, il che presuppone anche pulire ciò che si è sporcato per la preparazione. Inoltre, il cibo da asporto o quello consumato nei locali è in genere più saporito. Tuttavia, questa tendenza andrebbe limitata perché poco salutare e suscettibile di creare una vera e propria dipendenza.
Ci avvertono del rischio i ricercatori dell’Università di Cambridge che hanno realizzato uno studio pubblicato sul British Medical Journal nel quale sostengono che i soggetti che mangiano spesso cibo già pronto rischiano appunto la dipendenza, mangiano di più e hanno il doppio di probabilità di diventare obesi.
In media, queste persone consumano 5,7 grammi di cibo in più degli altri rispetto a chi mangia più spesso cibo cucinato a casa. Si tratta di una quantità forse all’apparenza poco pericolosa, ma in realtà è sufficiente, se l’abitudine si protrae a lungo, ad aumentare il rischio di assumere peso in
eccesso.
A livello di Bmi, l’indice di massa corporea, i primi avranno un aumento di 1,21 punti e due volte più probabilità di diventare obesi. In definitiva, quindi, il cibo che si cucina a casa è più sano e andrebbe privilegiato, sforzandosi di prepararlo anche quando il tempo e la voglia a disposizione sono pochi. Il vostro organismo vi ringrazierà.

L’ars retorica di Putin sulla Crimea

Fonte: http://www.iljournal.it/2014/lars-retorica-di-putin-sulla-crimea/569478

Nel discorso al parlamento di Mosca, il presidente russo ha fatto sfoggio della più classica arte della retorica politica, disegnando lui e la Russia come coloro che hanno impedito vittime e disastriShare

Dopo che ieri Barack Obama aveva parlato in tv per annunciare e confermare le sanzioni contro la Russia decise dagli Stati Uniti, oggi Vladimir Putin ha tenuto un discorso al Parlamento russo, la Duma.

 

Il referendum della Crimea per l’annessione alla Russia si è svolto nel pieno rispetto del diritto internazionale e che l’esito è del tutto convincente. Siamo qui per una vicenda vitale, storica. La Crimea è una parte inalienabile della Russia. La Russia non poteva non rispondere alla richiesta di aiuto della Crimea. Non rispondere sarebbe stato un tradimento. Se non avessimo preso sotto il nostro controllo la Crimea, ci sarebbero state vittime. Non c’è stato alcun conflitto armato, non ci sono state vittime, perchè è difficile, anzi impossibile, combattere contro la volontà del popolo.

Quanto accaduto a Kiev è stato un colpo di Stato di forze estremiste, ultranazionaliste e antisemite e le attuali autorità non sono legittime. Non abbiamo violato alcuna norma internazionale in Crimea e le forze armate russe non sono entrate in Crimea, c’erano già in conformità all’accordo con Kiev, non abbiamo neppure superato il limite previsto di 25 mila unita. Il trasferimento della Crimea all’Ucraina fu frutto di grosse violazioni e fu deciso dietro le quinte in uno stato totalitario, mettendo la gente di fronte al fatto compiuto. In Crimea ci saranno tre lingue: russo, ucraino e tataro.

La Russia intende adottare tutte le misure per ripristinare i diritti dei tatari di Crimea e riabilitarli. Anche questa comunità, come ha dimostrato l’esito del referendum, ha scelto la Russi. Abbiamo grande rispetto di tutte le etnie che vivono in Crimea. C’è stato un periodo della storia in cui questa etnia ha subito trattamenti ingiusti, ma loro hanno deciso di tornare alla loro terra

 

Il presidente russo ha dato disposizione di approvare la bozza di accordo tra la Russia e la Crimea per l’annessione di quest’ultima firmando un decreto che spiana la strada all’annessione della Penisola – a 70 anni esatti dall’inizio dell’offensiva dell’armata rossa che avrebbe portato al fine dell’occupazione nazista. Nel decreto firmato da Putin si prende atto della “volontà espressa dal popolo della Crimea nel referendum del 16 marzo 2014″ e si formalizza che da questo momento la Russia riconosce la penisola come “Stato indipendente e sovrano”. Mosca riconosce inoltre “uno statuto speciale” per la città di Sebastopoli, dove si è tenuta una consultazione parallela nell’ambito del processo di secessione dall’Ucraina.

Centrali a carbone: la più grande minaccia per il clima e per la salute

Scritto da: Nicoletta
Fonte:http://www.soloecologia.it/

centrali-a-carboneL’attuale sistema energetico mondiale è basato per oltre l’80% sull’utilizzo dei combustibili fossili: petrolio, carbone e gas naturale. Anche i bambini sanno che, oltre a trattarsi di risorse limitate e non rinnovabili, sono anche materiali altamente inquinanti. Oggi, a livello globale il carbone è il combustibile più usato dopo il petrolio ed è la maggiore fonte per la produzione di energia elettrica, con tre tipi di impatto negativo: sul livello di inquinamento, sul clima del Pianeta e sulla salute di tutti gli organismi viventi.

Attualmente in Italia sono in funzione 13 centrali a carbone, che lo scorso anno hanno generato il 13,7% del fabbisogno elettrico complessivo ma hanno immesso nell’atmosfera oltre 40 milioni di tonnellate di CO2 – pari a oltre un terzo delle emissioni del sistema elettrico nazionale. Tra l’altro, il carbone utilizzato nel nostro Paese è quasi interamente importato, perché il nostro Paese è praticamente privo di risorse carbonifere. Tuttavia, produrre energia con il carbone costa poco e rende molto – se ci si scorda di calcolare i costi per la salute e per l’ambiente. Dal punto di vista sanitario, la combustione del carbone immette nell’aria oltre 80 sostanze pericolose e metalli pesanti con effetti ben noti come l’asma, le infezioni polmonari, tumori, infertilità maschile, malformazione dei feti. L’impatto sulla salute delle 13 centrali italiane attive è stato studiato seriamente e stimato tra i 500 e le 550 morti premature ogni anno soltanto a causa di due delle sostanze citate: le polveri ultrasottili (PM2.5) e l’ozono.

Ma la nazione del mondo che vive più drammaticamente la scelta di utilizzare centrali a carbone è sicuramente la Cina, continuamente in emergenza per il livello di inquinanti. Se la soglia di rischio per l’OMS è di 25 microgrammi per metro cubo di aria, in Cina si superano tranquillamente i 400 microgrammi, con punte di 900 microgrammi. In una situazione del genere, anche il consiglio di restare in casa non limita il danno per la salute dei cinesi, come risulta chiaro dalle stime sulle morti premature nel grande gigante asiatico.

Per tornare al nostro Paese, la Rete costituisce sicuramente un ottimo mezzo per lottare su questo fronte: ad esempio testimoniare su Internet i danni apportati dall’inquinamento nella propria zona e fare delle richieste. Ricordiamo le campagne di Change.org e la storia di Ilaria una ragazza savonese malata di linfoma di Hodgkin (con molta probabilità per aver sempre vissuto nei pressi di una centrale a carbone), ha raccontato la sua storia e portato avanti una petizione che alla fine ha convinto ENEL a non convertire l’impianto di Porte Tollo come aveva in programma di fare nella zona del delta del Po. L’hashtag utilizzato per comunicare sui social network è stato per tutto il tempo #bastacarbone.

Mehmet Ali Agca

Fonte: http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=760&biografia=Mehmet+Ali+Agca

 

Mehmet_Ali_AgcaChe Karol Wojtyla fin dall’inizio del suo mandato volesse far cadere il regime comunista non è un mistero. E siccome il comunismo non è mai stato tenero con i suoi oppositori pare naturale che il Kgb si opponesse a questo disegno in modo feroce, risoluto, tanto da tentare il colpo clamoroso: uccidere il Papa. Un colpo che se fosse riuscito sarebbe stato fra i più clamorosi del secolo.

La posta in gioco era troppo alta e il Kgb non aveva nessuna intenzione di esporsi in primo piano, soprattutto in previsione di un possibile fallimento, che fortunatamente si verificò. Così gli agenti del servizio segreto sovietico si rivolsero a quelli dei servizi bulgari, i quali fecero pressione sui colleghi turchi affinché si trovasse un killer disposto a sparare al Santo Padre.

Venne designato allo scopo Alì Agca, un fanatico invasato, con l’inclinazione al martirio di stampo religioso e, a quanto si dice, dalla mira infallibile. Il problema però era che Agca a quel tempo risiedeva in una prigione di massima sicurezza. I servizi segreti tuttavia non ci misero nulla a farlo evadere per poi farlo confluire nell’organizzazione di estrema destra soprannominata “Lupi grigi”, già ben conosciuta da Agca, guidata dal torvo Oral Celik. Per conto dell’organizzazione nel 1979 Agca si macchia di un delitto orrendo: l’uccisione dell’inerme Abdi Ipekci, giornalista e direttore del quotidiano liberale “Milliyet”.

E’ il 13 maggio 1981 quando Ali Agca è presente in piazza San Pietro pronto a compiere il suo turpe gesto. Una volta premuto il grilletto però la pallottola esplosa dal turco miracolosamente lascia illesi gli organi vitali del Santo Padre: il pontefice affermerà con ferma e convinta fede che il colpo fu deviato dalla provvidenziale mano della Madonna di Fatima.

Il terrorista, nato il 19 gennaio 1958 a Yesiltepe in Turchia, nella provincia di Malatya ai confini del Kurdistan, viene così arrestato e sottoposto agli interrogatori di rito.

Il 22 luglio 1981, dopo tre giorni di processo, i giudici della corte di Assise, condannano Mehmet Ali Agca all’ergastolo, in base alle risultanze processuali, le quali chiariscono, contrariamente a quanto strenuamente sostenuto dalla difesa, tutta tesa a presentare Agca come un fanatico in preda a delirio e in cerca di gloria nel mondo musulmano, che il vile attentato “non fu opera di un maniaco, ma venne preparato da un’organizzazione eversiva rimasta nell’ombra“. I giudici, per quanto inabili a provare in modo ferreo il complotto, non credono all’infermità mentale di Ali Agca o a presunti delirii mistici. Il terrorista, conscio della sua posizione di totale inferiorità, rinuncia a presentare appello.

L’anno seguente un’altra sentenza clamorosa si abbatte sul capo di Agca: il Consiglio nazionale di sicurezza turco riconosce la sua responsabilità nell’assassinio del giornalista e lo condanna alla pena di morte. Una successiva amnistia, frutto dei misteriosi meccanismi giudiziari turchi, lo condona però ad una pena di soli dieci anni di detenzione.

Sorprendendo tutti nel 1982 Ali Agca cambia la sua versione difensiva e comincia ad ammettere l’esistenza di una pista bulgara che collegherebbe l’attentato al Papa Giovanni Paolo II ai servizi segreti della Bulgaria. Emerge finalmente anche il nome del presunto complice, Oral Celik, che, a sentire Agca, sarebbe intervenuto in caso di fallimento. Agca sembra pentito, quasi redento: il suo spirito appare collaborativo e teso a risolvere i misteri che lo circondano.

Il 20 febbraio 1987 Papa Giovanni Paolo II riceve la mamma ed il fratello di Agca che gli chiedono di intercedere per la grazia. In seguito il Pontefice farà più volte visita al suo attentatore in carcere, in una serie di commoventi colloqui che hanno dimostrato a tutto il mondo la grande umanità e il superbo spessore spirituale di Karol Wojtyla.

Se la grazia ancora non arriva, la sua buona condotta in carcere consente ai magistrati di diminuire ulteriormente la pena: il 25 maggio 1989 il Tribunale di sorveglianza di Ancona concede una riduzione di 720 giorni di reclusione; il 9 gennaio 1994 la riduzione è di altri 405 giorni; il 18 dicembre 1995 è di 180 giorni.

Tali provvedimenti consentono di abbreviare il termine di 26 anni di reclusione, scontati i quali un ergastolano può chiedere la libertà condizionale. Agca nel settembre del 1996 presenta nuovamente la domanda di grazia o, in subordine, l’espiazione della pena in Turchia.

Il 13 giugno 2000 il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi concede la grazia: il giorno seguente Ali Agca viene estradato dall’Italia e giunge ad Istanbul.

In Turchia, nel carcere di massima sicurezza di Kartal, Ali Agca avrebbe dovuto scontare i dieci anni per l’assassinio del giornalista Abdu Ipekci ma, il 18 luglio 2001, un provvedimento del Tribunale costituzionale turco predispone un allargamento dei reati beneficiari di amnistia, per il quale Ali Agca potrà tornare in libertà.

Nel gennaio del 2006, anche per buona condotta, Agca viene scarcerato. Dopo poco la Corte di cassazione, su appello del ministro della Giustizia turco, decide per il suo ritorno in carcere. Agca fa perdere le sue tracce, ma in pochi giorni la poliza lo rintraccia e lo arresta senza che questi opponga resistenza. Viene reso libero nel gennaio del 2010.

PRIMA DI TROVARE LE RISPOSTE BISOGNA PORSI LE DOMANDE…

Scritto da: Luciano Gianazza
Fonte: http://www.medicinenon.it/

lucianoSembra ovvio eppure pochi si pongono le domande giuste riguardo alla propria salute. Cosa sono in realtà le medicine? Perché funzionano? Che cosa fanno al nostro corpo, alle nostre emozioni, alla nostra mente? Se non lo sai, questo è il tuo sito.

Viviamo in un’era difficile. La tecnologia avanza, possiamo portare ogni angolo del mondo nella nostra stanza con un computer e una linea telefonica. I mass media informano di tutto e su tutti. Assimiliamo tutto con facilità, ma non sempre ci prendiamo la briga di verificare ciò che ci viene detto. Molto spesso le informazioni che riceviamo non hanno reale fondamento, lo crediamo solo perché chi le fornisce spesso è un Esperto o una Autorità. Ma interessi economici di vasta portata spesso non coincidono con il benessere dell’individuo.

MEDICINENON si prefigge di rimuovere falsa informazione per poi fornire quella corretta.

Oggi la salute è diventata un soggetto molto complesso e articolato. In effetti la scienza ufficiale non ottiene risultati definitivi, non risolve le malattie. Un determinato soggetto deve la sua complessità all’introduzione di arbitrari, bugie, teorie che non sono applicabili. La verità è semplice. Un soggetto difficile, complicato contiene molta falsità. La medicina ortodossa e dogmatica non raggiungerà mai dei risultati apprezzabili perchè non indirizza il suo operato alla causa della malattia, ma si limita alla scomparsa dei sintomi. Tale scomparsa è temporanea perché la causa che ha prodotto quei sintomi non è stata rimossa. Il motivo per cui l’industria della salute agisce così è perché lo spettacolo deve continuare, le ditte farmaceutiche devono mantenere alta la produzione dei farmaci, i chirurghi devono tagliare, gli psichiatri devono sedare.

Le multinazionali delle derrate alimentari usano additivi e conservanti che potrebbero venire usati per imbalsamare. I loro prodotti devono durare tanto tempo sugli scaffali dei supermercati. Ma quando entrano nel nostro corpo fanno apparire vari sintomi e se ricorriamo al medico, pensando di essere ammalati, ci prescriverà medicine e il gioco continua.

Il cibo ha un ruolo fondamentale nel produrre uno stato di salute o di malattia. Ma anche se una persona si nutrisse del cibo migliore che esiste sarebbe a metà strada. L’altra metà consiste nell’agire secondo i propri principi e ciò che si ritiene giusto. Se, per esempio, ritengo che non sia giusto che vengano violati i diritti dell’Uomo e quando vengo a conoscenza di tali violazioni non faccio nulla a riguardo, la salute potrà essere compromessa. Le malattie nascono prima nell’anima e poi si manifestano anche nel corpo. Ma siamo sempre noi che piantiamo il seme.

Vai a lavoro in bicicletta? Ti rimborso i chilometri percorsi

Scritto da: Simone Ricci
Fonte: http://www.iljournal.it/2014/vai-a-lavoro-in-bicicletta-ti-rimborso-i-chilometri-percorsi/565412

In Francia è stato predisposto un piano nuovo di zecca per la ciclabilità: previsto anche un indennizzo di 25 centesimi ogni chilometro per chi rinuncia all’auto.

 

Gli amanti delle due ruote sono pronti a gongolare in Francia: il locale Ministero dei Trasporti, infatti, ha preparato un piano nuovo di zecca per quel che riguarda le biciclette, una serie di misure che ha a che fare anche con l’economia. Visto che l’obiettivo dichiarato è quello di aumentare il numero di chi utilizza questo mezzo, si sta pensando a un incentivo ben preciso, vale a dire venticinque centesimi per ogni chilometro percorso nel tragitto da casa a lavoro.

Il paese transalpino vanta diciassette milioni di ciclisti che sfruttano sellino e pedali almeno una volta la settimana, mentre sono tre milioni coloro che usano bici e altri mezzi di trasporto (soprattutto la metropolitana) in abbinamento. Ma sono numeri che ancora non soddisfano e che sono destinati a crescere. Quello che è già stato ribattezzato come “bike-plan” prevede venticinque misure distinte, un sistema virtuoso in grado di migliorare salute, ambiente e perfino la spesa pubblica.

Si va da obblighi ben precisi di circolazione a parcheggi ancora più sicuri nelle vicinanze delle stazioni ferroviarie o delle aziende. I venticinque centesimi citati in precedenza non sono altro che una indennità a chilometri destinata a lavoratori volontari: non tutte le compagnie sono state coinvolte, ma quelle più importanti non mancano. Il premio-risarcimento andrà a chi avrà rinunciato alla macchina per raggiungere il posto di lavoro.

Secondo i primi calcoli disponibili, la spesa per il progetto in questione ammonta a 110 milioni di euro, ma si confida molto nel fatto che i benefici futuri riusciranno a superare di parecchio i costi iniziali. Il piano francese riguarda in prima persona anche gli automobilisti comunque: in effetti, chi parcheggerà sulle piste ciclabili verrà multato (da 35 a 135 euro). Pura utopia? Come si è soliti dire tentar non nuoce.

Biografia di Mario Rigoni Stern

Scritto da: Francesco Troiano
Fonte: http://www.italica.rai.it/

stern (Asiago, Vicenza, 1921-2008)

“Rigoni non è scrittore di vocazione… Forse non sarebbe mai capace di scrivere di cose che non gli sono mai accadute”: così affermava Elio Vittorini  – in un risvolto di copertina della collana, poi divenuta leggendaria, dei “Gettoni” Einaudi – presentando “Il sergente nella neve” (1953), romanzo d’esordio fra i più notevoli della letteratura nostrana, oltre che coinvolgente testimonianza sul secondo conflitto mondiale.
Gli è che Mario Rigoni Stern – la cui opera completa è ora riunita in uno splendido volume dei Meridiani Mondadori, sotto il titolo di “Storie dall’Altipiano” – subì, ai propri inizi, un destino analogo a quello del suo buon amico Primo Levi: scontavano, entrambi, la diffidenza di tanti per la prosa di testimonianza, quasi essa potesse essere resa in maniera meccanica ed automatica, da semplici cronisti. Il tempo si incaricherà di far giustizia di detto fraintendimento, indicando nel Nostro uno degli autori più originali della scena indigena: nell’opera sua (sottolinea Eraldo Affinati, curatore appassionato della medesima), “il narratore è se stesso e tutti gli altri, come nel grande verismo meridionale”; quanto allo stile, “la precisione lessicale scaturisce dall’esperienza diretta, non dalla ricerca formale” fine a se stessa. Sternpassa gli anni dell’infanzia tra i pastori ed i montanari dell’ Altopiano di Asiago, all’indomani della Grande Guerra (“Per i lavori aiutavo in casa o nel negozio di generi alimentari che avevamo sulla piazza centrale del paese. Ma c’era anche da preparare la legna per l’inverno, tagliare il fieno…). Nel ‘38 entra a far parte della Scuola Militare d’alpinismo di Aosta e, in seguito, combatte come alpino in Francia, Grecia, Albania, Russia. Catturato dai tedeschi, quando l’Italia firma l’armistizio viene trasferito nella Prussia orientale. Fa ritorno a casa nel 1945 e, da allora, non si muove più dal suo luogo natale, ove vive nella dimora da lui stesso costruita; lavora al catasto comunale sino al ‘70, dipoi si dedica esclusivamente alla scrittura. L’ampiezza del proprio sguardo, insieme alla fedeltà ad alcuni temi (il rapporto fra l’individuo e la natura, il valore dell’amicizia, l’importanza del rigore morale), traspare dalle pagine di “Storie dall’Altipiano”: inoltre, la scelta di presentare i testi seguendo non l’ordine cronologico di uscita bensì il succedersi degli eventi narrati, vieppiù le evidenzia. Da “Storia di Tönle”, collocata tra ‘800 e ‘900, a “L’ultima partita a carte”, quasi un bilancio compiuto ad ottant’anni dell’esperienza militare d’una vita, si snoda il percorso d’una personalità libera ed originale: in tutto degna d’un posto nel pantheon letterario indigeno.