OLANDA: VINCONO TUTTI!

Fonte: http://icebergfinanza.finanza.com/2017/03/16/olanda-vincono-tutti/

 Solo due rapide considerazioni su quanto è accaduto in Olanda, visto che ovunque sui giornali mainstream si sta festeggiando una vittoria che non esiste, lo scampato pericolo.

Come spesso accade in Italia, hanno vinto tutti, nessuno ha perso!

Prima una premessa. Noi non tifiamo per nessuno, no di certo per estremisti o xenofobi, l’unico tifo che facciamo è che venga spazzata via questa “feccia” burocratica che sta soffocando l’Europa…

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L’Europa chiede di spazzare via altre 5000 anime, di mandarli a casa!

wwDetto questo con gli scrutini al 93 % questo è il risultato attuale in Olanda…

I due maggiori partiti al Governo insieme sono riusciti a perdere ben 37 seggi.

Il partito dei due laburisti che bazzicano Bruxelles, Dijsselbloem e Timmermans è stato letteralmente spazzato via dalla scena politica olandese, si il ricciolino presidente dell’Eurogruppo che va in giro a dare lezioni agli altri, quello che faceva il duro con la Grecia.

Servono 71 seggi per governare in Olanda, neanche mettendo insieme il terzo e quarto partito non ci sono i numeri. Cerchiamo di mettere nel giusto contesto questi numeri, capisco che sono terrorizzati dall’idea di perdere il loro giocattolino l’euro, ma la realtà è un’altra.

Continuate pure con austerità e deflazione salariale, il tempo è ormai scaduto!

 

Avocado: gli usi e le proprietà scientificamente provate

Scritto da : Marta Albè
Fonte: https://www.greenme.it/mangiare/cucina/8011-avocado-proprieta-usi-ricette

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Diverse ricerche scientifiche hanno voluto verificare le proprietà dell’avocado e i possibili benefici del consumo di questo frutto sulla salute umana. I vantaggi che offre sono legati in particolare alla presenza al suo interno di “grassi buoni”.

Si è visto ad esempio che una dieta a moderato consumo di grassi, in particolare acidi grassi monoinsaturi come appunto quelli contenuti nell’avocado (ma anche nell’olio di oliva) sia in grado di ridurre il colesterolo cattivo. Un’altra ricerca ha invece evidenziato come il consumo di avocado, anche in questo caso grazie alla presenza dei suoi grassi, aumenta l’assorbimento di carotenoidi e probabilmente anche di molti altri nutrienti utili al nostro organismo.

A differenza di quanto si possa pensare la presenza di grassi all’interno di un frutto come l’avocado non significa automaticamente che esso faccia ingrassare, anzi! Uno studio ha visto come il consumo di avocado riesca al contrario a ridurre i depositi di grasso nei tessuti ma anche nel fegato. 

Altra proprietà utile dell’avocado è la sua azione antiaggregante e antitrombotica. A questo proposito una ricerca ha notato come alcune sostanze contenute in questo frutto ne facciano un rimedio naturale nella prevenzione di eventi ischemici.

Altre ricerche hanno voluto valutare l’effetto dei principi nutritivi dell’avocado in relazione alla glicemia e al diabete. In questo caso però l’effetto positivo sui livelli di glicemia nel sangue si è visto utilizzando un estratto di semi di avocado.

L’olio di avocado, invece, si è mostrato utile nel trattamento della psoriasi a placche cronica associato alla vitamina B12 ma anche più in generale questo frutto è benefico per la pelle vista la ricchezza di nutrienti, proteine e sali minerali, così come vitamine A, D ed E. Si rivela dunque un’ottimo idratante per la pelle secca, danneggiata o screpolata. Uno studio ha valutato proprio la capacità rigenerativa nei confronti di piccole ferite dell’olio di avocado.

Alcuni nutrienti presenti nell’avocado potrebbero infine essere delle potenziali molecole terapeutiche nel trattamento del cancro al seno.  C’è bisogno però di maggiori ricerche in proposito dato che quella a cui si fa riferimento è stata al momento condotta solo su animali. Non era comunque la prima volta che si associava l’avocado alla prevenzione o trattamento di alcuni tipi di cancro, un altro studio aveva ad esempio valutato le potenzialità di questo frutto nell’inibire la crescita di cellule tumorali nel cancro alla prostata.

Ricapitolando, i benefici scientificamente provati dell’avocado sono:

• Riduce il colesterolo cattivo

• Aumenta l’assorbimento di carotenoidi e altri nutrienti utili

Riduce i depositi di grasso

• Ha azione antiaggregante e antitrombotica

• Tiene a bada la glicemia nel sangue

• L’olio di avocado è attivo contro la psoriasi a placche

• Aiuta la guarigione della pelle

• Ha doti antitumorali ancora da approfondire

Come scegliere l’avocado

Prima di acquistare un avocado è bene fare attenzione ad alcuni particolari per evitare di prendere un frutto troppo maturo o al contrario troppo acerbo e dunque inutilizzabile.

L’avocado maturo al punto giusto ha la buccia verde scuro priva di ammaccature o punti che tendono al marrone. Ma questo non basta per valutare la sua maturazione, è necessario infatti anche toccarlo. Un avocado pronto per essere mangiato ha una consistenza leggermente morbida, il dito però non deve sprofondare in questo caso infatti si tratta di una maturazione già troppo avanzata (non buttate comunque via un avocado troppo maturo, si può utilizzare benissimo per i trattamenti di bellezza che vi proponiamo qui sotto).

Si può fare poi la prova del picciolo che si stacca facilmente se l’avocado è maturo, tende invece a fare resistenza in caso il frutto sia ancora in parte acerbo. Nel buchino che si forma in cima si può notare poi una polpa che tende al marrone se l’avocado è molto maturo, verde o giallo chiaro se è acerbo e un giallo più deciso se invece è a giusta maturazione. (Questa prova si può fare ovviamente solo con i frutti che si hanno in casa).

Se avete acquistato un avocado ancora acerbo, per favorirne la maturazione potete metterlo vicino a delle mele.

Dove comprare l’avocado

L’avocado si trova disponibile ormai in tutti i supermercati, alimentari e negozi esotici. Anche gli shop biologici hanno spesso disponibile questo frutto. Nella maggior parte dei casi l’avocado arriva da molto lontano e non si tratta quindi di un frutto a km 0, fortunatamente però è da qualche anno che viene coltivato anche nel Sud Italia, cercate quindi il più possibile di acquistare frutta italiana e biologica per voi e per l’ambiente.

Leggi anche: L’AVOCADO? ARRIVA QUELLO BIOLOGICO, ETICO E KM ZERO PRODOTTO IN ITALIA 

Per acquistare avocado biologico potete ad esempio partecipare ad un Gas, gruppo di acquisto solidale, in modo da ammortizzare i costi della spesa e avere sempre frutta e verdura biologica e di stagione.

5 trattamenti di bellezza

1) Maschera per capelli

La polpa dell’avocado è ricca di vitamine, della cui presenza possono beneficiare anche i nostri capelli. L’applicazione di una maschera all’avocado permette di ottenere capelli più morbidi, lucidi e lisci e di tenere a bada l’effetto crespo. La maschera completamente naturale che vi proponiamo dovrà essere applicata sui capelli prima del normale shampoo. Per realizzarla vi basterà frullare la polpa di mezzo avocado con due cucchiai di olio d’oliva o di olio di jojoba. Stendete la maschera sui capelli umidi, indossate una cuffia da doccia e avvolgete eventualmente con un asciugamano. La maschera dovrà essere lasciata agire per almeno 20 minuti prima di passare al lavaggio.

2) Maschera per il viso

La vitamina E contenuta nella polpa di avocado aiuterà a prevenire i segni del tempo dovuti all’azione dei radicali liberi sulle cellule del vostro viso. Per ottenere una maschera efficace vi basterà frullare una piccola quantità di polpa di avocado con un cucchiaino di olio di jojoba o di rosa mosqueta. Applicate sulla pelle del viso asciutta e senza trucco e lasciate agire per un quarto d’ora. Quindi risciacquate con acqua tiepida.

3) Trattamento idratante

Per ottenere un trattamento idratante per il viso o per il corpo, massaggiate la vostra pelle strofinando su di essa la parte interna della buccia dell’avocado. Gli oli della polpa rimasta su di essa potranno in questo modo raggiungere la vostra pelle. Lasciateli agire almeno per una decina di minuti prima di passare alla consueta detergenza.

4) Scrub esfoliante

Per ottenere uno scrub esfoliante a base di avocato aggiungete alla sua polpa, dopo averla frullata, due cucchiai di farina di avena ed un cucchiaino di succo di limone. Amalgamate il tutto ed utilizzatelo come se si trattasse di uno scrub dall’azione molto delicata, adatto anche per le mani e per il viso. Per ottenere uno scrub dall’azione potenziata, aggiungete anche un cucchiaio di sale fino.

5) Per il cuoio capelluto

Grazie alla polpa di avocado è possibile ottenere un trattamento in grado di agire contro la forfora e di favorire la crescita dei capelli. Mescolate tre cucchiai di polpa di avocado frullata con un cucchiaino di olio di neem, al quale avrete aggiunto poche gocce di olio essenziale di lavanda. Massaggiate questo mix sulla cute prima dello shampoo, preferibilmente a capelli umidi e lasciate agire per un tempo variabile tra i 15 ed i 30 minuti prima di passare al lavaggio.

5 modi per usare l’avocado in cucina

1) Per sostituire il burro

La polpa di avocado può essere utilizzata nelle preparazioni dolci per sostituire il burro, con l’effetto di ottenere pietanze decisamente più leggere. Se ne avrete l’occasione, provate dunque ad utilizzare questo ingrediente per la preparazione di torte, crostate o biscotti, iniziando facendo in modo che la polpa di avocado frullata venga adoperata per sostituire almeno la metà del quantitativo di burro (o di margarina) indicato nella ricetta che seguirete. La consistenza cremosa dell’avocato ed il suo sapore delicato non vi faranno sentire la mancanza del burro.

2) Insalata di avocado

La polpa di avocado può essere tagliata a cubetti ed aggiunta per arricchire le vostre fresche insalate estive. Esse potranno ad esempio comprendere la presenza di lattuga, rucola, olive verdi e nere, mais, zucchine e carote affettate a julienne. Un insalata di questo tipo può essere condita con olio extravergine d’oliva e succo d’arancia o di limone.

3) Salsa guacamole

La salsa guacamole è una delle principali preparazioni tradizionali in cui l’avocado viene utilizzato e rappresenta l’ingrediente predominante. Una delle tante varianti per la preparazione della salsa guacamole prevede di schiacciare con una forchetta la polpa di un avocado, o di frullarla, aggiungendo il succo di mezzo limone. Ad essa andranno aggiunti sale e pepe, qualche spicchio d’aglio, della cipolla tritata ed un pizzico di peperoncino fresco o essiccato. La salsa dovrà essere lasciata riposare in frigorifero per 30 minuti prima di servirla, accompagnata da pane casereccio o tortillas.

4) Avocado ripieni

Ecco una ricetta per un piatto fresco ed estivo perfetto per variare il vostro menù. Dividete il vostro avocado in due parti, estraete il nocciolo e scavate una parte della polpa. Quindi mescolate la polpa con alcuni cucchiai di panna vegetale, zucchine crude tagliate a cubetti, olive spezzettate, pangrattato e noci tritate. Riempite con il mix di ingredienti le vostre fette di avocado e conservate in frigorifero fino al momento di servire. Salate e pepate a piacere.

5) Zuppa fredda di avocado

Per preparare una zuppa fredda di avocado vi servirà la polpa di tre avocado maturi. Essa dovrà essere frullata con un bicchiere di brodo di verdure, che avrete lasciato raffreddare in precedenza, due cucchiai di panna vegetale, e sale fino. La zuppa potrà essere guarnita con semi di cumino o di finocchio e accompagnata da crostini di pane. Potrete aumentare o diminuire la quantità di brodo a seconda della densità desiderata.

Una transizione è possibile?

Scritto da: Marco Cedolin
Fonte: http://ilcorrosivo.blogspot.it/2017/03/una-transizione-e-possibile.html#more

Non dovrebbero più esistere dubbi sul fatto che il modello sviluppista, basato sulla crescita infinita, sull’uso smodato dei combustibili fossili e sulla logica del consumo per il consumo sia ormai arrivato al capolinea. Lo stato di profonda sofferenza in cui versa la biosfera, lo spettro sempre più reale dei cambiamenti climatici, i livelli d’inquinamento intollerabili che attanagliano le nostre città, la crisi che sta devastando gli ecosistemi più delicati, la drammatica perdita delle biodiversità, stanno a testimoniare come ogni limite sia stato abbondantemente superato ed impongono in maniera sempre più pressante una riflessione sulla necessità di una transizione verso un modello di sviluppo (o di decrescita) profondamente diverso da quello attuale…..
Qualsiasi modello sociale prossimo venturo dovrà per forza di cose possedere grandi quantità di quella resilienza che da sempre appartiene ai sistemi naturali, ma risulta del tutto aliena al “nostro” sistema basato sulla crescita e lo sviluppo. Sarà necessario ripensare in profondità l’equilibrio fra l’uomo e l’ambiente in cui vive, trasformando in un rapporto simbiotico l’attuale atteggiamento di predazione sistematica. Sarà indispensabile cambiare radicalmente i metodi di produzione energetica, abbandonando progressivamente le fonti fossili e sostituendole con quelle rinnovabili. Occorrerà sostituire al più presto l’economia di stampo mondialista, dove le merci si muovono in maniera ipercinetica, bruciando senza senso miliardi di tonellate di petrolio, con un’economia a misura d’uomo, basata sul concetto di comunità, di produzione e consumo locale, quando è possibile riscoprendo anche l’autoproduzione. Il tutto nell’ottica della transizione verso una società che sostituisca la crescita e lo sviluppo con l’armonia e il benessere, come valori fondanti della stessa.

Alcuni passi in questo senso sembrano già essere in nuce, basti pensare a progetti come quello delle Transition Towns o all’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile approvata dall’ONU lo scorso settembre a New York, pur senza dimenticare che la classe dirigente delle Nazioni Unite è parte integrante della stessa elite mondialista che per oltre un secolo ha sponsorizzato “l’illusione” che fosse possibile costruire una crescita infinita all’interno di un mondo finito. Una transizione è senza dubbio indispensabile, prima ancora che possibile, resta solo da vedere quando e come ne verrà colta appieno la necessità

La vita di Prospero Alpini

Fonte: http://www.prosperoalpini.it/index.php/prospero-alpini/la-vita-di-prospero-alpini

Prospero Alpini (1553-1616) fu il quarto Prefetto dell’Orto botanico di Padova, certamente uno dei più famosi. Nel 1963, sulla base di un approfondito studio documentario, è stato possibile dimostrare che la forma corretta del suo cognome è Alpini, e non Alpino, come più comunemente si usa.

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La forma Alpini, infatti, non soltanto compare in quasi tutti i documenti dell’epoca in cui è riportato in volgare il casato di lui (dall’atto di matrimonio a quello di morte), ma anche (e ciò ha un peso decisivo) è da lui utilizzata negli autografi in volgare che hanno il carattere di atti ufficiali, come la polizza dei beni e il testamento.

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Nato a Marostica (Vicenza) il 23 novembre 1553, figlio del medico Francesco, Prospero Alpini conseguì il dottorato in filosofia e medicina nello Studio di Padova il 28 agosto 1578. Nel 1580, spinto dall’esempio del suo maestro Melchiorre Guilandino (Wieland, 1520-1589), egli colse l’occasione che gli si presentò, grazie ai buoni uffici di Antonio Morosini, di accompagnare in qualità di medico il patrizio Giorgio Emo, nuovo console di Venezia al Cairo in Egitto. Il suo soggiorno in Egitto si protrasse fino ai primi giorni dell’ottobre 1584: la sua attività in quel periodo e le molteplici osservazioni compiute, non soltanto mediche e naturalistiche, ma anche etnologiche, storiche e archeologiche, sono in buona parte contenute nelle tre opere De medicina Aegyptiorum libri quatuor (1591), De balsamo dialogus (1591) e De plantis Aegypti liber (1592). Nel De plantis Aegypti sono descritte e illustrate una cinquantina di specie medicinali spontanee e coltivate delle regioni da lui visitate, di largo uso nella medicina egiziana del tempo; l’opera è corredata da illustrazioni molto precise, eseguite da un pittore veneziano di cui si ignora il nome. Tra le specie descritte e delineate figura la pianta del caffè (Coffea arabica L.), ma già l’anno precedente nel De medicina Aegyptiorum aveva presentato gli impieghi terapeutici della bevanda ottenuta dai semi tostati. Altre due opere dedicate alle osservazioni compiute in quegli anni furono pubblicate postume, De plantis exoticis libri duo, pubblicata nel 1627 dal figlio Alpino Alpini, e Rerum Aegyptiarum libri IV, da lui ordinata e preparata per la stampa negli ultimi anni di vita, ma uscita soltanto nel 1735, a cura di Bartolomeo Sellari, cancelliere dell’Università.

Le opere pubblicate tra il 1591 e il 1592 ebbero un’accoglienza molto favorevole e, soprattutto, richiamarono su di lui l’attenzione dei Riformatori dello Studio di Padova, che, convinti d’esser riusciti a porre la mano sopra un soggetto che l’avrebbe degnamente occupata, si risolsero a far cessare la lunga vacanza della cattedra di lettura dei semplici, che si protraeva fin dal 1568. Nominato lettore dei semplici con ducale del 19 aprile 1594, con lo stipendio annuo di duecento fiorini, l’Alpini si dedicò con grande impegno all’insegnamento, giungendo a spendere del proprio denaro per procurarsi i semplici necessari per le dimostrazioni agli scolari. Riconfermato alla lettura dei semplici con ducale del 23 giugno 1601, con un aumento di stipendio di 150 fiorini annui, nello stesso anno pubblicò un’opera destinata ad avere un grande successo, intitolata De praesagienda vita, et morte aegrotantium libri septem, che in realtà era parte di un più ampio lavoro «de medico praesagio», di cui nel 1966 è stata pubblicata una parte superstite, intitolata De longitudine et brevitate morborum. Il De praesagienda è un’opera clinica, semeiologica, che si fonda sull’antico pensiero ippocratico, in cui l’Alpini introduce un criterio sistematico, arricchito e verificato dalle proprie osservazioni personali.

cortusi giacomo antonio

Ma nel frattempo essendo giunto a morte nel giugno 1603 Giacomo Antonio Cortuso (1513-1603), prefetto dell’Orto botanico di Padova e ostensore dei semplici, il 3 ottobre dello stesso anno l’Alpini «prontamente» si offrì ad unire alla lettura dei semplici anche gli incarichi resisi vacanti. Così nel 1603 fu incaricato anche della prefettura dell’Orto e dell’ostensione dei semplici, con aggiunta di 50 fiorini ai 350 che già riceveva. La successiva ricondotta, avvenuta con la ducale del 5 agosto 1606, nel riconoscere i meriti dell’Alpini portava il suo stipendio a 550 fiorini.

Con la nomina a Prefetto dell’Orto e ad ostensore dei semplici, la sua fama di medico, di naturalista e di insegnante superò i confini del Veneto e dell’Italia. Il decennio che va dal 1603 al 1613 segna il culmine della sua attività didattica e scientifica. Nel 1611 pubblicò il De medicina methodica libri XIII, interessante e acuto tentativo di ridestare l’attenzione dei medici verso l’antica dottrina dei metodici e quindi verso il pensiero solidista. Attinente alla botanica e alla materia medica è invece l’operetta De Rhapontico disputatio in Gymnasio Patavino habita (1612), in cui è illustrata una specie di rabarbaro (Rheum rhaponticum L.) proveniente dai monti di Rodope nella .Tracia (l’odierna Bulgaria), ricevuta nel 1608 dal medico Francesco Crasso di Ragusa e che aveva attecchito facilmente nell’Orto, mantenendo in parte le proprietà terapeutiche: l’Alpini pertanto auspicava che la possibilità di coltivare questa specie a Padova eliminasse la dispendiosa importazione della droga e facesse cessare lo spaccio di surrogati poveri di principi attivi. Nel 1614 furono completati il De plantis exoticis e il Rerum Aegyptiarum libri IV, che – come si è detto – furono pubblicati postumi.

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Sotto la direzione di Prospero Alpini l’Orto botanico di Padova diventò un importante centro di studio e di ricerca, soprattutto per quanto riguarda la diffusione della coltivazione di molte specie esotiche. L’Alpini fu in corrispondenza con molti studiosi italiani e stranieri, con i quali effettuò scambi di piante e di semi, tra i quali Gaspard Bauhin (1560-1624) e Joachim Camerarius iun. (1534-1598).

Ricondotto il 29 marzo 1613, con uno stipendio portato a 750 fiorini annui, gli ultimi anni di vita dell’Alpini furono pesantemente segnati dalle sue precarie condizioni di salute. Tra il 1613 e il 1614 l’Alpini per quattro mesi soffrì di violenti dolori articolari («dolores arthritici miserabiles»), ai quali fece seguito un accidente apoplettico («malum gravissimum symptoma apoplecticum»), che lo condusse in fin di vita. Sopravvennero quindi dapprima una gravissima infiammazione cutanea («erysipelas perniciosum») e quindi nel settembre 1614 una «phrenitis letalissima», con febbre altissima e delirio, che durò per quattordici giorni. In aggiunta a questi mali, l’Alpini improvvisamente fu colpito da un nuovo genere di sordità («surditatis genere inaudito»): sentiva le voci e i suoni ma non li comprendeva, come se gli uomini parlassero lingue a lui sconosciute. È la prima descrizione della particolare forma di sordità che in seguito fu chiamata sordità verbale di Wernicke, ossia la perdita della capacità di comprendere il significato delle parole, come se si trattasse di una lingua sconosciuta. «Profecto fateor me infelicissimum vivere», egli scrive con parole accorate, accennando al grave stato depressivo («melancholia») che gli derivò. Ma, abituato com’era a trar partito da ogni osservazione, concepì l’idea di scrivere un trattato De sur­ditate, convinto che nessun medico ne avesse compreso la vera natura.

Infine, colpito da una «lenta febris» negli ultimi mesi di vita, si spense sessantatreenne a Padova il 23 novembre 1616, suo giorno natale. Fu sepolto nella Basilica di Sant’Antonio.

Prospero Alpini si sposò due volte. La prima moglie fu la bassanese Guadagnina Guadagnini, vedova, figlia di Lazzaro Guadagnini, con cui si sposò a Bassano il 16 novembre 1587, deceduta anteriormente al 1598. La seconda moglie la padovana Bartolomea Tarsia, figlia del notaio Marco Tarsio, e dal loro matrimonio nacquero almeno sette figli, tra cui Alpino Alpini, che nel 1633 fu incaricato della lettura e dell’ostensione dei semplici e della prefettura dell’Orto nello Studio di Padova, ma che morì il 12 dicembre 1637.

Medico acuto e illuminato, «attento e accurato scrutatore delle piante», come lo definì il Saccardo, le sue ricerche botaniche furono sempre mirate alla conoscenza degli eventuali usi terapeutici delle specie considerate. Fu studioso della flora esotica, principalmente egiziana e cretese, ma si occupò anche della flora italiana e descrisse una nuova specie di Campanula, da lui trovata sul Grappa e descritta accuratamente nel De plantis exoticis e a cui diede il nome di C. pyramidalis minor (fig.), ribattezzata da Linneo Campanula alpini, ma ora chiamata Adenophora liliifolia (L.) D.C. Osservatore attento di fenomeni naturali, egli descrisse il movimento di veglia e di sonno delle foglie, da lui osservato particolarmente nel tamarindo (Tamarindus indica L., Caesalpiniaceae); inoltre, deve essere considerato un precursore dell’idea di una riproduzione sessuale nelle piante, con le sue osservazioni sulla fecondazione delle palme da datteri (Phoenix dactylifera L., Arecaceae) femminili da parte della ’polvere’ delle infiorescenze maschili.

Numerose e di grande interesse sono anche le osservazioni zoologiche (figg. ). La sua esplorazione dell’Egitto riguardò tutti gli aspetti di questo straordinario paese, e suscita una certa emozione ancor oggi leggere che tra i graffiti lasciati dai visitatori sulla sommità della grande piramide di Cheope egli trovò anche quello del suo maestro Guilandino.

Filippine, 112 ambientalisti uccisi, ora tocca agli avvocati

Fonte: http://www.salvaleforeste.it/it/blog/2-news-ita/diritti-ambientali/4255-gli-ambientalisti-sono-la-principale-minaccia-alla-libert%C3%A0.html

Mia Manuelita Cumba Masacariñas-Green era un avvocato ambientale. E’ stata assassinata davanti ai suoi 3 bambini il 15 febbraio 2017, mentre tornava a casa a Tagbilaran, Bohol. Mia era membro del consiglio direttivo del Centro di Assistenza Ambientale (ELAC). Mia aveva gestito una serie di cause civili e penali ambientali, lavorando con . Lei è stato lavorato con Alternative Law Groups (ALG). La sua morte porta a 112 il numero di attivisti ambientalisti uccisi nelle Filippine nel corso degli ultimi 15 anni, l’associazione filippina Kalikasan.
Global Witness riporta 88 uccisioni di attivisti ambientali e sindacali nelle Filippine nel giro di cinque anni, tra il 2010 e il 2015. Le aggressioni hanno raggiunto l’apice nel 2015, con 33 omicidi, facendo delle Filippine il secondo paese più pericoloso al mondo per gli attivisti ambientali, subito dietro il Brasile.
Secondo Front Line Defenders, l’anno scorso 281 difensori dei diritti umani sono stati uccisi in 25 paesi, il 49 per cento dei quali difendevano terra, indigeni e ambientali diritti. Front Line Defenders ha rilevato che nella stragrande maggioranza dei casi, le uccisioni sono state precedute da avvertimenti, minacce di morte e intimidazioni che, quando ha riferito alla polizia, sono stati sistematicamente ignorati. Oltre a omicidi, oltre la metà dei casi riportati da Front Line Defenders nel 2016 criminalizzazione interessata, una tattica che chiama l’organizzazione “la prima scelta dei governi per mettere a tacere i difensori e per dissuadere altri.
Parola di Myron Ebell: il movimento ambientalista è “la più grande minaccia per la libertà e la prosperità nel mondo moderno”. Nessuno stupore per una frase del genere, da un uomo pagato dall’industria per combattere le leggi ambientali. Peccato che quest’uomo sia stato messo da Trump a dirigere la transizione dell’agenzia ambientale statunitense.
Myron Ebell, che nega l’esistenza del cambiamento climatico, guida il team di transizione di Trump per l’Environmental Protection Agency (EPA).  Ebell ha anche dichiarato che Trump manterrà la sua promessa di far ritirare gli Stati Uniti dal trattato ONU sul cambiamento climatico.
Trump ha definito il cambiamento climatico una “bufala” e “stronzate”, e ha già sostituito la pagina di cambiamento climatico della Casa Bianca con una politica energetica basata su combustibili fossili, ha resuscitato il controverso oleodotto attraverso i territori indigeni, ha tentato di imbavagliare l’EPA, il Dipartimento di Agricoltura e il Servizio parchi nazionali.Ebell guida il “Competitive Enterprise Institute”, un gruppo di pressione finanziato dal gigante petrolifero ExxonMobil. Il FMI ha calcolato che i combustibili fossili ricevono 10 milioni di dollari in sussidi ogni minuto, mentre le compagnie  petrolifere spendono almeno 100 milioni di dollari l’anno in lobby.

Sorpresa: anche gli alberi vanno a dormire

Scritto da: Anna Lisa Bonfraceschi
Fonte: http://www.repubblica.it/scienze/2016/06/04/news/alberi_vanno_a_dormire-141275037/

IL FAMOSO naturalista Linneo aveva trasformato lo scandire del tempo da parte delle piante in una piccola opera d’arte. Nei suoi instancabili studi di botanica, si era accorto che alcuni fiori sbocciavano a diverse ore del giorno, e aveva sfruttato questa peculiarità per far costruire degli orologi floreali nei giardini dell’Università di Uppsala: diversi fiori disposti in circolo, secondo le ore di schiusa. Anni dopo un’altra star della biologia, Charles Darwin, avrebbe osservato come lo scorrere del tempo lasciasse segni anche sulle piante, parlando di sonno relativamente ai movimenti di steli e foglie durante la notte. Ma davvero le piante hanno un orologio interno? Davvero dormono? Sì, stando almeno ai risultati di uno studio preliminare pubblicato su Frontiers in Plant Science.

In realtà a stupire non è tanto l’adattamento del comportamento degli organismi viventi, piante comprese, al ritmo del giorno e della notte. D’altronde, l’evoluzione ha operato giocando su una serie lunghissima di albe e tramonti. A stupire i ricercatori è stata l’osservazione piuttosto di veri e propri movimenti notturni in due esemplari di betulla – uno in Austria e uno in Finlandia – analizzati con la tecnica del laser scanner, durante notti calme e senza vento, a ridosso dell’equinozio autunnale, così da garantire la stessa illuminazione in entrambi i siti.

Le misurazioni effettuate dal team di Eetu Puttonen del Finnish Geospatial Research Institute, a capo dello studio, mostrano infatti che di notte, i rami e le foglie degli alberi si rilassano, afflosciandosi in maniera visibile nei dati acquisiti dal laser. “L’intero albero si abbassa durante la notte, e questo diventa visibile nel cambio di posizioni nelle foglie e nei rami”, ha spiegato Puttonen: “Non si tratta di grandi cambiamenti, parliamo di appena 10 cm per alberi con un’altezza di 5 metri, ma erano cambiamenti sistematici e apprezzabili dalla precisione dei nostri strumenti”.

In particolare, continuano gli scienziati, i movimenti erano graduali e la posizione più bassa veniva raggiunta un paio d’ore prima dell’alba. All’arrivo del sole, invece, gli alberi riprendevano vigore, come risvegliandosi, ma non è chiaro se a far da sveglia fosse proprio la luce del sole o un orologio interno delle piante. Anche se, scrivono gli scienziati nel paper, il fatto che alcuni rami riprendessero posizione prima dell’arrivo del sole fa propendere per l’ipotesi di un orologio interno. A contribuire a questi movimenti potrebbe essere il fotoperiodismo della pianta o il bilancio idrico,  spiega András Zlinszky del Centre for Ecological Research, Hungarian Academy of Sciences, tra gli autori del paper. “I movimenti della pianta sono sempre strettamente connessi con il bilancio idrico delle singole cellule, che è influenzato dalla disponibilità di luce attraverso la fotosintesi”. Quindi, in sostanza, a dirigere l’orchestra è comunque indirettamente il Sole, attraverso la fotosintesi.

Per capire qualcosa di più sul sonno delle piante serviranno però studi più approfonditi, e che considerino, oltre necessariamente a più esemplari, il comportamento delle piante nel corso di diverse giornate, anche lontano dalla luce naturale. Dove potrebbe portare, praticamente, tutto questo? Per esempio grazie a studi simili potrebbe essere possibile capire meglio i meccanismi con cui gli alberi utilizzano l’acqua durante la giornata, e usare queste informazioni nell’industria del legno o della gomma, dove le preferenze in fatto di contenuto idrico sono diverse: meglio poca nel primo caso e tanta nel secondo.

Quanto la cultura di Jamna trasformò gli europei

Fonte: Science
Fonte e traduzione: https://ilfattostorico.com/2017/03/01/quanto-la-cultura-di-jamna-trasformo-gli-europei/

Scheletro di Jamna in una sepoltura nelle steppe russe (XVodolazx/Wikimedia Commons)

Scheletro di Jamna in una sepoltura nelle steppe russe (XVodolazx/Wikimedia Commons)

La rivista scientifica Science riporta un nuovo studio del DNA che dimostra l’enorme impatto degli Jamna, una civiltà dell’Età del Bronzo, sulla popolazione europea.

Gli Jamna furono una popolazione proveniente dalle steppe euroasiatiche, abili cavalieri e parlavano probabilmente il proto-indoeuropeo. Secondo la ricerca, una loro migrazione di quasi soli uomini nell’Europa centrale circa 5.000 anni fa, avrebbe lasciato un segno sul genoma degli odierni europei.

«Sembra che gli uomini andarono in guerra, con cavalli e carri», dice Mattias Jakobsson, autore a capo dello studio e genetista della popolazione presso l’Università di Uppsala in Svezia.

La storia delle migrazioni

Gli europei sono discendenti da almeno tre grandi migrazioni preistoriche.

Per primi, circa 37.000 anni fa, arrivarono in Europa gruppi di cacciatori-raccoglitori. Poi, 9.000 anni fa, dall’Anatolia (odierna Turchia) migrarono gruppi di agricoltori che tuttavia all’inizio non si mescolarono molto coi locali in quanto avevano portato le loro famiglie con sé. Per ultimi, tra i 5.000 e i 4.800 anni fa, arrivarono in Europa gli allevatori nomadi noti come Jamna (o Yamnaya).

La loro cultura di inizio Età del Bronzo proveniva dalle steppe delle odierne Russia e Ucraina. Portavano con sé la metallurgia e l’allevamento di animali e, forse, la lingua proto-indoeuropea – la misteriosa lingua ancestrale da cui nascono le 400 moderne lingue indoeuropee. Si mescolarono immediatamente con gli europei locali, che erano discendenti sia dei cacciatori-raccoglitori sia degli agricoltori. In poche centinaia di anni, gli Jamna contribuirono ad almeno metà del patrimonio genetico degli abitanti dell’Europa centrale.

Uomini e donne della seconda migrazione

Per scoprire perché questa migrazione degli Jamna abbia avuto un così grande impatto, i ricercatori hanno raccolto i dati genetici dai precedenti studi di reperti archeologici. Hanno analizzato il DNA di 20 europei vissuti poco dopo la seconda migrazione (quella degli agricoltori dall’Anatolia, 6.000 – 4.500 anni fa) e il DNA di 16 europei vissuti poco la terza migrazione (quella degli Jamna, 3.000 – 1.000 anni fa).

La squadra si è concentrata sullo studio dei cromosomi X, in modo da verificare la proporzione di donne e uomini (i maschi hanno infatti un cromosoma X, le femmine due). Secondo l’analisi del DNA, la migrazione di agricoltori dall’Anatolia aveva coinvolto grosso modo uomini e donne in quantità uguali.

L’arrivo delle popolazioni delle steppe

Gli europei dopo la terza migrazione avevano invece molto meno DNA Jamna sui loro cromosomi X rispetto agli altri cromosomi. Usando un metodo statistico sviluppato dalla studentessa specializzanda Amy Goldberg nel laboratorio del genetista della popolazione Noah Rosenberg all’Università di Stanford di Palo Alto, la squadra ha calcolato che c’erano forse 10 uomini per ogni donna nella migrazione degli Jamna in Europa (da 5 a 14 uomini per ogni donna). Questo rapporto è “estremo” – persino più asimmetrico di quando i conquistadores spagnoli invasero le Americhe nel tardo 1500, dice Goldberg.

Una tale disparità ha fatto dubitare alcuni ricercatori, che avvertono di quanto sia difficile stimare accuratamente il rapporto tra uomini e donne nell’antichità. Ma se confermato, una spiegazione sarebbe che gli uomini di Jamna furono guerrieri arrivati in Europa a cavallo o con carri trainati dagli animali. I cavalli erano stati recentemente addomesticati nelle steppe e la ruota era un’invenzione recente. Potrebbero essersi “concentrati sulla guerra, riuscendo a diffondersi più velocemente grazie alle invenzioni tecnologiche”, dice il genetista della popolazione Rasmus Nielsen (Università della California a Berkeley), che non fa parte dello studio.

Ma la guerra non è l’unica spiegazione. Gli Jamna potrebbero essere stati più attrattivi grazie ai cavalli e alle nuove tecnologie, come i martelli di rame, dice Goldberg.

La scoperta che gli Jamna migrarono per molte generazioni suggerisce anche che qualcosa non funzionasse nelle loro terre. «Ci potrebbe essere stato un fattore negativo continuo che li spinse fuori dalle steppe, come delle epidemie o delle malattie croniche», dice l’archeologo David Anthony del Hartwick College in Oneonta, New York, non coinvolto nello studio. O, dice, potrebbe essere l’inizio di civiltà che mandavano bande di uomini a fondare nuove colonie in terre lontane, come più tardi i Romani o i Vichinghi.

 

BEVI UNA BIRRA THURN UND TAXIS? FOTTI IL FUTURO DI TUO FIGLIO

Scritto da: Paolo Barnard
Fonte: http://paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=1648

Sul menù del Bounty Pub c’è una birra che si chiama Thurn und Taxis. Delizia. Ma tu lo sai che della dinastia Thurn und Taxis ne parlò Benjamin Franklin, Karl Marx? E tu lo sai che i Thurn und Taxis sono ancora oggi quelli che hanno il potere di sussurrare nell’orecchio di Mario Draghi, di Juncker e della Merkel cosa fare (poi a cascata sul pollitalico pollaio)? Ops! Non lo sapevi?

Ma fanno anche birre, nel passatempo.

Sai chi sono? Sono per caso una marca come Moretti o Heineken? No no. NO.

Pochi poveri intellettuali disperati come l’immenso Alain Parguez, Professore emerito di Storia dell’Economia all’università di Besancon in Francia, o come la storica Lacroix-Riz, o come Paolo Barnard, vi avevano raccontato chi sono i Thurn und Taxis anni fa, e cosa succede a causa loro, e di altri come loro, in Unione Europea. I pochi poveri intellettuali disperati come noi vi avevano raccontato che il disegno Neoliberista – su cui ancora si vomitano migliaia di inutili papers accademici e libri e ragliate di ‘belle anime’ –  è stato totalmente superato, e oggi l’Unione Europea è in mano al Neofeudalesimo dei Thurn und Taxis e soci.

Poche famiglie nobili, una minuta elite, persino più ristretta della Commissione Europea, dettano ancora nel 2017 ogni secondo della vostra vita, voi sperduti di Latina, Cuneo, Catanzaro e Bari, e prima fra tutte troneggia la famiglia tedesca proprio dei Thurn und Taxis, poi i belgi Davignon, e i Boel, e la miriade di discendenti della casa Hohenstaufe (le birre le fanno solo i primi, devo essere onesto).

Ciò che le elite di questi ‘rentiers’ (feudatari) come i Thurn und Taxis, e dell’Opus Dei, hanno creato in Europa e che oggi si chiama Unione Europea, Patto di Stabilità, Banca Centrale Europea, direttive UE, Eurozona, è precisamente un percorso di ritorno a condizioni di tale panico economico da riportare milioni di persone all’abbruttimento e alla paura caratteristiche delle epoche feudali. La Politica della Carenza, da Paolo Barnard descritta qui

http://paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=460

da Paolo Barnard descritta due anni fa, bè, non è più Neoliberismo, è Neofeudalesimo, il territorio dei Thurn und Taxis, quelli della tua birra al pub, sì, loro.

Ma chi sono i ‘rentiers’ esattamente? Vi ricordate a scuola le lezioni sui nobili, i feudatari? Oggi la cosa è più complessa. I Marchesi, i Borboni, i Duchi si sono dovuti eclissare, essi erano i ‘rentiers’. Ma non hanno mai ceduto, mai. Si sono solo modernizzati. La famiglia Agnelli in Italia fu un esempio. Furono i più inetti produttori di auto del mondo occidentale per quasi un secolo, ma sono sopravvissuti, gli Agnelli, e hanno goduto di immensi privilegi, grazie allo sfruttamento di generazioni di immigrati meridionali e ai sussidi di denaro pubblico in quantità grottesca. Eccoli i rentiers, Neofeudali.

I ‘Rentiers’ più potenti oggi sono la più ricca dinastia di Germania, i Thurn und Taxis, proprietari immobiliari e terrieri da epoca feudale, con un ramo italiano di tutto rispetto, che viene da Ruggiero de Tassis del 1443. Sì, loro, quelli della birra sul menù del tuo pub.

Sapete, il precursore di Karl Marx, Benjamin Franklin, ci raccontò che i Thurn und Taxis furono la prima dinastia che emerse dal Sacro Impero Romano grazie all’invenzione del servizio postale. Furono i primi a farsi pagare per spedire lettere.

Il, tragicamente male interpretato, filosofo morale Adam Smith, un vero eroe dalla Vera Sinistra pre-Illuminista, sempre svenduto al mondo come l’esatto opposto, denunciò i Thurn und Taxis come autori del primo progetto Mercantile d’Europa. Oggi la Germania naviga falciando vite umane su un progetto Neo-Mercantile, quel progetto CHE HA DEVASTATO L’ECONOMIA ITALIANA come mai dal 1948, ma che marcia diligente sugli ordini dei Thurn und Taxis. Quelli della tua birra al pub.

Ok, avete capito, spero.

I Grandi Disegni sulle vostre vite a Macerata, Torio o a Comacchio non li fa Renzi, Grilli, Grillo, Poletti, la Boldrini, né la Mafia.

Vado a letto. Notte.

L’America prima di Colombo ed i suoi segreti

Fonte: https://www.nibiru2012.it/lamerica-colombo-ed-suoi-segreti/

L’America precolombiana è ricca di segreti e misteri di ogni genere

Quando gli Europei giunsero in America, dalla fine del XV° secolo in poi, molte grandi civiltà di quel continente erano gia scomparse.

Come era accaduto in Mesopotamia, in Egitto e nel subcontinente indiano, anche nell’America centro-meridionale era infatti già nata la civiltà, nella stessa epoca, circa 5.000 anni fa.

Le civiltà sopravvissute all’epoca dei conquistadores spagnoli conservavano però i ricordi di antichi avvenimenti, sopratutto oralmente, ma nel caso dei Maya, ed in parte anche degli Aztechi, anche in forma scritta.

Man mano che i conquistadores procedevano nella conquista, venivano scoperti siti monumentali, spesso caratterizzati dalla presenza di piramidi, simili a quelle dell’antico Egitto.

Il reale significato simbolico della piramide tuttora ci sfugge, ma la presenza di tali costruzioni in parti così diverse del mondo già ci lascia riflettere.

Considerando solo le monumentali piramidi di Teotihuacan, in Messico, non è ancora chiaro chi le abbia costruite.

 

Teotihuacan , le piramidi del centro america

 

Di certo, quando gli Aztechi si impadronirono del sito, le piramidi già erano lì ed i nuovi occupanti chiamarono quel luogo appunto Teotihuacan, che, nella loro lingua, significa “luogo di coloro che hanno conosciuto gli dei”.

Prima degli Aztechi il luogo era abitato dai Toltechi, ma anche essi si interrogavano su chi avesse costruito le piramidi.

Da rilevare che i Maya, la cui civiltà si sviluppò molto più a sud, erano sicuramente a conoscenza dell’esistenza di quel luogo.

Tra le raffigurazioni presenti nel sito di Teotihuacan, la più diffusa è quella di Quetzalcoatl, il Serpente piumato, al quale è dedicato anche un tempio.

Questa divinità veniva adorata in quasi tutte le civiltà precolombiane e la sua origine è molto antica.

Il Serpente piumato, il Signore del Sapere, era la divinità che aveva portato la conoscenza agli uomini e dato l’avvio alla civiltà.

Quetzalcoatl  insegnò agli uomini a misurare il tempo ed a conoscere il corso delle stelle e stabilì il corso dell’anno e delle stagioni; insegnò anche agli uomini l’agricoltura.

Secondo la leggenda, Quetzalcoatl scomparve in cielo, ma un giorno sarebbe tornato. Questa divinità era adorata con nomi diversi da Olmechi, Mixtechi, Toltechi, Aztechi, Maya e Quichè.

In particolare i Maya lo chiamavano Kukulkan, i Quichè Gukumatz, i Toltechi e, successivamente gli Aztechi, Quetzalcoatl, come già detto.

Questa idea che esseri sovrannaturali abbiano dato l’avvio alla civiltà umana, dopo milioni di anni di preistroria, è analoga a quella narrata nella Bibbia e, più dettagliatamente, nel libro di Enoch, nei quali leggiamo che esseri celesti si accoppiarono con le “figlie degli uomini” ed insegnarono agli uomini tutto il necessario per dare l’avvio alla civiltà, ma il mito secondo il quale esseri superiori dettero l’avvio alla civiltà umana è presente in moltissime altre antiche tradizioni.

Una divinità per molti versi simile a Quetzalcoatl, la troviamo nella civiltà Inca, in Perù, a migliaia di chilometri di distanza dalle civiltà finora menzionate.

Si tratta di Viracocha, il Maestro del Mondo, che analogamente al Serpente piumato, aveva avviato gli uomini alla civiltà.

 

Viracocha il bianco che insegnò agli Inca del Perù

 

I resoconti dei conquistadores spagnoli ci dicono che, a differenza di Quetzalcoatl, questa divinità aveva aspetto umano, la pelle bianca e gli occhi azzurri.

Anche Viracocha andò via, ma promettendo che sarebbe tornato.

Gli inca ereditarono questa divinità da un’antichissima civiltà precedente che era stanziata sulle rive del lago Titicaca, a 3.800 metri di altezza, al confine tra Perù e Bolivia.

Abbiamo riportato l’altitudine di questo luogo perchè, come il Tibet, sarebbe scampato a quell’immane disastro che in tutte le più antiche tradizioni dell’Umanità viene chiamato “Diluvio Universale” ed avrebbe quindi conservato i più antichi ricordi della storia del nostro pianeta.

Quando i conquistadores di Pizarro giunsero in contatto con la civiltà Inca, furono accolti come amici perchè, dato il colore bianco della loro pelle, furono ritenuti inviati di Viracocha il cui ritorno sarebbe quindi stato imminente.

Questo tragico equivoco costò caro a quella popolazione che avrebbe potuto facilmente annientare gli invasori spagnoli, dato il loro esiguo numero.

Il principale centro della civiltà del lago Titicaca, da cui gli Inca ereditarono il mito di Viracocha, era la monumentale città di Tiahuanaco, le cui rovine si estendono per quattro chilomertri quadrati e mostrano i resti di edifici monumentali, ma, secondo i pescatori del lago, esistono anche molti altri edifici sommersi nel lago. In particolare, sulla porta del sole, sono raffigurati animali vissuti 11.000 anni fa!

 

Tiahuanaco

 

Pare che gli Inca abbiano ereditato da questa civiltà anche delle misteriose tecniche di architettura, come si può osservare nelle mura ciclopiche del loro sito di Machu Picchu, dove blocchi pesanti anche decine e decine di tonnellate sono incastrati alla perfezione proprio come i blocchi di rivestimento delle Piramidi di Giza.

Tornando alle origini delle civiltà precolombiane, non possiamo sottacere che queste sono strettamente legate ai miti di Atlantide e del Diluvio Universale, che riteniamo strettamente collegati.

Sia i Toltechi che gli Aztechi sostenevano di venire da un luogo chiamato Aztlan (Aztatl, nella lingua nahuatl classica), sprofondato nelle acque. Il termine “atl” significa proprio “acqua”.

I primi conquistadores al seguito di Hernan Cortes, riportano una delle poche leggende di quei popoli che sia stata trascritta (codice Aubin, trascritto nella “Historia de las Indias de Nueva-España” nel 1581) e che inizia con queste parole:

“Gli Uexotzincas, i Xochimilacas, i Cuitlahuacas, i Matlatzincas, i Malincalas abbandonarono Aztlan e vagarono senza meta”.

Il Codice Boturini riporta un documento azteco che descrive Aztlan come un’isola in mezzo alle acque.

Indirettamente anche i Maya ci parlano della loro origine: il nome Chichen Itza, il famoso sito nello Yucatan, significa “salvati dalle acque”.

Impressionante quanto riportato in questo scritto Maya conservato al British Museum:

“Nell’anno 6 del Kan, il II muluc, nel mese di zac, si fecero dei terribili terremoti e continuarono senza interruzione sino al 13 chuen. La contrada delle colline di Argilla, il paese di Mu, fu sacrificato. Dopo essere stato scosso due volte, scomparve ad un tratto durante la notte. Il suolo era continuamente sollevato da forze vulcaniche, che lo facevano alzare ed abbassare in mille località. Infine cadette. Ciò avvenne 8.060 anni prima della composizione di questo libro”.

E’ interessante notare come questa data dell’inabissamento di questa terra coincida esattamente con quella di Atlantide che i sacerdoti egiziani stabiliscono nell’anno 9564 a.C (Platone – Timeo, Crizia).

Infatti aggiungendo a quest’epoca gli anni dell’era volgare si arriva a 11580 anni circa, e aggiungendo agli anni 8060 del Maya i quelli di antichità del Libro, si ottiene in totale 11560 anni.

Tra i misteri dell’America precolombiana, non possiamo sottacere sulle cosidette “linee di Nazca”: nel Perù meridionale esistono dei “disegni” enormi sul terreno visibili soltanto dall’alto.

Si tratta di più di 13.000 linee che vanno a formare più di 800 disegni, che includono i profili stilizzati di animali comuni nell’area: la balena, il pappagallo, la lucertola lunga più di 180 metri, il lama, il colibrì, il condor, il serpente, la scimmia e l’enorme ragno lungo circa 45 metri.

Questi disegni furono scoperti per caso nel 1927 da un pilota dell’aviazione peruviana che sorvolava la zona.

 

Le Immense linee di Nazca

 

La datazione di queste linee, ottenute asportando pietre e terreno, ci dice che risalgono ad un periodo che va dal 300 a 500 d.C. e sono attribuite alla cosiddetta “cultura di Nazca”.

Pensiamo che vadano attribuite al mito, che, come abbiamo visto, era diffuso in tutta l’America precolombiana, del ritorno degli dei.

Probabilmente il loro scopo era di facilitare l’individuazione del sito da parte di questi esseri soprannaturali.

Resta il mistero di come possano essere state realizzate, senza poterle vedere dall’alto.

Antonio Vivaldi

Fonte: http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=454&biografia=Antonio+Vivaldi

Antonio Vivaldi

Celebre violinista e compositore, figlio di un violinista della cappella ducale di San Marco, Antonio Vivaldi nacque a Venezia il 4 marzo 1678. Non si sa quasi nulla della sua infanzia:fu probabilmente allievo del padre, ma anche di Legrenzi (maestro di cappella in San Marco dal 1685 al 1690). Ricevuti gli ordini minori fra il 1693 e il 1696, nel 1703 è ordinato prete, e questo particolare, unito alla sua selvaggia capigliatura rossa (che campeggia anche in alcuni celebri ritratti, insieme al suo profilo deciso), gli valsero il soprannome di “Prete rosso”. Un appellativo temprato anche dal tipo di musica, estremamente vivace, contagiosa e altamente virtuosistica che Vivaldi ha sempre saputo scrivere.

Intanto, però, a dispetto del famoso pseudonimo, una malattia molto misteriosa, di cui si preoccuperà tutta la vita, gli impedisce di esercitare il suo ministero e dopo un anno o due rinuncia alla messa. Secondo le sue stesse parole, sarebbe stato colpito da una certa “strettezza di petto”, senza dubbio una forma di asma allora sconosciuta, analoga forse alla “strictura pectoris” dell’antica medicina. Dal 1703 al 1740 è maestro di violino e di composizione, poi “maestro dei concerti” e “maestro di coro” al Seminario musicale dell’Ospedale della Pietà, una delle quattro famose scuole di musica veneziane per ragazze orfane, bastarde o abbandonate.

Queste giovani cantavano e suonavano con ogni strumento; facevano della musica la loro occupazione principale, disponevano dei migliori maestri e le loro esecuzioni erano quindi celebri in tutta Europa (Rousseau nelle sue “Confessioni” vanta i meriti delle scuole veneziane in termini ditirambici). Vivaldi si assenta a più riprese da Venezia: dal 1718 al 1722 per dirigere la cappella del principe di Hasse Darmstadt a Mantova, nel 1723 e nel 1724 per far rappresentare delle opere a Roma (dove suona davanti al Papa). Tra il 1724 e 1725 sparisce provvisoriamente dai registri dell’Ospedale della Pietà: periodo di viaggi sui quali si è male informati.

Visita comunque numerose città italiane e straniere (soprattutto in Germania e Paesi Bassi), sia in qualità di violinista che di impresario delle proprie opere (reclutando i cantanti, dirigendo le prove, controllando gli incassi). Le sue opere strumentali erano allora celebri ovunque, soprattutto le ormai celeberrime “Quattro stagioni” e il fondamentale, superbo, “Estro armonico”.

Nel 1740 decide di lasciare Venezia e giunge a Vienna, dove muore il 28 luglio dell’anno successivo, povero e solitario, rovinato, si disse, dalla sua eccessiva prodigalità. Alla sua morte e anche due o tre anni prima, questo geniale musicista, celebre in tutta Europa, era caduto improvvisamente nell’oblio più completo, oblio prolungato più di un secolo e che ha rischiato di diventare definitivo. Fortunatamente la riscoperta dell’opera di Bach (altro grande musicista dimenticato per quasi un secolo) rivelò ai musicisti tedeschi del secolo successivo le opere di questo misconosciuto Prete rosso, trascritte per l’appunto dal sommo Kantor. Poi, a partire dal 1905, alcuni musicologi (tra cui Marc Pincherle e Arnold Schering) studiarono metodicamente le opere pubblicate da Vivaldi ad Amsterdam e più tardi le centinaia di manoscritti (in gran parte autografi) acquistati nel 1919 dalla Biblioteca Nazionale di Torino (provenienti dalle collezioni private di M. Foà e R. Giordano, ma aventi per comune origine la biblioteca del conte Durazzo, morto alla fine del XVIII sec.).

La musica di Vivaldi, oltre ad essere di una brillantezza senza pari e di un’invenzione melodica spesso squisita, è assai importante anche sul piano storico e dal punto di vista dell’evoluzione delle forme. Il grande veneziano ha infatti dato forma e perfezione definitive al concerto solistico (del quale l’op. 8 di Torelli illustrava già le strutture), confermando la divisione tripartita e rafforzando la contrapposizione del “tutti” e dei “soli”, e soprattutto introducendo nella parte dei solisti una intensa espressività, un lirismo personale conosciuta in quel tempo soltanto nell’aria d’opera. Questo individualismo dei solisti (se ne possono avere diversi senza che debba trattarsi di un concerto grosso) si afferma spesso in uno stile brillante che non è senza parentela con il bel canto dell’opera veneziana o napoletana del tempo.

D’altra parte le sue “sinfonie” e i suoi “concerti ripieni” gli conferiscono una posizione privilegiata alle origini della sinfonia classica. In tutte le musiche strumentali una imprevedibile fantasia, una euforica vitalità, danno al genio di Vivaldi il carattere universale che gli impedirà sempre di invecchiare. Grande peso e indubbia rivalutazione è data anche alle sue opere teatrali, in passato considerate convenzionali e finalmente viste nella loro giusta luce.

Questa attività, sovente considerata di secondo piano, fu invece l’occupazione principale del musicista. Il suo spirito imprenditoriale lo portò spesso ad essere impresario di se stesso; nel 1715 era noto a Venezia come socio del teatro Sant’Angelo, dove si esibiva anche come primo violino. Nel 1718 passò a un teatro più famoso, il San Moisè; in entrambi face rappresentare alcune sue opere. Queste sue molteplici occupazioni gli procurarono non poche critiche, la più celebre delle quali fu quella adombrata nel pamphlet intitolato “Il teatro alla moda” di Benedetto Marcello. Tra il 1718 e il 1720 i suoi impegni lo portarono a Mantova; qui conobbe la cantante Anna Giraud, interprete principale delle sue opere. Il “Prete rosso” non ammise mai una relazione che travalicasse l’amicizia e l’assistenza sanitaria che la Giraud gli avrebbe offerto assieme alla propria sorella Paolina. Tuttavia, questa amicizia, che durò a lungo, provocò nel 1737 un richiamo da parte del cardinale Ruffo, legato apostolico a Ferrara.

Tornando alle problematiche legate alla sua rivalutazione, la scoperta relativamente recente della sua musica sacra ha rivelato qualche autentico capolavoro anche in questo campo, come ad esempio lo splendido “Gloria”. Infine non bisogna dimenticare che Haendel, Leclair e soprattutto Bach gli devono in gran parte la loro iniziazione alle forme più perfette della musica strumentale. Bach, per citare l’esempio più famoso, ha trascritto ben nove concerti di Vivaldi (sei adattati al clavicembalo, uno per quattro clavicembali e due per organo), a testimonianza dell’ammirazione che il Kantor portava per il bizzarro e vulcanico veneziano