Ulysses S. Grant

Fonte: https://biografieonline.it/biografia-ulysses-s-grant

Ulysses S. Grant

Ulysses Simpson Grant, il cui vero nome è Hiram Ulysses Grant, nasce il 27 aprile del 1822 a Point Pleasant, nell’Ohio, a una quarantina di chilometri di distanza da Cincinnati, figlio di un conciatore di pelli. Trasferitosi insieme con il resto della famiglia nel villaggio di Georgetown, resta a vivere qui fino all’età di diciassette anni.

Attraverso il sostegno del rappresentante locale al Congresso, riesce a entrare a far parte dell’Accademia militare di West Point. Registrato, a causa di un errore, con il nome di Ulysses Simpson Grant, sceglie di mantenere questo nome per il resto della propria vita.

L’intervento militare in Messico

Diplomatosi nel 1843, pur non essendo particolarmente bravo in nessuna materia, viene assegnato al 4° Reggimento Fanteria, con il grado di tenente, nel Missouri. Successivamente si dedica al servizio militare, che presta in Messico. Nel 1846, infatti, scoppia la guerra tra gli Stati Uniti e il Messico. Grant opera agli ordini del generale Zachary Taylor in qualità di ufficiale addetto al trasporto e all’approvvigionamento lungo il confine del Rio Grande. Prende parte alla battaglia di Resaca de las Palmas e guida una compagnia all’assalto a Palo Alto.

Protagonista della battaglia di Monterrey, nel corso della quale riesce a procurarsi da solo un carico di munizioni, è attivo anche nell’assedio a Città del Messico, in cui bersaglia gli spalti nemici con un obice collocato sul campanile di una chiesa.

In ogni battaglia arriva un momento in cui entrambe le parti si considerano battute. Pertanto è chi continua ad attaccare a vincere.

Il ritorno in patria

Una volta tornato negli Stati Uniti si sposa, il 22 agosto del 1848, con Julia Boggs Dent, una ragazza più giovane di lui di quattro anni (che gli darà quattro figli: Frederick Dent, Ulysses Simpson junior, Ellen Wrenshall e Jesse Root).

Ottenuto il grado di capitano, viene trasferito a New York e da qui spostato in Michigan, prima di essere definitivamente assegnato a Fort Humboldt, in California. Qui, tuttavia, avverte la distanza dalla famiglia. Per consolarsi inizia a bere alcolici. Il 31 luglio del 1854, comunque, sceglie di dimettersi dall’esercito.

Dopo la carriera militare

Negli anni seguenti Ulysses S. Grant diventa proprietario di una fattoria, prima di intraprendere vari lavori. Lavora come agente immobiliare nel Missouri e impiegato in un negozio come commesso, per poi affiancare il padre nell’Illinois nel commercio di pellame.

Dopo aver tentato di tornare a far parte dell’esercito, ma senza fortuna, in seguito all’inizio della guerra di secessione americana organizza una compagnia composta da un centinaio di uomini con la quale giunge a Springfield, capitale dell’Illinois. Qui viene proclamato dal governatore repubblicano Richard Yates, colonnello del 21° Battaglione volontari di fanteria.

Attraverso il sostegno del rappresentante locale al Congresso, riesce a entrare a far parte dell’Accademia militare di West Point. Registrato, a causa di un errore, con il nome di Ulysses Simpson Grant, sceglie di mantenere questo nome per il resto della propria vita.

L’intervento militare in Messico

Diplomatosi nel 1843, pur non essendo particolarmente bravo in nessuna materia, viene assegnato al 4° Reggimento Fanteria, con il grado di tenente, nel Missouri. Successivamente si dedica al servizio militare, che presta in Messico. Nel 1846, infatti, scoppia la guerra tra gli Stati Uniti e il Messico. Grant opera agli ordini del generale Zachary Taylor in qualità di ufficiale addetto al trasporto e all’approvvigionamento lungo il confine del Rio Grande. Prende parte alla battaglia di Resaca de las Palmas e guida una compagnia all’assalto a Palo Alto.

Protagonista della battaglia di Monterrey, nel corso della quale riesce a procurarsi da solo un carico di munizioni, è attivo anche nell’assedio a Città del Messico, in cui bersaglia gli spalti nemici con un obice collocato sul campanile di una chiesa.

In ogni battaglia arriva un momento in cui entrambe le parti si considerano battute. Pertanto è chi continua ad attaccare a vincere.

Il ritorno in patria

Una volta tornato negli Stati Uniti si sposa, il 22 agosto del 1848, con Julia Boggs Dent, una ragazza più giovane di lui di quattro anni (che gli darà quattro figli: Frederick Dent, Ulysses Simpson junior, Ellen Wrenshall e Jesse Root).

Ottenuto il grado di capitano, viene trasferito a New York e da qui spostato in Michigan, prima di essere definitivamente assegnato a Fort Humboldt, in California. Qui, tuttavia, avverte la distanza dalla famiglia. Per consolarsi inizia a bere alcolici. Il 31 luglio del 1854, comunque, sceglie di dimettersi dall’esercito.

Dopo la carriera militare

Negli anni seguenti Ulysses S. Grant diventa proprietario di una fattoria, prima di intraprendere vari lavori. Lavora come agente immobiliare nel Missouri e impiegato in un negozio come commesso, per poi affiancare il padre nell’Illinois nel commercio di pellame.

Dopo aver tentato di tornare a far parte dell’esercito, ma senza fortuna, in seguito all’inizio della guerra di secessione americana organizza una compagnia composta da un centinaio di uomini con la quale giunge a Springfield, capitale dell’Illinois. Qui viene proclamato dal governatore repubblicano Richard Yates, colonnello del 21° Battaglione volontari di fanteria.

In seguito viene promosso brigadiere generale dei volontari e assume la guida del distretto sudorientale del Missouri.

In qualità di comandante supremo dell’esercito, durante l’amministrazione del presidente Andrew Johnson, succeduto a Lincoln dopo il suo assassinio, Grant si trova invischiato nella lotta politica tra il presidente – che voleva seguire la linea politica di conciliazione di Lincoln – e la maggioranza repubblicana radicale del Congresso, che avrebbe voluto misure severe e repressive verso gli Stati del Sud.

Alla guida della nazione

Nel 1868 viene scelto dal Partito Repubblicano come candidato alla Presidenza. Grant diventa così il diciottesimo presidente degli Stati Uniti, succedendo ad Andrew Johnson. Nel corso dei suoi due mandati (resta in carica dal 4 marzo del 1869 al 3 marzo del 1877) si mostra alquanto docile nei confronti del Congresso, con riferimento – nello specifico – alle sue politiche relative agli Stati del Sud.

La cosiddetta Era della Ricostruzione rappresenta l’evento più importante della presidenza di Ulysses S. Grant. Si tratta della riorganizzazione degli Stati del Sud, in cui gli afroamericani sono costretti a subire le violazioni dei diritti e delle libertà civili dovute non solo alle leggi statali locali, ma anche all’azione delle organizzazioni paramilitari segrete, tra le quali c’è il Ku Klux Klan.

Grant, con l’intento di porre termine a questa situazione, impone l’occupazione militare di tutti gli Stati sudisti, con lo scopo di agevolare il rispetto dei diritti civili nei confronti degli afroamericani e, al tempo stesso, di riorganizzare il Partito Repubblicano nel Sud. In effetti il governo degli Stati sudisti è appannaggio dei governi filo-repubblicani, e tra questi non mancano politici afroamericani come Hiram Rhodes Revels. Tuttavia tali governi in più occasioni si rivelano corrotti o non efficienti, con l’effetto di esacerbare le popolazioni locali e favorire il ritorno delle amministrazioni democratiche.

Ulysses S. Grant e il diritto di voto

Il 3 febbraio del 1870 Grant ratifica il XV emendamento della Costituzione statunitense, attraverso il quale viene assicurato il diritto di voto a tutti i cittadini americani, a prescindere dal loro credo religioso, dalla loro razza o dalla loro pelle. Nei mesi successivi decreta lo scioglimento del Ku Klux Klan, che viene messo al bando e ritenuto, da quel momento in avanti, un’organizzazione terroristica a tutti gli effetti, che agisce al di fuori della legge e contro cui si può intervenire con la forza.

Durante la sua amministrazione, il Presidente Grant contribuisce alla riorganizzazione del sistema amministrativo e burocratico federale. Nel 1870 nascono il Ministero della Giustizia e l’Avvocatura dello Stato, mentre un paio di anni più tardi viene creato il Ministero delle Poste.

Il 1° marzo del 1875 Grant firma il Civil Right Act, con il quale viene resa illegale la discriminazione razziale nei luoghi pubblici, punita con una sanzione in denaro o con il carcere (tale legge, tuttavia, verrà abolita nel 1883 dalla Corte Suprema degli Stati Uniti).

L’amico nelle mie avversità, è colui che amo sempre di più. Posso fidarmi più di quelli che hanno contribuito ad alleviare le tenebre delle mie ore buie, di coloro che sono pronti a godere con me della luce del sole della mia prosperità.

Gli ultimi anni

Concluso il secondo mandato presidenziale, Grant viaggia in giro per il mondo con la sua famiglia per un paio di anni, inaugurando la prima biblioteca comunale gratuita della città di Sunderland, in Inghilterra. Nel 1879 viene chiamato in causa dalla corte imperiale di Pechino, che gli chiede di arbitrare la questione relativa all’annessione delle Isole Ryukiu, un territorio tributario cinese, da parte del Giappone. Ulysses S. Grant delibera a favore del governo nipponico.

L’anno successivo prova a ottenere un terzo mandato presidenziale: dopo avere conquistato la maggioranza relativa dei voti al primo turno delle elezioni primarie del Partito Repubblicano, viene sconfitto da James A. Garfield.

Il lavoro non disonora nessun uomo, ma ogni tanto gli uomini disonorano il lavoro.

Nel 1883 viene eletto presidente della National Rifle Association. Ulysses Simpson Grant muore il 23 luglio del 1885 a Wilton, nello Stato di New York, all’età di sessantatré anni, a causa di un cancro alla gola e in condizioni economiche precarie.

 

Pantani ucciso dai boss del doping che lanciarono Armstrong?

Fonte:http://www.libreidee.org/2018/02/pantani-ucciso-dai-boss-del-doping-che-lanciarono-armstrong/

Marco Pantani

 

 

 

Vuoi vedere che Pantani è stato distrutto e poi eliminato anche per evitare che facesse ombra a Lance Armstrong, il super-campione (artificiale) vicino ai Bush? Doping, ciclismo e morte: secondo Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, l’industria segreta del doping usa i ciclisti come cavie per sperimentare nuove, micidiali droghe “performanti”, destinate a soldati e guerriglieri: un business colossale, realizzato con la copertura di case farmaceutiche e gestito da poteri “supermassonici” pronti a eliminare fisicamente chiunque osi ribellarsi. Come Pantani, per esempio? La sua fine: un monito, per qualsiasi altro ciclista che avesse provato a rifiutare la siringa? Supermassoni reazionari i Bush, “padrini” di Armstrong. Esoteristi, probabilmente, anche i killer di Pantani: lo afferma Lara Pavanetto, analizzando lo strano messaggio “alchemico” rinvenuto nella stanza in cui il campione romagnolo morì. Per Paolo Franceschetti, avvocato per lunghi anni, quel delitto è “firmato” Rosa Rossa, potente associazione occultistica all’origine di svariati crimini eccellenti, come quello del Mostro di Firenze: il delitto rituale come pratica “magica”, e il clamore mediatico come utile mezzo per spaventare l’opinione pubblica, rendendola più docile verso l’autorità costituita. Il ribelle Pantani? Andava punito e infangato con la pena del contrappasso. Aveva evocato lo spettro del doping? Bene, sarebbe morto disonorato: spacciato per cocainomane.

Sono in tanti, a livello internazionale, ad aver ormai capito che il delitto Pantani era a doppio fondo. Lo sostiene la Pavanetto, autrice di originali ricerche storiche. Sul suo blog cita due giornalisti: il francese Pierre Ballester, già inviato de “L’Equipe”, e l’inglese David Walsh, del “Sunday Times”. Nel loro libro “L.A. Confidential, i segreti di Lance Armstrong”, avanzavano già nel 2004 pesanti sospetti sulle sei vittorie consecutive di Armstrong al Tour, dal 1999 al 2004, dopo il primo campionato del mondo vinto nel ‘92. Successi strabilianti, quelli del Tour, che avevano sollevato pesanti dubbi, dopo la gravissima malattia che aveva tolto Armstrong dalle corse per un paio d’anni, dalla fine del ‘96 a metà del ‘98. Tumore: asportazione di un testicolo, intervento chirurgico su gravi metastasi ai polmoni e al cervello, pesantissime cure chemioterapiche. Vengono in mente le parole del Pirata, citate nel libro del giornalista francese Philippe Brunel, “Gli ultimi giorni di Marco Pantani” (Bur, 2008): «Non hai fatto il corridore? Tu lo sai cosa vuol dire scalare una montagna, correre sotto il caldo. Credi davvero che si possa vincere il Tour dopo aver battuto il cancro?». Con il loro libro, annota Pavanetto, Ballester e Walsh avevano anticipato un’inchiesta pubblicata nel 2001 dallo stesso Walsh sul “Sunday Times”, dal titolo “Suspicion”. Il giornalista era partito dalla denuncia di un ex corridore junior, Greg Strock: secondo i suoi allenatori, Armstrong «aveva valori biologici eccezionali che non si trovavano in Usa dai tempi di Lemond».

Nel 2000, ricorda Lara Pavenetto, Strock si era laureato in medicina. Grazie alle competenze acquisite, aveva denunciato la Federazione americana per averlo sottoposto a un doping sistematico che lo aveva fatto ammalare, fino a costringerlo allo stop dell’attività. Anche Armstrong, nota Walsh, era in nazionale in quel periodo. Strock chiamava in causa due tecnici della nazionale, uno dei quali, Chris Carmichael, era uno dei personaggi più vicini ad Armstrong da sempre. Nell’inchiesta si parlava anche del licenziamento improvviso dalla Us Postal (la squadra di Armstrong sponsorizzata dal ministero delle Poste statunitense) nel 1996. Fu licenziato anche il medico Steffen Prentice, che secondo Strock si era rifiutato di dopare dei ciclisti della squadra. Walsh raccolse anche la dichiarazione di un ex professionista, compagno di Armstrong alla Motorola dal 1992 al 1996, che sotto anonimato dichiarò: «Passammo all’epo nel 1995 perché non si vinceva, e avevamo avuto un 1994 nero». In “L.A. Confidencial”, Ballester e Wash hanno ricostruito anche il caso del litigio fra Armstrong e Greg Lemond a proposito di Michele Ferrari, il medico italiano coinvolto in numerosi processi di doping in Italia e difeso a spada tratta dal corridore texano. Ma la parte più interessante del racconto, scrive Lara Pavanetto, riguarda la testimonianza di Emma O’Really, massaggiatrice per tre anni (a partire dal 1998) dell’Us Postal, la squadra del trionfatrice al Tour.

Nel giugno del 1999, la O’Really registra sul suo diario un colloquio con Lance. L’americano le dice che, con l’ematocrito basso, non si possono fare grosse performace. Lei allora gli chiede cosa intenda fare: «Quello che fanno tutti gli altri», ribatte lui, che più tardi, durante il Tour, le chiederà anche di coprire con fondotinta i segni delle iniezioni sulle braccia. L’americano fu trovato positivo ai corticoidi ad un controllo al Tour de France del 1999, ma fu discolpato dall’Uci (Unione ciclismo internazionale) dopo aver spiegato di aver «utilizzato una pomata contenente una sostanza vietata per curare una ferita procuratagli dal sellino della bicicletta». Armstrong affermò sempre di non avere mai assunto prodotti vietati, neppure a causa del suo tumore, che gli provocava una carente produzione fisiologica di testosterone, con la necessità dunque di assumerlo. Il libro riporta anche i pareri di scienziati illustri, i quali ritenevano umanamente impossibile – dopo un tumore, metastasi, operazioni, chemioterapie – andare forte come Armstrong, e vincere sei Tour de France.

A Philippe Brunel, per il libro uscito nel 2002, Marco Pantani confida: «E’ strano, ogni volta che si parla di Armstrong tutti stanno zitti, come se nessuno avesse un’opinione. Io, in ogni caso non ci credo. E non ci crederò mai. È un personaggio finto, una specie di eroe dei fumetti – guarda, è Spiderman. Ora, chi l’ha creato? Chi lo ha voluto così? Non ne so nulla. Ma sono troppo realista per credere alla sua storia». Ma Lance Armstrong in quegli anni poteva fare e dire di tutto, e – come diceva Pantani – nessuno sembrava vedere nulla. Era “invicibile”, Armstrong. «L’amico dei repubblicani, l’amico di George W. Bush. L’amico di tanti politici e tante star di Hollywood. Armstrong sognava di correre un giorno per la poltrona di governatore del Texas e magari in seguito puntare anche alla Casa Bianca», scrive Pavanetto. Le sue perfomance “aliene” «avevano accelerato la mondializzazione di uno sport che storicamente era di matrice europea: grazie a lui, nel mondo del ciclismo la lingua inglese soppiantò il francese». Con Lance Armstrong diventarono volti abituali quelli dei cronisti del “New York Times”, del “Financial Times”, del “Wall Street Journal”, e quelli degli inviati di reti televisive come la “Cnn” o la “Cbs”, «che non perdevano una tappa se targata Armstrong: il re assoluto e incontrastato del ciclismo, temuto e idolatrato».

Armstrong fu anche «l’amico di tanti potenti dello sport mondiale», e donò all’Uci centomila dollari nel 2000 per comprare dei macchinari antidoping. «Tutto quello che ha fatto Armstrong è stato possibile perché qualcuno gliel’ha permesso». Parafrasando le parole di Pantani: «Chi lo ha creato? Chi l’ha voluto così?». Il doping serve a vincere, ma soprattutto a fare moltissimi soldi, ricorda Lara Pavanetto. «In due decenni di attività come ciclista professionista, grazie alle sponsorizzazioni, Lance Armstrong ha accumulato un patrimonio stimato attorno ai 125 milioni di dollari». Ma anche gli sponsor fanno fiumi di soldi col doping, «per cui la diffusione del fenomeno non è attribuibile solo ad atleti, allenatori, medici o direttori sportivi, ma anche a chi alimenta l’ingranaggio». Come l’Us Postal Service: «Fu lo sponsor di Armstrong tra il 2001 e il 2004, spese 32,27 milioni di dollari per sponsorizzare il team di Armstrong e ricevette benefici di immagine e marketing per 103,63 milioni». Come sottolineò l’avvocato di Armstrong, Tim Herman, a scandalo doping ormai scoppiato, «il ritorno per il ministero delle Poste statunitensi fu del 320% in quattro anni».

I guai di Pantani, ricorda Pavanetto, iniziano il 5 giugno 1999 subito dopo l’arrivo a Madonna di Campiglio, penultima tappa di un Giro d’Italia che il Pirata aveva dominato e praticamente già vinto. «Sottoposto a un controllo del sangue, il suo ematocrito fu trovato fuori norma e, da regolamento, gli fu vietato di gareggiare per i seguenti 15 giorni. Il Giro dunque era perso». Anche le sue vittorie passate, a questo punto, vengono messe in discussione. «Tutta la sua carriera è messa in dubbio», tanto che Pantani non partecipò al Tour de France un mese dopo. «In quel momento era un campione nella sua fase di massimo rendimento: l’anno prima, il 1998, aveva vinto sia il Giro che il Tour. La sua popolarità era enorme e internazionale». Nel 2000, Pantani riuscì a prepararsi per partecipare al Tour e ne fu ancora un protagonista. Ma nel 2001 al Giro d’Italia ci fu la vicenda della siringa di insulina trovata nell’albergo dei ciclisti e attribuita a lui, che fu condannato. «Per questo episodio Leblanc, l’organizzatore del Tour, rifiutò l’iscrizione di Pantani all’edizione di quell’anno». Nel Giro del 2003, Pantani arrivò Lance Armstrongquattordicesimo, un risultato normale considerata la preparazione per forza scadente. «Quando Leblanc rifiutò nuovamente la sua iscrizione al Tour di quell’anno, Pantani gettò la spugna». Pochi mesi dopo, il 14 febbraio 2004, fu trovato morto nel residence “Le Rose” di Rimini, dove aveva soggiornato per una settimana, confermando l’alloggio giorno per giorno.

Il motivo della morte fu fissato dal medico legale in overdose di cocaina, e ancora ad oggi questa è la versione ufficiale. «Nel frattempo c’erano anche stati i procedimenti giudiziari aperti contro di lui dalla giustizia ordinaria italiana, sempre per illecito uso di sostanze dopanti», scrive Pavanetto. «Alla fine Pantani era stato assolto da ogni reato, ma intanto sette Procure lo avevano portato a giudizio e le sue spese legali erano ammontate in totale a un miliardo e mezzo di lire». Nel frattempo comincia a brillare la stella di Lance Armstrong, che proprio a partire dal 1999 inizia a vincere “facile”: cinque Tour de France di fila (dal 1999 al 2003). «Ogni volta succede qualcosa che gli toglie di mezzo l’avversario più forte, cioè Marco Pantani: nell’edizione del ‘99 Pantani era assente per la vicenda di Madonna di Campiglio; in quella del 2000 era presente ma psicologicamente sotto pressione, il 2 marzo si era ritirato dalla Vuelta de Murcia per “stato acuto di stress”; al Giro aveva subito gli umilianti controlli medici a sorpresa dell’Uci; nelle successive gare Pantani era assente perché la sua iscrizione era stata respinta». Lara Pavanetto fa notare che nel 2000, pur nelle condizioni in cui era, il Pirata era stato l’unico ad attentare alla leadership di Armstrong: «Vinse due importanti tappe di montagna, una scalando il Mont Ventoux e l’altra a Courchevel». E’ indubbio che l’assenza di Pantani spianò la strada ad Armstrong.

Alcuni mesi dopo la conclusione del Giro del 1999, continua Pavanetto, emerse l’ipotesi che Pantani fosse stato boicottato dall’ambiente delle scommesse clandestine italiane. Un’ipotesi che è ritornata prepotentemente in auge con due libri usciti di recente: “Pantani è tornato. Il complotto, il delitto, l’onore”, di Davide de Zan (Piemme, 2014), e “Il caso pantani. Doveva morire”, di Luca Steffenoni (Chiarelettere, 2017). Quella delle scommesse clandestine «resta sempre sullo sfondo ormai come unica ipotesi, quasi unico movente, assieme alla cocaina, della carriera rovinata del campione e poi della sua morte». Ma se lo scopo era quello di far perdere a Pantani, a due giornate dalla fine, un Giro che aveva già vinto per guadagnare sulle puntate, perché poi – si domanda Pavanetto – continuare il complotto negli anni successivi e nei vari livelli in Italia e in Francia, e presso l’Unione Ciclistica Internazionale? «E chi mai, nell’ambiente delle scommesse clandestine italiane, avrebbe avuto tali poteri di manipolazione a livello mondiale?». Ancora: «Il fatto che il ministero delle Poste americano sponsorizzasse uno squadrone ciclistico che, si può ben dire, andò all’attacco del ciclismo europeo, non è mai sembrato strano a nessuno?».

Soltanto dopo la morte di Pantani si seppe che la “prodigiosa” ascesa di Lance Armstrong «fu viziata da un uso criminale del doping, per vincere a tutti i costi». Ma, appunto: «Nessuno all’epoca vide nulla?». Come disse Pantani: «E’ strano, ogni volta che si parla di Armstrong tutti stanno zitti, come se nessuno avesse un’opinione». Forse, conclude Lara Pavanetto, «era molto pericoloso avere un’opinione sullo squadrone e sulla star della Us Postal Service». E a quanto sembra, «ancora oggi è meno pericoloso avere un’opinione sulle scommesse della criminalità organizzata, che sulla storia dell’Us Postal Service». Si può parlare con una certa tranquillità delle scommesse clandestine gestite dalla mafia attorno al ciclismo delle gare truccate, mentre resta estremamente rischioso, ancora oggi, aprir bocca «sulla strana sincronicità degli eventi che videro tramontare la stella del Pirata e sorgere, luminosa e prepotente, quella di Lance Armstrong».

Sulla misteriosa morte di Pantani, dice Pavanetto, resta fondamentale l’analisi offerta da Paolo Franceschetti sul suo blog: un delitto “rituale”, firmato Rosa Rossa nel residence “Le Rose” con quel sibillino biglietto: “Oggi le rose sono contente, la rosa rossa è la più contata”. In realtà, sottolinea la ricercatrice ricorda che nessun esame grafologico ha finora attestato che quelle frasi – su carta intestata dell’hotel – siano state scritte proprio da Pantani. «Io ne dubito fortemente – dice – anche perché secondo me in quelle poche, apparenti sconnesse righe potrebbero esserci la firma e il movente dell’assassino, seppure espresso in un modo allegorico e per certi versi burlesco, quasi si trattasse di un macabro gioco». A parte il passaggio sulle “rose”, il libro di Philippe Brunel sostiene che, in quel foglio, Pantani (o chi per lui) parla di «coincidenze saline» e di «una strana alchimia, dove si mette in relazione il fosforo con il potassio, la linfa, la “clorofilla di sangue”», e si legge: «Tutto passa come il mare». L’alchimia è la prima cosa che salta all’occhio, conferma Pavanetto. «Queste parole sembrano descrivere una trasmutazione alchemica. Il fosforo, simbolo dell’illuminazione spirituale; il potassio, la linfa; e soprattutto la “clorofilla di sangue”, e infine quel “tutto passa con il mare”».

La clorofilla è chiamata anche “sangue vegetale” e può essere considerata un vero rigeneratore per le cellule, in quanto apporta ossigeno. «Può essere utile in varie forme di anemia, migliora la contrazione cardiaca e si rivela utile soprattutto per gli sportivi poiché ne aumenta la resistenza». E’ chiamata “sangue vegetale”, spiega Pavanetto, perché la sua struttura chimica è simile a quella dell’emoglobina, con la sola differenza che la clorofilla contiene magnesio anziché ferro. «Sin dal 1936 fu studiata come fattore per la rigenerazione del sangue, soprattutto in relazione all’emofilia». Studi che poi «servirono molto nel mondo del doping, dove appunto si “esercita” la rigenerazione del sangue». Sembra un macabro gioco di specchi e scatole cinesi, continua Lara Pavanetto: sapete qual è il simbolo alchemico del magnesio? La lettera D. E Pantani soggiornava (e morì) nella camera D5.

Attenzione: il numero 5, «essenza del Pentacolo, è ricondotto al numero degli elementi, la quintessenza spirituale e i quattro elementi abituali: Acqua, Fuoco, Terra e Aria». I quattro elementi alchemici. “E tutto passa come il mare”: il mare «fu per gli alchimisti l’acqua mercuriale, l’elisir, l’oceano increato dove la materia prima subì il processo di trasformazione e di maturazione fino allo stato di perfezione». E, a proposito di “contrappasso” dantesco, Lara Pavanetto ricorda il canto primo del Purgatorio, nella “Divina Commedia”, in cui Virgilio lava Dante dalla “nerezza” dell’Inferno: «Con le mani bagnate dalla rugiada del mattino, Virgilio rimuove dalle guance lacrimose di Dante quella nerezza che l’Inferno gli aveva lasciato. Poi lo cinge con un giunco sottile che cresce nel limo del mare, giunco che nasce miracolosamente là dove viene reciso. E’ un nuovo battesimo, una nuova purificazione eseguita questa volta con la rugiada, cioè acqua che viene dal cielo, simbolo di doni spirituali». Recita quel fatidico biglietto: “E tutto passa come il mare”. Firma e chiave “rituale”, con spiegazione simbolica, dell’omicidio del campione ribelle che doveva essere punito in modo esemplare?

Vivere con meno plastica: 13 consigli utili

Scritto da: Nicoletta
Fonte: https://www.soloecologia.it/07022018/vivere-meno-plastica-13-consigli-utili/11261

La plastica rende la nostra vita più semplice, su questo non c’è dubbio. Ma è altrettanto vero che sta soffocando il pianeta. Bandire i materiali plastici completamente dalla vita quotidiana è quasi impossibile, ma in molti casi esistono dei modi ragionevoli e sensati per limitare l’impiego di plastica. I consigli che vi diamo qui sotto non sono grosse novità, ma forse a qualcuno di essi non avevate ancora pensato.

1. Preferire le saponette al sapone liquido. Ne abbiamo parlato qui, sottolineando come la scelta migliore in assoluto sia quella del sapone al taglio, completamente privo di imballaggio.
2. Scegliere uno spazzolino da denti biodegradabile, ad esempio quelli in bambù, che ormai si trovano anche in alcuni supermercati. Anche il filo interdentale esiste in una versione totalmente priva di plastica costituita da filo di seta ricoperto da cera d’api.
3. Bere acqua del rubinetto invece che acqua confezionata in bottiglie di plastica. Non è soltanto un vantaggio per l’ambiente e il portafoglio, ma anche per la salute, perché le bottiglie di PET spesso contengono sostanze nocive. Se l’acqua del vostro rubinetto è davvero imbevibile, allora optate per quella conservata in bottiglie di vetro – possibilmente con vuoto a rendere.
4. Radersi con i rasoi tradizionali invece che con quelli usa-e-getta: bisognerà cambiare la lametta piuttosto di frequente, ma si eviterà di produrre grandi quantità di rifiuti in plastica.
5. Riporre gli avanzi di cibo in vasi di vetro a chiusura ermetica invece di impiegare pellicola per alimenti, sacchetti di plastica o contenitori in plastica.
6. Acquistare latte, yogurt e succhi di frutta conservati sotto vetro invece che in contenitori di plastica o tetrapak.
7. Comprare frutta e verdura sciolte (riponendole in bio-sacchetti o buste di carta) invece che preimballate in vaschetta e coperte con cellophane.
8. Eliminare le cannucce per le bibite – insegnando ai bambini che, per quanto belle, se ne può fare a meno.
9. Acquistare detersivi sfusi e alla spina.
10. Portare i propri contenitori per il cibo al ristorante o al fast-food quando si richiede la doggy-bag.
11. Eliminare bicchieri, posate e piatti monouso.
12. Lavare con cura e riportare i contenitori al mercato o al fruttivendolo di fiducia, se è disposto a riutilizzarli per voi o per sé stesso.
13. Usare i pannolini lavabili in stoffa invece di quelli usa-e-getta.

Scoperte 60.000 strutture Maya sotto la giungla in Guatemala

Fonte: https://ilfattostorico.com/2018/02/05/scoperte-60-000-strutture-maya-sotto-la-giungla-in-guatemala/

Live Science

National Geographic

Un’indagine aerea sul Guatemala settentrionale ha rivelato oltre 60.000 nuove strutture Maya, tra cui piramidi, strade rialzate, fondazioni di case e fortificazioni difensive. È una scoperta enorme che ha già portato gli archeologi a scavare ed esplorare i nuovi siti.

«Le immagini LiDAR chiariscono quanto l’intera regione fosse un sistema di insediamenti, le cui dimensioni e densità di popolazione sono state largamente sottostimate», ha dichiarato l’archeologo Thomas Garrison.

(Wild Blue Media/National Geographic)

Il LiDAR

Per vedere le tracce di quella popolazione è stato necessario togliere virtualmente la fitta vegetazione del Guatemala. Nella giungla è infatti facile camminare accanto a una rovina archeologica e non vederla. Il nuovo studio ha utilizzato la tecnologia LiDAR (Light Detection And Ranging), che funziona trasmettendo impulsi laser a terra – in questo caso, da aerei – e misurando le lunghezze d’onda riflesse, così da creare una dettagliata immagine tridimensionale del terreno. Il lidar traccia la topografia con tanta precisione che le caratteristiche rettangolari – come strade, fondazioni di case e piazze – “saltano semplicemente fuori”, ha detto David Stuart, antropologo presso l’Università del Texas ad Austin che ha seguito da vicino il progetto.

L’esperienza di Thomas Garrison, archeologo dell’Ithaca College e National Geographic Explorer, lo conferma: la sua squadra aveva scavato e mappato minuziosamente per anni il sito maya di El Zotz nel nord del Guatemala. Il lidar ha però rivelato su una collina un muro di fortificazione lungo 9 metri, mai notato prima. «Forse alla fine ci saremmo arrivati lo stesso, ma nel 2010 io ero a circa 46 metri di distanza e non avevo visto nulla», ha dichiarato a Live Science. Garrison ha visitato il muro lo scorso giugno, e ora lui e la sua squadra stanno cercando finanziamenti per scavarlo.

Ad occhio nudo è difficile vedere la piramide sulla destra (Wild Blue Media/National Geographic)

La piramide Maya vista col lidar (Wild Blue Media/National Geographic)

La nuova piramide Maya, quasi invisibile ad occhio nudo (Wild Blue Media/National Geographic)

Tesori nascosti

Il lidar era stato utilizzato per la prima volta in archeologia nel 1985 in Costa Rica, ma solo nel 2009, quando i ricercatori lo usarono in Belize, venne impiegato nel territorio dei Maya. La nuova ricerca è la prima fase della “PACUNAM LiDAR Initiative”, un progetto triennale che prevede la mappatura di 14 mila chilometri quadrati di bassopiani del Guatemala. Al momento le indagini aeree hanno scansionato 2.100 chilometri quadrati della “Maya Biosphere Reserve”, nella regione del Petén: 10 aree separate, alcune delle quali erano state mappate a mano e altre erano in gran parte inesplorate.

Delle oltre 60.000 strutture architettoniche, la maggior parte, dice Garrison, sono probabilmente piattaforme di pietra che sostenevano le comuni abitazioni Maya. Ma i telerilevamenti hanno anche mostrato caratteristiche che sono probabilmente piramidi, strade rialzate e difese. Uno speciale di National Geographic, “Maya: I tesori perduti” (in onda a partire dal 13 febbraio), si concentrerà su alcune di queste scoperte, tra cui una piramide a sette piani così coperta di vegetazione da fondersi praticamente nella giungla.

Una caratteristica intrigante sulle mappe del lidar, ha detto Lisa Lucero antropologa dell’Università dell’Illinois (non coinvolta nel nuovo sondaggio), è il numero di strade costruite dai Maya. Non usavano bestie da soma, e quindi queste strade non sarebbero servite per i carri. Potrebbero aver funzionato come strade rialzate durante la paludosa stagione delle piogge, oppure come piattaforme per le processioni. Ma sono anche affascinanti i punti vuoti sulla mappa, aggiunge Stuart, i luoghi in cui i Maya scelsero di non vivere. Nessuno vuole esaminare un’area vuota, ma i Maya sapevano sfruttare bene il paesaggio, e le loro scelte su dove stabilirsi potrebbero rivelare di più sul loro utilizzo delle fonti d’acqua e dei campi agricoli. «Cambierà la nostra opinione su come i Maya vivevano in quel paesaggio», ha detto Stuart. «Quando avremo un’immagine chiara di ciò che è stato scoperto, potremo iniziare a parlare dell’organizzazione delle comunità, dei sistemi agricoli, dell’uso del suolo, di strade e comunicazioni».

(Wild Blue Media/National Geographic)

L’indagine ha dimostrato che anche città come Tikal furono più grandi di quanto si credesse (Wild Blue Media/National Geographic)

L’immagine ottenuta col lidar (Wild Blue Media/National Geographic)

Tikal vista da Sud-Est (PACUNAM / Canuto & Auld-Thomas)

Tikal e la sua muraglia (PACUNAM / Canuto & Auld-Thomas)

El Palmar, 40 volte più grande di quanto stimato finora (PACUNAM / Garrison)

Albert Lin (sinistra), Tom Garrison (centro) e Francisco Estrada-Belli (destra) davanti al sito di Tikal (Wild Blue Media/National Geographic)

 

Trump attaccherà l’UE e punirà Angela Merkel per aver falsificato i dati del commercio

Scritto da: Malachia Paperoga
Fonte: http://vocidallestero.it/2018/02/01/trump-attacchera-lue-e-punira-angela-merkel-per-aver-falsificato-i-dati-del-commercio/

Mentre qualcuno in Italia si autoflagella per il nostro mancato rispetto delle insensate quote-latte, gli USA pensano a introdurre una più sensata quota-automobili contro la politica commerciale aggressiva della Germania. Si profila sempre di più uno scontro tra chi cerca di approfittarsi della domanda estera (Berlino) e chi tale domanda è costretto a sostenerla (Washington). Il rischio per l’Italia è quello di schierarsi dalla parte dei tedeschi, difendendo il loro atteggiamento che in primis penalizza le nostre imprese a discapito di quelle tedesche.

Di Joseph Carey, 31 gennaio 2018

Il surplus commerciale di Berlino nel 2017 potrebbe essere addirittura di 80 miliardi di euro, cosa che ha spinto il professor Heiner Flassbeck, ex segretario di stato tedesco alle finanze, a dichiarare che Angela Merkel sta “falsificando i dati” (vedi qui l’articolo di Flassbeck da noi tradotto).

Il professor Flassbeck ha accusato la Germania di “falsificare i conti, in modo che non si veda che il surplus sta aumentando”, e la nazione della Merkel viene accusata di sminuire la vera portata dell’attuale surplus commerciale nel tentativo di evitare le crescenti critiche provenienti da tutto il mondo.

L’anno scorso il Presidente USA dichiarò che la Germania era “Molto scorretta riguardo al commercio”, puntando il dito contro i “milioni di automobili” che la Germania vende agli USA.

All’epoca il Presidente aveva dichiarato che “è terribile, fermeremo tutto questo”.

E il professor Flassbeck aggiunge che “Quello che stanno facendo è una forma di pressione politica ‘soft’, ma in pochi lo capiscono”.

Gary Hufbauer, esperto di commercio dell’istituto Peterson a Washington, sostiene che l’attacco dei Repubblicani potrebbe sfruttare i poteri della “sezione 232” (una forma USA di auto-tutela contro le importazioni che potrebbero minacciare la sicurezza nazionale NdVdE) per lanciare una serie di sanzioni “contro l’acciaio europeo” e imporre “una qualche forma di quota-automobili”.

Secondo lui “sicuramente il Presidente si scaglierà contro l’acciaio europeo, e la cosa più probabile è che poi imporrà una sorta di quota sulle automobili. Le due parole chiave che continua a usare sono ‘reciprocità’ e ‘equità’. Quello che sembra voler dire è che il commercio non è reciproco se un partner mantiene un grande surplus, e non è equo se adotta barriere che gli USA non hanno. La Germania non è affatto equa riguardo alle auto, perché la UE adotta una tariffa doganale del 10%, mentre gli USA hanno una tariffa del 2,5%”.

Il notevole “surplus commerciale bilaterale” preoccupa molto gli USA, che potrebbero finire col punire l’intera UE per i flussi commerciali sbilanciati di Berlino.

L’ultimo rapporto del Tesoro USA dichiarava che “il surplus commerciale bilaterale della Germania con gli USA è molto ingente e fonte di preoccupazione. La Germania, in quanto quarta potenza economica globale, ha la responsabilità di contribuire a una crescita della domanda più bilanciata e a flussi commerciali più bilanciati”.

Dai rapporti risulta che tra l’80 e il 90% del commercio di Berlino sfrutta la domanda estera.Nel frattempo, Peter Navarro, consulente commerciale alla Casa Bianca, ha detto che la Merkel mantiene il Marco Tedesco “fortemente svalutato” sfruttando l’unione economica e monetaria europea.Dopo aver detto che gli USA hanno una relazione “per niente equa” con la UE, Donald Trump potrebbe lanciare un feroce attacco commerciale contro l’area valutaria europea nel tentativo di costringere la Germania a cambiare la sua condotta.Durante un’intervista con il presentatore Piers Morgan, Trump ha detto che “ho avuto un sacco di problemi con l’Unione Europea, e potrebbe diventare qualcosa di veramente molto grosso dal punto di vista commerciale. E’ una situazione molto iniqua. Non riusciamo a esportare i nostri prodotti. E’ molto, molto dura, mentre loro esportano qui i loro prodotti – senza pagare tasse, o con tasse molto basse”.

Se Trump dovesse punire la UE per questioni commerciali, questo potrebbe portare a una battaglia tra l’Unione e gli USA.

L’UE ha dichiarato: “L’unione Europea è pronta ad agire prontamente e appropriatamente nel caso in cui le nostre esportazioni dovessero essere colpite da qualche misura commerciale restrittiva da parte degli Stati Uniti”. Tuttavia, Hufbauer pensa che la testa calda Repubblicana potrebbe “vendicarsi” nuovamente e creare tensioni crescenti tra gli USA e l’UE.Ha aggiunto: “Questo è un Presidente che potrebbe vendicarsi delle ritorsioni”.Se Trump dovesse imporre una sanzione contro le automobili e l’acciaio tedesco, l’intera UE verrebbe trascinata nel conflitto – il che potrebbe penalizzare nazioni come l’Irlanda, che dipende significativamente dall’America per il commercio.

La Germania ha il maggior avanzo commerciale mondiale, in termini assoluti, dato che le statistiche hanno mostrato che ha raggiunto 287 miliardi di dollari lo scorso anno – battendo la Cina.

L’avanzo commerciale di Berlino è stato inoltre superiore all’8% del PIL negli ultimi anni.

Disuguaglianze: chi rende i ricchi sempre più ricchi?

Scritto da: Paolo Ermani
Fonte: http://www.ilcambiamento.it/articoli/disuguaglianze-chi-rende-i-ricchi-sempre-piu-ricchi

A livello mondiale l’1% di persone detiene una ricchezza pari a quella del restante 99%: la questione delle disuguaglianze è un tema assai dibattuto, ma ci si dovrebbe chiedere chi contribuisce a fare diventare i ricchi sempre più ricchi.

Se ad esempio mangio da Mc Donald’s, bevo Coca Cola, acquisto prodotti della Nestlè, investo in azioni speculative, metto i miei soldi in banche ben poco etiche, non potrò poi sorprendermi che immense ricchezze siano in pochissime mani che sempre più si arricchiscono e sempre più impoveriscono gli altri; non potrò sorprendermi dell’effetto serra, della desertificazione dei suoli, dell’inquinamento massiccio, dello sfruttamento di schiavi in tutto il mondo, perché io contribuisco indirettamente a tutto questo. Nel mondo vetrina in cui l’unica cosa che conta sono i soldi, chi è già ricco, grazie alla finanza, al controllo dei mass media, attraverso la politica connivente e alla pubblicità, avrà sempre più possibilità di arricchirsi. Nella legge del mercato chi è grande vuole diventare più grande per mangiarsi gli altri. E’ esattamente il nostro sistema di competizione, dove la distruzione della concorrenza è obiettivo prioritario e dove plotoni di coach, counselor, esperti e consiglieri vari, forniti di lauree e lunghi pedigree, attraverso grandi sorrisi e metodologie spesso made in USA, suggeriscono alle ditte e ai manager in ogni modo possibile, comprese le varie trovate mistiche, meditative e new age, su come prevalere sui concorrenti e vendere alla gente qualsiasi prodotto.

E alla fine della catena chi c’è? Ci sono il consumatore e l’investitore che con le loro scelte consentono a chi è già ricchissimo di diventarlo ancora di più. Un sistema che non mette nessun freno alla crescita dei patrimoni, che benedice il denaro, che santifica chi è capace di arricchirsi velocemente e lo tratta come un genio o un divo, è chiaro che si sta facendo del male da solo. Poiché ci si dimentica che chi fa tanti soldi, veloce e in fretta, di solito non si comporta in maniera filantropica o con attenzione all’ambiente e se sporadicamente lo fa è solo per ragioni di immagine, non certo perché ha a cuore gli altri o il mondo, altrimenti molto probabilmente si sarebbe posto ben altri obiettivi che non esclusivamente arricchirsi. Da un punto di vista culturale sarebbe poi assai educativo smettere di pensare che chi è ricco e ha successo attraverso i soldi, sia una persona da imitare, da prendere ad esempio. Spesso chi fa tanti soldi non ha altra motivazione e scopo, come fosse una droga, una malattia e ne ha così tanti che non sa più nemmeno come spenderli.

Quindi, chi fa diventare i ricchi sempre più ricchi, almeno nei paesi occidentali e nei cosiddetti paesi emergenti che ci seguono nella strada del consumismo folle, è proprio gran parte della popolazione che si lamenta che i ricchi sono sempre più ricchi. Per farli diventare meno ricchi e diminuire le disuguaglianze, basterebbe comprare il meno possibile i loro prodotti e investire il meno possibile nelle loro azioni. In fondo non è difficile, ormai in rete si trovano notizie di qualsiasi patrimonio, ditta, banca e multinazionale per rendersi conto a chi si stanno dando i propri soldi. Se ciò non bastasse, ormai da anni è disponibile la guida al consumo critico  che facendo un lavoro egregio dà dettagliate informazioni su multinazionali e affini.

In genere si pensa che la soluzione alle diseguaglianze sia redistribuire la ricchezza, il che sarebbe giusto per chi non ha nulla o quasi nulla; ma che senso ha dare più denaro a chi ne ha e li spreca costantemente? Uno dei motivi dei grandi disastri ambientali e sociali è proprio il consumismo. Avere a disposizione maggiori soldi spesso significa maggiori consumi  e di conseguenza ingrassare ancora di più l’1%.

Se non si cambia profondamente il sistema di valori, più soldi si distribuiscono, a chi comunque ha già tutto e più si comprano merci superflue arricchendo gli stessi responsabili delle disuguaglianze. Invece che maggiori soldi si dovrebbero avere meno esigenze, soprattutto se indotte da un sistema pubblicitario martellante e costante che ci fa nascere bisogni  assolutamente non necessari ma altamente impattanti.

Basta guardare le pubblicità in televisione, internet, giornali e riviste per rendersene conto: su 100 pubblicità ce ne potrà essere forse solo una di un prodotto che serve realmente. Tutto il resto è costituito da prodotti di cui potremmo benissimo fare a meno e, non comprandoli, ci basterebbero meno soldi per vivere e dovremmo lavorare meno. Non si capisce infatti come mai si dica che siamo in crisi e allo stesso tempo siamo sommersi di pubblicità di automobili, profumi e cosmetici, gioielli, orologi di marca, vestiti e moda in genere, accessori per cani e gatti (indispensabili in tempi di carestia) costantemente in crescita, giochi d’azzardo, cellulari sofisticatissimi e via di questo passo. Se avessimo più soldi li getteremmo ulteriormente in tutti questi e altri oggetti simili che servono solo ad arricchire chi è già ricco sfondato. E dando meno soldi a loro si riducono anche gli abusi, gli sfruttamenti degli schiavi che lavorano per i super ricchi e ci permettono di avere moltissimi prodotti a prezzi irrisori che riempiono le nostre case.

Per fermare i giganti dell’1% che grazie anche alla nostra complicità, sfruttano, affamano e non hanno nessun rispetto per l’ambiente, bisogna togliere loro il nostro appoggio, comprare il meno possibile i loro prodotti, non investire nelle loro azioni e non supportare le banche che li tengono in vita.

Sembra un passo piccolo e insignificante ma invece è l’inizio di un cammino di liberazione.

NEW AMERICAN MOMENT!

Fonte: http://icebergfinanza.finanza.com/2018/01/31/new-american-moment/

In attesa si scoprire quanto sono spaventati dai mercati, dall’andamento dei tassi sui mutui e dalla mancanza di inflazione i nuovi componenti della Federal Reserve “Made in Trump” nel discorso sulla disunione, Donald conia il nuovo moto… “New American Moment”

Dopo meno di un minuto dall’inizio del suo intervento, di fronte al Congresso a Camere riunite Trump ha ricordato la sua missione: “Rendere l’America di nuovo grandiosa per tutti gli americani”. E dopo essersi vantato del suo primo anno di presidenza, del miglioramento dell’economia e del rally dell’azionario Usa, ha detto che “non c’è mai stato un momento migliore per iniziare a vivere il sogno americano”. Perché “se si lavora sodo, se si crede in sé stessi, se si crede nell’America, allora si può sognare qualsiasi cosa, si può diventare qualunque cosa e insieme possiamo realizzare di tutto”. Lui spera di portare a casa altre vittorie legislative dopo quella – non senza intoppi – sulla riforma fiscale, la maggiore dal 1986. America 24:

Quindi il nostro eroe si è vantato del rally azionario, ma non era lo stesso eroe che in campagna elettorale giusto un paio di anni fa, con gli indici americani sotto di almeno un buon 25% da questi livelli…

Donald Trump says he ‘got out’ of stock market – Aug. 2, 2016

Donald Trump: la bolla speculativa nell’economia USA sta per scoppiare

Il magnate miliardario, ospite del programma della ABC “Good Morning America”, ha dichiarato che l’economia americana è in una bolla speculativapronta a scoppiare. Ha inoltre aggiunto di non voler affrontare un crollo finanziario se dovesse essere eletto alla Casa Bianca.

“Se la bolla scoppierà, spero succeda prima di diventare presidente, perché non voglio ereditare un problema di questa portata”

E invece caro Donald te la ritroverai in faccia la bolla, come un chewingum scoppiato e purtroppo ce la ritroveremo tutti addosso, perché gli idioti come te, o almeno secondo le ultime rivelazioni questo è quello che pensano tutti quelli che ti circondano se ne fregano della povera gente.

Quando si tratta di gloria o soldi, la gente venderebbe anche la madre, la madre di tutte le crisi che sta per arrivare, per tutti, tranne che per gli idioti che non vedono gli innumerevoli squilibri che stanno sotto l’enorme disparità di ricchezza attuale.

Diceva il buon Gomez Davila che il popolo non elegge chi lo cura, ma chi lo droga.

“… nessuno sulla Terra è così coraggioso o determinato come gli americani. Se c’è una montagna, la scaliamo. Se c’è una frontiera, la superiamo. Se c’è una sfida, la controlliamo. Se c’è un’opportunità, la sfruttiamo”.

Nell’ America dell’amica delle banche, il loro fantoccio, Hillary Clinton, oggi c’è il protezionista Trump, altro grande amico della banche con cui è indebitato fino al collo, a partire da Deutsche Bank, la deregulation è nata con Bill Clinton, la deregulation tornerà come un fantasma con Donald Trump e sarà la fine del sistema finanziario, perché la madre degli idioti è sempre incinta. Trump sa cosa succede se scoppia definitivamente una guerra commerciale…

In tema di commercio, Trump ha ammorbidito i toni. Forse per non fare deragliare una volta per tutte i negoziati per aggiornare il North American Free Trade Agreement. Dell’accordo di libero scambio tra Usa, Canada e Messico, tanto criticato, il presidente non ha parlato. Non ha nemmeno citato la Trans-Pacific Partnership, l’accordo di libero scambio che Barack Obama raggiunse con 11 nazioni che si affacciano sul Pacifico ma da cui Trump ritirò gli Usa prima ancora della sua entrata in vigore. Quelle nazioni intendono tirare dritto anche senza l’America. Trump non ha parlano nemmeno della Cina in questo contesto, anche se la sua amministrazione prepara nuovi dazi su acciaio e proprietà intellettuale. Come fatto a Davos, la località della svizzera dove si è svolto la settimana scorsa il World Economic Forum, Trump ha ribadito che “l’era dell’arresa è finita. D’ora in poi, ci aspettiamo relazioni commerciali giuste e reciproche”. Trump ha promesso di “lavorare per aggiustare accordi commerciali cattivi e negoziarne di nuovi”.

Il problema oggi è che non sai più dove stare, a destra in centro o a sinistra abbondano gli idioti, quindi non sai più come portare avanti i tuoi valori e le tue idee.

Ieri Renzi, parlando dei dazi di Salvini, e tirando in ballo un ignorante come Calenda che propone da sempre trattati transaltlantici a favore delle multinazionali, ha ironicamente suggerito che si farà suggerire dall’economista Alberto Bagnai che lo sfiderà nel collegio blindato di Firenze, come fare per distruggere il Paese.

Peccato che Renzi abbia già dei grandi esperti in casa, un certo Davide Serra, finanziere e speculatore, oltre che grande sostenitore, che si è fatto più di un giretto con le banche popolari, esperti che consigliavano di acquistare Monte dei Pasci di Siena in quanto risanata ad un livello dal quale ha perso oltre il 90 % …

Un altro grande esperto di casa Renzi, è un certo Pierpaolo detto Padoan, uno che ha una lungimiranza incredibile in fatto di debito pubblico o di crescita economica…

Padoan: “Stime Fmi diverse dalle nostreVedremo chi ha ragione”

NEW YORK – Le stime del Fondo monetario internazionale “sono diverse dalle nostre. Vedremo chi alla fine avrà ragione.

Noi comunque sulle previsioni abbiamo un tasso di errore molto basso”.

Infatti oltre ad un tasso di errore molto basso, abbiamo pure un track record strepitoso sulla base delle indicazioni del ministro Padoan…

In sintesi ben dopo sei anni alla settima ha centrato la ripresa economica, indotta dalla ripresa economica globale, non certo dalle scelte di politica economica dei suoi consiglieri.

Non solo anche in materia di debito pubblico Padoan ha un track record mostruoso…

Padoan: debito pubblico Italia si è fermato, ora scenderà

Bruxelles, 25 mag. (askanews) – Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha ribadito oggi a Bruxelles che la mancata riduzione del debito pubblico italiano nel 2016 è dovuta al recente ulteriore rallentamento dell’inflazione nel Paese, che ha inciso sul denominatore del rapporto debito/Pil; ma, ha sottolineato il ministro, il debito si è comunque fermato e ora comincerà a “scendere rapidamente.

E giusto per avere una conferma autorevole alle sue parole, il governatore della Banca d’Italia, Visco ha confermato che il debito

… non scenderà!

In effetti il buon Padoan che correrà a Siena, si proprio a Siena dove lo Stato è proprietario dell’intera città avendo rilevato l’intera banca, covo della sinistra, dicevo ha dichiarato per ben tre anni che il debito pubblico sarebbe sceso…

Ora, per carità si può sempre sbagliare, ma se questi sono i consiglieri economici di Renzi, che prendono ordini direttamente da Bruxelles, direi che al confronto Alberto Bagnai è un gigante, una persona che conosco personalmente e alla quale affiderei ogni ultima speranza, di uscire o provare ad uscire da questo inferno, denominato euro.

Ricordo a tutti che negli ultimi anni in molti hanno dichiarato che è stato un colossale errore ma non si può tornare indietro, chiaro il concetto, siccome hai un tumore, tienitelo!

Tornando a noi, a proposito di infrastrutture, il buon Donald ha alzato l’asticella a 1,5 trilioni di dollari sino al 2020, un po di soldini che la Federal Reserve dovrà stampare, a meno che qualcuno non sia così ingenuo da credere che ce li metterà il Governo americano o che i repubblicani aumenteranno le tasse per coprire il disavanzo pubblico, i procinto di esplodere.

Peccato che i suoi consiglieri non abbiano suggerito anche che il moltiplicatore della spesa pubblica è da tempo negativo. Sulla base della ricerca accademica, le migliori prove suggeriscono che il moltiplicatore è -0,01, il che significa che per un ulteriore dollaro di spesa in deficit ridurrà il PIL privato di 1,01 dollari, determinando un calo di un centesimo del PIL reale, così suggerisce il nostro amico Lacy Hunt.

Per il resto nessuna novità, tutto procede come da copione!