A Chioggia il pesce ha gli occhi a mandorla

Scritto da [Ansa]   
Fonte: http://www.estnord.it

E’ il secondo centro italiano per la pesca dopo Mazara del Vallo in Sicilia. Adesso a Chioggia (Venezia), anche nello storico mercato del pesce, vendita al minuto, sbarcano i cinesi. Uno dei 45 commercianti del consorzio “La pescaria de Ciosa” che riunisce i dettaglianti del mercato cittadino, pittoresco e tradizionale come quello di Rialto a Venezia, ha venduto a un commerciante cinese il suo banco, una postazione ereditata dalla famiglia rimasta sempre in mano ai locali, come tutti gli altri banchi del pesce. Sulla cifra sborsata dal pescivendolo cinese solo voci che spiegano pero’ come il vecchio proprietario si sia convinto a vendere: il banco sarebbe stato pagato 40 mila euro, circa quattro volte in piu’ della normale offerta che si fa per comprarne uno simile. Gli altri commercianti sono rimasti sorpresi dell’affare e se ne sono accorti solo quando il vecchio proprietario e’ arrivato sul posto accompagnando il cinese per mostrargli il posto di lavoro e l’organizzazione del mercato. Il neofita ha mostrato grande cordialita’ nei confronti dei nuovi colleghi i quali pero’, secondo quanto riporta il quotidiano “La Nuova Venezia”, hanno risposto con diffidenza.
E preoccupazione: “Non abbiamo nulla contro i cinesi, ovviamente, ma siamo allarmati – ha detto Paola Camuffo, presidente di Amic (commercianti del mercato all’ingrosso) e tra i promotori del consorzio dei minutisti – questo e’ il primo caso, ma se ne seguiranno altri si rischia di veder scomparire una tradizione. Mi rendo conto che, in tempi di crisi, certe offerte economiche possono sembrare allettanti, ma credo che la citta’ rischi di perdere, nel complesso, parte della sua immagine”. Le associazioni dei commercianti ittici di Chioggia hanno anche scritto al presidente della Regione Zaia esprimendo la loro preoccupazione. Oggi Zaia ha convenuto con loro, dicendo alla stampa: “E’ un segno dei tempi, ma sicuramente non e’ un bel segno. La Regione Veneto continuera’ a lavorare perche’ i banchi del pesce e tutte le attivita’ rispettino l’identita’ di origine, questo perche’ immagino che quando un veneto va a comprare un branzino, piuttosto che un polpo, voglia sentire l’idioma locale. Il prodotto tipico in Veneto si vende in questa e non in altre maniere”.

Lo scontro tra potere ortodosso e lobbies della cybernetica

Fonte: Osservatorio Italiano

L’offensiva sferrata da Wikileaks ha catturato l’attenzione del mondo diplomatico e politico internazionale, insinuando così il dubbio che gli equilibri che oggi reggono le relazioni bilaterali e mondiali siano più instabili e precari di quel che si pensava. Una fuga di informazioni dalla rete delle ambasciate e del Departement State degli Stati Uniti apre molteplici scenari su cui gli analisti si interrogano. Tra le teorie più accreditate vi è quella secondo cui Wikileaks sia davvero una rete che vuole sabotare Washington, o l’amministrazione Obama, ed in particolare il sistema diplomatico americano: mostra com’è cinico, che agisce come se i Paesi fossero un suo dominio, ed i governi dei burattini, mostra che gli ambasciatori sono ambigui e doppiogiochisti, insomma che non sono più una controparte da ascoltare nel tutelare l’ordine mondiale. Da qui l’idea che Wikileaks voglia una nuova era, in cui mettere a nudo i potenti del passato. In secondo luogo, vi è la teoria del sabotaggio, ossia che la stessa amministrazione americana abbia creato un sistema per sabotare gli accordi con la Russia, e così la sua tela di Stati che la rendono sempre più forte ed un’inattaccabile controparte della NATO, oppure per isolare l’Iran all’interno del mondo arabo e continuare la strategia della tensione.

Questione energetica è un bersaglio. Entrambe le tesi sono verosimili, perché spiegano le reazioni degli Stati e della stessa America, rendendo perfetto questo teorema. Wikileaks attacca Berlusconi, e Hillary Clinton chiede scusa, mentre alle forti critiche dei rapporti interconnessi con Putin tutto tace da Washington. Tuttavia Russia e Italia rispondono con il rafforzamento della partnership energetica e del progetto del South Stream, che assume così aspetti sempre più complessi. Il Governo italiano e quello russo hanno confermato gli accordi di costruzione e dato a tale unione un nuovo volto, in considerazione di due operazioni societarie strategiche. Viene ratificato in primo luogo l’accordo trilaterale tra Russian Post, Poste Italiane e Finmeccanica per l’ottimizzazione della rete logistica (technology, operating and logistic system) e lo sviluppo di servizi innovativi (financial services and treasury, products and services supply) – senza però dimenticare che l’autorità postale controlla parte dello scambio dell’informazione sulla rete internet. In secondo luogo, Eni avvia il processo di vendita dei gasdotti Tenp e Transitgas, ossia la rete di interconnessione rispettivamente con Germania e Olanda, e con Svizzera e Francia, in cui si potranno probabilmente inserire ‘partner terzi’. Allo stesso tempo, la Cassa Depositi e Prestiti, controllata del Tesoro e da un gruppo di Banche, diventa il nuovo socio dell’Eni, attivando lo swap delle partecipazioni detenute in Poste, Enel ed Stm.  Le Banche italiane sembrano lasciare le Poste per privilegiare l’Eni e i suoi progetti nel settore del gas.
Intanto, Turchia e Russia confermano la loro volontà a costruire l’oleodotto Samsun-Ceyhan (dalla costa del Mar Nero al Mediterraneo) e così lo stesso South Stream, che necessita pure sempre del via libera di Ankara per la sua realizzazione. Non dimentichiamo infine la Bulgaria, altro Stato strategico per il gasdotto russo, che ha confermato la sua ‘fedeltà’ a Mosca, suggellando anche l’accordo sulla centrale nucleare di Belene, e i Balcani dove Gazprom miete consensi dalla Croazia sino all’Albania per la gassificazione della regione.

Rapporto Mitrokhin: un precedente. E’ proprio sulla questione energetica che ruota il ‘caso Wikileaks’, perché tra mito e realtà esiste la linea invisibile del vero braccio armato degli Stati, che sono le intelligence-ombra, che si sono già scontrate con il famoso caso del Dossier Mitrokhin. La raccolta di 3.500 report, destinati a 36 nazioni, e redatti dal servizio di controspionaggio inglese – SIS sulla base delle note manoscritte da Vasilij Nikitič Mitrokhin, ex archivista del KGB, fu esattamente ‘una fuga di notizie segretissime’ relative ad un arco temporale abbastanza ampio, che mostrarono i lati oscuri dei rapporti con la Russia. Una parte di questi erano relativi all’Italia e vennero consegnate al SISMI dal 1995 fino al 1999 (fine guerra in Bosnia – anno del bombardamento NATO alla Serbia) e corrispondono a un arco temporale che va dal 1917 al 1984. Oltre a causa della complessità della verifica dei singoli eventi e della comprensione della sua realizzazione, l’importanza del Dossier Mitrokhin è stato messo in dubbio anche perchè parte delle informazioni erano vere e già note ai servizi italiani, poste poi accanto a molte che erano false e che hanno contribuito a creare caos, in un periodo di transizione per il blocco sovietico. Lo stesso meccanismo è venuto alla luce nel 2006 , con la morte dell’ex agenteAleksandr Litvinenko e la riapertura del caso del dossier Mitrokhin, che parlava di un gruppo di agenti speciali russi (spetsnaz) definito “Dignità e onore”. I ‘documenti segreti’ accennavano all’esistenza di ex agenti del Kgb che stavano conducendo la loro guerra fredda “contro i dissidenti del regime di Vladimir Putin”. Stiamo parlando di un periodo in cui l’Italia, con Romano Prodi, poneva le basi per la costruzione del South Stream e dell’alleanza tra ENI e Gazprom, per fare del     gas    la      fonte energetica  del         futuro.                
Il servizio segreto ortodosso. Allora, un’analisi lucida e sistemica dell’Osservatorio Italiano (si veda; “Dignità e onore”: la copia strumentalizzata del Servizio Segreto Ortodosso) ha rivelato come il dossier Mitrokhin e il servizio parallelo di “dignità e onore” non era altro che una tecnica per colpire in realtà è il ‘servizio segreto ortodosso’. Stiamo parlando di un’entità, la cui struttura è stata descritta per la prima volta proprio da Michele Altamura, che rappresenta un “servizio segreto parallelo che riunisse in sé i dissidenti del servizio di spionaggio al solo scopo di formare una forza invisibile e interna agli Stati”. Si definisce “giusto” perché va a colpire un personaggio debole e ricattabile del sistema, costruendo su di lui un dossier e fruttano la sua posizione di debolezza per raggiungere determinati scopi. In questo modo il servizio ortodosso ha costruito una rete di contatti parallela agli Stati, in modo da collocare all’interno di ogni struttura strategica, società o istituzione, un proprio uomo fidato e dare vita ad una zona di influenza. È su questo sistema che la Russia ha creato sulle proprie ceneri un impero economico, posizionando in ogni stato e all’interno delle più grandi società un proprio contatto in modo da ottenerne il controllo.  “Chi ha creato il servizio segreto ortodosso è stato intelligente perchè aveva già predisposto meccanismi che impedissero che il nemico potesse pronunciarlo e farlo uscire allo scoperto. Questo sistema esiste ed è ben saldo, ha il potere di usare tutti i mezzi per la razionalizzazione di tutte le società più importanti, in modo da colpire l’economia di uno Stato attraverso il controllo dei suoi politici o delle persone che contano davvero”, scrive Michele Altamura.

Mitrokhin è stato un dossier studiato in ogni suo aspetto, in modo che nessuno potesse risalire alla verità proprio perché è stato scritto da fonti anonime, gestito da commissioni anonime create ad hoc per fare un po’ di scena e far rientrare il caso nell’immaginario collettivo. Dell’esistenza del servizio segreto ortodosso abbiamo prove ogni giorno, ed è quello che crea alleanze tra società e gruppi, che crea progetti per pipelines ed infrastrutture, è l’anticamera degli incontri più critici, è ciò che alcuni definiscono lobbying. Esistono infatti dei ‘collegamenti non convenzionali’, costruiti da elementi dei servizi segreti che hanno un ruolo ibrido, a metà strada tra sfera interna ed esterna, essendo legati principalmente a lobbies. Una società ha una fascia non convenzionale che prende contatti con la sua controparte russa, ed inevitabilmente durante la gestione di tali rapporti si verificano delle distorsioni. Tuttavia nessuno può individuarli o in maniera diretta, perché scontrarsi con questo sistema sarebbe come fare la guerra totale e decretare la fine delle stesse lobbies che tentano di far cadere i governi. Forse è ciò che cerca di fare l’America ancora una volta con il suo progetto cybernetico.
 
Wikileaks e il crimine invisibile. In tale ottica, Wikileaks è la versione evoluta del Dossier Mitrokhin, avendo a disposizione nuovi strumenti di comunicazione ed una tecnica più affinata. E’ oggi un sistema congeniato nei minimi dettagli che segue uno schema ben preciso, un progetto di propaganda per il controllo dell’internet – massima espressione del coinvolgimento delle masse all’interno della rete – che, sdoganando il segreto, attua una sorta di vaccinazione delle persone. Il crimine invisibile dell’eliminazione del segreto porta all’accettazione delle scelte difficili, di un evento non condivisibile ma necessario. Questo è ciò che l’Osservatorio Italiano ha affermato prima della pubblicazione dei documenti, ben sapendo che all’interno dei famosi dispacci delle ambasciate vi sarebbero state inserite solo mezze-verità, che dovevano fare da veicolo per le falsità più grandi ed innestare nelle persone un’idea, in modo da poter manipolare di nuovo gli eventi a proprio favore. E’ questa la nuova frontiera del contro-spionaggio, per la produzione del consenso e il controllo del dissenso, per servire gli interessi della classe dirigente.   Wikileaks è una ‘macchina dei messaggi’ e ha al suo interno delle intelligenze artificiali, visto che i suoi fautori sono anche i proprietari delle lobbies dell’informatica e dell’informazione, costituite da software, server, motori di ricerca, computer non convenzionali, intelligenze artificiali, data center, società di elaborazione di dati statistici. Utilizzare le vecchie tecniche di base come la propaganda e il complottismo, cattura ogni singolo messaggio, inserendolo in un comando unificato che è a sua volta diviso in compartimenti e cellule (camere stagne), tale che tutti finiscono per essere inghiottiti da questa macchina di intelligence, senza essere consapevoli di essere fornitori “delle proprie idee”, mentre sono soprattutto i dissidenti i soggetti interessanti.

Lo strumento ideale per l’attuazione resta quella classica del ‘Dossier Mitrokhin’: divulgazione di segreti ufficiali, semplicemente perché la classificazione su un qualsiasi pezzo di carta come “top secret” rende vero tutto ciò che è falso . Ad esempio, il rapporto segreto della missione NATO International Security Assistance Force nel 2006 individua Bin Laden come leader dei talebani e Mullah Omar leader della città pakistana di Quetta. E’ questo un sillogismo anti-dissidenza dell’11 settembre , in quanto accreditando come vera al figura di Bin Laden, in un documento segreto, si va a confermare l’esistenza della guerra al terrorismo. Usare quindi il segreto per giustificare indirettamente un conflitto è un crimine invisibile. Il ruolo dei media e dei social networks è quello di essere il centro-accreditamento bugie, in virtù della regola “tutto ciò che si vende si può pubblicare”. Il sillogismo anche stavolta è semplice. “Si tratta di notizie vecchie che confermano solo ciò che “tutti” sanno già. E’ contrassegnato come segreto, ma gli eventi sono veri e anche i nomi dei relatori, quindi non è un complottismo. Si parla contro i politici quindi è libertà di stampa, in nome di una causa più grande” .

Nuovi scenari. L’intelligenza artificiale che sta dietro questo grande progetto non può certo appartenere ad un’organizzazione che agisce senza scopo di lucro, è chiaro che è invece espressione di quelle che potremo chiamare le ‘Nuove Banche’, ossia entità che possiedono dati e strumenti forti a sufficienza per sferrare le loro guerre. Ciò che unisce i vecchi conflitti congelati con la nuova era è proprio lo scontro tra le lobbies della Cybernetica, che fa delle informazioni e della speculazione un mezzo di ricchezza, e il potere ortodosso, simbolo dell’alleanza tra la Chiesa Ortodossa e del Vaticano, tra l’Europa dell’Est e Italia con la Russia, e che utilizza l’energia come motore dell’economia. Alla sconfitta del petrodollaro e al fallimento delle speculazioni finanziarie, gli Stati Uniti rispondono con la guerra al terrorismo, con l’invasione di Iraq e Afghanistan e con la guerra invisibile, dichiarata proprio con la creazione del nuovo consiglio presso la Casa bianca della sicurezza “cibernetica”. Uno scenario che l’Osservatorio Italiano aveva teorizzato e dimostrato in tutti i suoi aspetti, avvertendo come gli Stati non possiedono ancora gli strumenti per contrastare il crimine invisibile. E’ infatti una guerra sotterranea, che parte da un server pirata e viene sferrata da computer , facendo tutti bersaglio di ritorsioni o rapine mascherate da “false collaborazioni”, da dossier e files che gettano discredito sui Governi.

Il veleno dello Stato

scritto da: Stella Spinelli
Fonte: http://it.peacereporter.net

Ettari ed ettari di cacao seccati dalle fumigazioni anti coca. E’ accaduto a Remolino del Caguan, in piena Amazzonia. Il dramma dei contadini e la loro denuncia

“Stiamo scrivendo questa lettera per denunciare la fumigazione subita martedì 23 novembre nella proprietà di Luis Abelardo Corrales, il principale produttore di cacao del Chocaguan, il Comitato di produttori di cacao di Remolino del Caguan e Suncillas. Sono state colpite da agenti chimici micidiali dieci ettari in piena produzione e che stavamo tirando su per inserirli nel processo di certificazione organica del 2011. Siamo disperati. E’ un brutto colpo per la nostra comunità. Spero che diffondere la notizia sia utile a far sì che riceviamo quanto prima la riparazione integrale del danno”. Ruben Dario Montes, presidente del Chocaguan, e Rodrigo Velaidez Muñeton, consigliere, hanno inviato questa accorata denuncia a don Angelo Casadei, l’unico parroco dello sperduto villaggio della profonda Amazzonia colombiana, che da anni sostiene il programma “No alla coca, sì al cacao“, unica possibile alternativa di vita sostenibile e legale nel dimenticato niente, dove tutto è guerriglia e militari. 

Montes e Velaidez Muñeton sono anni che hanno abbracciato l’idea che fu di padre Giacinto Franzoi, storico padre missionario di Remolino, pioniere cattolico che ha rivoluzionato la vita di ognuno degli abitanti di quella che fu la Las Vegas del narcotraffico. Un paese in mezzo alla foresta, nato sulle fondamenta fragili e appariscenti del denaro facile, e che ogni domenica era culla del mercato più In degli anni Ottanta. Miriadi di bancarelle con un solo prodotto: pasta di coca. E frotte di compratori per ogni via, dall’aria, dall’acqua, dal cielo, che risucchiavano il nettare bianco in poche ore, lasciando sacchi di dollari e tanta corruzione. Bar, bische, discoteche, bordelli, ristoranti di lusso. Questo era Remolino, che adesso è il fantasma di se stessa. Nonostante le raccomandazioni di quelli che allora erano i padroni indiscussi del territorio, i guerriglieri delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), che inisistevano affinché i contadini investissero tutti quei soldi in bestiame e agricoltura, “perché la prosperità non dura per sempre“, la filosofia della formica che fa scorta per l’inverno non li ha convinti, e fame e povertà hanno scacciato il lusso. Le Farc hanno battuto in ritirata, assediati da frotte di militari in assetto di guerra. E il paese langue. “Con la pasta di coca non ci mangiate più e vi porta dritti in carcere, dobbiamo pensare a un’alternativa legale e sostenibile”, andava intanto dicendo quel Giacino Franzoi, missionario stravagante in camicia a fiori.

E così Franzoi ebbe l’idea: “no alla coca, sì al cacao”, sostituire la polvere bianca con il profumatissimo cacao, e coinvolgere i contadini nella produzione di un ottimo cioccolato purissimo. Una vera svolta, seppure in tanti hanno continuato imperterriti a creare piantagioni di coca e laboratori per la produzione della pasta (prodotto compatto che va poi raffinato e trasformato in cocaina con l’aggiunta di varie componenti chimiche). Ma il Comitato Chocaguan è nato e conta molti affiliati. Mentre chi si ostina con la pianticella dei miracoli non solo ha sempre più problemi nel venderla, visti i controlli assidui delle forze dell’ordine, ma attira guai per tutti.

E’ proprio la presenza, risaputa, di queste coltivazioni illecite a invitare i contractors, a cui lo Stato ha affidato l’infausto e remuneratissimo compito di fumigare, a sorvolare interi ettari e a innaffiarli con il micidiale Glifosato, che certo non fa distinzioni di sorta. E uccide ogni forma vivente vegetale su cui si posa, con gravi danni anche per la salute di uomini e animali.

“Da tempo le fumigazioni sono riprese – racconta Lucia Pagnossin, collaboratrice di Padre Angelo Casadei e appena rientrata dalla Colombia -. E per questa gente è un vero disastro. Non hanno altra forma di sostentamento”. E se si pensa che è tutta gente che vive sull’orlo della miseria e che sta cercando faticosamente di uscire dalla spirale dell’illegalità, coltivando con pazienza un prodotto come il cacao che richiede cura, dedizione e tanta buona volontà, è facile comprendere la tragedia di questo tipo di lotta al narcotraffico. Una lotta cieca, che va a colpire i piccoli e lascia intatto il grande traffico. E anzi, non è la prima volta che succede che le uniche pianticelle a resistere al potente veleno siano proprio quelle di coca, mentre tutto intorno è il deserto. L’unico vero effetto che si ottiene con le fumigazione è infatti costringere a sfollare i poveracci che perdono tutto in un batter d’occhio.
Chi ci guadagna? I soliti grandi interessi legati alle solite immani ricchezze dell’Amazzonia, intorno alla quale sono emerse, emergono ed emergeranno un numero sempre maggiore di conflitti fra chi si contende il privilegio di controllarla.

Sostanze tossiche e salute: fertilità minacciata

Scritto da: Elisabeth Zoja
Fonte: http://www.terranauta.it/

Tre mesi fa la Endocrine Society, una società di scienziati americana, ha pubblicato un rapporto sulle sostanze che interferiscono col sistema endocrino. Queste sostanze, presenti in pesticidi, spray per i capelli e acqua potabile, tra le altre cose causano deformazioni negli organi genitali maschili, con effetti pericolosi sulla fertilità.

Gli endocrine disruptors compromettono la fertilità e causano altri seri problemi

I primi segni di una catastrofe nella salute umana si notano negli animali acquatici, spesso nei loro organi genitali. Alcune rane e salamandre del Lake Apopka, uno dei più grandi laghi della Florida, hanno iniziato a sviluppare una gamba di troppo. Gli alligatori di questa zona invece, hanno organi genitali striminziti.

Nel mese di giugno la Endocrine Society, un’organizzazione di scienziati americani, ha pubblicato un rapporto di 50 pagine che spiega come queste deformazioni stiano iniziando a colpire anche gli umani.

Causa principale sarebbero gli “endocrine disruptors”, una categoria di sostanze chimiche che interferiscono col sistema endocrino. Tali sostanze sono presenti in pesticidi, composti industriali e prodotti per consumatori quali spray per i capelli.

“Abbiamo le prove per dimostrare che gli endocrine disruptors hanno effetti sulla riproduzione maschile e femminile, sul cancro al seno e alla prostata, sul metabolismo e sull’obesità”, ha dichiarato la Endocrine Society.

Il numero di neonati maschi con deformazioni genitali è infatti in aumento. Ormai il 7% dei bambini americani nasce con testicoli ritenuti e l’1% con l’ipospadia, una malformazione dell’uretra maschile, la quale sbocca in un punto insolito, ovvero alla base del pene invece che sulla punta.

“Molti di questi composti agiscono come deboli estrogeni, per questo colpiscono particolarmente i maschi – anfibi o umani che siano – in via di sviluppo”, spiega Robert Lawrence, professore di scienze ambientali alla Scuola di Salute Pubblica Johns Hopkins Bloombe rg, “la cosa fa paura, molta paura”.

Gli endocrine disruptors si trovano spesso sia nell’acqua del rubinetto sia in quella in bottiglia

Quel che più spaventa è che queste sostanze si trovano spesso sia nell’acqua del rubinetto sia in quella in bottiglia. Il primo caso si verifica quando gli estrogeni nell’urina delle donne che utilizzano la pillola anticoncezionale passano attraverso gli impianti di trattamento delle acque nere e tornano a circolare nelle tubature delle case.

L’acqua in bottiglie di plastica, invece, assorbe le sostanze nocive direttamente dai suoi contenitori, i quali contengono spesso il Bisfenolo A (BPA), uno dei tanti endocrine disruptors.

Questi composti hanno effetti complessi sul corpo umano: negli Stati Uniti, ad esempio, è stata registrata una diminuzione degli spermatozoi presenti nello sperma dei ragazzi. Ma gli endocrine disruptors non influenzano solo la crescita dei maschi: le bambine che entrano in contatto con piccole quantità di estrogeni sono spesso soggette ad una pubertà precoce. Inoltre, queste sostanze possono influenzare lo sviluppo del cervello, causare resistenza all’insulina e diabete.

Sono passati ormai tre mesi da quando la società di scienziati americana ha lanciato l’allarme. I giornali quasi non ne parlano e il governo americano non prende provvedimenti.

Molto probabilmente il problema non riguarda solo gli Stati Uniti

USA, debito a 13665 miliardi di dollari

Fonte: Informazione scorretta

NEW YORK – Debito americano ai massimi di tutti i tempi a quota 13’665 miliardi di dollari, ovvero 3’000 miliardi di dollari in più da quando il presidente americano Barack Obama ha assunto l’incarico. Lo riporta l’emittente Cbs, sottolineando come durante i due mandati dell’ex presidente George W. Bush il debito sia aumentato di 4’900 miliardi di dollari.

La cosa ormai ha un tantino di ridicolo. Si potrebbe obiettare che il nostro allegro paese, nei suoi momenti, ha raggiunto il 160% di debito sul PIL, mentre gli USA con questa cifra arrivano al 100%.

Vero.

Vero pero’ anche che l’Italia non era la nazione motrice dell’economia mondiale ed epicentro della società occidentale stessa e che contava come il due di picche alla mensa dei pezzi grossi.

E adesso è un po’ diverso, diciamo che il paragone non regge.

Fed di Atlanta: servono 100 miliardi al mese

Sull’onda della comicità più pura, abbiamo questa dichiarazione del presidente della Federal Reserve di Atlanta Dennis Lockhart: si è dichiarato a favore di ulteriori misure di “quantitative easing” (ovvero, altra stampa di moneta dal nulla con le conseguenze che tutti stiamo vedendo)

Il QE2 (come e’ conosciuto in gergo sui mercati internazionali) “puo’ avere qualche buon effetto” ma “si deve trattare di un numero abbastanza ampio perche’ faccia la differenza”, ha detto Lockhart in un’intervista alla CNBC.

Ed ha concluso così:

Qualcosa nell’ordine di 100 miliardi di dollari al mese andrebbe bene

Miliardo più, miliardo meno. Lascio?

(gli affezionatissimi ricorderanno che il TARP di Paulson cubava 700 miliardi di dollari)

Passando a news un po’ più sostanziose e meno divertenti, prosegue lo sciopero in Francia. E mentre il TG della sera ha liquidato la carenza di benzina con quattro parole, risulta che…

Francia, un benzinaio su tre a secco

(AGI) – Parigi, 19ott. – Un benzinaio su tre in Francia e’ in attesa di rifornimenti e rischia di rimanere a secco. E’ l’allarme lanciato dalla Federazione dei trasporti su strada secondo cui 4000 distributori in tutto il Paese sarebbero in grave difficolta’ a fronte dei complessivi 12.500.

Una notizia confermata anche dal ministero dell’Ambiente che non ha specificato pero’ se le stazioni sono gia’ completamente senza benzina o hanno qualche giorno di sopravvivenza.

La Federazione dei trasportatori intanto ha fatto sapere che ci si avvicina a un fine settimana “veramente difficile” e ha chiesto al governo di “sbloccare immediatamente i depositi e di fissare delle priorita’ nella distribuzione di carburante, altrimenti ci sara’ la paralisi dell’economia” ha detto il responsabile Jean-Paul Deneuville.

Molte delle nostre imprese – ha affermato il presidente della Federazione delle imprese dei trasporti Philippe Grillot – non possono gia’ piu’ assicurare i servizi”.

Intanto aumentano i prezzi del gasolio, del 2,61% nelle ultime due settimane, e l’Unione de consumatori francesi ha gia aperto un’inchiesta.

Ebbene si.

Infine, se avete in mano il vostro telefonino piccolissimo che fa mille cosette carine, tenetevelo stretto, potrebbe tornare molto utile in futuro. Pechino infatti sta minacciando la restrizione dell’export di 17 minerali rari che servono ai nostri ipod, playstation portatili e non, ferri da stiro con ricevitore GPS integrato (per sapere sempre dove stai andando con il ferro da stiro), macchinette per il caffè collegate ad internet ed altri ammennicoli del genere.

Cina: Pechino minaccia restrizioni export ‘terre rare’

PECHINO (via swssinfo) – La Cina sta progettando di restringere ulteriormente le esportazioni dei preziosi minerali chiamati “terre rare”, dei quali detiene il monopolio con il 95% della produzione mondiale. Lo afferma oggi il quotidiano China Daily citando un alto funzionario del ministero per il commercio.

Si tratterebbe della seconda riduzione delle esportazioni in un anno e verrebbe a pochi giorni dall’annuncio che gli Stati Uniti stanno indagando per stabilire se il contingentamento delle esportazioni sia una pratica vietata dagli Accordi mondiali sul commercio (Wto).

Le terre rare sono indispensabili per la produzione di motori elettrici per le automobili, di turbine eoliche, di batterie al litio, di computer e gran parte dei loro accessori e sono ampiamente usate nell’industria degli armamenti.

Secondo il funzionario citato dal China Daily, Chao Ning, la Cina ha riserve limitate dei più preziosi dei minerali, 17 in tutto, compresi nella categoria e deve preoccuparsi delle esigenze della propria industria nazionale.

Ringhia e fa la voce grossa Pechino…

La rete elettrica moderna

Fonte: www.howtobegreen.eu

Il modo di vivere e l’economia di uno stato (e non solo) dipendono dall’energia elettrica. E il mondo sta producendo più energia che mai rispetto al passato. Il vero problema è che il sistema attuale di distribuzione dell’elettricità è datato e sovra sfruttato. Questa problematica è urgente, penalizza in modo diretto l’economia, minaccia il settore industriale, impatta notevolmente l’ambiente e non garantisce elevati standard di sicurezza intrinseca.

Lo sviluppo della rete intelligente (smart grid) è già una realtà in molte aree del mondo: Cina, India, Emirati Arabi Uniti, Europa, Russia e in alcune aree del continente americano. Ma la maggior parte della rete rimane vecchia e da rifare. In effetti la realizzazione della rete elettrica attuale risale all’epoca dei primi telefoni, televisori e automobili. Nel corso degli ultimi 60 anni quasi tutte queste tecnologie sono state migliorate notevolmente e/o reinventate: ma NON LA RETE ELETTRICA!

Le reti elettriche di oggi dipendo pesantemente ancora da grandi ed importanti centrali a combustibili fossili/nucleari ma sempre più maggiormente si stanno sviluppando altri sistemi di produzione di energia da fonti rinnovabili, quali impianti solari fotovoltaici, micro eolici, idroelettrici etc, che richiedono un sistema avanzato di integrazione per poterne sfruttare le potenzialità e gestirne i limiti legati all’impulsività delle sorgenti.

Una smart grid è quindi progettata per trasportare efficientemente energia pulita da dove è prodotta a dove è richiesto il consumo. Il vantaggio ambientale è indiscusso ed inoltre si beneficia di una maggiore sicurezza contro rischi di blackout che possono essere gestiti in modo più efficiente, in un tempo inferiore e per un’area geografica molto ristretta.

Una smart grid implementa due vie di comunicazione per l’energia (una in entrata – quando si consuma – e una in uscita – quando si produce). Ogni utente è allacciato alla rete per mezzo di dispositivi intelligenti che permettono un continuo scambio dell’energia (attraverso gli smart meters o contatori elettrici moderni).

La rivoluzione energetica passa innanzitutto attraverso il modo in cui l’energia è trasportata.

I Black Block al G8 di Genova. Chi erano e cosa volevano realmente

Per comprendere l’operato e il motivo dell’esistenza di un singolare  gruppo di provocatori.

Scritto da: Paolo Franceschetti
Fonte: http://paolofranceschetti.blogspot.com

E’ dai tempi del G8 che mi domando chi erano questi misteriosi “Black Block” detti anche tute nere, che hanno messo a ferro e fuoco la città di Genova.  Ma, andando a caccia di notizie, non ho mai trovato teorie o articoli di un certo rilievo su questo gruppo.

Quello che si trova è questo:
http://it.wikipedia.org/wiki/Black_bloc

oppure
http://www.storiaxxisecolo.it/g8/G8black.htm

Le domande che si fanno tutti sono due.

1) Come mai hanno spaccato, distrutto, danneggiato, incendiato, e la polizia non ne ha arrestato neanche uno?
2) Perché la polizia ha caricato pacifici manifestanti ma non ha mosso un dito contro i Black Block?

Infine, la domanda più importante: chi sono realmente i Black Block?Mettiamo in ordine alcuni fatti con le spiegazioni che ci hanno dato sempre finora.

– Raccontano molte testimonianze che la polizia non ha fatto nulla contro i Black Block, e li ha lasciati indisturbati a danneggiare e incendiare; in compenso, dopo pochi minuti, lo stesso gruppo di poliziotti caricherà inermi manifestanti dell’Azione Cattolica. “Errore”, diranno le spiegazioni ufficiali; “disorganizzazione”, diranno altri; “impreparazione” delle nostre forze dell’ordine, diranno altri ancora.

– In alcune scene si vedono gruppi di poliziotti che arretrano di fronte ad un solo Black Block. La spiegazione ufficiale è che non volevano caricarlo, per non fargli del male.

– Alcune foto ritraggono i Black Block che si vestono e si armano di fronte alla polizia che rimane ferma, immobile. La spiegazione ufficiale: forse perché ancora non hanno commesso alcun reato; quindi i poliziotti vigilano e cercano di non creare per primi il pretesto ad una scena di violenza.

– Altre foto che sono circolate i giorni dopo il G8 riprendono i Black Block che passano di fronte ad una caserma e fanno il saluto militare. Per sfottere i militari, disse qualcuno. Sì, per sfotterli, perché loro sono anarchici e contro il sistema.

– Alcuni testimoni raccontano di aver visto molti black block parlare con la polizia come se niente fosse, come vecchi amici. Segno di apertura mentale da ambo le parti, ha commentato qualcuno.

– Altre testimonianze parlano di un gruppo di qualche centinaio di Black Block che nei tre giorni precedenti si esercitava a soli 400 metri da una caserma di polizia… (v. il link che postiamo sotto). Mica è proibito esercitarsi fisicamente, commenta qualcuno… che cosa c’è di strano?

– Alcune foto e il filmato che alleghiamo fanno vedere i Black Block che assaltano un carcere; la polizia non solo non li ferma, ma scappa addirittura via (mentre la procedura prevede che perlomeno avrebbero dovuto chiamare rinforzi). Perché? Qui la spiegazione ufficiale non dice nulla. L’episodio è rimasto inspiegato e inspiegabile.

Ci sono poi altre domande da farsi. Questi gruppi sono arrivati a Genova superando i controlli della polizia di frontiera, armati fino ai denti, in furgoni e altri mezzi che non passavano certo inosservati. Possibile che nessuno li abbia mai fermati?

Sorge spontanea un’altra domanda; se i Black Block sono contro il sistema, perché hanno distrutto vetrine, auto, incendiato, ecc. danneggiando così semplici cittadini che di questo sistema sono vittime? Dietro ad una vetrina di un negozio spesso non c’è il grasso banchiere affamatore di popolo, ma la famiglia che tira a campare con quel poco che il fisco non le ruba. Dietro alla Uno e alla Ritmo sfondate a martellate e date alle fiamme non ci sono certo ricchi sceicchi arabi e proprietari delle multinazionali (cioè i soggetti contro cui è diretta la campagna no global) ma gente semplice, che paga con fatica le 200 euro al mese di rata e a cui l’auto serve magari per andare a lavorare.

In realtà io credo che la spiegazione sia una sola.
Dopo anni che ho studiato i libri sui servizi segreti di De Lutiis e Giannuli, che ho letto testimonianze giudiziarie e non sui metodi di infiltrazione dei servizi, mi sono convinto di una cosa.

I Black Block altro non sono che agenti dei servizi segreti, che avevano il compito di creare il caos al G8.

Non sono stati fermati perché la polizia aveva l’ordine di non fermarli.

Non li hanno mai caricati perché la polizia aveva l’ordine di non caricarli.

Si sono armati davanti ai poliziotti perché le forze dell’ordine stavano proteggendo la loro “vestizione”.

Si sono addestrati a 400 metri da una caserma perché erano militari.

Parlavano tranquillamente con la polizia perché erano dei loro.

Fanno il saluto romano davanti ad una caserma perché sono soldati, quindi abituati normalmente a fare il saluto militare.

La loro tecnica è quella tipica dei servizi; quella usata in tutti i movimenti e le forze politiche: si infiltra un movimento, per piegarlo a fini che il sistema approva.

D’altronde questo spiega anche un altro fenomeno curioso; osservando questi Black Block li si vede in forma, muscolosi e atletici; non esiste una foto di un black block un po’ rachitico, gobbo, basso, ecc… (osservate la foto all’inizio dell’articolo).

Questo perché sono militari, e scelti con delle caratteristiche fisiche ben precise.

D’altronde, ad avvalorare questa tesi, c’è anche un’altra considerazione. Nei comunicati ufficiali dei Block Block si inneggia platealmente e in modo trasparente alla commissione di reati.
Nei loro comunicati ufficiali essi dicono espressamente che il loro scopo è distruggere la proprietà privata.
Ora, nel nostro ordinamento questo è un reato, e ne conseguirebbe automaticamente che tali persone dovrebbero essere individuate e processate per associazione a delinquere (articolo 416 c.p.).
Né, dati i mezzi di cui oggi sono dotati i nostri servizi segreti e le nostre forze dell’ordine, dovrebbe essere troppo difficile individuare questi gruppi e smantellarli in quattro e quattro otto.

Viene spontanea allora la domanda: perché non li si persegue penalmente, anche al di là, e per fatti diversi, rispetto a quelli del G8?

A questo punto è facile trovare la risposta.
Ma a questo punto è altrettanto facile capire anche il loro fine, quando si ha chiaro il modus operandi tipico dei servizi segreti.

Scopo dei Black Block era quello di creare il caos a Genova, per gettare il discredito su chiunque manifestasse contro la globalizzazione.

Nell’immaginario collettivo, infatti, dopo il G8, è rimasta la seguente equazione: No Global = delinquente che incendia, crea caos, distrugge.

La maggioranza dei manifestanti era gente pacifica; era presente all’evento l’Azione Cattolica, l’Arci, movimenti pacifisti, buddisti, cattolici, atei, cittadini che si erano riuniti spontaneamente.

Nella mente della casalinga disinformata, o dell’operaio pantofolaio che vive di luoghi comuni, oggi No Global = delinquente.
Operazione riuscita quindi.

Si crea un problema falso, perché creato dalla élite al potere (il caos del G8), e si allontana in questo modo la gente dal vero problema: cioè che la globalizzazione sta uccidendo le nostre colture, sta affamando le popolazioni del terzo mondo, sta distruggendo la nostra agricoltura lasciandola in mano alle multinazionali.

Perché oggi, chiunque è contro la globalizzazione, è visto con sospetto; è visto come un violento, un agitatore, un debosciato.
Mentre la verità è che chi è contro la globalizzazione è, più semplicemente, a favore dei nostri allevatori, coltivatori, produttori e commercianti; è a favore delle popolazioni del terzo mondo.

Sul G8, in particolare sui Black Block, vedi le testimonianze a questo link:
http://www.ciari.net/g8.htm

Narcoguerra

Fonte: http://it.peacereporter.net

Eroina afgana sui voli militari britannici di ritorno dal fronte. La notizia rafforza i sospetti sui reali interessi economici che si nascondono dietro la guerra in Afghanistan

La notizia, diffusa lunedì dalla Bbc, dei militari britannici e canadesi accusati di trasportare eroina in Europa sfruttando l’assenza di controllo sui voli militari di ritorno dal fronte, non fa che rafforzare i sospetti sui reali interessi economici che si nascondono dietro la guerra in Afghanistan.

Il traffico ‘militare’ di eroina scoperto tra le basi Nato nel sud dell’Afghanistan (Helmand e Kandahar) e l’aeroporto militare di Brize Norton, nell’Oxfordshire, verrà liquidato con la solita spiegazione delle ‘mele marce’, del caso isolato che riguarda solo alcuni individui.

Più probabilmente si tratta invece della punta dell’iceberg, o meglio delle briciole di un traffico ben più grande e strutturato che i suoi principali gestori – militari e servizi segreti Usa – lasciano ai loro alleati, evidentemente meno bravi di loro nel non farsi scoprire.

Solo pochi mesi fa sulla stampa tedesca era venuto fuori che una delle principali agenzie private di contractors addette alla logistica delle basi Nato in Afghanistan – la Ecolog, sospettata di legami con la mafia albanese – era coinvolta in traffici di eroina afgana verso il Kosovo e la Germania.

L’anno scorso fece molto scalpore la rivelazione, del New York Times, che Walid Karzai, fratello del presidente afgano e principale trafficante di droga della provincia di Kandahar, fosse da anni sul libro paga della Cia.

“I militari americani non contrastano la produzione di droga in Afghanistan perché questa frutta loro almeno 50 miliardi di dollari all’anno: sono loro a trasportare la droga all’estero con i loro aerei militari, non è un mistero”, dichiarava nell’estate 2009 a Russia Today il generale russo Mahmut Gareev.

Già nel 2008 la stampa russa, sulla base di informazioni di intelligence non smentite dall’allora ambasciatore di Mosca a Kabul, Zamir Kabulov, rivelava che l’eroina viene portata fuori dall’Afghanistan a bordo dei cargo militari Usa diretti nelle basi di Ganci, in Kirghizistan, e di Inchirlik, in Turchia.

Nello stesso periodo, un articolo apparso sul quotidiano britannico Guardian riferiva delle crescenti voci riguardanti la pratica dei militari Usa in Afghanistan di nascondere la droga nelle bare dei caduti aviotrasportate all’estero, riempite di eroina al posto dei cadaveri dei soldati.

“Le esperienze passate in Indocina e Centroamerica – si leggeva, sempre nel 2008, sull’americano Huffington Post – suggeriscono che la Cia potrebbe essere coinvolta nel traffico di droga afgana in maniera più pesante di quello che già sappiamo. In entrambi quei casi gli aerei Cia trasportavano all’estero la droga per conto dei loro alleati locali: lo stesso potrebbe avvenire in Afghanistan. Quando la storia della guerra sarà stata scritta, il sordido coinvolgimento di Washington nel traffico di eroina afgana sarà uno dei capitoli più vergognosi”.

Nel 2002 il giornalista ameriano Dave Gibson di Newsmax ha citava una fonte anonima dell’intelligence Usa secondo la quale “la Cia è sempre stata implicata nel traffico mondiale di droga e in Afghanistan sta semplicemente portando avanti quello che è il suo affare preferito, come aveva già fatto durante la guerra in Vietnam“.

Secondo lo storico Usa Alfred McCoy, principale studioso del coinvolgimento della Cia nel narcotraffico in tutti i teatri di guerra americani degli ultimi cinquant’anni (fino alla resistenza antisovietica afgana degli anni ’80), il principale obiettivo dell’occupazione americana dell’Afghanistan era il ripristino della produzione di oppio, inaspettatamente vietata l’anno prima dal Mullah Omar nella speranza di guadagnarsi il riconoscimento internazionale.

I fatti, e il buon senso, sembrano confermare la tesi di McCoy: dopo l’invasione del 2001, la produzione e lo smercio di oppio afgano (e dell’eroina) sono ripresi a livelli mai visti, polverizzando in pochi anni i record dell’epoca talebana, mentre le truppe Usa e Nato si sono sempre rifiutate di impegnarsi nella lotta al narcotraffico, continuando a sostenere i locali signori della droga.

Rimane una domanda di fondo: perché mai gli apparati militari e d’intelligence americani, in teoria dediti alla sicurezza nazionale e internazionale, mirano da decenni al controllo del narcotraffico? Per la venalità dei loro vertici corrotti? Per garantirsi fondi neri per operazioni coperte? O forse dietro c’è qualcosa di più strategico e sistemico che, alla fine, riguarda realmente il mantenimento della la sicurezza?

Il direttore generale dell’Ufficio Onu per la droga e la criminalità (Unodc), Antonio Maria Costa, ha implicitamente risposto a questa domanda, dichiarando che gli enormi capitali derivanti dal riciclaggio dei proventi del narcotraffico costituiscono la linfa vitale che garantisce la sopravvivenza del sistema economico americano e occidentale nei momenti di crisi.

”La maggior parte dei proventi del traffico di droga, un volume impressionante di denaro, viene immesso nell’economia legale con il riciclaggio”, affermava Maria Costa nel gennaio 2009. ”Ciò significa introdurre capitale da investimento, fondi che sono finiti anche nel settore finanziario, che si trova sotto ovvia pressione (a causa della crisi finanziaria globale, ndr)”.

”Il denaro proveniente dal narcotraffico attualmente è l’unico capitale liquido da investimento disponibile”, proseguiva il direttore dell’Unodc. ”Nel 2008 la liquidità era il problema principale per il sistema bancario e quindi tale capitale liquido è diventato un fattore importante. Sembra che i crediti interbancari siano stati finanziati da denaro che proviene dal traffico della droga e da altre attività illecite. E’ ovviamente arduo dimostrarlo, ma ci sono indicazioni che un certo numero di banche sia stato salvato con questi mezzi”.

Il Congresso Usa decreta: Palladio “decisivo” per la Nazione americana

Scritto da: Guido Beltramini direttore del Cisa Palladio
Fonte:  Il Giornale di Vicenza 

ARCHITETTURA. Decisione senza precedenti, una tappa nella storia del palladianesimo. Una storia iniziata nel ‘700: il modo di pensare le abitazioni incarnava anche politicamente lo spirito democratico del Grande Paese

El Greco, Ritratto di Palladio
Perché Palladio? Potevano scegliere Michelangelo, l’architetto della basilica di San Pietro a Roma. O Brunelleschi, il progettista della cupola di Santa Maria del Fiore. O Leon Battista Alberti, l’autore del De Re Aedificatoria. In altre parole: perché quando la nuova nazione degli Stati Uniti d’America deve costruire i luoghi simbolo della propria democrazia sceglie Palladio? In realtà, avevano cominciato a farlo anche prima della Dichiarazione d’Indipendenza del 1776: la Redwood Library di Newport è del 1747. Prima libreria pubblica d’America, è ispirata alle facciate delle chiese veneziane di Palladio, un tempio laico del Sapere. Un amore secolare, comunque, confermato in questi giorni dalla sorprendente “dichiarazione di discendenza” approvata da Congresso.
Le risposte sono molte e intrecciate. Innanzitutto, rispetto a Michelangelo, Brunelleschi o Alberti, Palladio è soprattutto un architetto civile. Nessun architetto del Rinascimento ha progettato tante residenze: più di cinquanta palazzi e ville, fra quelli progettati e quelli rimasti sulla carta. Palladio ha dato una nuova dignità alla architettura domestica e – come ha scritto Howard Burns – i suoi edifici cambiavano il modo con cui i suoi clienti vivevano, e vedevano, se stessi, contribuendo alla nascita di una nuova figura di “gentiluomo”, così diversa dal magnate del mondo feudale. Gli abitanti degli edifici palladiani potevano leggere Virgilio e Orazio e insieme governare i propri affari, in un edificio razionale, funzionale ed elegante, ispirato alla magnificenza degli antichi Romani. Un modello perfetto per i gentleman farmer americani della Virginia e della Louisiana che producono tabacco e cotone in Via col Vento.
Ma esiste anche una ragione “politica” nel successo del modello palladiano in America. In una Europa dominata dalle grandi monarchie, a Venezia non è mai esistita una corte, la Serenissima era una Repubblica. Palladio non si guadagnava da vivere servendo un Signore assoluto, a cui costruire un enorme palazzo che domina la città, ma lavorava per più famiglie aristocratiche che condividevano il potere. Anzi, i cantori del mito di Venezia, già nel Cinquecento, riconoscevano nella sua forma di governo quella idealizzata da Platone, perché nella Serenissima convivono la monarchia nella figura del Doge, l’oligarchia nel Consiglio dei Dieci e la democrazia nel Senato.
È chiaro, allora, che quando i neonati Stati Uniti d’America devono scegliere la propria architettura, non sceglieranno l’architettura barocca della Roma dei Papi, o quella dei Re assoluti francesi, ma l’architettura della Repubblica di Venezia. Per questo la residenza del Presidente degli Stati Uniti è una villa veneta, e non un château o un palazzo romano. Non a caso il padre del palladianesimo USA non è un architetto professionista, ma un politico: Thomas Jefferson (1743-1826).
Autore della Dichiarazione d’Indipendenza, ambasciatore nella Parigi pre-rivoluzionaria, Segretario di Stato, Vicepresidente e infine terzo Presidente degli USA nel 1801 per due mandati, Jefferson è una figura centrale della storia americana. Egli vedeva in Palladio un modello civile prima ancora che artistico, una architettura razionale, sobria, fatta per migliorare la vita degli uomini. La sua villa di campagna, che chiamò Monticello ispirandosi a come Palladio definisce la collina su cui sorge la Rotonda, è una icona della architettura americana impressa sulla moneta da cinque cents e sulla banconota da due dollari. Ma il suo edificio più innovativo e sinceramente “palladiano” nello spirito è il campus dell’University of Virginia, fondato nel 1819.
Jefferson scardina il modello allora dominante degli edifici universitari di Oxford e Cambridge, costruiti come un grande palazzo, a favore di un insieme di padiglioni organizzati intorno ad un vasto spazio aperto, come in una villa palladiana. Nei padiglioni trovano posto le aule (a pianterreno) e le stanze di abitazione dei professori (al primo piano). Nelle “barchesse” che collegano i padiglioni sono alloggiati (ancora oggi) gli studenti. Il complesso è dominato da un grande edificio centrale, ispirato al Pantheon, che è la biblioteca comune. Con Jefferson nasce così il “campus” universitario che avrà una enorme fortuna in America.
Chiudo con una notazione leggera e amara insieme, scherzando sulla rassomiglianza che – come fra i cani e i propri padroni – così gli studiosi sembrano sviluppare nei confronti dei propri amati soggetti di studio. È conclamata la mia con Palladio, ma io trovo che Thomas Jefferson assomigli moltissimo ad uno studioso che lo ha molto amato, studiato, e reso familiare a generazioni di studenti americani: Mario Valmarana. Per quasi trent’anni docente all’University of Virginia, Valmarana ha costruito un ponte fra le due sponde dell’Atlantico nel nome di Palladio e Jefferson, curando mostre e convegni, scrivendo, organizzando viaggi di studio e soggiorni per studenti nel Veneto. Fondatore del Center for Palladian Studies in America ha contribuito in modo decisivo a sviluppare quella conoscenza profonda del Palladianesimo americano che traspare dalla stessa Risoluzione del Congresso. Morto il 13 ottobre scorso, non ha potuto vederla approvata, anche se il suo magistero ha contribuito a renderla possibile e credo che, idealmente, debba essergli dedicata.