Costa d’Avorio, di nuovo nel caos

Scritto da: Alberto Tundo   
Fonte: .peacereporter.net

Un presidente nuovo e un popolo ostaggio di un incubo vecchio. E’ questa la paradossale situazione in cui si trova la Costa d’Avorio. Da ieri pomeriggio, è ufficiale la vittoria del candidato dell’opposizione Alassane Ouattara, con il 54,1 per cento dei voti. Nessun festeggiamento, però, perché il Paese si trova di nuovo ad un passo dalla guerra civile.

L’ennesimo stallo. Lo scenario è quello di un conflitto alle porte. Ieri l’esercito ha chiuso “le frontiere terrestri, aeree e marittime”mentre le trasmissioni dei canali stranieri venivano soppresse. Questo l’epilogo di quattro giorni di tensione, durante i quali si erano succedute speculazioni sul risultato del ballottaggio di domanica 28 novembre tra il presidente uscente Laurent Gbagbo e il leader del Rassemblement des Republicans. Si sapeva che ogni minuto di ritardo nella comunicazione dei voti avrebbe esasperato gli animi e il quadro peggiore si è materializzato quando la Commissione elettorale indipendente (Cei) ha lasciato passare i tre giorni a disposizione per annunciare i risultati, senza ufficializzare nulla, a causa delle divisioni che la paralizzavano; segno che il regime aveva perso alle urne e la battaglia sulla validità del voto era già iniziata. E infatti, subito dopo l’annuncio tardivo della vittoria di Ouattara, è arrivata la dichiarazione choc del presidente del Consiglio costituzionale, Paul Yao ‘Ndrè – cui spetta la proclamazione finale – secondo il quale “i risultati diffusi dalla Commissione non sono validi”. ‘Ndrè è un uomo di Gbagbo, che ha in mano anche esercito e gendarmeria. Se il presidente non deciderà di riconoscere la sconfitta e farsi da parte, è difficile che qualcuno lo possa disarcionare, pacificamente. L’Onu lo sa e per questo ha fatto partire un intenso pressing diplomatico: le Nazioni Unite, che hanno monitorato il processo elettorale e che schierano in Costa d’Avorio circa novemila elementi (7500 soldati), hanno subito salutato la vittoria di Ouattara, cercando di blindarla. Un monito è arrivato anche dal National Security Council americano, che attraverso il portavoce Mike Hammer ha ribadito “la condanna degli Stati Uniti di ogni atto di violenza e di intimidazione diretto a far deragliare il processo democratico”.

Il gioco di Gbagbo. Parole pesate una ad una. Perché proprio questo sembrerebbe essere il vero piano di Gbagbo, una strategia che il presidente uscente ha già usato con successo diverse volte. Il suo mandato infatti è scaduto nel 2005 ma, giocando sull’impossibilità di tenere elezioni pacifiche, è riuscito a restare in sella per altri cinque anni. E adesso ci starebbe riprovando. Mercoledì notte la sede del partito di Ouattara, nella parte ovest di Abdjan, è stato attaccata da un commando di una cinquantina di uomini che, a volto coperto, sono riusciti a penetrare nell’edificio e a fare fuoco sui presenti. Il bilancio è di otto vittime e 14 feriti. Lascia pensare il fatto che alcuni dei killer indossassero divise militari, della Gendarmeria più precisamente, secondo quanto riferito dai testimoni. Così come è strano che cinquanta persone siano riuscite ad avvicinarsi ad un obiettivo a rischio, che avrebbe dovuto godere di una protezione particolare, nonostante fosse in vigore il coprifuoco. Ouattara, da parte sua, sa che queste sono ore decisive e ha scelto di non intervenire direttamente: se lo scontro dovesse degenerare, avrebbe tutto da perdere. Gbagbo può contare sulla fedeltà dell’esercito, che al momento è padrone del gioco. L’unica sua speranza è tenere sotto controllo i suoi sostenitori, anche i gruppi armati che potrebbero rispondere all’aggressione di mercoledì. Quelli fedeli al presidente, i Jeunes Patriotes, da tempo venivano segnalati come una fonte di pericolo e destabilizzazione, soprattutto nel sud e nel sud-ovest del Paese, dove il presidente ha i suoi feudi elettorali e dove a ridosso del ballottaggio erano comparsi volantini che incitavano alla cacciata dei non ivoriani. Che poi sono, in prevalenza, sostenitori di Ouattara, musulmani come lui, arrivati dai Paesi limitrofi in cerca di fortuna e stabilitisi nel nord. La zona i cui voti, secondo Gbagbo, vanno annullati. Divisioni religiose ma soprattutto etniche che nascondono una lotta feroce per l’accesso alle risorse. Il presidente uscente è alla guida di un regime che rappresenta le elites storiche, le quali non vogliono spartire la torta con i nuovi arrivati. Queste le ragioni di un conflitto che è esploso nella forma di una guerra civile nel 2002 e che ha lasciato il Paese diviso in due. Se nel partito di Gbagbo prevarranno i falchi, allora c’è da attendersi il peggio. Soffieranno sul fuoco. Lo hanno già fatto, lo rifaranno.

Il controllo della politica italiana in mano ai Rothschild!

Scritto da:Renzo Minari  
Fonte: InformArmy

Da una parte Berlusca che ha fatto parte della P2 organizzata dai Servizi Segreti e gestita da Andreotti (tramite l’assistente Gelli) per conto di Kissinger il quale è un abitudinario di casa Rothschild. Questa fazione è direttamente collegata ai Cavalieri di Malta (Berlusca accompagna il figlio alle riunioni) i quali gestiscono il FMI. La mafia e alcune Multinazionali chiudono il cerchio. Dall’altra parte la finta opposizione è stata pian piano creata attraverso i finanziamenti del Consigliere (CdA) di Banca Rothschild Carlo De Benedetti (il quale ha Colaninno come braccio destro – Colaninno ha il figlio nel PD e gestisce gente come Casaleggio [manager e gestore di Grillo] ), alcune Corporation e la Massoneria deviata hanno un ruolo molto importante anche in questo caso dato che i leader di tale schieramento hanno TUTTI avuto a che fare con indagini massoniche: Prodi durante il rapimento Moro, Veltroni ed i Cavalieri di Malta, Napolitano con le onorificenze massoniche acquisite, la famiglia della Bonino serva dei banchieri da generazioni, la Casaleggio che “unisce” la massoneria con Di Pietro e Grillo, Pannella tramite il fidanzato e moltissimi altri casi.
Paola Ferrari, per esempio, è una famosa giornalista sportiva (immortale) sposata con Marco De Benedetti (Presidente del Carlyle Italia e figlio di Carlo il quale, come ho riportato sopra, finanzia il centrosinistra in Italia) si è candidata con La Destra assieme a Storace ed alla Santanchè. Fini si arruolò tra le fila dei Rothschild quando fù finanziato da loro stessi a metà anni novanta (durante un tour europeo) tramite un dipendente della Banca Rothschild di nome Sir Derek Thomas.
Di Pietro dal ’90 al ’92 passò quasi 2 anni ad apprendere tecniche politiche da Michael Leeden (un Neocon con strettissimi collegamenti con i vertici della CIA che fù indagato per la strage del 9/11), quest ultimo è l’ideatore delle rivoluzioni colorate come quella arancione in Ucraina, la verde in Iran, la Viola in Italia (il popolo viola è collegato al magnate George Soros) e tantissime altre…
Berlusca fà i propri interessi, a lui interessa non andare in galera e farsi le ragazzine.. intanto persone come Tremonti (collaboratore di grandi banchieri, Bilderberg e Aspen Institue), Frattini (pro Sion), Letta e altri continuano ad attuare politiche a favore dei Rothschild. Prodi (BCE) aveva come braccio destro l’ex cestista Angelo Rovati il quale si è da poco dimesso da dipendente della Banca Rothschild affermando che comunque resterà sempre un fedelissimo. Casini segue le ideologie del suocero Caltagirone (azionista BdI come lo sono Berlusca e De Benedetti) il quale ha entrambi i piedi nel Vaticano (Vaticano di proprietà dei Rothschild da almeno 150 anni).
Bertinotti sottostava agli ordini dei D’Urso ed in particolare a Mario D’urso (uno dei migliori amici di Jacob de Rothschild), ora al vertice dell’estrema sinistra c’è il suo pupillo Vendola. Bossi aveva le prove che Berlusca fosse mafioso ma dopo un incontro con Silvio liquidò le prove e abbandonò i testimoni come il poliziotto svizzero Cattaneo, fù condannato per una tangente e si alleò con Berlusca.
La Lega Nord si è unita in campo europeo in un gruppo che è presieduto da Francesco Speroni (Lega Nord) e da Nigel Farage (UKIP) – Nigel Farage fà parte del UKIP (Partito per l’Indipendenza del Regno Unito) voluto e fondato dai Rothschild attraverso James Goldsmith (discendente della dinastia dei Banchieri Goldsmith è cugino di jacob de Rothschild ed era considerato uno della Famiglia).
Henry Kissinger (amico e stretto collaboratore di Andreotti) è un assiduo frequentatore delle ville dei Rothschild, è stato condannato per genocidio da un Tribunale Europeo e non può entrare in europa altrimenti verrebbe arrestato, è stato il mandante dell’assassinio di Aldo Moro secondo la moglie di Moro stesso (Moro non era un santo ma fece stampare le 500 lire di carta esenti da signoraggio, non sottostava ad ordini precisi inviati dagli USA e stava per creare un potente Movimento di Centrosinistra non controllabile) e lo fece infiltrando agenti CIA nelle brigate rosse, Kissinger ebbe come assistente Lapo Elkann mentre il fratello John è l’erede di Gianni Agnelli (Nobiltà Nera che ha tra le fila anche Montezemolo ed è controllata dai Rothschild) ed inoltre Vice Presidente dell’Italian Aspen Institute, Bilderberg e frequenta i Rothschild, sposato con la sorella di Beatrice Borromeo, Lavinia, la quale Beatrice collabora da tempo con Travaglio e si reputa una del Popolo Viola.
La Famiglia Borromeo è una famiglia nobile ed importante: Beatrice (anche ex collaboratrice di Santoro ad Anno Zero) è fidanzata con l’erede del principato di Monaco e figlio di Carolina di Monaco (l’attuale erede al trono Pierre Casiraghi), Lavinia è sposata con John Elkann e l’altra sorella, Isabella, è la moglie del Proprietario del Gruppo API (API, IP, etc..) Ugo Maria Brachetti Peretti.
Nel 2002 Rutelli s’incontrò con Blair, Clinton ed altri sul tema «Building new coalitions», costruire nuove coalizioni. Un ritiro blindato, tre giorni di seminario alla Hartwell House. Anfitrione della cena il barone e banchiere Evelyn de Rothschild. La moglie di Rutelli è Barbara Palombelli, la giornalista onnipresente in tv. Saviano, co-conduttore del programma Vieni Via Con Me (prodotto dalla Endemol di Berlusconi), si dichiara apertamente a favore del Movimento Sionista Israeliano genocida! L’Israele che conosciamo ora è una creazione (in tutti i sensi) dei Rothschild.
Su Confindustria non penso che ci sia bisogno di scrivere qualcosa. A questo punto chiedo: c’è bisogno che aggiunga altro? Jürg Heer dovrebbe avere grande spazio negli Istituti Scolastici. Due strade che portano in cima alla piramide entrambe ai Rothschild. Ci vogliono studi, ci vuole tempo ma… scoprirlo non è poi tanto difficile!

Mafia nel Veneto. Dalla mala del Brenta ai boss di Cosa Nostra

Scritto da: Alessandro Ambrosin  
Fonte: DazebaoNews   

Nel Veneto nel rapporto stilato dall’agenzia del Demanio sono state 72 le aziende confiscate nel Veneto al 31 marzo del 2010, mentre circa 8milioni di euro in beni confiscati all’attività criminale.

Sono finiti i tempi in cui la mala del Brenta terrorizzava il Veneto. Tuttavia la sua nascita si può considerare come una sorta di apripista per altre organizzazioni di stampo mafioso che si sono insinuate in questo territorio grazie ad un fitto rapporto collaborativo tra diverse realtà del crimine.

Dopo la cattura definitiva di Felice Maniero, avvenuta a Torino nel novembre del 1994, c’è stata una sorta di frammentazione criminale, durante la quale le cosche hanno avuto la possibilità di radicare maggiormente la loro presenza sul territorio, agendo senza dover più rendere conto ai propri affiliati veneti, ormai finiti tutti in manette, molti dei quali successivamente diventarono -come lo stesso Maniero – collaboratori di giustizia.

Insomma si può parlare di un cambio di consegne, in cui le cosche, questa volta provenienti dal sud prendono il sopravvento, si sostituiscono lentamente a quella rete che Maniero e il suo clan avevano creato in vent’anni di attività criminale, ma che non sono mai riusciti a controllare in assoluta autonomia.

D’altra parte alla banda di “Felicetto” come lo chiamavano gli amici, era già stato riconosciuto lo status di associazione mafiosa, nonostante i suoi componenti fossero tutti veneti e non delle regioni del sud, come un luogo comune vorrebbe far credere. Fu proprio la Corte d’Assise di Venezia a stabilirlo, tanto che la definì “un complesso di affari tra persone legate tra di loro da un vincolo associativo di carattere mafioso.” Regole ferree, ordine gerarchico stabilito, compiti differenziati, insomma Maniero tra omicidi, rapine, e il redditizio traffico di droga aveva creato una vera e propria holding del crimine con divisione dei ruoli e ripartizione di aree d’influenza fra i consociati, almeno così la definisce uno studio del Consiglio Superiore della Magistratura. Ma tutto questo non sarebbe avvenuto se Maniero per allargare i suoi confini illeciti non fosse sceso a patti, siglando alleanze con altre cosche mafiose.

Totuccio Contorno

Infatti, i primi approcci tra la banda del Brenta e i boss di cosa nostra risalgono ai primi anni ’80 quando Totuccio Contorno e Gaetano Fidanzati, si trovavano nel Veneto in soggiorno obbligato. La Questura di Venezia, nella sua relazione del 2003 scrive che “Il vero e proprio salto di qualità della mala del Brenta avvenne in seguito agli incontri con esponenti di primo piano della mafia siciliana”. Incontri che plasmarono la struttura della banda del Brenta, tanto da fargli acquisire tutte le caratteristiche tipiche delle attività mafiose, in primis il traffico delle sostanze stupefacenti. Tuttavia, nonostante la grande mole di atti giudiziari prodotti in quegli anni restano meno noti i percorsi del denaro illegale proveniente dalle attività mafiose. Transazioni nebulose, investimenti sull’immobiliare e sulle attività economiche sono da sempre l’obiettivo delle organizzazioni, che con questa strategia non solo riescono a ripulire i capitali sporchi, ma riescono ad inserirsi nel tessuto economico del territorio, spesso con appoggi politici e prestanomi scelti ad hoc per non destare sospetti.
D’altra parte il Veneto, specie dopo il periodo del cosiddetto “boom del nord est”, è diventata una ricca piazza che fa gola alla criminalità organizzata. Sempre nel rapporto della Dia del 2008 si parla di un “indissolubile legame tra criminalità organizzata e tessuto economico”. La stessa Prefettura di Venezia fece notare che “il contesto economico regionale appare permeabile alla penetrazione di capitali provenienti da attività illecite per il loro riciclaggio e reimpiego in attività legali.”
Un particolare che viene accompagnato da strane anomalie sul territorio veneto, tra il proliferare di nuove imprese che aumentano in maniera spropositata il loro volume d’affari, – spesso gestiti da imprenditori che nonostante siano apparentemente sprovvisti di un’adeguata esperienza imprenditoriale dispongono di finanziamenti quasi illimitati.

Gaetano Fidanzati

All’inizio degli anni 2000 appaiono alcune cosche criminali, questa volta legata ai clan camorristici campani, che tentano d’investire in attività legate al commercio del pellame specialmente nelle cittadine balneari di Caorle e Bibione e altre tentano di estorcere denaro agli imprenditori del turismo a Cavallino Treporti, dove fu coinvolto anche un consigliere comunale di maggioranza.
Poi ci sono le minacce nel sandonatese fatte pervenire al professor Gianni Corradini, il commercialista che nel 1998 fu chiamato dal sindaco di Venezia Massimo Cacciari per rimettere in sesto i conti del Casinò. Intimidazioni che secondo la prefettura lagunare erano indirizzate dalle cosche mafiose della Sicilia per prendere il controllo della succursale del Casinò a Malta e di conseguenza permettere il riciclaggio del denaro sporco. Tant’è che nel 2002 venne a galla il tentativo da parte di una cosca del ragusano di produrre un danno economico al casinò di Cà Vendramin, tale da indurre l’amministrazione a vendere la sede maltese.

Ad avvalorare l’ipotesi dell’infiltrazione mafiosa nel Veneto esiste anche un copioso rapporto stilato nel 2003 dalla Guardia di Finanza, inviata successivamente alla Commissione Antimafia, nel quale s’intravede il pericolo delle organizzazioni criminali attraverso gli investimenti immobiliari, specie nelle zone turistiche come Cortina D’Ampezzo. Le Fiamme Gialle, infatti, scoprirono che ad opera di soggetti riconducibili alla sacra corona unita le imprese edili nel bellunese e gli stessi operai erano costretti a versare il pizzo sotto la minaccia di eventuali ripercussioni sui familiari. L’operazione della GdF denominata “Doppio passo” riuscì a sgominare questa organizzazione portando in carcere 14 persone, tra le quali anche tre albergatori della provincia montana. Ed è proprio nel settore turistico che la mafia punta gli occhi, dove c’è più movimento di denaro e dove gli investimenti sono più cospicui, sempre ammesso e concesso che il territorio in questione possa garantirgli coperture e l’adeguato sostegno politico, perchè le mafie spesso riescono abilmente ad adattarsi al territorio e al contesto sociale.

Vito Roberto Palazzolo

A Vicenza, Treviso e Padova fu scoperta una truffa a livello internazionale nel settore produttivo dell’argento pari a 28 milioni di euro. 142 persone sono state rinviate a giudizio con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando, bancarotta fraudolenta, truffa ai danni dello Stato e frode fiscale. La base operativa – secondo gli investigatori – era un’azienda svizzera di Lugano gestita direttamente da Vito Roberto Palazzolo, ritenuto il cassiere del clan siciliano di Corleone e inserito nell’elenco dei 30 latitanti più pericolosi al mondo.
Insomma nemmeno il Veneto è indenne all’infiltrazione delle attività criminali. D’altra parte – come fa notare la Guardia di Finanza – è noto che fin dai tempi della mafia del Brenta ingenti quantità di denaro sporco furono convogliate nel Veneto. Anche il Consiglio Superiore della Magistratura ha rivelato la permeabilità nel territorio veneto. In pratica sussistono varie ipotesi che fanno pensare a innumerevoli possibilità di infiltrazioni criminali, sempre tramite prestanomi e in determinati settori economici. D’altronde è risaputo che il Veneto è una delle regioni più ricche d’Italia per quanto concerne la circolazione di liquidità e quindi si presta perfettamente agli scopi illeciti del riciclaggio.
Ci sono state indagini su vari investimenti di persone collegate al clan siciliano dei Madonia. In un’indagine denominata Las vegas, fu aperta un’inchiesta sul fallimento del tour operator Clipper, nel quale affiorarono legami tra gli indagati. Molti erano noti bancarottieri, altri esponenti della ‘ndrangheta.

Nel Veneto nel rapporto stilato dall’agenzia del Demanio sono state 72 le aziende confiscate nel Veneto al 31 marzo del 2010, mentre circa 8milioni di euro in beni confiscati all’attività criminale.

Recentemente dall’incontro sulle infiltrazioni nel Veneto tenutosi nel veronese è emerso che questa regione non è affatto esente dal fenomeno della criminalità organizzata. Si è parlato di Verona epicentro del traffico di sostanze stupefacenti, di operazioni finanziarie sospette, delle mille transazioni che numericamente fanno schizzare questa regione al quarto posto della classifica nazionale. Come ha detto il Procuratore capo di Torino, Gian Carlo Caselli: “I mafiosi non sono quelli di una volta con coppola e lupara. Oggi le mafie comprano i migliori cervelli su piazza per architettare strutture societarie occulte dietro imprese legali di copertura. In questo modo l’impresa criminale diventa impresa economica”.

Aveva ragione un noto magistrato che per stanare i clan consigliava una semplice strategia: “Seguite i soldi…”. Si chiamava Giovanni Falcone.

Il traffico di droga in Italia e la ‘mafia transnazionale’

Scritto da: Michele Altamura
Fonte: www.osservatorioitaliano.org

Gli arresti di massa in Lombardia hanno così portato alla luce l’esistenza di una nuova forma di criminalità organizzata, che va oltre i confini geografici, criminali e finanziari, una “mafia transnazionale”. Sui media cominciano a circolare i primi stralci delle indagini dell’Anti-mafia, secondo i quali la droga viene stoccata nel porto di Bar, in Montenegro, utilizzando la stessa infrastruttura adoperata in passato per invadere l’Italia con le sigarette di contrabbando. Viene così spiegato che nei Paesi consumatori la droga l’Alleanza mafiosa (così definita) ha realizzato una rete di cellule: piccoli clan di una decina di persone, separati tra loro. Come regista del nuovo cartello della droga ci sarebbe il montenegrino Darko Saric, sul quale pende un mandato di cattura internazionale dell’Interpol emesso dalla Serbia. Secondo altri, il clan di Darko Saric è riuscito a superare la mafia calabrese della ‘Ndrangheta nella gestione del traffico della cocaina dal Sud America in Europa che in due anni, nel 2008 e 2009, c è riuscito ad assicurare una migliore qualità ed un prezzo più basso, portando così fuori mercato la ‘Ndrangheta, e prendendo così il contro dell’intero mercato italiano
C’è da dire, tuttavia, che quello della mafia transnazionale è un concetto introdotto per la prima volta dall’Osservatorio Italiano, nell’ambito di un inchiesta sull’eredità lasciata dagli ex contrabbandieri di sigarette per la gestione del traffico della cocaina. Di fatti, mentre lo Stato ha decimato le fila di Mafia e Camorra, nasceva la “Santa alleanza Balcanica”, l’unione della mafia serba con quella italiana. Arrestando e mettendo da parte i mafiosi e gli uomini d’onore, per fare posto alle nuove organizzazioni. Il patto d’onore con la Colombia e stato siglato. Grazie ai calabresi della ‘Ndrangheta la mafia serba è entrata di prepotenza nei traffici del Mediterraneo, verso i mercati europei. La nuova mafia ha senz’altro ereditato la grande esperienza maturata in passato con il contrabbando di sigarette che, a distanza di anni, resta ancora un mistero nelle sue molteplici sfumature logistiche e finanziarie. Albania, Montenegro, Bosnia e Croazia sono le mete preferite, ma con 25.000 euro può essere consegnata direttamente a Bari. Si tagliano così i rapporti con i Paesi fornitori, e a fare il lavoro per così dire ‘sporco’, si ricorre alla mafia balcanica, che si estende in tutta la regione sino all’America Meridionale, grazie a fortuiti contatti. Questo quanto evidenziato da l rapporto sul narco-traffico nei Balcani gestito dalla mafia transnazionale a cura dell’Osservatorio Italiano:
Le connessioni della criminalità organizzata tra Nord e Sud, tra Italia e Balcani, tra finanza e contrabbando, costituiscono in realtà una storia nota che pochi tuttavia hanno cercato di spiegare con serietà e cognizione di causa. Molte sono invece le storie che sembrano avvicinarsi alla verità, ma senza fatti e documenti valgono ben poco, e sono solo invettive da dare in pasto ai media e alla propaganda politica ma non alla giustizia. Roberto Saviano dice di lottare contro la mafia, ma è pur sempre un giornalista che gioca sull’onda della massa. Dalle sue parole non traspaio fatti ben circostanziati, e credo che sia per lui difficile avere delle info visto, visto che è sempre sotto scorta. Sicuramente fa via internet le sue ricerche, e la gente non sa neanche di che cosa parla. A tal proposito ricordiamo l’intervista per il media albanese Top-Channel , durante la quale dette prova di non conoscere le connessioni tra la mafia italiana e quella albanese. Connessioni su cui, più tardi, cercò delle informazioni contattando la nostra redazione, in occasione della pubblicazione dell’articolo “Il traffico di armi tra il Sigurimi e la Camorra”. Da Saviano ci aspettiamo documenti, come abbiamo fatto noi pubblicando documenti inediti, senza tuttavia riuscire a scuotere i mass media, che restano pur sempre delle società per azioni con dei padroni. Lei Signor Saviano dovrebbe parlare della Svizzera, della Ubs, dei collaterali, e non di chi l’ha reso famoso. Mostri i documenti e smetta di offendere la gente che lavora e rischia la vita per combattere davvero la mafia . Milano, in particolarela Lombardia, è la capitale della droga colombiana perché in 50 minuti si possono riciclare i soldi: ecco la connessione, che non ha nulla a che fare con la politica. Fare la vittima paga, partecipare allo scontro politico mentre cade un Governo ancora di più, ma l’imbroglio prima o poi viene a galla.

Centrale teleriscaldamento a biomasse ad Asiago

Fonte: www.howtobegreen.eu

La Provincia di Vicenza ha realizzato una centrale di cogenerazione e teleriscaldamento con produzione di calore ed energia elettrica da biomasse legnose in prossimità di una grande falegnameria nell’abitato di Asiago, in zona montana a elevata valenza ambientale e turistica. Obiettivi del Progetto Demetra sono il risparmio economico e l’abbattimento dell’impatto ambientale rispetto all’uso di combustibili fossili: in particolare -15% sul costo dei combustibili fossili da parte degli utenti pubblici e privati dell’impianto di teleriscaldamento e abbattimento di anidride carbonica e polveri sottili derivante dal mancato utilizzo stimato di 1,3 milioni di litri annui equivalenti di gasolio.

L’impianto, che serve ospedali, scuole, municipio, impianti sportivi e parte degli insediamenti civili, comporta positive ricadute territoriali sia sotto il profilo socio-economico (tariffe energetiche incentivanti per il riscaldamento rispetto ai combustibili tradizionali) sia ambientale (riduzione dei gas serra derivanti dagli impianti di riscaldamento e produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile). Si viene infatti a determinare una filiera cortissima tra la produzione del combustibile e la sua utilizzazione.

A oggi la centrale è stata costruita, e la messa in esercizio definitiva della rete di teleriscaldamento, avviata a livello sperimentale nell’inverno 2008-2009, ha interessato la stagione invernale 2009-2010. Con la completa estensione della rete di distribuzione la centrale potrà coprire il fabbisogno di calore termico di quasi il 50% della popolazione residente (30% degli edifici di Asiago) con ulteriori possibilità future di potenziamento.La centrale si presenta maestosa,ma come progetto green è veramente grande,perchè oltre a ridurre l’inquinamento,riduce anche il costo singolo e totale per gli abitanti della zona,cosa da non sottovalutare,specialmente in questi periodi.

Arrestato Assange. Non una buona notizia

Di:Debora Billi
Fonte: crisis.blogosfere.it   

Beh, è accaduto l’inevitabile. Quando tutto il mondo ti dà la caccia davvero (e non per scena, come accade con i finti terroristi e i veri mafiosi), prima o poi il cerchio si stringe e ti arrestano. Assange è finito in manette e ora chissà che fine farà Wikileaks.

Approfitto per fare qualche osservazione sul personaggio. Ovviamente, io non ho la più pallida idea di chi sia in realtà Julien Assange: ma mi hanno estremamente divertito le mille ipotesi che ho letto in giro, basate esclusivamente su cosa Wikileaks stia pubblicando. Come spesso accade, la logica è fuori a cena.

– Ha pubblicato solo ovvietà e gossip. La prima cosa da capire è che Wikileaks pubblica i documenti di cui entra in possesso. Se su tali documenti ci sono scritte solo ovvietà e gossip, la responsabilità è di chi li ha redatti, non certo di Assange.

– Non ha rivelato i segreti scottanti. Forse qualcuno non ha letto bene, anche se i giornali l’hanno più volte spiegato: i documenti NON sono tra quelli top secret, e spesso non sono neanche classificati. Se qualcuno si aspettava che la verità su Kennedy, quella sull’11 settembre, gli UFO e gli alieni, la cura segreta del cancro o la free energy fossero scritte su promemoria di ambasciate o chiacchiere di funzionari, ebbene ha letto troppi fumetti.

– Parla male di alcuni e non di altri. Sempre come se a parlare fosse Assange, e non i documenti di un governo che lui si limita a mettere in Rete. Anche qui, è ovvio che le opinioni negative USA sul Presidente dello Zimbabwe abbiano un livello di segretezza assai diverso da quelle sul Presidente israeliano. Eventuali valutazioni pesantemente negative sulla situazione in Medio Oriente non sono sicuramente a disposizione di migliaia di funzionari, ma superclassificate. Lo stesso probabilmente per il materiale cinese, che ha pesanti implicazioni militari. E quella roba lì, Assange non l’ha avuta.

– E’ un’operazione vòlta a distrarre il pubblico dal vero problema, che è… Ogni Paese ha “il vero problema” da cui Wikileaks ci starebbe distraendo. Ne ho letti a decine in giro per la Rete. Persino nel suddetto Zimbabwe ritengono che Wikileaks sia un’operazione vòlta a distrarli dal vero problema che è la morìa delle vacche. Messa così, ogni evento che succede al mondo ci starebbe in realtà distraendo da un altro evento: surrealismo allo stato puro.

– Tutto ciò dimostra che Assange è solo un emissario pluto-masso ecc. Tutto ciò non dimostra un bel cavolo. Probabilmente egli è davvero un emissario di una rete potentissima di spie che vuole cambiare i destini del pianeta, ma NON lo si dimostra con gli assurdi ragionamenti di cui sopra. Lo si dimostrerebbe documenti alla mano, con una bella ricerchina che porta le prove, ma per riuscire a mettere le mani su certe prove bisognerebbe essere bravi come Assange e quindi rieccoci al surrealismo.

Sicuramente Assange ha in mano altra roba, magari più scottante, e la sta usando come merce di scambio. Mica è obbligato a pubblicare tutto, mica è votato al sacrificio, forse ha obiettivi personali o persegue quelli di qualcun altro. In ogni caso, non è dato sapere.

E’ un peccato però che sia stato arrestato. Poteva darsi che in giro ci fossero altri che volevano seguirne le orme, altri con materiale sensibile a disposizione che stavano proprio pensando di metterlo online. Ma poi hanno visto Wikileaks cacciata da Amazon, senza più neppure nome di dominio, coi server spenti in mezzo mondo, l’account Paypal chiuso, il conto svizzero chiuso, le polizie intercontinentali scatenate, accuse assurde di stupro, per finire col carcere, e magari hanno concluso di sentirsi molto più tranquilli aprendo un blog di ricette.

Come si dice, colpirne uno per educarne cento. E questa non è sicuramente mai una buona notizia.

Intelligence » Dossier Hypo Bank: denaro, armi e bordelli

Scritto da:  Biljana Vukicevic  Fonte: http://osservatorioitaliano.org
In collaborazione con Necenzurirano.com di Domagoj Margetic

Il labirinto delle transazioni illecite della Hypo Alpe Adria Bank e i suoi clienti è parte di una storia molto più grande, che oltrepassa i confini dello stato austriaco entrando in uno scenario internazionale. La vicenda,  su cui si indaga da anni, sta rivelando pezzo per pezzo il grande mosaico della mappa della criminalità organizzata internazionale. Ognuno con il proprio tassello ha contribuito a disegnare l’immagine che i soldi sporchi hanno  eliminato senza limiti le barriere statali, nonché quelle delle sfere politiche e personali. L’indagine che da anni porta avanti il giornalista investigativo croato, Domagoj Maretic, insieme ad un gruppo di analisti del portale Necenzurirano.com,  documentando fatti ed eventi, mostra come negli anni ’90 la Hypo Alpe Adria Bank dà inizio in Austria ad un grande progetto di alta finanza. Allora, non avendo filiali o società figlie, Hypo Bank concentra nella sede di Klagenfurt il centro degli affari, dove saranno individuati i progetti dei grandi investimenti che la banca poteva finanziare. Nel tempo si è dimostrato che i beneficiari di tali progetti erano molto vicini ai circoli politici, soprattutto del partito HDZ, tra cui l’allora Vice Ministro degli esteri croato Ivo Sanader, poi divenuto Premier. Una ricerca che è costata a Margetic la sua libertà professionale e personale, subendo ripetuti attacchi che hanno messo più volte in pericolo la sua vita. Dopo l’attentato dinamitardo, a causa della pubblicazione sul suo sito web dell’elenco di nomi dei criminali di guerra, e la rivelazione in esclusiva delle aziende coinvolte in operazioni sospette con Hypo Bank, Margetic si nasconde.

Croazia e Ivo Sanader, fiduciario di Hypo Bank. Nel suo dossier di centinaia di pagine realizzato negli anni si possono leggere i nomi dei più alti vertici della politica croata. Oltre Ivo Sanader appaiono i nomi del Ministro degli Esteri negli anni ’90, Mate Granic e Bozo Prka, Ministro delle Finanze. Il denaro investito nelle due banche croate Hypo banka e Slavonska banka sono confluiti nei conti correnti della Hypo Bank Austria, offrendo la possibilità di effettuare altri investimenti in Croazia e fornire altri crediti al Governo croato. Così comincia l’operazione di riciclaggio dei propri “soldi croati” attraverso i conti correnti segreti presso la Hypo Banka di Klagenfurt. L’indagine di Margetic sulla collusione della classe dirigenziale croata e il cosiddetto Dossier Hypo costituiva un segreto della “massima importanza”, per divenire in questi ultimi mesi uno scandalo di dimensioni transnazionali, abbracciando tutta l’area del Sud Est Europa. Quando Margetic offrì al Parlamento austriaco il Dossier, i vertici della classe politica negarono ogni cosa, ma uno squarcio ormai era stato aperto. Fino a quando il Governo croato prendeva crediti, usati sulla carta per l’acquisto dei palazzi delle ambasciate e dei consolati in tutto il mondo – su cui Sanader, Granic e Prka ottenevano una commissione – tutto andava bene. Subito dopo, subentra l’operazione di riciclaggio tramite la Slavonska banka d.d.Osijek. Per anni il Pubblico Ministero  Mladen Bajic non si è detto interessato al Dossier Hypo, lasciando così spazio per le operazioni illecite, dove il denaro viaggiava tramite le banche madre e figlie, ma sempre nel circolo chiuso di Hypo Group. 

Progetto Fokus Il Consiglio di Amministrazione della Hypo Group Alpe Adria nel 2009 ordinò segretamente la redazione di un’analisi del portafoglio clienti alla società di revisione PricewaterhouseCoopers (PWC) di Monaco(Germania), per analizzare tutti i crediti sospetti e il rischio di insolvenza, da cui prevedere tutte le possibili perdite. Il gruppo di lavoro guidato da Jurgen Breisch e Sven Hauke, hanno presentato un rapporto di 219 pagine con un elenco di tutti i crediti di Hypo Group a rischio, concesse a imprese, persone giuridiche e fisiche in Austria, Germania, Slovenia, Italia, Croazia, Bosnia Erzegovina, Serbia, Montenegro, Macedonia, Bulgaria ed Ucraina. Viene così dimostrato che fino al 2009, tramite varie operazioni, Hypo Group ha emesso crediti per 37,7 miliardi di euro,  la maggior parte dei quali  di massimo rischio, che alla fine hanno portato al collasso finanziario la Hypo Alpe Adria Group. La HB  certamente non aveva i ‘propri’ 37.7 miliardi di euro, ma una delle domande cruciali è sicuramente quale sia stata l’origine dei soldi. Il rapporto Fokus è sicuramente il documento più significativo per tracciare il percorso dei crediti tramite Hypo Group, e giungere sino ai clienti finali con l’emissione di conti correnti segreti dei fiduciari che godevano di contratti con Hypo Group, che erano veri proprietari dei mezzi finanziari e loro fiduciari.

Hypo Group e i Balcani. Dal progetto Fokus si scopre il legame tra il Gruppo bancario e i nuovi stati balcanici, nato nei primi anni ’90, grazie alla forte interconnessione tra élite politica e finanziaria. La guerra  era senz’altro un` ottima occasione per finanziare i  “regni indipendenti”, quando nascono le prime forme di criminalità organizzata nei Balcani. La Hypo Bank è stata anche la fonte finanziaria per i Paesi nella fase di transizione dopo la frantumazione della Repubblica Socialista Federazione della Jugoslavia (SFRJ). In Bosnia sono ora sotto indagine 24 aziende per i prestiti sospetti di Hypo. I rappresentanti della banca si sono recati in visita nel mese scorso per “fare i conti” nelle varie filiali di Hypo in Bosnia, ma ancora non sono trapelate informazioni circa il coinvolgimento dei vertici politici in uno scandalo internazionale. Stesso destino colpisce la Serbia, dove appare il nome del narco-trafficante Darko Saric, che ha riciclato più di 100 milioni di euro, derivanti dal tra ffico di armi e di droga. Viene citata anche l’holding “Delta Real Estate” per i finanziamenti del quartiere belgradese “Belvill”, oltre ad una miriade di imprese che sembra abbiano ottenuto prestiti sospetti e non verificati. In Slovenia sono sotto indagine le aziende legate al partito liberaldemocratico (LDS) stanziati per il rinnovamento interno dei vertici.

Indagine della CIA. A tutta questa storia sembra siano interessate anche le agenzie di intelligence dei vari Paesi tra cui la tedesca BND e le statunitensi CIA e FBI. Michael J. Morel, Vice direttore della CIA, poco tempo fa si è recato in visita a Vienna: la sua permanenza dura solo poche ore, ma dopo si scopre che lo scopo era avere informazioni sul caso Hypo. Nei primi momenti nessuno ha voluto confermare tale indiscrezione, affermando che si trovasse in Austria per ragioni ben precise, relative alla rete terroristica di Al Qaeda in Europa. Dopo un paio di giorni Morel giunge con il suo fascicolo sul caso Hypo, che contiene la denuncia penale di Leopold Spitzbart contra Wolfgang Kulterer, Gunter Striedinger, Thomas Klaus Morgl, Željko Žužić, Marinko Paića, Andreas Binder e Heinz Truskaller. Dal documento si evince che in America esiste una denuncia contro Hypo Grop del valore di 350 miliardi di dollari per frodi bancarie organizzate . Hypo Group viene accusata di “associazione per delinquere, estorsione, frode, omissioni nel controllo e supervisione e grave negligenza, conflitto di interesse, lavoro in nero e controverso, disinformazione e disattenzione verso gli investitori, mancato rispetto degli obblighi di assistenza per il controllo dell’attività bancaria commerciale, grave violazione degli obblighi dei singoli soci e dei dipendenti di Hypo Group”. Nei sei Paesi Europei e in America esistono numerosi processi contro Hypo Group del valore di più di 1.350.000.000,00 di dollari. Si scopre anche che Hypo Alpe Adria Bank possedeva almeno tre banche in America con i suoi conti correnti. 

Traffico di armi. Il gruppo austriaco si è reso anche colpevole del riciclaggio del denaro per traffico di armi con i Paesi sotto embargo, tramite l’organizzazione del defunto Joerg Haider, attualmente ancora sotto inchiesta da parte dei vari servizi segreti. L’indagine riguarda Hypo Alpe Adria Bank e 12 Paesi (tra cui Germania, Italia, Balcani fino in Ucraina). Il Ministero delle Finanze (CIS) e il Ministero degli Interni austriaco (SOKO-Hypo) seguono insieme il caso con l’ex polizia di Stato (STAPO) e due servizi informativi militari Xhaa e Abvermart. Si parla di una collaborazione tra i partiti di ultradestra di Austria, Italia e Croazia, che hanno lavorato insieme con Libia, Siria ed Iraq, per organizzare il traffico di armi nei Balcani, in particolare in Bosnia, Sangiaccato e Kosovo, usando l’organizzazione “Z”, dalle iniziali del Generale Vladimir Zagorec, ed il grande commerciante di armi Abdul Monheim Jebara. Il triangolo Haider- Jebara-Zagorec si occupava del traffico illecito di armi avendo la copertura di servizi segreti BND e CIA. Come confermato, si trattava delle armi destinati ai “paesi terzi” che, tramite i Paesi delle “Alpi”, arrivavano a destinazione. Nel corso della missione militare NATO in Kosovo, i doganieri italiani fermano a Brindisi hanno interi convogli svizzeri di armi destinate a Kukes. La società di ”trasporto umanitario”, Madre Teresa, coprì la fornitura delle armi per il Kosovo. Allo stesso modo si trovarono 80 000 pistole in Iraq di marchio ‘Glock’, ossia della fabbrica dell’amico di Haider , Gaston Glock . In Afghanistan la missione ISAF scopre grandi quantità di armi provenienti dalla fabbrica Hirtenberger. In tutto questo, viene coinvolta la scena diplomatica di Austria, Svizzera, Germania, Croazia che finanziava il traffico delle armi con i soldi della Hypo Bank, dopodiché il denaro confluiva in ‘investimenti privati’ di “massima importanza per lo Stato”. 

Bordelli e denaro. Nel “misterioso” castello vicino Klagenfurt, sede della filiale di Hypo, si incontravano oscuri clienti provenienti da Croazia ed Italia. Questo viene confermato anche dall’ex dirigente del settore finanziario di Hypo Bank, Kristian Raucher. La segreta filiale della banca era un vero e proprio bordello per i clienti oscuri: oggi si chiama “Babilon club” e rappresenta un bordello di lusso per clienti VIP . All’epoca il castello era una delle tappe per il denaro illecito che fluiva tra Croazia e Liechtenstein, trasportato in valigette nere. 

Lo scandalo Hypo Group non è quindi una faccenda semplice che può essere scoperta in qualsiasi banca al mondo, ma è uno scandalo che potrebbe cambiare ed influire sulla politica dei Paesi coinvolti. Nasce negli anni ’90 quando si disintegra una parte dell’Europa, ma viene scoperto negli ultimi mesi, quando comincia un’altra disintegrazione europea forse più forte di quella già vista. I finanziatori e trafficanti che si trovano sempre in circuiti di denaro, armi e bordelli, continuano a finanziare di nascosto i Governi fantoccio che servono per aprire altri “buchi neri” geostrategici, dove possono conservare il loro profitto. Poi, ad un certo punto cade il velo, per andare a nascondere fatti molto più importanti e manovrare la situazione della politica internazionale.

Una marea di rifiuti seppellisce la costa croata. … e bombe NATO…

fonte: etleboro.blogspot.com

…in Serbia e in Kosovo sono in corso operazioni dell’aviazione NATO e i piloti, di ritorno alle basi, scaricano bombe e missili nell’Adriatico, nelle acque interne dell’Italia e della Croazia…

Le centinaia di chilometri quadrati di rifiuti, che da sabato hanno sommerso la costa della penisola della Peljesac e il mare nel canale di Mljet, lunedì sono arrivate fino a Korcula, molto probabilmente provenienti dal porto albanese di Durazzo, o da quello di Valona, dove vengono scaricati in grandi quantità. Si presuppone che i rifiuti siano di origine albanese perché la maggior parte delle bottiglie di plastica galleggianti hanno le etichette scritte in albanese e le correnti marine che possono trasportare i rifiuti fino alla costa croata arrivano dall’Albania. Infatti la spazzatura è stata trasportata dalla corrente ciclonica dell’Adriatico orientale, che nel territorio di Dubrovnik si rigira verso le acque croate, e per mezzo del forte Jugo (vento che spira da sud), ha raggiunto le coste croate. Visto che tra i rifiuti si trovano una gran quantità di canne, si presuppone che una parte della spazzatura possa provenire dalla foce del fiume Bojana, in Montenegro.

Come dichiarato per il Jutarnji List, secondo l’oceanografo Ivica Vilibic, la spazzatura ha impiegato circa un mese per raggiungere la Croazia, trasportata dalla corrente ad una velocità tra i 10 e i 30 centimetri al secondo. Questa non è la prima volta che i rifiuti invadono la zona di Mljet e della Peljesac, ma raramente ciò era avvenuto con tali quantità. Nenad Smodlaka, direttore del Centro di ricerca marina dell’Istituto “Rudjer Boskovic”, ricorda che, senza considerare il brutto impatto visivo di tutte queste tonnellate di spazzatura, questa non causerà danni maggiori alla vita nell’Adriatico. L’Agenzia per la protezione e il soccorso ieri ha avvertito i cittadini di non ripulire autonomamente le zone con i rifiuti per possibili ripercussioni sulla salute. “Le enormi quantità di rifiuti non rappresentano un pericolo immediato per la flora e la fauna della penisola, piuttosto si tratta di inquinamento delle spiagge, della cui rimozione sono responsabili i comuni locali. Non sappiamo ancora quanta sia la superficie coperta dai rifiuti, e l’intervento è complicato anche dalla dispersione spaziale della spazzatura”, ha dichiarato il governatore della Contea Nikola Dobroslavic.

Tomislav Jurjevic, sindaco del territorio comunale che amministrativamente appartiene a Trstenjak na Peljescu, con lo sguardo fisso sui cadaveri galleggianti dice di non aver mai visto in vita sua un incidente del genere e una tale quantità di spazzatura. “La pulizia inizierà non appena le condizioni atmosferiche lo permetteranno, al più tardi martedì”. “L’ufficio veterinario fornirà le istruzioni su come procedere. La pulizia sarà avviata dagli addetti comunali quando riceveranno le sufficienti istruzioni, perché si dovrà tener conto anche della loro sicurezza, perché ci sono siringhe e rifiuti ospedalieri”, ha dichiarato il sindaco del comune di Orebic. “Questo è terribile, i cittadini sono indignati e sorpresi. Ci serve aiuto”, ha concluso. I cittadini sono stati avvertiti di non toccare i rifiuti perché potenzialmente pericolosi.

Oltre ai rifiuti un’ulteriore preoccupazione per la pulizia dell’Adriatico è stata provocata dalle affermazioni del giornalista italiano Gianni Lannes direttore di Italiaterranostra.it , che a “Glas Istre” ha detto che in Serbia e in Kosovo sono in corso operazioni dell’aviazione NATO e i piloti, di ritorno alle basi, scaricano bombe e missili nell’Adriatico, nelle acque interne dell’Italia e della Croazia. Secondo lui la NATO mente quando afferma che nell’Adriatico ci sono cinque zone in cui si scaricano le bombe inutilizzate. Egli afferma che le zone siano 24 e si estendano da Trieste, quindi dal nord fino al sud, fino a Santa Maria di Leuca, città davanti alle porte di Otranto. La NATO in seguito a forti pressioni mediatiche ha ammesso che nel 1999 nell’Adriatico sono state scaricate bombe a grappolo, ma che la maggior parte di queste sono state successivamente recuperate. Dalla NATO affermano che le bombe sono state gettate in acque internazionali. Lannes sostiene che le bombe abbiano drasticamente inquinato l’Adriatico. “Sul fondale davanti alla costa pesarese, una cinquantina di miglia dalla costa istriana, si trova un enorme arsenale della seconda guerra mondiale e della missione militare NATO del 1999. La concentrazione di iprite, fosforo e degli altri veleni chimici è spaventosa, mentre le bombe sono soggette ai cambiamenti delle correnti marine. Si tratta di un arsenale mobile di morte”, ha detto Lannes.

La biografia nascosta della famiglia Obama al servizio della CIA

Fonte: Voltairenet

Washington DC (USA) 30 Agosto 2010

Il giornalista investigativo Wayne Madsen ha consultato diversi archivi della CIA per stabilire i collegamenti tra l’Agenzia e le istituzioni e le persone che hanno avuto stretti rapporti con Barack Obama, i suoi genitori, la nonna e il patrigno. La prima parte del suo caso evidenzia la partecipazione di Barack Obama Senior nelle azioni adottate dalla CIA in Kenya. Queste operazioni erano volte a contrastare l’ascesa del comunismo e l’influenza cino-sovietica sui circoli degli studenti, e non solo, hanno anche avuto lo scopo di ostacolare l’emergere di leader africani non allineati.

Dal 1983 al 1984, Obama ha lavorato come analista finanziario nell’International Business Corporation, nota come società di facciata della CIA.

La Business International Corporation, la facciata della CIA in cui ha lavorato il futuro presidente degli Stati Uniti, organizzava conferenze tra i leader più potenti e impiegava i giornalisti come agenti all’estero. Il lavoro che vi ha svolto Obama, dal 1983, è coerente con le missioni di spionaggio per conto della CIA svolte da sua madre, Stanley Ann Dunham, negli anni ‘60, dopo il colpo di stato in Indonesia, per conto di altre società di facciata della CIA, tra cui il East-West Center dell’Università delle Hawaii, l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (US Agency for International Development, USAID) [1] e la Fondazione Ford [2]. Dunham conobbe e sposò Lolo Soetoro, il patrigno di Obama, presso l’East-West Center nel 1965. Soetoro fu richiamato in Indonesia nel 1965, come alto ufficiale per assistere il generale Suharto e la CIA nel rovesciamento cruento del presidente Sukarno [3].

Barack Obama senior incontrò Dunham nel 1959, al corso di russo presso l’Università delle Hawaii. Egli fu tra i pochi fortunati di un volo aereo tra l’Africa orientale e gli Stati Uniti, per fare entrare 280 studenti presso diversi istituti accademici statunitensi. Secondo un rapporto della Reuters di Londra del 12 settembre 1960, questa operazione avrebbe beneficiato di un semplice “aiuto” della sola Fondazione Joseph P. Kennedy. Essa mirava a formare e indottrinare futuri agenti d’influenza in Africa, un continente che diveniva il luogo della lotta di potere tra gli Stati Uniti, l’Unione Sovietica e la Cina, per influenzare i regimi dei paesi nuovamente indipendenti, o in procinto di diventarlo.

Nella scelta degli studenti espatriati, Masinda Muliro, Vice-Presidente del Kenya African Democratic Union (KADU), ha denunciato le preferenze tribali, che favorivano la maggioranza Kukuyu e la minoranza etnica del gruppo Luo. Questo favoritismo privilegiava i sostenitori del Kenya African National Union (KANU), guidato da Tom Mboya, ex sindacalista e nazionalista. Fu Mboya che scelse d’inviare Barack Obama senior a studiare presso l’Università delle Hawaii. Obama senior, allora sposato, padre di un bambino e in attesa di un secondo bambino in Kenya, sposò Dunham sull’isola di Maui il 2 febbraio 1961. Dunham era incinta di tre mesi di Barack Obama, al momento del suo matrimonio con Obama Senior. Questi divenne il primo studente africano ad integrarsi in una università degli Stati Uniti.

Sempre secondo Reuters, Muliro avrebbe anche detto di voler inviare una delegazione negli Stati Uniti per indagare sugli studenti kenioti che ricevevano “regali” dagli statunitensi e di “assicurare che le donazioni agli studenti, in futuro, (fossero) gestiti da persone sinceramente preoccupate per lo sviluppo del Kenya“.
La CIA avrebbe reclutato Tom Mboya nell’ambito di un programma chiamato “liberazione selettiva“, generosamente finanziata con l’obiettivo di isolare il presidente Kenyatta, il fondatore della Repubblica del Kenya, considerato dall’agenzia di intelligence degli Stati Uniti una persona “di cui non ci si può fidare“.

Mboya ricevette all’epoca una sovvenzione di 100.000 dollari dalla Fondazione Joseph P. Kennedy, nel quadro del programma di invito degli studenti africani, dopo aver rifiutato la stessa offerta dal Dipartimento di Stato. Chiaramente, Mboya era preoccupato di suscitare sospetti di una assistenza diretta degli Stati Uniti in Kenya, presso i politici filo-comunisti, già sospettosi dei suoi legami con la CIA. Il programma fu finanziato dalla Fondazione Joseph P. Kennedy e dalla Fondazione degli studenti afro-americani. Obama senior non faceva parte del primo gruppo che volò negli Stati Uniti, ma di uno seguente. Questo programma di aiuti agli studenti africani, organizzato da Mboya nel 1959, includeva studenti da Kenya, Uganda, Tanganika, Zanzibar, Rhodesia del Sud e del Nord e Nyasaland (oggi Malawi).

Reuters riporta anche che Muliro accusava il favoritismo presente alla selezione dei beneficiari degli aiuti americani, “per ostacolare e irritare gli altri studenti africani“. Muliro affermava che “il beneficio venne dato alle tribù maggioritarie [i Kikuyu e i Luo] e che molti studenti selezionati dagli Stati Uniti fallirono gli esami di ammissione, mentre altri studenti non selezionati si dimostravano degni delle migliori raccomandazioni“.

Subito spedito dalla CIA nelle Hawaii, Barack Obama Senior (indossando i leis hawaiani, la tradizionale collana di fiori) posa con Stanley Dunham (a sinistra di Obama senior), il nonno materno del presidente Barack Obama.
Obama senior era un amico di Mboya e un nativo della tribù dei Luo. Dopo l’assassinio di Mboya nel 1969, Obama senior testimoniò al processo del presunto assassino. Obama Senior sosteneva di essere stato l’obiettivo di un tentato omicidio in strada, dopo la sua comparizione in tribunale.

Obama Senior lasciò le Hawaii per Harvard nel 1962, e divorziò nel 1964 da Dunham. Sposò una studentessa di Harvard, Ruth Niedensand, una ebrea statunitense, con il quale tornò in Kenya ed ebbe due figli. Il loro matrimonio finì con un divorzio. Obama ha lavorato al Ministero delle Finanze e al Ministero dei Trasporti del Kenya, così come in una compagnia petrolifera. Obama senior morì in un incidente d’auto nel 1982, i principali politici del Kenya parteciparono al suo funerale, Robert Ouko, che divenne ministro dei trasporti, fu assassinato nel 1990.

I documenti della CIA dimostrano che Mboya è stato un importante agente di influenza per conto della CIA, non solo in Kenya, ma in tutta l’Africa. Secondo un rapporto settimanale segreto della CIA (CIA Current Intelligence Weekly Summary) datato 19 novembre 1959, Mboya sorvegliava gli estremisti alla seconda Conferenza Pan-Africana tenutasi a Tunisi (All-African People’s Conference, AAPC). Il documento riferiva che “[gravi attriti si erano] sviluppati tra il Primo Ministro del Ghana, Kwame Nkrumah e il nazionalista keniano Tom Mboya, che [aveva] partecipato attivamente, nel dicembre [1958], per controllare gli estremisti nella prima Conferenza Pan-Africana, ad Accra”. I termini “ha partecipato attivamente” suggeriscono che Mboya collaborava con la CIA, il cui rapporto fu stabilito con i suoi agenti sul campo, ad Accra e a Tunisi. Fu durante questo periodo di “collaborazione” con la CIA ad Accra e a Tunisi, che Mboya assegnò a Obama una borsa di studio di alto livello e gli offrì l’opportunità di andare all’estero e di entrare all’Università delle Hawaii, dove conobbe e sposò la madre dell’attuale presidente degli Stati Uniti.

In un più datato rapporto settimanale segreto della CIA, del 3 Aprile 1958, appaiono queste parole: “[Mboya] rimane uno dei più promettenti leader dell’Africa.” La CIA, in un altro rapporto settimanale segreto datato 18 dicembre 1958, descrisse il nazionalista keniano Mboya come un “giovane portavoce dinamico e capace“, durante la sua partecipazione ai lavori della Conferenza Panafricana, era considerato un avversario di “estremisti” come Nkrumah, sostenuto dai “rappresentanti sino-sovietici“.

In un documento declassificato della CIA sulla Conferenza panafricana del 1961, il conservatorismo di Mboya, come quello del tunisino Slim Taleb, furono chiaramente definiti un contrappeso alla politica di sinistra del clan Nkrumah. Il filo-comunisti furono eletti a capo del comitato organizzatore della Conferenza Pan-Africana, alla conferenza del Cairo del 1961, a cui assistette Mboya. Nel rapporto della CIA, i nomi di alcuni di questi leader sono citati: quello del Senegalese Abdoulaye Diallo, segretario generale della Conferenza panafricana; dell’algerino Ahmed Bourmendjel, dell’angolano Mário de Andrade, di Ntau Mokhele del Basutoland (Lesotho ex), del camerunese Kingue Abel, di Antoine Kiwewa del Congo Belga (ora Repubblica Democratica del Congo), del Ghanese Kojo Botsio, del Guineano Ismail Touré, di TO Dosomu Johnson della Liberia, del Malino Modibo Diallo, del marocchino Mahjoub Ben Seddik, di Djibo Bakari del Niger, del Nigeriano Tunji Otegbeya, di Kanyama Chiume del Nyasaland, del somalo Abdullahi Ali, di Makiwane Tennyson del Sud Africa e di Mohamed Fouad Galal degli Emirati Arabi Uniti.

I soli partecipanti che hanno ricevuto l’approvazione della CIA erano Mboya (il che è evidente poiché era un informatore della CIA), Joshua Nkomo, originario della Rhodesia del Sud, B. Munanka del Tanganyika, il tunisino Abdel Magid Shaker e l’ugandese John Kakonge.

Nkrumah fu alla fine abbattuto nel 1966, dopo un colpo di stato militare organizzato dalla CIA, durante una visita di Stato in Cina e Vietnam del Nord. Questa operazione venne attuata un anno dopo che l’agenzia condusse contro il presidente Sukarno un altro colpo di stato militare, in cui la famiglia della madre di Obama ebbe un ruolo. Alcuni dati suggeriscono che l’assassinio di Mboya, nel 1969, sia stato organizzato da agenti cinesi che agivano per conto delle fazioni governative incaricati dal presidente del Kenya, Jomo Kenyatta, di combattere Mboya e di eliminare, in tal modo, un politico africano filo-statunitense di primo piano. Tutte le ambasciate a Nairobi avevano messo le loro bandiere a mezz’asta, in omaggio a Mboya, tranne una, quello della Repubblica popolare cinese.

Jomo Kenyatta, primo presidente del Kenya.

L’influenza esercitata da Mboya sul regime di Kenyatta continuerà a lungo dopo la sua morte, finchè Obama senior era ancora vivo. Nel 1975, Josiah Kariuki, membro socialista del KANU (il partito che contribuì a creare con Mboya e Obama senior) venne assassinato. Dopo l’omicidio, Kenyatta licenziò dal governo tre ministri ribelli, che erano “personalmente collegati sia a Kariuki che a Mboya.” Tali informazioni sono state originariamente classificate come segrete (classificazione livello Umbra), e apparvero in più memo della CIA sul Medio Oriente, l’Africa e il Sud Africa. In seguito fu trasmesso sulla rete COMINT il 24 giugno 1975. Le informazioni contenute in questo rapporto, come dimostra il suo livello di classificazione, provenivano dalle intercettazioni effettuate del ministro degli Interni keniano. Nessuno fu mai stato accusato di aver ucciso Kariuki.

Le intercettazioni degli alleati di Mboya e Kariuki sono la prova che la NSA e della CIA mantennero sotto sorveglianza Barack Obama senior, un individuo, che come straniero negli Stati Uniti, poteva prestarsi a qualche intercettazione legale, di cui si incarica la NSA e il Government Communications Headquarters (GCHQ, l’intelligence elettronica del governo britannico).

Alessandro Lattanzio
http://www.aurora03.da.ru
http://sitoaurora.xoom.it/wordpress/
http://eurasia.splinder.com
http://www.eurasia-rivista.org/5867/la-biografia-nascosta-della-famiglia-obama-al-servizio-della-cia-1a-parte

La biodinamica cambia il volto del deserto egiziano

acritto da: Valerio Pignatta
Fonte: il consapevole

Nella situazione di avanzato degrado ambientale, economico e sociale che stiamo vivendo, le buone notizie, che pure ci sono, stentano a circolare. Così rischia di passare sotto silenzio l’interessante e riuscito esperimento dell’egiziano Ibrahim Abuleish, il cui progetto nel 2003 gli ha valso il Right Livelihood Award, noto anche come premio Nobel Alternativo. Merito di Abuleish è l’aver dato vita a Sekem, una comunità di più di 2000 persone nel cuore del deserto del Sahara.
Sekem, nella cultura dell’Antico Egitto, era il nome attribuito alla forza vitale del sole, così determinante, nel bene e nel male, per le popolazioni di quei territori, e nell’idea originaria di questo allora giovane avventuriero dello spirito era proprio il deserto il luogo in cui avrebbe voluto edificare il suo progetto di comunità armonica di uomini, animali e vegetazione, comunità che ventisette anni dopo è divenuta realtà.
Il sogno di Ibrahim: il riscatto dell’Egitto
Il giovane Ibrahim era figlio di un industriale egiziano del Cairo. Sin da ragazzo manifestò l’interesse per compiere gli studi universitari in Europa e nonostante l’iniziale opposizione dei genitori riuscì a emigrare in Austria dove in pochi anni si costruì una carriera decisamente promettente come ricercatore scientifico nonché una famiglia amorevole. Durante il suo soggiorno in Austria Abuleish entrò in contatto con gli antroposofi e iniziò a scoprire il pensiero di Rudolf Steiner, leggendo le sue opere.
Nel 1975, un viaggio culturale e di ritorno ai propri affetti nel suo paese d’origine lo destò brutalmente rispetto alla situazione tragica in cui versava il suo popolo. Le condizioni erano disastrose da vari punti di vista: assenza di istruzione, agricoltura devastata dal sovraconsumo di concimi chimici che andavano esaurendo la fertilità dei suoli, non corrispondenza tra sentire etico-religioso e azione nel quotidiano dell’élite dirigente, problemi di irrigazione dopo la costruzione della diga di Assuan, lotta nazionalista contro Israele che negava in effetti da ambo le parti l’appartenenza a una comune umanità ecc.
Colpito profondamente da questa situazione, due anni dopo Abuleish prese la decisione di ritornare con la sua famiglia in Egitto dove intendeva costruire un’oasi verde e coltivata in pieno deserto che costituisse un fulgido esempio e uno sprone al riscatto dei singoli individui, della popolazione nel suo insieme e delle istituzioni politiche, economiche e sociali dell’Egitto.
Le difficoltà che sono state affrontate e superate da questo pioniere dell’antroposofia in Africa e che si leggono nel libro di cui sopra sembrano davvero infinite e quasi impossibili da spianare per un essere umano. Eppure oggi Sekem è una realtà molto concreta, lussureggiante e che alimenta una vera comunità locale e internazionale al tempo stesso.
Dal deserto nasce l’oasi
Dopo l’acquisto di settanta ettari di deserto del demanio a circa 80 chilometri dalla capitale egiziana, il primo passo è stato la costruzione dei pozzi per l’acqua. La zona scelta da Abuleish era, se possibile, particolarmente desertica e gli ingegneri che lo assistettero nel sopralluogo gliela sconsigliarono fortemente. Ma egli la scelse appositamente per dimostrare che se fosse riuscito a insediare la vita in quell’angolo inospitale di territorio allora ciò sarebbe stato possibile in ogni luogo del suo paese. Paese che voleva veder rinascere a partire dalle classi più povere che vivevano in uno stato di abbrutimento.
Nel suo percorso a ostacoli Abuleish ha dovuto lottare contro le diffidenze dei beduini e i loro costumi ancestrali. Ha dovuto far capire la complessa programmazione di un piano audace di rivitalizzazione dei suoli ai suoi interlocutori anche istituzionali con grandi difficoltà. (sconosciute ai burocrati egiziani), i mass media, Difficoltà ancora più grandi nella gestione dei rapporti con le banche locali, le squadre di operai edili, i permessi per questioni di vario tipo come il compostaggiogli sceicchi e gli imam che lo accusavano di essere antislamico e adoratore del sole (sulla base di propensioni e concetti antroposofici diffusi nella comunità).
Nonostante tutti questi impedimenti e avversità la visione negli anni è andata realizzandosi e ciò grazie anche al contributo di numerosi scienziati e uomini di cultura provenienti da ogni parte del pianeta che a Sekem hanno dato il loro contributo.
Progettare il futuro
Oggi Sekem costituisce un esempio forse unico al mondo di unità tra economia, cultura e vita sociale, fondato sulla visione steineriana e un concetto di evoluzione olistica. In quest’oasi fiorita e sotto il cappello della “Comunità Sekem” le duemila persone residenti lavorano nell’ambito di sei imprese economiche che comprendono orticoltura, produzione di cotone, agricoltura, trasformazione di prodotti alimentari, industria tessile e produzione farmaceutica.
Il tutto precisamente inserito in un percorso di produzione biologica e biodinamica. Col metodo biologico vengono anche coltivate erbe officinali che sono poi trasformate in fitopreparati. I profitti delle imprese sono in parte accantonati in un fondo pensione e in parte investiti nei settori dell’educazione e della cultura. A Sekem ci sono scuole materne ed elementari e una di formazione professionale che prepara operai specializzati. Vengono anche organizzati tirocini aziendali nelle diverse professioni e istituzioni socio-culturali per i collaboratori. Il principio che domina a Sekem nella selezione degli educatori è stato espresso chiaramente proprio da Abuleish: «Ho sempre considerato le doti intellettuali dei nuovi insegnanti meno importanti delle qualità del loro carattere, perché sono queste ultime a influenzare i bambini aiutandoli a diventare uomini» afferma in Sekem. Un’iniziativa biodinamica cambia il volto del deserto egiziano in cui racconta la sua testimonianza. E non è un particolare di poca rilevanza, ma un fattore di notevole divario tra la realtà di Sekem e le nostre scuole fondate sulla meritocrazia mnemonica e sul nozionismo.
La vita culturale di questa comunità si è arricchita negli ultimi anni anche della costruzione di un grande teatro dove vengono vissuti dall’intera collettività spettacoli che vedono la partecipazione di tutti. Infine, da diversi anni, sono operativi l’Accademia Sekem per le arti e le scienze e un Centro medico che esplica anche una funzione e dei servizi sul territorio come le visite mediche alla popolazione e il suo monitoraggio o l’organizzazione di corsi di aggiornamento sanitario come quello alle ostetriche, sull’igiene, che riscuote molto successo e incide poi abbassando la morbosità e la mortalità dei parti in zona.
Un modello di comunità perfetta
Il fondamento dell’associazionismo presente a Sekem è quello della reciproca fiducia, ossia, come afferma Abuleish, è «un’economia basata sulla fratellanza» (p. 135).
Un passaggio evolutivo senz’altro epocale se paragonato alle leggi selvagge ed egoiche del liberismo economico dominante. L’istituzione-modello Sekem si è infatti conquistata rispetto e ammirazione a livello internazionale.
Scorrere il libro e vedere le foto a colori del deserto pietroso trasformato in giardino lussureggiante, con le abitazioni, la scuola, il teatro, i laboratori ecc. fa veramente riflettere. Idem se ci si ferma a considerare l’insolita commistione tra antroposofia e Islam che si sprigiona dai principi regolatori della comunità e della sua vita sociale ed economica. Forse l’uomo ha ancora possibilità di riuscita se si concentra su ciò che unisce anziché su ciò che divide. Ci sono principi universali e valori etici e morali che possono essere condivisi anche partendo dalla propria identità culturale e religiosa.
E un altro messaggio esce forte e chiaro da questa esperienza: niente è impossibile per degli esseri umani determinati ed elevati sul piano ideale. Il desiderio di avventura
insito nell’uomo potrebbe forse avere buone possibilità di realizzazione e soddisfazione proprio nella progettazione e materializzazione di esperienze collettive finalizzate al benessere dell’umanità e del mondo. Iniziare un percorso di questo tipo può costituire una vera svolta nell’esistenza di molte persone e di intere società. E un nuovo cammino è sempre un’avventura emozionante e fondante. Come dice il poeta: «…in ogni inizio vive una magia che ci protegge e ci aiuta a vivere» (Hermann Hesse).