Le proteste in Egitto: dietro la rivolta c’è il sostegno segreto dell’America ai leader della ribellione

Fonte: http://scienzamarcia.blogspot.com

Qui di seguito la traduzione dei passaggi più significativi dell’articolo Egypt protests: Americas secret backing for rebel leaders behind uprising scritto da  Tim Ross, Matthew Moore e Steven Swinford e pubblicato il 28 gennaio 2011 sull’edizione on line del quotidiano britannico The Telegraph. Questo articolo serve ad approfondire quanto già scritto in disordini in Egitto e in Tunisia. Ulteriori annotazioni, precisazioni e commenti all’articolo del Telegraph li trovate alla fine.

Le proteste in Egitto: dietro la rivolta c’è il sostegno segreto dell’America ai leader della ribellione 
Il governo americano ha sostenuto segretamente le figure leader che stanno dietro la ribellione Egiziana che hanno pianificato il “cambio di regime” per i precedenti tre anni ha scoperto il Daily Telegraph 

L’ambasciata americana al Cairo ha aiutato un giovane dissidente a partecipare ad una riunione di attivisti tenutasi a New York sponsorizzata dagli Stati Uniti, lavorando affinché la sua identità venisse nascosta alla polizia di stato Egiziana .


Al suo ritorno al Cairo nel dicembre 2008, l’attivista ha detto ai diplomatici Statunitensi che un’alleanza di gruppi di opposizione aveva stilato un piano per scalzare il presidente Hosni Mubarak ed installare un governo democratico nel 2011.

Link alla versione integrale del documento

Egli era già stato arrestato dalle forze di sicurezza egiziane in relazione alle dimostrazioni e la sua identità viene protetta dal Daily Telegraph.

La crisi in Egitto segue la caduta del presidente tunisino Zine al-Abedine Ben Ali, che ha lasciato il paese dopo che proteste diffuse l’hanno costretto alle dimissioni.

Le rivelazioni, contenute in  precedenti dispacci diplomatici segreti rilasciati dal sito di WikiLeaks, mostra che i funzionari americani hanno fatto pressioni sul governo egiziano affinché rilasciasse altri dissidenti che erano stati imprigionati dalla polizia.

(…)

William Hague, il ministro degli esteri [britannico] ha esortato il governo egiziano a prestare attenzione alle “legittime domande dei dimostranti”. Hillary Clinton, il segretario di stato degli USA ha detto di essere “fortemente preoccupata dall’uso della forza per domare le proteste” .

In un’intervista per il canale americano CNN, che verrà mandata in onda domani, [il premier birtannico] David Cameron ha affermato: “Io penso che ciò di cui abbiamo bisogno sono delle riforme in Egitto. voglio dire, noi sosteniamo le riforme ed il progresso nel più grande rafforzamento della democrazia, dei diritti civili e del rispetto delle leggi.”

Il governo degli Stati Uniti è stato in precedenza un sostenitore del regime di Mr Mubarak’. Ma i documenti trapelati mostrano fino a che punto l’America stava offrendo supporto agli attivisti per la democrazia in Egitto mentre al contempo lodavano pubblicamente Mr Mubarak come un imporante alleato nel Medio Oriente.

In un rapporto diplomatico segreto spedito il 30 dicembre 2008, Margaret Scobey, l’ambasciatrice statunitense al Cairo, segnalava che i gruppi di opposizione a quanto pare avevano preparato dei piani segreti per attuare un “cambio di regime ” prima delle elezioni, previste per il settembre di quest’anno .
(…)

L’ambasciatrice Scobey si chiese se un tale complotto “irrealistico” potesse funzionare, o se fosse mai esistito davvero. Tuttavia i documenti mostrano che l’attivista è stato  avvicinato da diplomatici USA ed ha ricevuto un estensivo supporto per la sua campagna a favore della democrazia dai funzionari di Washington. L’ambasciata ha aiutato l’attivista a partecipare ad un convegno per giovani attivisti a New York, che era stato organizzato dal Dipartimento di Stato USA .

(…)

Le proteste in Egitto sono state guidate dal movimento giovanile del 6 Aprile, un gruppo su Facebook che ha attratto tra i suoi membri soprattutto persone giovani ed istruite avverse a Mr Mubarak. Il gruppo ha circa 70.000 membri ed usa i siti dei social network per organizzare proteste e per informare sulle proprie attività.

I documenti rilasciati da WikiLeaks mostrano che i funzionari dell’ambasciata USA erano in regolare contatto con l’attivista per tutto il 2008 ed il 2009, considerandolo una delle loro più affidabili fonti di informazioni sugli abusi dei diritti umani .

L’articolo mostra quindi alcune cose che sospettavamo: Washington non solo era in contatto con questi nuovi oppositori di Mubarak (che stanno per scalzarne il regime con la scusa della democrazia) ma li stava sostenendo concretamente; nonostante le poco credibili parole dell’ambasciatrice che riteneva irrealistica l’ipotesi del complotto per rovesciare il quadro che viene fuori è di un governo USA che pubblicamente esalta la fedeltà dell’alleato Mubarak e segretamente ne organizza la destituzione.

Del resto il voltafaccia degli USA, come si evince anche dall’articolo qui sopra, è stato repentino e molto sospetto, dopo 30 anni di fedele alleanza. Ovviamente è poco credibile che il governo statunitense o quello inglese siano attenti ai problemi della democrazia o della libertà, le loro guerre sanguinose in Medio Oriente ed il loro appoggio a vecchie e nuove dittature (dal Cile di Pinochet all’Indonesia di Suharto), per non parlare di orridi esperimenti su cavie umane, ci fanno capire chiaramente che certe affermazioni dei loro leader sono di pura facciata.

Per altro notiamo che un sito che sembrava apparentemente di opposizione al sistema, ovvero Prisono Planet, il sito di Alex Jones  e Paul Joseph Watson, ospita un recente articolo scritto da P.J. Watson  nel quale leggiamo nientemeno che:


Il “risveglio politico globale” molto temuto da Zbigniew Brzezinski è in pieno svolgimento. Rivolte in Egitto, Yemen, Tunisia e altri paesi rappresentano un grido di libertà veramente imponente  in tutto il mondo  che rischia di danneggiare enormemente l’agenda per un governo mondiale, ma solo se i rivoluzionari riusciranno ad evitare di essere cooptati da una paranoica e disperata elite globale.

Avevamo già manifestato in passato delle perplessità sul ruolo di queste persone (in particolare di Alex Jones) e adesso scopriamo che i nostri sospetti erano fondati. Questa gente ha per anni denunciato alcuni dei piani delle élite ed alcune delle loro nefaste opere, ma il loro scopo era crearsi un nome, attrarre una larga fetta del dissenso popolare, e poi guidarlo verso le mete già decise dagli artefici di questi orrendi piani. Guardatevi da questa gente quando proporrà di scendere in piazza contro un regime tirannico, che alla fine il nuovo regime sarà peggio del precedente.

Quanto al “risveglio politico globale” molto temuto da Zbigniew Brzezinski ci sembra proprio che fosseuna sorta di “risveglio pilotato”; del resto un cospiratore di quella fatta non parlerebbe di risveglio se non per un astuto fine di doppiogioco. Il “risveglio” egli non lo teme, ma lo manipola per utilizzarlo per i propri fini.

Quello a cui stiamo assistendo è un piano orchestrato per destabilizzare il mondo sotto ogni aspetto: si vuole  fabbricare una Depressione Globale per creare un Governo Mondiale, ed a quanto pare le élite occulte che manovrano dietro il sipario della politica stanno proprio riuscendo nella loro demolizione controllata dell’economia mondiale. La manipolazione climatica e l’avvelenamento della bisofera continuano a ritmo serrato, e le catastrofi innaturali, salutate come opportunità dai nostri loschi governanti, servono anch’essere a prostrare gli abitanti del nostro povero pianeta.

Finte rivoluzioni porteranno a finti cambiamenti (come diceva l’autore del Gattopardo “deve canbiare tutto affinché non cambi nulla”) o peggio a cambiamenti che serviranno alla lunga a creare una tale situazione di caos e di incertezza da spingere le popolazioni stanche e stremate ad accettare la soluzione che ci governa ha già preparato: un Nuovo Ordine Mondiale Orwelliano.

OGM: Riso amaro

Fonte: http://tuttouno.blogspot.com

La prima raccolta di alimenti geneticamente modificati, contenente geni umani, è stato approvata per la produzione commerciale.

 

Il riso creato in laboratorio produce proteine umane (lactoferrine et le lysozyme) che si trovano normalmente nella saliva e latte materno.
Dicono che questo riso possa essere usato per trattare i bambini con diarrea, una delle cause maggiori di morte nel Terzo Mondo. (ndt. ma igiene e acqua potabile non sarebbero più efficaci?)

Questo riso è un passo importante verso gli alimenti detti “Frankenstein”, miscele di geni di origine umana e geni vegetali.

Ma il Ministero dell’Agricoltura degli Stati Uniti ha già segnalato che intende consentire la coltivazione e la vendita di riso.

I produttori di riso, con sede in California al Ventria Bioscience, hanno ricevuto l’approvazione preliminare alla coltivazione di oltre 3.000 ettari nel Kansas.

La società prevede di raccogliere le proteine e di utilizzarle nelle bevande, dessert, yogurt e barrette di muesli.
La notizia ha provocato orrore tra gli anti-OGM e i gruppi di consumatori in tutti gli USA

Le banche cinesi si insediano in Europa

Scritto da: Andrea Perrone
Fonte: rinascita.eu 

Il colosso bancario di Pechino, Industrial & Commercial Bank of China Ltd., aprirà 5 filiali nel Vecchio Continente

La Cina prosegue la sua avanzata in Europa.
Dopo l’acquisto dei titoli di Stato di Spagna, Grecia e Portogallo, un grande istituto di credito di Pechino: Industrial & Commercial Bank of China Ltd. (ICBC), ha deciso di raddoppiare la sua presenza sul mercato europeo e nelle prossime due settimane aprirà cinque nuove filiali. Il colosso bancario cinese è già presente sul Vecchio Continente con filiali a Londra, Mosca, Lussemburgo (dove ha sede il quartier generale) e Francoforte. Le nuove aperture sono previste a Milano, Parigi, Bruxelles, Amsterdam e, la prossima settimana, a Madrid. Le filiali si concentreranno in particolare sul retail e sui servizi di banca commerciale.
L’annuncio è giunto ieri sulle pagine del quotidiano finanziario statunitense Wall Street Journal. Notizia confermata anche dal presidente dell’ICBC, Jiang Jianqing, in una conferenza stampa tenuta in Lussemburgo, per presentare le sue cinque nuove filiali nell’Ue, in cui ha sostenuto che la banca da lui diretta “crede nell’Europa e nell’euro”. “L’apertura contemporanea di cinque filiali – ha chiosato il presidente – riflette la ferma fiducia della ICBC nello sviluppo futuro dell’Europa”.
È proprio sulla scia della crisi finanziaria globale, che le imprese cinesi hanno subito una rapida espansione a livello internazionale, offrendo una grande opportunità agli istituti di credito della Repubblica popolare di poter accrescere le loro attività all’estero. Finora le banche cinesi si sono dimostrate incapaci nel controllare aree commerciali diverse da quelle interne, a causa della loro inesperienza dei mercati internazionali, delle restrizioni imposte dalle autorità di regolamentazione d’Oltreoceano e dal regime di Pechino avverso ai rapidi e continui movimenti dei suoi colossi bancari.
Attualmente, l’espansione degli istituti bancari cinesi sta aumentando il ritmo, tanto da garantire all’ICBC la possibilità di potersi insediare stabilmente, già lo scorso anno, in Vietnam, Malesia, Thailandia e Canada.
Va ricordato che l’ICBC è l’istituto di credito più attivo tra le banche cinesi: in forte espansione sui mercati stranieri, con una particolare predilezione per quelli asiatici. Negli ultimi anni ha poi acquisito delle piccole banche in Indonesia e Thailandia, inserendole tra le sue filiali all’estero. Soluzione questa che gli ha garantito una rete di circa 20 filiali in ogni Paese, aggiungendo alla piccola rete ha costituito da sola in circa 10 Paesi in Asia e Medio Oriente. Inoltre, ha comperato lo scorso anno la Bank of East Asia Ltd. e le sue sei filiali canadesi. Come risultato, il colosso bancario cinese ha aperto quasi 200 filiali in 28 Paesi alla fine del 2010, tra cui Hong Kong e Macao, conseguendo un utile di circa 1 miliardo di dollari. Nel contesto nazionale, invece, l’ICBC ha aperto, alla fine di giugno, più di 16.000 punti vendita.
In Europa, però, l’ICBC è rimasta indietro rispetto alla sua rivale più piccola, la Bank of China Ltd., che è tradizionalmente considerata come la più internazionale delle banche cinesi. Bank of China possiede attualmente filiali in 11 città europee, tra cui Mosca. Entrambe sono comunque molto indietro rispetto alle principali banche mondiali, come la Citigroup Inc. Proprio quest’ultima possiede infatti migliaia di sportelli bancari al di fuori degli Stati Uniti con il proprio marchio e con quello delle società controllate. Ma, nonostante i tentativi delle autorità di regolamentazione Usa di frenare l’avanzata dei colossi bancari cinesi nel mercato americano con il pretesto che quelle di Pechino non sono in grado di applicare le norme antiriciclaggio e di monitorare le loro banche, qualcosa sta cambiando. Lentamente infatti sta aumentando la penetrazione nei mercati europei e internazionali del Celeste Impero, deciso a conquistare con la sua potenza economica aree prima irraggiungibili.

Vicenza e le basi militari USA in Italia

Fonte: http://antoniomazzeoblog.blogspot.com

Intervista di Francesco Maule apparsa su “La Voce dei Berici”, domenica 23 gennaio 2011

«Tutta la vicenda della nuova base militare Usa all’aeroporto Dal Molin ha dimostrato che i cittadini, e le associazioni che in vario modo li rappresentano, sono impreparati ad affrontare un problema di grande rilevanza come la militarizzazione del territorio».

A partire da questa nota degli organizzatori abbiamo sentito uno dei relatori del convegno, il giornalista Antonio Mazzeo, siciliano, che da anni si occupa di inchieste su temi ecologici, militari e sul territorio del sud Italia.

«A Vicenza ho parlato dell’impatto delle basi militari sul territorio e di quella che ho definito la “Vicenza connection” delle basi USA in Italia, cioè del ruolo delle società vicentine nella realizzazione delle infrastrutture militari, a partire delle imprese che lavorano in Sicilia a Sigonella, dove sta per essere installato il sistema di sorveglianza terreste AGS della NATO e più una decina di aerei senza pilota USA Global Hawks, o quelle che hanno appalti per i lavori a Niscemi (CT), che ospiterà la stazione di controllo terrestre del sistema satellitare MUOS (Mobile User Objective System), elemento chiave dei nuovi programmi di guerre stellari.

Queste imprese vicentine sono le stesse, guarda caso, che hanno fatto pressione perché si costruisse la nuova base USA al Dal Molin. Come in Sicilia così a Vicenza la rete della militarizzazione diffusa e talvolta invisibile si sta infittendo e complicando: legami tra imprese, associazioni di categoria, banche, istituzioni politiche e militiari italiane e statunitensi. Il passaggio alla Caserma Ederle dal comando SETAF ad AFRICOM è un esempio, non deve lasciare indifferenti e va analizzato».

In che senso?
«Che Africom sarà determinante nello scenario geopolitico del XXI secolo, e la rete di basi USA in Italia è funzionale in modo estremamente pericoloso. Non va dimenticata inoltre la Eurogendfor (Europeran Gendarmerie Force), la cui scuola di formazione ha sede proprio e ancora a Vicenza presso la ex caserma Chinotto di via Medici. Un centro strategico di formazione di forze militari di tutta Europa e anche di personale militare di tutti i paesi».

Ma di fronte ad uno scenario dove la militarizzazione sta tessendo una rete sempre più fitta, a Vicenza come in altre città d’Italia, cosa vuol dire parlare di riconversione?
«Innanzi tutto è fondamentale, a mio avviso, prendere coscienza di questi processi di militarizzazione in atto. Al movimento per la pace di Vicenza, come a quello italiano, è chiesto di impegnarsi per proporre e attuare processi affinché questi luoghi si trasformino in scuole di pace e di educazione ai diritti umani. Sono questi che dobbiamo esportare, non le armi».

Il cambio del clima contribuì alla caduta dell’Impero Romano

scritto da :Lino Bottaro
Fonte: Stampa Libera 

 Studio su Science:C’è una relazione tra gli schemi climatici e gli eventi storici
All’aumento della variabilità corrispondono le turbolenze che portarono alla fine di Roma

MILANO – Il cambiamento climatico potrebbe essere stato fra le cause della caduta dell’Impero Romano. Queste le conclusioni di uno studio, condotto dai ricercatori dello “Swiss Federal Research Institute for Forest, Snow e Landscape”, che hanno ricostruito la storia dei cambiamenti climatici nelle estati europee degli ultimi 2.500 anni. Analizzando gli anelli di crescita di 9mila manufatti e campioni d’albero semi-fossilizzati, viventi in Germania, Francia, Italia ed Austria, gli scienziati hanno così scoperto che gli schemi climatici potevano essere collegati ad eventi storici dalle conseguenze devastanti. Si è visto, infatti, che i periodi caldi e umidi (indicati dagli anelli di crescita più ampi) erano coincisi con un’epoca di prosperità, mentre, per contro, un clima secco o comunque mutevole (cerchi più stretti) si era accompagnato a sconvolgimenti politici, come la caduta dell’Impero Romano e la Guerra dei Trent’Anni.

«Guardando agli ultimi 2.500 anni, ci sono svariati esempi di come il cambiamento climatico abbia influenzato la storia dell’umanità – ha spiegato Ulf Buntgen, co-autore della ricerca, al sito della rivista “Science”, ripreso dal “Daily Telegraph” –. Non a caso, i periodi caldi e umidi hanno caratterizzato la prosperità dell’epoca romana e medievale, mentre un aumento della variabilità climatica dall’AD 250 al 600 ha coinciso con la fine dell’Impero Romano d’occidente e con le turbolenze dell’epoca delle migrazioni. Basti pensare alla siccità del terzo secolo che si accompagnò, in parallelo, alla crisi dell’Impero Romano d’occidente, segnato dalle invasioni barbariche, dai disordini politici e dalle ripercussioni economiche in diverse province della Gallia». Secondo l’esperto, i risultati raggiunti dallo studio potrebbero aiutare a costruire futuri modelli climatici e servire da monito sull’incidenza che possono avere le variazioni del clima nella società. «Siamo molto interessati a capire le civiltà del passato e a rendere le nostre ricerche più corpose – ha concluso Buntgen – e c’è anche un ampio spazio di miglioramento, per ottenere dati qualitativamente superiori e su una scala temporale più ampia».

Le campagne d’Africa di US Army Vicenza

Fonte: http://antoniomazzeoblog.blogspot.com/

Un anno e mezzo fa erano circa 180 i militari e civili assegnati al Comando di US Army Africa a Vicenza. Adesso lo staff della componente terrestre di AFRICOM, l’organismo militare che sovrintende alle operazioni statunitensi nel continente africano, supera già le 400 unità. Pensare che alla sua costituzione, nel dicembre 2008, nella città più militarizzata d’Italia, il ministro Frattini ebbe l’ardire di affermare che con US Army Africa “non ci saranno truppe da combattimento americane assegnate su base permanente a Vicenza, ma solo componenti civili che opereranno nel quadro della NATO”. Di Alleanza atlantica, in verità, nelle missioni africane dei reparti USA non c’è l’ombra; tutto viene pianificato dagli alti comandi AFRICOM di Stoccarda nel rispetto delle linee guida e degli interessi strategici del Dipartimento di Stato e della Difesa. Ad US Army Africa Vicenza (ex Setaf – Southern european task force) il compito di potenziare le capacità di penetrazione delle forze terrestri nei complessi scenari africani e di accrescere la partnership USA con gli eserciti del continente, senza indagare più di tanto sulle pratiche repressive dei regimi o sui passati stragisti e criminali di capi di stato e militari.

 Per accelerare la trasformazione operativa dei reparti, dal giugno 2010 US Army Africa ha un nuovo comandante dalla lunga esperienza nei teatri di guerra internazionali, il generale Hogg, già vice-comandante del Combined Security Transition Command in Afghanistan durante l’operazione “Enduring Freedom” e responsabile del maggiore centro di addestramento dell’esercito USA all’estero, il Joint Multinational Training Command di Grafenwöhr (Germania). “US Army Africa sostiene le attività di AFRICOM finalizzate al miglioramento operativo degli eserciti africani e alla promozione di forze militari professionali”, spiegano i portavoce del Comando ospitato a Vicenza. “In Ruanda, il nostro personale lavora insieme ai militari della Gran Bretagna per addestrare i soldati ruandesi e potenziare le loro tecniche d’intervento e la mobilità. Ci sono poi i programmi logistici, le esercitazioni e le missioni di formazione a favore di Algeria, Botswana, Burkina Faso, Burundi, Ghana, Kenya, Liberia, Libia, Marocco, Namibia, Uganda e Tanzania. Ufficiali di US Army Africa operano congiuntamente con la African Partnership Station (APS), la missione della marina statunitense in Africa occidentale, e con la Combined Joint Task Force – Horn of Africa, la forza militare che opera in Africa orientale con sede a Gibuti”. Sempre più stretti poi i legami con il Coespu (Center of Excellence for the Stability Police Units), il “Centro d’eccellenza” che l’Arma dei Carabinieri ha creato a Vicenza per la “formazione e l’addestramento delle forze di polizia internazionali”. Più volte visitato dal generale William “Kip” Ward, Comandante supremo di AFRICOM, il Coespu ha già “formato” migliaia di poliziotti-militari di ben 12 paesi africani (Benin, Burkina Faso, Camerun, Egitto, Gabon, Kenya, Mali, Marocco, Nigeria, Senegal, Sud Africa, Togo).

 L’ultima grande operazione di supervisione e assistenza militare è stata realizzata da US Army Africa a metà dicembre in Burundi. “Il nostro personale ha operato congiuntamente con i militari e i civili delle Burundian Defense Forces a Bujumbura, per migliorare la capacità d’invio aereo di uomini e mezzi a diverse aree del continente africano e utilizzare quanto appreso per implementare nel giugno 2011 l’Africa Deployment Assistance Partnership Team (ADAPT). ADAPT è uno dei tanti programmi AFRICOM finanziati dal Dipartimento di Stato e gestiti direttamente da US Army Africa. Scopo, lo sviluppo delle capacità di proiezione a distanza delle forze armate africane in sostegno delle operazioni di peace-keeping ed emergenza umanitaria in ambito ONU e dell’“inter-operatività con le forze statunitensi per operazioni ed esercitazioni congiunte o combinate”. Il Burundi è ufficialmente impegnato nella missione dell’Unione Africana in Somalia per “stabilizzare” il paese dopo decenni di guerra, ma – come ammesso dagli stessi ufficiali americani – il vero obiettivo della missione è la guerra al gruppo estremista al-Shabaab, ritenuto da Washington il più fedele alleato di Al Qaeda in Corno d’Africa.

 Altro importante intervento ADAPT quello svolto nell’agosto 2010 ad Endebbe per istruire 25 ufficiali dell’Uganda People’s Defense Force (altra forza armata impegnata in Somalia) nell’utilizzo dei grandi aerei da trasporto C-130. Il mese dopo, il comandante delle forze armate ugandesi, generale Silver Kayemba, si è recato in visita alla Caserma Ederle di Vicenza per discutere con i responsabili di US Army Africa e del Military Surface Deployement and Distribution Command (SDDC) del futuro della rete ferroviaria del paese africano. Sì, perché tra i molteplici scopi dei militari USA ci sono pure “l’assistenza agli sforzi di ricostruzione delle infrastrutture e il potenziamento della mobilità dell’intera regione”, come ha dichiarato il portavoce di SDDC. “Noi abbiamo già realizzato numerosi studi sul sistema portuale ed altre infrastrutture. US Army Africa ha necessità di sincronizzarsi con SDDC e identificare i luoghi dove condurre in futuro le proprie analisi”. All’orizzonte, dunque, milionarie commesse per le grandi aziende private ed i contractor USA riproducendo in Africa i business della “ricostruzione” in Iraq ed Afghanistan.

 Grazie al programma ADAPT, i “consiglieri” USA sono presenti oggi in 8 paesi africani. “Prima del Burundi e dell’Uganda, importanti sessioni di formazione sono state svolte in Ruanda, Ghana e Burkina Faso, ma il numero è destinato a crescere notevolmente nei prossimi anni”, spiegano a Stoccarda. “I programmi e i paesi in cui s’interverrà con ADAPT nei prossimi tre anni sono stati scelti in occasione della Conferenza per la cooperazione alla sicurezza continentale che US Army Africa ha organizzato nell’agosto 2010 a Vicenza, presenti i rappresentanti di AFRICOM e 120 alti ufficiali degli eserciti africani”. Il primo appuntamento previsto è per il marzo-aprile 2011 in Botswana. Le forze terrestri ed aeree locali si addestreranno alla guerra all’interno di un “parco nazionale” dove vivono leoni, coccodrilli, scimmie e altri animali in via d’estinzione.

 In Liberia, più di una dozzina di sottufficiali di US Army Africa sono impegnati da diverso tempo come “formatori” nel campo della logistica, della sanità e delle operazioni di polizia militare, grazie al cosiddetto “Liberia Security Sector Reform”, il programma del Dipartimento di Stato per la ricostituzione delle forza armate nazionali. Ufficiali provenienti dalla base veneta si sono affiancati alla US Army Medical Research Unit – Kenya (l’unità dell’esercito USA che opera nella ricerca scientifica e farmaceutica in Africa) per realizzare nuovi “laboratori scientifici” nei centri militari della Liberia. Grazie alla partnership con la controversa unità di ricerca medica, US Army Vicenza è entrata a far parte del pool di supervisori dei famigerati programmi di sperimentazione di nuovi vaccini anti-malarici e farmaci anti-AIDS su decine di migliaia di bambini e neonati africani. Non meno inquietante la missione dell’ufficio medico del Comando di US Army Africa in Marocco. “Dal 14 al 19 novembre abbiamo accompagnato due ufficiali medici marocchini a Fort Detrick, Maryland e in altre importanti infrastrutture militari degli Stati Uniti”, spiegano i responsabili del reparto vicentino. “L’esercito del Marocco sta cercando di costruire ed espandere le proprie capacità di risposta CBRNE (Cimica, Biologica, Radiologica, Nucleare ed Esplosivi). C’è poi in discussione lo studio congiunto di alcune malattie, della loro cura e dei protocolli per la vaccinazione”. I reparti medici statunitensi sono intervenuti nella programmazione e realizzazione di altri “interventi d’emergenza” nel continente (l’ultimo a fianco dell’esercito del Ghana nel novembre 2010) o in occasione delle esercitazioni multinazionali di “risposta umanitaria” in caso di disastri naturali, la più importante delle quali, “Natural Fire 10”, si è tenuta in Uganda con la partecipazione di migliaia di militari di Stati Uniti, Uganda, Ruanda, Burundi, Kenya e Tanzania.

 Per rafforzare l’intervento in caso di crisi umanitarie e rendere sempre meno marcate le differenze tra le funzioni militari e gli aspetti più propriamente “civili”, l’esercito USA ha recentemente attivato a Kaiserslautern (Germania) la prima brigata di “affari civili” con base in Europa. “Si tratta della 361st Civil Affairs Brigade e dipende direttamente dal 7th Civil Support Command, l’unico comando fisso esistente dell’US Army Reserve”, ha dichiarato uno dei responsabili, il colonnello Christopher Varhola. “Quali esperti di affari civili, i componenti dell’unità aiuteranno nella ricostruzione infrastrutturale e nel coordinamento del personale AFRICOM ed US Army Africa con le popolazioni civili locali in occasione di interventi umanitari o eventuali operazioni di guerra”. Dal dicembre 2008 anche l’unità statunitense dell’US Army Reserve di stanza nella base segreta di Longare (Vicenza) è stata posta agli ordini del 7th Civil Support Command. Alla vigilia dell’attivazione del Civil Support Team di Longare, i riservisti avevano condotto una esercitazione di 76 giorni nel poligono di Fort Leonard Wood (Missouri) simulando “uno scenario realistico di guerra chimica con l’uso di gas nervini”. Successivamente il CST di Longare ha avviato “corsi basici” per i residenti USA di Vicenza sulle armi nucleari, chimiche e batteriologice e “sull’equipaggiamento personale di protezione”.

 Nel 2010 gli instancabili responsabili di US Army Africa hanno girato in lungo e in largo il continente africano tessendo proficue relazioni persino con i vecchi nemici di un tempo. In maggio, l’allora comandante William B. Garrett III, si è spinto fino a Tripoli per incontrare i leader militari libici. Tappa chiave della visita che ha segnato il disgelo tra i generali USA e Gheddafi il quartier generale del North African Regional Capability (NARC), la brigata costituita da cinque paesi africani che può operare per conto dell’Unione Africana in caso d’emergenza. “Uno degli obiettivi di US Army Africa è aiutare la Libia e gli altri membri NARC a trasformare la brigata in una struttura in grado di operare con altre task force d’intervento regionale”, ha dichiarato il generale Garrett. “Questa visita ha enfatizzato l’importanza della standardizzazione degli equipaggiamenti, l’addestramento e la formazione degli ufficiali libici. Questi ultimi sono stati invitati a visitare le Accademie dell’esercito negli Stati Uniti per affrontare i temi della sicurezza delle frontiere, dello scambio d’informazioni in ambito medico e delle procedure nel settore elicotteristico”. Per rafforzare il duplice impegno contro migranti e terroristi, nel dicembre 2010 il nuovo comandante di US Army Africa, generale Hogg, si è recato in visita in Algeria. “L’odierno status delle operazioni anti-terroristiche nel Sahel è un work in progress”, ha spiegato Hogg. “Nei prossimi mesi realizzeremo attività di addestramento delle forze terrestri algerine nel campo dell’intelligence e della lotta al terrorismo e in futuro ci sarà anche la visita di militari algerini negli Stati Uniti”. Un mese dopo ad Algeri sono scoppiati i tumulti popolari per il diritto al pane. Un’ottima occasione per polizia ed esercito per sperimentare sul campo gli utili suggerimenti dei “consiglieri” di US Army Vicenza

SORPRESA: IL PETROLIO È UNA FONTE RINNOVABILE!

Il mito del picco del petrolio
Fonte: Aurora –  Traduzione Alessandro Lattanzio – Aurora03.da.ru
Paul Joseph Watson & Alex Jones, Prisonplanet 12 Ottobre 2005

Il picco del petrolio è una truffa progettata per creare artificialmente la penuria e l’ascesa dei prezzi dando allo stato un pretesto per invadere la nostra vita e per sacrificare i nostri sudati standard di vita. I manuali di strategia di 30 anni fa, a disposizione del pubblico, del CFR e del Club di Roma, dicevano che un governo globale ha bisogno di controllare la popolazione mondiale attraverso il neo-feudalesimo, creando scarsità artificiale. Ora gli architetti sociali che hanno de-industrializzato gli Stati Uniti, ci incolpano per la nostra disintegrazione economica a causa della mancanza di approvvigionamenti energetici.
La globalizzazione è in consolidamento. Ora che l’economia mondiale è diventata così centralizzata attraverso le operazioni globali, hanno intenzione di continuare a consolidare e dare la colpa al “malvagio” iperconsumo dell’Occidente dei combustibili fossili, mentre allo stesso tempo, bloccano lo sviluppo e l’integrazione delle tecnologie pulite e rinnovabili. In altre parole, il picco del petrolio è una truffa per creare artificialmente la penuria e aumentare i prezzi. Nel frattempo, le tecnologie dei combustibili alternativi, che ci sono da decenni, vengono volutamente soppresse.
Il picco del petrolio è una teoria avanzata da una élite, dall’industria petrolifera, proprio dalle persone che vogliono che pensiate che il picco del petrolio sia un male, a meno che non sia una copertura per un altro ordine del giorno. Dalle prove che la scarsità artificiale sia deliberatamente creata, dalle ragioni per farlo e da chi sono i beneficiati, è chiaro che il picco del petrolio è un mito e dovrebbe essere esposto per quello che è. Un’altra scusa per i globalisti per prendere maggiore controllo sulle nostre vite e sacrificare altra sovranità statunitense nel frattempo.
Le bugie della scarsità artificiale
Il nodo della questione è che se il petrolio è abbondante in quelle zone che il governo e le compagnie petrolifere di dicono non esserlo, allora abbiamo la prova evidente che la scarsità artificiale viene simulata, al fine di portare avanti una miriade di altri ordini del giorno. E abbiamo esempi concreti in cui questo è successo. Tre distinti memo interni riservati di Mobil, Chevron e Texaco sono stati ottenuti dalla Fondazione per i diritti dei contribuente e dei consumatori.
Questi appunti delineano un ordine del giorno deliberato per gonfiare i prezzi e creare artificialmente la penuria, limitando le capacità o con la vera e propria chiusura delle raffinerie di petrolio. Questo è stato uno sforzo di lobbying a livello nazionale condotto dall’American Petroleum Institute per incoraggiare raffinerie a fare ciò.
Un memo interno della Chevron afferma: “Un analista dell’energia presso API, in un recente convegno ha avvertito che se l’industria petrolifera USA non ridurrà la sua capacità di raffinazione, non potrà mai vedere un aumento sostanziale dei margini di raffinazione”. Il Memo chiarisce che il blocco della capacità di raffinazione e dell’apertura di nuove raffinerie non proviene da organizzazioni ambientali, come l’industria del petrolio ha sostenuto, ma da una deliberata politica di limitazione e aumento dei prezzi richiesta dalla stessa industria petrolifera.
Il mistero di Eugene Island 330 e l’auto-rinnovano delle forniture di petrolio
Eugene Island è un giacimento petrolifero nel Golfo del Messico, 80 miglia al largo della costa della Louisiana. E’ stato scoperto nel 1973 e iniziò a produrre 15.000 barili di petrolio al giorno, che poi ha rallentarono fino a circa 4.000 barili nel 1989. Ma poi senza alcun motivo logico di sorta, la produzione tornò a spillare fino a 13.000 barili al giorno. Ciò che i ricercatori hanno scoperto, quando hanno analizzato il giacimento di petrolio con scansione sismica 3-D, è che vi era una profondità inspiegabile nell’angolo inferiore nella scansione al computer, che mostrava petrolio sgorgare in profondità da una fonte sconosciuta in precedenza, e la sua filtrazione attraverso la roccia, a ricostituire il giacimento esistente. Inoltre, l’analisi del petrolio attualmente prodotto a Eugene Island dimostra che la sua età è geologicamente diversa da quella del petrolio prodotto lì, dopo l’apertura della prima raffineria. Suggerendo fermamente che ora ne emergeva uno diverso, d’origine inspiegabile.
Le ultime stime delle riserve probabili sono salite da 60 milioni a 400 milioni di barili di barili. Sia gli scienziati che i geologi delle grandi compagnie petrolifere hanno visto le prove e ammesso che il petrolio del campo di Eugene Island, si ricarica da sé. Questo contraddice completamente la teoria del picco del petrolio e con una tecnologia migliorata ad un ritmo accelerato, sembra ovvio che ci sono più Eugene Islands in attesa di essere scoperte. Così la comunità scientifica ha bisogno di cogliere queste possibilità e le lobby di finanziare la ricerca di queste fonti più profonde che reintegrano i giacimenti di petrolio. L’esistenza dei giacimenti di petrolio che si auto-rinnovano, frantuma il mito del picco del petrolio. Se il petrolio è una sostanza naturale inorganica che si reintegra, allora come può esaurirsi?
Il futuro del petrolio
Quest’anno in particolare, abbiamo visto un aumento nei prezzi del petrolio e ci viene detto semplicemente di abituarsi ad esso, perché questo è il modo in cui andranno le cose. Sulla scia degli uragani Katrina e Rita, i prezzi del gas sono saliti. tra rivendicazioni di enormi carenze di energia. Gli statunitensi sono invitati a spegnere le luci, a modificare le impostazioni del termostato, a guidare più lentamente, isolare le abitazioni e prendere altre misure. Nel frattempo, le compagnie petrolifere continuano a fare profitti da record. A volare a fronte della crisi del cosiddetto picco del petrolio sono i fatti. Se stiamo esaurendo il petrolio così in fretta, perché le riserve continuano ad aumentate e la produzione sale alle stelle? Negli anni ‘80 l’OPEC ha deciso di passare a un sistema di quote di produzione in base alle dimensioni delle riserve. Più grande è la riserva che un paese diceva di avere, più ne poteva pompare. All’inizio di quest’anno, l’Arabia Saudita ha detto che ha aumentato le sue riserve di greggio di circa 200 miliardi di barili. Il petrolio saudita è sicuro e abbondante, dicono i funzionari. “Queste enormi riserve permettono al Regno di rimanere un produttore di petrolio per 70/100 anni, anche se aumenta la sua capacità produttiva di 15 milioni di barili al giorno, il che può accadere durante i prossimi 15 anni“.
E’ questo il normale comportamento, se siamo nel picco della produzione di petrolio? La risposta è no, è il corso normale quando si aumenta la produzione.
Ci sono state anche segnalazioni che la Russia ha aumentato notevolmente le sue riserve, anche al di là di quelle dell’Arabia Saudita. Perché dovrebbero farlo se credevano che non ci sarebbe più petrolio da estrarre? Sembra chiaro che la Russia è pronta per l’illimitata futura produzione di petrolio.
C’è una contraddizione evidente tra la teoria del picco del petrolio e il continuo aumento delle riserve e della produzione di petrolio. Nuove fonti di petrolio non sfruttate vengono scoperte ogni angolo della terra. L’idea che in qualche modo ci sono solo poche fonti che l’Occidente sta cercando di monopolizzare è un mito completo, promulgato da coloro che rastrellano profitti enormi. Dopo tutto come si fa a realizzare enormi profitti da qualcosa disponibile in abbondanza?
Un articolo del Wall Street Journal di Peter Huber e Mark Mills descrive come il prezzo del petrolio resta alto benché il costo del petrolio resta così in basso. Noi non siamo dipendenti dal Medio Oriente per il petrolio, perché le forniture del mondo stanno diminuendo, e perché è più redditizio sfruttare le forniture del medio-oriente. Così il mito del picco del petrolio è necessario per mettere a tacere la richiesta per individuare altre abbondanti riserve del pianeta.
Richard Branson ha anche manifestato l’intenzione di creare la sua raffineria, proprio perché il prezzo del petrolio è artificiosamente tenuto alto, mentre le nuove fonti non vengono esplorate e nuove raffinerie non sono costruite.
“L’Opec è effettivamente un cartello illegale, che si può riunire tranquillamente, senza che nessuno li porti in tribunale“, ha detto Branson. “Colludono per mantenere alti i prezzi“. Quindi, se più raffinerie sono state costruite e sono sfruttato diverse risorse, il prezzo del petrolio scende e il cartello illegale OPEC avrebbe visto diminuire i profitti. Non c’è da meravigliarsi quindi che l’argomento per il picco del petrolio è così attraente per l’OPEC. Se nessuno investe per costruire raffinerie, perché non crede che ci sia abbastanza petrolio, allora chi ci guadagna? OPEC e le élite del petrolio naturalmente. Sembra che ogni volta che c’è una sorta di crisi energetica, l’Opec aumenti la produzione. La cosa notevole di questo è che essi dicono sempre che stanno alleggerendo i prezzi, ma i prezzi aumentano sempre perché diffondono il mito che stanno immettendo sul mercato alcune delle loro ultime riserve. Gli analisti sembrano confusi e sempre dicono che non credono che aumentando la produzione si ridurranno i prezzi.
In un recente rapporto del Fondo Monetario Internazionale, si prevede che la domanda mondiale di petrolio entro il 2030 dovrebbe raggiungere 139 milioni di barili al giorno, il 65 per cento di aumento. “Dovremmo aspettarci di vivere con i prezzi del petrolio elevati e volatili“, ha detto Raghuram Rajan, capo economista del FMI. “In breve, troveremo una strada difficile andando avanti“. Ma analisti indipendenti e anche alcuni all’interno dell’OPEC, sembrano credere che la domanda di petrolio stia diminuendo. Perché tale contraddizione? Il mito del picco del petrolio e della domanda è spacciata da falsi gruppi di attivisti di sinistra guidati dall’establishment, dall’OPEC e dai rami globalisti come l’FMI. Anche la rivista Rolling Stone ha pubblicato un articolo, nel suo numero di aprile, fortemente sbilanciata a far credere alla gente la bugia del picco petrolifero. Le prove scientifiche spariscono anche a fronte della teoria del picco del petrolio. La ricerca scientifica, che risale a oltre cento anni, aggiornata più recentemente in un libro scientifico pubblicato su ‘Energia’, suggerisce che il petrolio è abiotico, e non il prodotto di materiale biologico in lunga decomposizione. Il petrolio, in meglio o in peggio, non è una risorsa non rinnovabile. Come il carbone e gas naturale, reintegrato da fonti all’interno del mantello della Terra. Non a caso i russi, che per primi su questa ricerca, hanno effettuato enormi spese per approfonditi scavi petroliferi nel sottosuolo. Abbiamo precedentemente esposto scientificamente la truffa dietro il picco del petrolio. Ecco un 1 ora di clip audio dei commenti di Alex Jones sul picco del petrolio, e quindi l’analisi scientifica del rispettato commentatore Dr. Nick Begich, che presenta elementi che suggeriscono che l’idea del picco del petrolio sia artificiale.
Si crea il precedente di un fallout pericoloso sia per le persone di sinistro che di destra, facendo credere che le guerre vengono combattute per sfruttare le ultime riserve di petrolio del pianeta. La “coalizione dei volenterosi“, chiunque essi siano per una qualsiasi guerra, non presterà particolare attenzione a confutare questa affermazione, perché consente loro di avere una ragione per iniziare e continuare le guerre. Anche se molti lo vedranno come immorale, molti lo giustificano inconsciamente come una ragione per la guerra. In realtà la guerra è puramente per il profitto, potere e controllo, il petrolio può essere una parte di ciò, ma solo se si da credito al picco del petrolio.
Se continuiamo a lasciare che l’élite corrotta ci dica che siamo interamente dipendenti dal petrolio, si può raggiungere una situazione contorte, che consente loro di giustificare la fame e la povertà globale di massa, forse anche lo spopolamento, anche all’interno del mondo occidentale, a causa del fatto che le forniture nostre energetiche sono finite. Il picco del petrolio è solo un’altra arma che i globalisti hanno nel loro arsenale, per procedere verso un nuovo ordine mondiale in cui l’elite diventa sempre più ricca e tutti gli altri precipitano.
Alex Jones e Paul Joseph Watson si uniscono a George Noory per 3 ore di discussione, su Coast to Coast AM, sugli elementi di prova schiaccianti sugli scenari del picco del petrolio fabbricati per aumentare il costo dei combustibili fossili. Qui di seguito c’è un archivio per categoria delle informazioni a sostegno di questa conclusione.
Prove della creazione della scarsità artificiale da parte dell’industria del petrolio
Group: Internal memos show oil companies limited refineries to drive up prices
Information from LA Times report on Shell deliberately creating artificial scarcity at Bakersfield California refinery)
Il mistero di Eugene Island 330 e il petrolio abiotico
Wall Street Journal: Odd Reservoir Off Louisiana Prods
The mystery of eugene island 330
Altre informazioni sul petrolio abiotico
Scientific Evidence Debunks Peak Oil Hoax
Russian Scientific Papers on Abiotic Origins of Oil & Related Research
Sustainable Oil? – v. Peak Oil
Colonel Fletcher Prouty said oil as fossil fuel “Right out of the Rockefeller bible.”
Chi promuove il Peak Oil? L’Elite Globale
The ultra-elite Bilderberg Group expressed their desire that peak oil would provide a justification for a UN global tax on the oil pump.
The ultra-elite Bilderberg Group stated in May that oil prices would double.
The world in the palm of their hands: Bilderberg 2005, Part II
How Long Will the Oil Age Last? The Club of Rome, a nonprofit global think tank, said in the 1970s that we’d hit peak oil in 2003. It didn’t happen.
The Club of Rome consulted with Kissinger before he issued his 1974 depopulation manifesto to President Carter. The plan calls for creating artificial food scarcity in order to depopulate the third world.
Commenti sul Mito del Peak Oil
Peak Oil is a Corrupt Globalist Scam
‘Peak Oil’ Scam Unravels, Oil Reserves Increasing
I Profitti delle aziende petrolifere aumentano mentre la teoria del Peak Oil si diffonde
Oil industry rides high energy prices to big profits
UK Oil Companies Show Record Profits
Altre contraddizioni sul Peak Oil
Fears of dwindling oil supply unfounded

Plastic Dining Room: un ristorante costruito su bottiglie riciclate

Scritto da: Nicoletta
Fonte: http://www.soloecologia.it

La zattera-veranda che vedete qui a fianco si chiama Plastic Dining Room. E’ stata aperta a Vancouver, in Canada, presso lo Yacht Club della metropoli per iniziativa della School of Fish Foundation, il cui interessante mission statement è sostenibilità come prerequisito culinario.

L’originale sala da pranzo galleggia su 1675 bottiglie di plastica da due litri, racchiuse in una grande cassa di legno suddivisa in settori interni: alcune finestrelle di plexiglas aperte sul pavimento permettono di vedere le bottiglie sottostanti. La struttura portante delle pareti vetrate è invece costituita da scarti di legno di pino, mentre l’interno è arredato con materiale riciclato rigenerato. Ovviamente, il fabbisogno energetico della sala – ossia l’energia elettrica per illuminazione, cucina e riscaldamento – è fornito dall’utilizzo di tecnologie pulite.

Al tavolo possono sedere soltanto 12 persone, ma il valore di questo mini-ristorante è emblematico. Se imitato su larga scala, raggiungerebbe tre obiettivi in un colpo solo:

* invitare a utilizzare i rifiuti per la costruzione di edifici,

* sensibilizzare le persone sul problema dei rifiuti plastici gettati nel mare (facciamo riferimento alla spaventosa garbage patch che galleggia sull’Oceano Pacifico),

* promuovere l’utilizzo di tecnologie pulite.

Per i curiosi: il menu a sei portate che si può gustare nel curioso ristorante è a base di pesce pescato nella zona con attenzione e rispetto per l’ecosistema oceanico della zona di Vancouver. Un tipo di pesce pieno di gusto e qualità nutritive, normalmente snobbato dalla haute cuisine, ma solo perché la gastronomia segue delle mode spesso dissennate.

Haiti, il ritorno del dottore

Scritto da: Alessandro Grandi
Fonte: http://it.peacereporter.net

Torna Baby Doc Duvalier, spietato dittatore esiliato in Francia nel 1986

Baby Doc Duvalier è tornato ad Haiti. Dopo 25 di esilio in Francia, dove mai ha ottenuto ufficialmente asilo politico, è atterrato nella serata di ieri a Port au Prince, capitale del Paese. Ad attenderlo moltissimi fans che lo hanno acclamato come se fosse un liberatore. In Francia sembra abbia vissuto con la famiglia in un modesto appartamento della periferia parigina. Baby Doc Duvalier era fuggito da Haiti nel 1986 dopo una rivolta popolare scoppiata in seguito ad una forte crisi sociale che aveva scoperchiato il malcostume della politica locale e una fortissima corruzione da parte della classe dirigente.
Figlio di Papa Doc Duvalier, dittatore sanguinario che governò sull’isola con il pungo di ferro gestendo i Tonton Macoutes, una milizia privata e violentissima, che aveva lo scopo di eliminare gli avversari politici e seminare terrore nel Paese, Baby Doc è anche accusato di aver sottratto alcuni milioni di dollari dalle casse statali. Inoltre, nel 2007 si rese protagonista di un messaggio video diretto alla popolazione nel quale chiedeva scusa per le violenze, gli omicidi e gli abusi alla popolazione.

Certo è che la notizia del suo rientro a Haiti fa molto riflettere. Perché sarebbe tornato? Secondo le prime informazioni che sono giunte dall’isola sembra che Baby Doc avesse intenzione di regalare al Paese cinque milioni di dollari Usa per contribuire alla ricostruzione del Paese. Una cifra molto alta che potrebbe anche essere nelle sue disponibilità.
Nel frattempo, la popolazione attende. La Minustah, la missione di pace Onu presente nell’isola dal 2004 e gli organismi internazionali, non hanno commentato la vicenda.
La famiglia Duvalier è stata protagonista delle peggiori pagine della storia del Paese caraibico. Secondo alcuni dati, decisamente in difetto, durante la dittatura di Papa Doc e quella seguente di Baby Doc, in Haiti morirono in modo violento più di 60mila persone. Oltre 120mila furono quelle che riuscirono a fuggire e a mettersi in salvo.
Oggi, questo ritorno in patria risulta di difficile comprensione. Di sicuro il Paese non ha bisogno di un nuovo dittatore.