Hi-Cycle: la bicicletta con idrogeno come combustibile

Scritto da: Nicoletta
Fonte: http://www.soloecologia.it

 

Hy_cycle_bicicletta-a-idrogenoHi-Cycle è il nome di un interessante progetto messo a punto nella New South Wales University e precisamente dalla facoltà di ingegneria di Strathfield. Si tratta di una bicicletta con un serbatoio a idrogeno da 100 litri del peso di 50 grammi, con i quali può percorrere ben 125 chilometri a una velocità massima di 35 km/orari e potrebbe risultare utilissima per aiutare il ciclista nei tratti di strada in salita o più difficili da percorrere. L’idrogeno si mescola con l’ossigeno dell’atmosfera producendo l’energia necessaria per mettere in funzione il motore. L’unico prodotto di scarto è acqua, che cade sul suolo senza inquinare.

Il serbatoio della Hi-Cycle si ricarica in appena 30 secondi, ma la due-ruote è anche munita di batterie al litio tradizionali che si ricaricano in 6 ore, nel caso in cui non sia facile trovare il combustibile. Infatti, siamo ancora lontani dalla produzione “domestica” di idrogeno, che richiede comunque l’utilizzo di elettricità per estrarre l’idrogeno dall’acqua.

Il progetto dimostra comunque il grande potenziale dell’idrogeno nel creare energia pulita e sicura, nonché il fatto che non si tratta di una tecnologia che appartiene a un futuro lontano, ma già a portata di mano. Per l’invenzione è stata di fondamentale importanza la scoperta di un modo per stoccare l’idrogeno in maniera così compatta e leggera.

India: l’avanzata dell’Isis è un grosso problema

Scritto da: Daniele Pagani
Fonte: http://www.aldogiannuli.it/2014/09/isis-problema-india

Baiji oil refineryDa New Delhi torna a scriverci Daniele Pagani, con un pezzo che vi consiglio vivamente di leggere sui problemi che anche in India rischia di provocare l’avanzata dell’Isis in Iraq e si ricollega con quanto scritto da me ieri. Buona lettura!

Al netto della situazione attuale, è strano pensare come alcuni mesi fa l’Iraq non occupasse nessuna posizione nell’agenda politica di Narendra Modi. I progetti dell’allora aspirante Primo Ministro non prevedevano alcun cambio di programma nelle relazioni con lo stato mediorientale: ogni anno numerosi indiani si sarebbero diretti in Iraq in cerca di lavoro e l’India avrebbe continuato a rifornirsi di petrolio nelle raffinerie del paese. Nessuno si sarebbe aspettato un cambiamento di scenario tanto profondo da mettere a rischio alcuni aspetti della sicurezza nazionale. La rapida avanzata del gruppo terrorista sunnita Islamic State of Iraq  and Syria (ISIS o ISIL o IS, secondo le interpretazioni) rappresenta per la coalizione guidata dal Bharatiya Janata Party (Bjp) un problema complesso che si articola su diversi livelli.

La questione più impellente riguarda quaranta muratori indiani presi in ostaggio dai miliziani del Califfato nel mese di giugno: attualmente le trattative sono ad un punto morto e un team di esperti legati al Ministero degli Esteri è al lavoro per la ricerca di una possibile soluzione. Gli ostaggi, però, non sono gli unici cittadini indiani in terra iraqena e il governo ha espresso preoccupazione per gli oltre 20 mila che vivono e lavorano in Iraq.

Sushma Swaraj, Ministro degli Esteri indiano, ha reso noto che il governo si farà carico di coprire le spese di viaggio di tutti coloro che decideranno di rientrare. Chi rifiuterà l’offerta sarà tenuto a firmare una dichiarazione scritta. La preoccupazione traspare da un recente appello della Ministro rivolto ai concittadini residenti nella capitale in cui chiede: “a tutti coloro che risiedono a Baghdad di ritornare. Analogamente alla Libia, la situazione ci concede, per ora, di poter soccorrere le persone”.

L’avanzata dell’ISIS rappresenta per l’India anche e soprattutto un problema energetico. Dall’inizio delle ostilità si è verificato un costante aumento dei prezzi all’acquisto del petrolio grezzo. L’India è il quarto maggiore importatore al mondo: consuma ogni giorno circa 40 milioni di barili di greggio, il 78% dei quali di importazione. Quantità di questa portata fanno sì che anche il minimo rialzo dei prezzi risulti essere disastroso. Secondo i calcoli del Ministro delle Finanze Aarun Jatley, l’aumento di un solo dollaro per barile porterebbe l’India a spendere circa 44 miliardi di euro in più ogni anno. Un colpo difficilmente riassorbibile dalle casse nazionali. L’incremento dei prezzi all’acquisto si scaricherebbe poi certamente sul prezzo di vendita al dettaglio, finendo per pesare sulle già scarse finanze dei consumatori indiani.

Una ulteriore espansione delle milizie dell’ISIS, inoltre, potrebbe mettere a rischio la certezza dell’approvvigionamento. L’Iraq è il secondo fornitore di petrolio della Repubblica Indiana e garantisce l’afflusso di venti milioni di tonnellate di greggio ogni anno. Dharmendra Pradhan, Ministro per il Petrolio ed il Gas Naturale, ha fatto sapere che attualmente il rischio di vedere interrotti i rifornimenti è molto basso. Il principale luogo di provenienza del petrolio diretto in India è infatti l’oleodotto di Basra, nell’estremo sud del Paese, una località molto distante dalle zone settentrionali in cui si localizza il conflitto.

In via precauzionale, il Ministro ha però richiesto alle compagnie petrolifere nazionali di preparare un piano di diversificazione degli acquisti, così da evitare eventuali problemi futuri. I paesi fornitori appetibili non sono molti e, considerati i costi insostenibili del trasporto di petrolio dal Sud America, esiste la possibilità concreta che l’India consideri l’opzione iraniana. Viste le sanzioni ONU che proibiscono l’incremento di importazioni dall’Iran, però, questa decisione non è affatto automatica. Secondo il quotidiano Business Today, il governo indiano avrebbe avviato le procedure per saldare il 30% dei debiti pendenti verso gli oleodotti iraniani – circa 3,2 miliardi di Euro – così da sbloccare i rapporti commerciali, congelati dal 2009.

La fama e le vittorie militari dell’ISIS comportano anche potenziali problematiche di sicurezza nazionale. L’India, tra i suoi 170 milioni di cittadini musulmani, ospita la seconda comunità sciita al mondo dopo l’Iran – circa 50 milioni di individui. Le violenze e l’aperta ostilità dei terroristi sunniti dell’ISIS verso il mondo islamico sciita rischiano di compromettere la tradizionale convivenza pacifica delle due correnti nel Subcontinente. Recentemente Maulana Syed Kalbe Jawad Naqvi, alto rappresentante del clero sciita indiano e presidente della sezione dell’organizzazione religiosa Anjuman-e-Haideri, ha lanciato una campagna nazionale per il reclutamento di volontari pronti a partire per l’Iraq a difendere luoghi sacri agli sciiti. L’organizzazione ha specificato la non bellicosità dell’iniziativa, volta a raccogliere volontari che provvedano principalmente a garantire primo soccorso ai feriti e l’arrivo di aiuti umanitari. “In caso di attacco diretto a luoghi ritenuti sacri”, specifica la dirigenza dell’organizzazione, “provvederemo a formare uno scudo umano per proteggerli. La nostra intenzione non è proteggere l’Iraq. Siamo solo preoccupati per i nostri santuari.”

Di contro, Maulana Salman Al-Husaini Nadwi, preside sunnita del dipartimento di Sharia – la legge morale e religiosa islamica – nella prestigiosa scuola coranica indiana Darul Uloom Nadwatul Ulama, ha deciso di inviare una lettera di benvenuto e benedizione diretta a Abu Bakr Al-Baghdadi, l’autoproclamatosi califfo dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. Il rinnovato attivismo delle due correnti sembra concretizzare un possibile scontro – ideologico e non – fino ad ora accuratamente evitato da tutti i governi indiani. L’ISIS, inoltre, ha individuato l’India come un paese in cui i musulmani vivono in stato di subordinazione, invitando I musulmani indiani ad unirsi a loro, attraverso un un filmato propagandistico sottotitolato in Urdu e Hindi.

Le preoccupazioni del governo Modi si rivolgono anche oltre frontiera, soprattutto al vicino Pakistan, dove sono attive numerose organizzazioni terroristiche disposte a rispondere all’appello dell’ISIS e ad inviare volontari. I servizi segreti indiani hanno recentemente informato il Dipartimento di Stato americano in merito ad un afflusso di uomini ed armamenti diretti in Iraq e provenienti dal confinante stato islamico.

Le recenti dichiarazioni di intenti di Al-Quaeda, secondo cui ci sarebbero cellule pronte ad agire in India, rendono lo scenario ancora più complicato e preoccupante. Alla luce di queste considerazioni, risulta comprensibile la preoccupazione del governo indiano per le prossime elezioni regionali in Kashmir – previste entro la fine dell’anno. Le organizzazioni jihadiste attive in Pakistan, siano esse  affiliate ad al-Quaeda o all’ISIS, potrebbero decidere di delocalizzare il conflitto nella zona del Kashmir occupata dal Pakistan. Le preoccupazioni si sono rese concrete dopo il ritrovamento da parte dell’esercito indiano di un tunnel sotterraneo in via di costruzione, lungo circa 150 metri e atto a scavalcare la Linea di Controllo, la frontiera che separa le porzione del Kashmir pakistano dal territorio indiano.

Nonostante la lontananza territoriale e l’assenza nell’agenda politica della campagna elettorale, la situazione iraquena rischia di essere il problema più serio e complesso che l’India si trova ad affrontare negli ultimi anni. Un pro

Re Riccardo III verrà sepolto nel marzo 2015

Fonte: http://ilfattostorico.com/

Dopo anni di accese polemiche su quale fosse il giusto luogo di riposo finale per re Riccardo III, le autorità hanno finalmente svelato i dettagli del reinterramento dei resti del sovrano inglese del XV secolo.

I suoi resti verranno portati il prossimo 26 marzo del 2015 nella cattedrale di Leicester durante una delle tre funzioni religiose per onorare il re inglese.

Ritratto di Riccardo III (wikimedia)

 

I resti del re, scoperti sotto un parcheggio di Leicester nel 2012, verranno posti in una tomba di pietra (Swaledale fossil) creata da Michael Ibsen, un discendente della sorella di re Riccardo III, Anna di York. Il design era stato svelato il 16 giugno.

Lo scorso 23 marzo un controllo giurisdizionale aveva concluso che l’Università di Leicester aveva il diritto legale di reinterrare i resti di Riccardo III, dopo una controversia iniziata da alcuni “appassionati” di Riccardo, inclusa la Plantagenet Alliance, che chiedevano la risepoltura del re a York, dove aveva speso buona parte della sua vita.

Re Riccardo regnò sull’Inghilterra dal 1483 al 1485, quando morì nella Battaglia di Bosworth Field, la battaglia finale della guerra delle rose, la guerra civile tra i casati di York e Lancaster. Il corpo del re venne sepolto in una fossa scavata affrettatamente tre giorni dopo, dicono le fonti storiche e la ricerca pubblicata lo scorso maggio sulla rivista Antiquity. Una volta scoperti i resti, furono studiati attentamente sia le caratteristiche fisiche sia il suo DNA. Dopo la conferma dell’identità delle ossa, i ricercatori e altre personalità coinvolte cominciarono a discutere sulla risepoltura.

I resti appena scoperti di Riccardo III (Università di Leicester)

“La nostra cattedrale è sempre stata impegnata a fornire una cerimonia adeguata, degna e memorabile per il reinterramento di re Riccardo”, spiega il Molto Reverendo Tim Stevens, vescovo di Leicester. “Ora conosciamo nei dettagli lo svolgimento, la nostra città e la nostra contea attendono tutti gli eventi della prossima primavera”.

La risepoltura includerà molta fanfara. Il 22 marzo 2015, l’Università metterà i resti del re in una bara rivestita in piombo, e verrà trasferita da Leicester a Bosworth, dato che i villaggi collegati in qualche modo agli ultimi giorni di Riccardo III, prima della sua morte nel 1485, verranno onorati. La bara tornerà a Leicester quella sera, arrivando alla cattedrale durante una funzione religiosa.

I resti di re Riccardo III riposeranno esposti per tre giorni, durante i quali il pubblico potrà rendere omaggio. La prima funzione religiosa, il 26 marzo, sarà seguita da eventi simili il 27 e il 28 marzo. Questa settimana, l’appaltatore Fairhurst Ward Abbotts ha già cominciato a fare spazio per la tomba del re.

Secondo il design rilasciato a giugno, i resti del re giaceranno dentro un ossario di piombo posto all’interno di una bara di quercia inglese – il tutto verrà messo dentro una volta in mattoni nel pavimento della cattedrale e rinchiuso in una tomba di pietra. La tomba risiederà su una lastra di marmo scuro di Kilkenny con inciso il nome del re, date, motto e stemma. La tomba e il reinterramento costeranno circa 3,2 milioni di euro, secondo il Reverendissimo David Monteith della cattedrale di Leicester.

Il Reverendissimo David Monteith con Sua Altezza Reale il Duca di Gloucester guardano il modellino della tomba nella cattedrale (Cattedrale di Leicester)

La tomba di Riccardo III (Video Screengrab, Diocese of Leicester)

LiveScience

Università di Leicester

Torna la zecca che rende allergici alla carne: aumentano i casi negli Stati Uniti

Scritto da: Francesca Biagioli
Fonte: http://www.greenme.it

zecca_allergia_carneRicordate la zecca che “fa diventare vegetariani? Ebbene torna a far parlare di sé visto che negli Stati Uniti sono aumentati i casi di pazienti punti da questo insetto e di conseguenza diventati allergici alla carne rossa.

I medici in tutta la nazione stanno vedendo un aumento di improvvisi attacchi allergici, anche gravi, in seguito al consumo di bistecche, hamburger e altri piatti a base di carne in soggetti che prima erano assolutamente esenti da questa problematica. La colpa sarebbe della zecca già diventata famosa un paio di anni fa per la particolarità appunto di scatenare questa insolita allergia.

Si tratta della zecca Lone Star diffusa in particolare nelle zone sud-orientali degli Stati Uniti, anche se gli esperti ritengono che anche altri tipi di zecche potrebbero causare allergie alla carne, dato che alcuni casi sono stati segnalati anche in Australia, Francia, Germania, Svezia, Spagna, Giappone e Corea.

Non è facile tra l’altro capire subito qual è il problema da affrontare nel caso arrivi un paziente punto da questa zecca: la maggior parte delle persone infatti non sono consapevoli dei rischi di queste punture e lo stesso personale sanitario fa difficoltà a riconoscere il problema, come spiegano gli allergologi: “Perché qualcuno dovrebbe pensare che sono allergici alla carne quando l’hanno mangiata per tutta la vita?

I sintomi tra l’altro, diversamente da quanto avviene per altre allergie, possono verificarsi fino ad otto ore dopo aver mangiato carne e il colpevole è uno zucchero iniettato dalle zecche (che scatena nel corpo umano una reazione immunitaria) mentre la maggior parte delle allergie alimentari sono causate da proteine.

Non si sa ancora neppure se l’allergia sia permante o meno, alcuni pazienti hanno mostrato una diminuzione degli anticorpi specifici nel corso del tempo anche se molti di loro, dopo la brutta esperienza vissuta, rimangono parecchio riluttanti a tornare a mangiare carne.

Ebola su Lancet: l’epidemia non si è voluta evitare

Scritto da: Giovanni Fez
Fonte: http://www.ilcambiamento.it

ospedale_liberia_ebolaL’emergenza Ebola in Africa si sarebbe potuta evitare se i governi e le istituzioni sanitarie avessero agito seguendo le raccomandazioni che l’Organizzazione Mondiale della Sanità aveva fornito anni addietro. Risposte frammentarie e in ritardo, sistemi sanitari allo sfascio, mancanza di mezzi hanno trasformato qualcosa di contenibile e gestibile in un problema di salute pubblica. E’ questa la sentenza, senza appello, del professor Lawrence Gostin, dello O’Neill Institute for National and Global Health Law di Georgetown, Washington.

Per chi avesse avuto qualche residuale dubbio, anche dopo la lettura dei precedenti articoli che abbiamo dedicato all’argomento (“Ebola, il nuovo incubo (l’ennesimo” e “Non preoccupatevi di Ebola (e iniziate a preoccuparvi di cosa significa)“, arriva un’altra presa di posizione, stavolta pubblicata sulla rivista scientifica The Lancet. Lawrence Gostin, dello O’Neill Institute for National and Global Health Law di Georgetown (Washington), interviene affermando che “la risposta internazionale nell’Africa occidentale all’attuale epidemia di Ebola è stata frammentaria ed è giunta in ritardo”. E aggiunge: “Gli ospedali dei paesi colpiti sono diventati luogo di amplificazione della trasmissione della malattia poiché sono privi di sistemi di controllo rigorosi e non hanno modo di isolare i malati in maniera sterile e sicura. Di conseguenza, i pazienti terrorizzati hanno evitato gli ospedali diffondendo l’infezione nella comunità, costituita da miriadi di individui già provati da innumerevoli altre patologie, dalla malaria alle malattie croniche”.

“Anche gli operatori sanitari in quei paesi avevano e hanno paura e spesso si rifiutavano e si rifiutano di visitare i malati e di raccogliere campioni di sangue e urine. Le infrastrutture sanitarie necessarie a prevenire la malattia e a contenerla nello stadio iniziale restano fuori dalla portata dei più poveri. Gli Stati colpiti non hanno strutture adeguate, né laboratori, né sistemi di sanità pubblica e personale clinico preparato; non hanno strumentazioni per tenere sotto controllo le infezioni né protocolli da seguire; non formano gli operatori, non hanno attrezzatura ad alta biosicurezza né unità di isolamento, né tanto meno sistemi di comunicazione che possano diffondere le informazioni tra la gente. Tali paesi spesso organizzano cordoni militari per separare ampi segmenti di popolazione impedendo però in questo modo l’accesso al cibo, all’acqua pulita e alle cure. Tutto ciò vìola le norme internazionali di salute del 2005 che prescrivono alle nazioni di dotarsi di sistemi capaci di individuare le emergenze sanitarie e rispondere ad esse”.

Poi un passaggio altrettanto importante dell’intervento di Gostin: “La risposta non sta in farmaci non testati, quarantene di massa o aiuti umanitari”. La risposta sta nel dotare di strutture e sistemi adeguati i paesi più fragili, eliminando le carenze strutturali. Sei mesi dopo la diffusione del virus i piani di rafforzamento strutturale dei paesi africani sono stati ulteriormente posticipati, mentre 490 milioni di dollari sono stati destinati ad affrontare l’emergenza epidemica, ma così facendo, continuando a non dotare chi ne ha bisogno di ciò che sarebbe utile per fermare il virus, ci saranno persone che continueranno ad ammalarsi e altri soldi, in un circolo vizioso senza fine, saranno spesi per rincorrere l’emergenza.

 

 

 

L’ottimismo economico attorno ai BRICS è contagioso

Fonte:http://www.movisol.org/14news174.htm

9 settembre 2014 (MoviSol) – Mentre i media e il dibattito politico in Europa e negli Stati Uniti si distingue sempre meno da una propaganda di guerra contro la Russia, gli sviluppi decisivi avvengono altrove, come ha rimarcato Lyndon LaRouche nella trasmissione settimanale di LPAC del 29 agosto. Stiamo assistendo ad una rivoluzione centrata sui BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa), che si apprestano a sviluppare in profondità le proprie economie e le proprie popolazioni sulla base del futuro.

Ciò significa la fine del paradigma fallito dell’attuale sistema transatlantico, basato sul saccheggio della ricchezza esistente e sulla creazione di caos e conflitti in tutto il mondo nel tentativo di salvare un sistema morente.

Un’indicazione della nuova costellazione emergente è la visita a sorpresa di sei giorni a Mosca compiuta la scorsa settimana dal Presidente sudafricano Zuma, che ha incontrato il Presidente Putin e discusso con lui il miglioramento dei rapporti bilaterali, compresa l’assistenza nello sviluppo del nucleare civile.

Anche l’Egitto, il cui Presidente al-Sisi ha ottimistici piani di sviluppo infrastrutturale, sviluppa le sue relazioni. Il Cairo ha recentemente mediato il cessate il fuoco tra Israele e i palestinesi. La Presidentessa brasiliana Rousseff, anch’essa sotto attacco dell’oligarchia finanziaria, ha invitato al-Sisi a visitare il Brasile.

Tutta l’America Latina beneficierà della dinamica dei BRICS, ha sottolineato il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov in una recente intervista a Russia Today. Per Lavrov, l’America Latina sarà “uno dei pilastri del Nuovo Ordine Economico Mondiale”.

L’ambasciatore cinese in Messico Qiu Xiaoqi ha delineato una simile prospettiva in un’intervista a El Financiero, in cui ha dichiarato che la creazione della nuova banca e del Fondo di Contingenza dei BRICS “segna una pietra miliare nella cooperazione tra i paesi in via di sviluppo”. Infatti, questi “oggi stanno per decollare verso maggiore sviluppo e conquiste, ma soffrono di carenza di infrastrutture, finanziamento e risorse economiche”.

Questa prospettiva è “brillante”, ha detto LaRouche. Sta nascendo una nuova dinamica di sviluppo, che l’Europa e il resto del mondo farebbero bene a sposare senza indugi.

Riciclo della plastica: i margini di crescita in Italia sono enormi

Scritto da: Nicoletta
Fonte:http://www.soloecologia.it

Riciclo della plasticaAnche se la disoccupazione dilaga in tutta Europa, secondo alcune stime, con un potenziamento della green economy si potrebbero creare nel Vecchio Continente oltre 20.000 posti di lavoro. Il rilancio dei green jobs deve essere concepito anche in sostituzione di attività tradizionali destinate a un inesorabile calo. In particolare per l’Italia, quello della plastica può essere uno dei comparti che si riveleranno strategici per sostenere la nostra economia. Siamo stati un paese pioniere in questo settore, fin dai tempi in cui Giulia Natta si aggiudicò il premio Nobel per la chimica grazie all’invenzione del polipropilene elastico (più noto con il nome di Moplen) facendo conquistare alla Montecatini un posto di primo piano a livello mondiale. Sono attualmente 11.000 le imprese attive nella produzione e nella lavorazione della plastica, con un fatturato di 43 miliardi di euro e 160.000 addetti. Ed è sempre più spiccato il passaggio dall’usa-e-getta all’usa-e-recupera; non è stato immediato, ma si è finalmente compreso il fatto che i rifiuti plastici sono una preziosa e non sfruttarli significherebbe non aver colto una importante opportunità. In Europa sono quasi 56.000 le aziende impegnate nella trasformazione dei rifiuti plastici e nel riciclo, per un fatturato che supera i 302 miliardi di euro, dei quali 43 miliardi spettano all’Italia. Le prospettive per l’occupazione sono buone: si stima che da oggi al 2030 il settore potrebbe creare 400.000 nuovi posti di lavoro in Europa, mentre in Italia si potrebbe assistere a un aumento dagli 11.000 attuali a 38.000 addetti.

Che vergogna essere italiani!

Scritto da: Angelo Paratico
Fonte: http://beyondthirtynine.com/che-vergogna-essere-italiani/

Le scuderie di Augusto verranno ricoperte.

Voglio scrivere questo articolo in italiano, non in inglese, perché i panni sporchi li dobbiamo lavare in casa.

Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto spirò duemila anni fa – il 19 agosto del 14 dopo Cristo – a Nola, in Campania, nelle braccia di sua moglie, Livia Drusilla e del suo figlio adottivo ed erede, Tiberio. Aveva 75 anni. Augusto volle morire nella stessa camera dove era morto suo padre, Gaio Ottaviano, quando lui era un bambino di 4 anni. Evidentemente il suo genitore non lo aveva più scordato. A partire dalla sua vittoria contro Antonio e Cleopatra ad Anzio del 31 a.C. non aveva più fronteggiato seri contendenti al potere supremo. Era stato molto prudente, attento, fortunato e il potere lo aveva mantenuto con discrezione, non con la sprezzante ostentazione tipiche del suo padre adottivo e prozio, Giulio Cesare.

I 2000 anni della sua scomparsa verranno celebrati in tutto il mondo, anche in Italia. Ma l’Italia perderà una grossa occasione per accendere i riflettori sui propri favolosi tesori culturali che tutti ci invidiano. L’attenzione verrà piuttosto focalizzata sulle nostre pecche, sulla nostra disorganizzazione e sulla nostra litigiosità. Mentre il sindaco Marino polemizza con il Foreign Office britannico perché questo ha messo in guardia i turisti in vista alla Città Eterna di fare attenzione al portafogli – quasi che questi avvertimenti siano dovuti a sentimenti anti-italiani invece che a segnalazioni di scippi e di borseggi – assisteremo allo spettacolo indegno di chiusure, di mancanze e di ritardi.

Solo l’Ara Pacis – rimessa insieme 75 anni fa per celebrare la nascita di Augusto – sarà visitabile. Anche una parte della Domus Augustea sul Palatino sarà accessibile ai visitatori – una delle sue sale ha degli splendidi affreschi originali – questa fu la modesta abitazione che Augusto acquistò dagli eredi di Quinto Ortensio e nella quale poi abitò.

Bene fin qui. Ma passiamo ora ai punti dolenti. Il Mausoleo d’Augusto – la sua tomba – resterà chiusa perché  non si è riusciti a racimolare i 4 milioni di euro necessari per restaurarla in tempo. 4 miseri milioni di euro! Sarebbe bastato organizzare un accorto sistema di emissioni dei biglietti d’entrata e si sarebbero potuto agevolmente raccogliere i fondi necessari, bastava andare da una banca forniti dei necessari nulla-osta e questa avrebbe visto l’affare e tirato fuori i soldi necessari. Sarebbe bastato un po’ d’impegno e di fantasia, tagliando le pastoie burocratiche. Questo imponente mausoleo, ormai un rudere, si trova in Piazza Augusto Imperatore, nel mezzo di quello che fu il Campo Marzio. Ha le dimoensioni di un campo di calcio, e proprio lì furono deposte le ceneri di molti dei parenti di Augusto, sia di quelli che lo precedettero che di quelli che lo seguirono: Marcello, Marco Agrippa, Druso, Ottavia Minore, Gaio e Lucio, Poppea, moglie di Nerone e tanti altri. Era sormontato da una statua bronzea di Augusto che venne fusa nel medievo e, all’entrata, stavano due obelischi egizi. Oggi uno si trova in Piazza dell’Esquilino e uno di fronte alla Basilica di Santa Maria Maggiore. La sua struttura fu diroccata al tempo della invasione dei Visigoti e poi usata come fortezza dei Colonna. Un parziale recupero fu tentato nel 1930 – vi si tenevano dei concerti – ma oggi è ridotto a una latrina a cielo aperto, usata da barboni e da immigrati clandestini.

Altra notizia triste di questi giorni: le scuderie fatte costruite da Augusto per alloggiare i cavalli che garaggiavano al Circo Massimo – scoperte sotto a Via Giulia nel 2009 – e descritte dalla stampa come una scoperta straordinaria – verranno nuovamente sepolte poiché mancano, anche in questo caso, i soldi necessari per restaurarle. Si era pensato all’inizio di sistemarle giusto per il 19 agosto 2014, ma avendo miseramente fallito, l’unica alternativa è di ricoprirle di tessuti impermeabili e poi ri-seppellirle, sperando che in futuro, disponendo di fondi, si decida di riscavarle. Lo stesso triste fato attende la tomba di Marco Nonio Macrino, un generale di Marco Aurelio nativo di Brescia, scoperta pochi anni fa a Saxa Rubra. E’ una tomba di grande ricchezza che viene da molti considerata come la sepoltura del vero Gladiatore, interpretato da Russell Crowe nell’omonimo film. Anche questa sta per essere ricoperta di terra, nonostante la grande disperazione degli archeologi che ci lavorano, solo perché mancano i 2 milioni di euro necessari per la sua sistemazione.
In quanti avrebbero pagato per visitare la tomba del Gladiatore? Io credo centinaia di migliaia di turisti da tutto il mondo, e a 20 euro a testa ne bastavano 100.000!

Mi chiedo cosa il Ministro per i Beni Culturali e il Turismo, Dario Franceschini, abbia da dire in proposito. Franceschini fa parte di un partito che chiese le dimissioni di un suo predecessore per via del crollo d’un muro a Pompei e, nonostante il fatto che siede da poco su quella poltrona, non puo’ chiamarsene fuori. Avrebbe dovuto muoversi prima, urlare, lamentarsi, intenarsi ai ruderi o meglio ancora avrebbe dovuto studiare delle alternative per trovare i fondi. Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha la sue responsabilità ma la gran parte della colpe ricadono proprio sul Ministro Franceschini e sui suoi immediati predecessori, Massimo Bray e Lorenzo Omaghi, e stendiamo un velo pietoso su Giancarlo Galan e Sandro Bondi, pure loro incompenti e disinteressati al proprio lavoro. La scusa della mancanza di fondi è, appunto, solo una scusa. Bastava muoversi per tempo, bastava prepararsi. Che vergogna, e che fatica essere italiani.