Il mondo ha realizzato che esiste l’emergenza rifugiati

Fonte: http://www.ilcambiamento.it/editoriale/emergenza_rifugiati.html

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Ci voleva quello che è arrivato. Quello che ci è piovuto davanti agli occhi sugli schermi delle televisioni, che si risvegliano solo quando i fiumi di disperati varcano i confini del mondo occidentale per “invaderlo”. Perché solo quando questo accade si attivano i nostri neuroni e le nostre emozioni, brutte o belle che siano.

Ci sono più rifugiati ora di qualsiasi altro momento storico dopo la fine della seconda guerra mondiale, il numero è cresciuto tre volte dal 2001. Eppure il problema viene trattato come se fosse qualcosa che accade oggi, che è iniziato ieri, mentre invece questo fenomeno sta andando avanti da lungo tempo, da quando (pensateci) la guerra continua e disseminata è divenuta la strategia, la leva per smuovere e ricostruire equilibri ed interessi. Ciò che vediamo oggi sugli schermi delle nostre televisioni è morte, disperazione e miserie cresciute costantemente negli ultimi decenni: decine di milioni di persone che abbandonano e hanno abbandonato la loro casa e il loro paese alla ricerca di un futuro incerto, nebuloso ma sempre comunque meglio della morte e del nulla in cui intere popolazioni vivono da almeno vent’anni. Pensiamo forse che il problema dei rifugiati inizi e finisca dove inizia e finisce la fila delle persone che attraversano le frontiere? Quelle file chilometriche sono solo un sintomo di una molto più ampia e profonda, brutale realtà. Una realtà che, purtroppo, l’aiuto umanitario non basterà a cambiare.

Chi lascia oggi il proprio paese deve affrontare molti più pericoli di quanti gliene si potevano parare davanti vent’anni fa, eppure i flussi divengono sempre più imponenti.

Ma perchè milioni di persone lasciano i loro paesi? Nella maggior parte dei casi, nei luoghi da cui questa gente proviene impera la distruzione portata dalle guerre e nella maggior parte di queste guerre l’Occidente ha un ruolo di primo piano, diretto o indiretto. Eppure la stragrande maggioranze degli occidentali si ostina a non vedere. Ci sono interi paesi e intere popolazioni sotto le bombe, dove si vive con il coprifuoco, con i cecchini, senza acqua e corrente elettrica, senza cibo e con negli occhi solo violenza, che non risparmia nemmeno i bambini perchè non c’è scrupolo alcuno in ciò che accade. Ed ecco allora che fiumane di persone arrivano dall’Africa sub sahariana come Somalia, Sud Sudan, Nigeria, Repubblica Centrafricana e Congo, e poi ancora dal Medio Oriente come Siria, Libia e Iraq. Quando si leggono numeri con sei zeri la fatica maggiore che si fa è riconoscere in essi degli esseri umani, degli individui con speranze, emozioni, affetti, paure, sogni. Si rischia di essere travolti dalla potenza dei numeri e vedere solo quelli. E’ quello che succede a molti. «A me viene facile pensare che i fomentatori delle guerre, realizzando i loro piani imperialisti e di destabilizzazione mondiale, sappiano bene cosa stanno facendo e le conseguenze» ha detto il corrispondente dall’Europa del The Greanville Post, Gaither Stewart. «In gran parte l’Europa è già in uno stato di vassallaggio nei confronti della potenza capitalistico-imperialista che è l’America» ha aggiunto. «E con queste ondate migratorie lo potrà diventare ancora di più e più facilmente», più schiacciata, più impressionabile, più confusa, più controllabile.

Si è di fronte ad un esodo di massa di proporzioni epocali e non sono pochi i cittadini europei che si rendono conto delle implicazioni di quanto accade e molti fanno tanto anche individualmente per dare una mano. Ma l’Europa è piccola e affollata e la maniera in cui gestirà questa disperazione e questa miseria sarà la misura della sua moralità e della sua ipocrisia. Le cause di quanto sta accadendo sono da ricercare nelle guerre continuamente alimentate dalle potenze imperialiste occidentali e poco risolverà andare a bombardare l’Isis a casa sua, creatura creata grazie proprio al denaro americano. Allora, se si affronta “l’emergenza profughi”, è bene prendere atto di ciò che ci sta dietro e agire di conseguenza con scelte di coerenza che condannino i veri responsabili e tolgano il fiato a chi soffia sulle braci.

Giuseppe Moscati Medico Santo

Fonte: http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=1540&biografia=Giuseppe+Moscati

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Giuseppe Moscati nasce a Benevento il 25 luglio 1880. Medico, ricercatore e docente universitario, è morto a soli 46 anni (il 12 aprile 1927 a Napoli) è stato proclamato santo da Papa Giovanni Paolo II nel 1987.

Settimo di nove figli nasce in una famiglia dove il padre Francesco è magistrato e la madre Rosa De Luca è nobildonna, prveniente dalla famiglia dei Marchesi di Roseto.

Nel 1884 il padre diventa Consigliere delle Corte d’Appello e trasferisce la famiglia a Napoli.

Dopo che il fratello Alberto si infortuna seriamente per una caduta da cavallo durante il servizio militare, è Giuseppe ad assisterlo. Da questa esperienza famigliare iniziano a maturare i suoi interessi per la medicina. Finito infatti il liceo, si iscrisse alla Facoltà di Medicina nel 1897. A causa di una emorragia cerebrale nello stesso anno il padre muore.

Giuseppe Moscati si laurea a pieni voti con una tesi sull’urogenesi epatica, il 4 agosto 1903. Dopo poco tenta il concorso per assistente ordinario e per coadiutore straordinario agli Ospedali Riuniti degli Incurabili: supera entrambe le prove. Rimarrà nel nosocomio per cinque anni. Una sua tipica giornata in questo periodo consisteva nell’alzarsi presto tutte le mattine per recarsi a visitare gratuitamente gli indigenti dei quartieri spagnoli di Napoli, prima di prendere servizio in ospedale per il lavoro quotidiano; la sua intensa giornata proseguiva poi nel pomeriggio visitando i malati nel suo studio privato in via Cisterna dell’Olio al numero 10.

La grande dedizione per gli ammalati non sottrae comunque il tempo di Giuseppe per lo studio e la ricerca medica che persegue attuando un concreto equilibrio fra la scienza e la fede cattolica.

E’ il mese di aprile del 1906 quando il Vesuvio inizia ad eruttare ceneri e lapilli sulla città di Torre del Greco; un piccolo ospedaletto, succursale degli Incurabili è in pericolo e Moscati si reca di corsa sul posto per dare il suo aiuto alla messa in salvo degli ammalati, prima che la struttura crolli.

Due anni dopo supera il concorso di assistente ordinario per la Cattedra di Chimica Fisiologica e inizia a svolgere attività di laboratorio e di ricerca scientifica nell’Istituto di Fisiologia.

Accade che nel 1911 un’epidemia di colera funesti Napoli: Moscati viene chiamato a svolgere ricerche. Presenta una relazione all’Ispettorato della Sanità Pubblica sulle opere necessarie per il risanamento della città, opere che verranno portate a compimento solo in parte.

Sempre nel 1911 riceve la libera docenza in Chimica Fisiologica su proposta del professor Antonio Cardarelli, il quale ha sempre nutrito grande stima per la preparazione del giovane medico.

Socio della Reale Accademia Medico-chirurgica e direttore dell’Istituto di Anatomia Patologica Moscati è ben ricordato e stimato da tutti i giovani medici studenti che lo seguono durante le visite ai pazienti.

E’ il 1914 quando la madre muore per diabete; scoppia la Prima Guerra Mondiale e Mosacti presenta domanda di arruolamento volontario; la domanda viene respinta con la motivazione che il suo lavoro a Napoli risulta più importante; non manca di prestare soccorso e conforto spirituale ai soldati feriti di ritorno dal fronte.

Per concentrarsi sul lavoro in ospedale e restare accanto agli infermi ai quali è molto legato, nel 1917 rinuncia all’insegnamento e alla cattedra universitaria lasciandola all’amico professore Gaetano Quagliariello.

Terminata la guerra il consiglio d’amministrazione dell’ospedale Incurabili lo nomina primario (1919); nel 1922 consegue la Libera Docenza in Clinica Medica generale, con dispensa dalla lezione o dalla prova pratica ad unanimità di voti della commissione.

Sono numerose le sue ricerche che trovano pubblicazione su riviste sia italiane che internazionali; importanti sono le pionieristiche ricerche sulle reazioni chimiche del glicogeno.

A soli 46 anni, dopo un improvviso malore, spira sulla poltrona di casa sua. E’ il 12 aprile 1927.

La notizia della sua morte si diffonde rapidamente, riassunta nelle parole della gente “è morto il medico santo“.

Sepolto dapprima nel Cimitero di Poggioreale il 16 novembre 1930 il corpo viene poi traslato presso la Chiesa del Gesù Nuovo, dove tutt’ora riposa.

Giuseppe Moscati è stato proclamato Beato da papa Paolo VI il 16 novembre 1975, e Santo il 25 ottobre 1987 da Giovanni Paolo II. La sua festa liturgica ricorre il 16 novembre.

Il santuario di Monte Berico

Fonte: http://www.vicenzae.org/ita/archivi/item/327-il-santuario-di-monte-berico

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(Foto: http://www.sportvicenza.com/index.php/2011-11-09-12-17-37/diario-di-viaggio/1239-visita-al-santuario-di-monte-berico.html)

IL SANTUARIO DI MONTE BERICO è il più noto e frequentato Santuario mariano della Regione Veneto

LE ORIGINI
Le sue origini affondano in un periodo di particolare sofferenza per la città di Vicenza, colpita tra il 1425 e il 1428 da una gravissima epidemia di peste.
Accadde, infatti, che la VERGINE fece una prima apparizione sul Monte il 7 MARZO 1426 ad una umile contadina: Vincenza Pasini alla quale seguì quella del 1° AGOSTO 1428. In entrambe le apparizioni la Madonna chiese a Vincenza che si facesse portavoce di una richiesta: la costruzione in quel luogo di una Chiesa a lei dedicata con la promessa che la pestilenza sarebbe finita.

La tradizione popolare vuole che la Madonna avesse pronunciato queste parole:
“Non temere Vincenza. Sono la Madre di Gesù morto in croce per la salvezza degli uomini. Va’ e avvisa i Vicentini che io voglio in questo luogo una Chiesa consacrata al mio nome; solo allora saranno liberati dal flagello che li percuote. Dirai al popolo i miei comandi: se non obbediranno, non cesserà la peste.
Come prova della mia volontà scavino fra queste rocce aride e ne scaturirà una fonte copiosa”.

E aggiunse:
“Dirai inoltre che tutti coloro i quali visiteranno questa Chiesa nelle Feste a Me dedicate e nella prima domenica di ogni mese, avranno grazie abbondanti, e riceveranno la mia benedizione materna.”

Vincenza Pasini non fu creduta subito nemmeno dalle autorità Ecclesiastiche. Fu la seconda apparizione e l’imperversare della pestilenza a convicere, prima di tutti, i cittadini e quindi le Autorità, a dar credito alla donna.
La posa della prima pietra avvenne il 25 AGOSTO 1428 e la Chiesa fu costruita in soli 3 mesi come testimonia il codice manoscritto del Processo sulla veridicità dei miracoli intrapreso come la costruzione del Santuario, dalle autorità locali. Man mano che l’opera cresceva la virulenza della peste andava scemando al punto che quando arrivarono al tetto, la “brutta bestia” era completamente debellata.
Nel 1430 fu dato incarico al giureconsulto Giovanni Da Porto e al successore Luigi Da Porto che condusse il processo e redisse l’atto notarile di 16 pagine, autentificato da 3 notai e sottoscritto dal Podestà Marco Micheli, custodito nella Biblioteca Bertoliana di Vicenza.
La veggente Vincenza Pasini morì all’età di 78 anni, nel 1433.


LA CHIESA
Il piccolo tempio eretto dopo l’apparizione, venne rifatto perchè bisognoso di totali restauri e venne incorporato all’inizio del secolo XVIII nell’attuale Santuario.
La Basilica è stata costruita su disegno dell’architetto CARLO BORELLA (1688) e fu decorata dallo scultore bassanese ORAZIO MARINALI.
L’interno della Basilica-Santuario è l’insieme delle due Chiese: l’una di stile gotico, l’altra di stile classico e barocco, ampliamento e completamento del Borella (1688-1703) dopo un primo ampliamento del PALLADIO (1578).
In questi anni (1826) iniziò la costruzione del nuovo campanile, su progetto di ANTONIO PIOVENE, mentre nel 1860 fu avviata la ricostruzione dell’antica facciata in stile neo-gotico, ad opera dell’architetto Giovanni Miglioranza, grazie ai SERVI DI MARIA che ritornarono nel 1835, grazie all’avvallo dell’Imperatore d’Austria, dopo l’allontanamento provocato dal decreto napoleonico del 1810 che imponeva la soppressione dell’ Ordine con l’allontanamento dal Conventi.
Anche nel 1866 dopo l’Unità d’Italia, i Servi di Maria dovettero lasciare il Convento per ritornarci, definitivamente, nel 1875 quando il Consiglio comunale di Vicenza decise di ridare loro il Santuario in uso gratuito affinchè proveddessero alla sua conservazione e tutela.
Nel 1900, il futuro PAPA PIO X incoronava solennemente la statua di MARIA, il cui altare veniva reso ancor più solenne dal restauro del 1926-1928.


GLI EX-VOTO
Adiacente al Santuario, vi è un piccolo museo che raccoglie oltre 150 tra tele e tavolette votive che costituiscono sei secoli (dal 1400) di ex-voto.
Tra i pezzi del ‘400 che meritano un’attenzione particolare vi è una “Nascita di Maria” intagliata e rilevata nel legno e che conserva ancora larghe tracce di un’antica doratura.
Di poco successivo è un complesso di piccoli quadri raffiguranti la storia dell’apparizione della Vergine a Vincenza Pasini e probabile opera di Tonisi senese, già autore del ritratto della stessa donna.
Al XVI secolo va attribuita una tela veronesiana di Gabriele Caliari, figlio del grande Paolo, raffigurante “La Madonna e il Bambino, i Santi Francesco e Marco, il Capitanio di Vicenza Francesco Tiepolo e un altro gentiluomo”, tutti in posizioni di oranti.
Tra le tante opere vanno poi segnalate quelle attribuite alla bottaga di Alessandro Maganza, del Maffei e del Carpioni. La maggioranza degli ex-voto restano però anonimi e fanno quindi parte di quell’arte popolare da sempre così prolifera ed affascinante.


LA CENA DI S.GREGORIO MAGNO di Paolo Veronese
Dipinto a olio su tela, misura m. 8,780m. 4,44
Sulla parete di fondo dell’antico refettorio del convento dei Servi di Maria domina la grande tela di Paolo Veronese che riproduce “La Cena di S.Gregorio Magno”.
La tela venne probabilmente commissionata da fra Damiano Grana, zio materno del Veronese, priore a Santa Maria di Monte Berico tra il 1571 e il 1573.
Nel quadro è raffigurato il momento in cui il santo papa Gregorio Magno, durante la tradizionale cena in cui era solito invitare dei poveri, riconosce fra questi, alla sua destra Gesù Cristo.
Nel 1848, durante un’azione di guerra dei soldati austriaci all’interno della basilica e del convento, la tela venne distrutta in 32 pezzi che un giovane frate, Ferdinando M.Mantovani, riuscì comunque a salvare. Nel 1852 la tela venne quindi ricomposta e risistemata nel convento da Alberto Tagliapietra.


IL PATRIMONIO ARTISTICO
All’interno del Santuario, sono molte le opere che meritano un’attenzione particolare.
Al 1428 circa risale la statua della Madonna, in cui la Vergine, secondo una tipica iconografia quattrocentesca, è raffigurata come Madre della Misericordia. La statua, scolpita su pietra tenera dei Berici e colorata, è alta m. 1,70 ed è opera di Nicolò da Venezia.
Molto più recenti (1900) sono invece la corona e la preziosa collana di perle, realizzate da orefici vicentini e offerte alla Madonna dal cardinale patriarca di Venezia Giuseppe Sarto, futuro papa Pio X.
Di particolare interesse è la pala dell’altare di S.Giuseppe, raffigurante la Sacra Famiglia in Egitto, dipinta nel 1796 da Francesco Menageot e che costituisce una della migliori pitture neoclassiche presenti a Vicenza.
Un’altra pregevole tela è quella di Palma il Giovane, del 1606 con l’Incoronazione della Vergine.
Al XIX secolo risalgono invece diverse tele di Giovanni Gagliardi come quella della Resurrezione e dei Sette Santi Fondatori.
Nella chiesetta gotica merita senza dubbio una visita speciale la tela raffigurante la Pietà, opera di Alvise Lamberti Montagna e risalente al 1500. Nelle arche della navata di mezzo, invece, a destra e a sinistra dell’altare maggiore, Rocco Pittaco dipinse i quattro episodi sull’origine del santuario, a partire dal 1883.

Brexit. Gran Bretagna fuori dall’Ue? Per la prima volta il 51% dice sì

Fonte: http://www.articolotre.com/2015/09/brexit-gran-bretagna-fuori-dallue-per-la-prima-volta-il-51-dice-si/

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-Redazione- Per la prima volta, da quando il premier Cameron ha promesso che entro la fine del 2017 si terrà un referendum per sapere se i britannici vogliono uscire o no dall’Unione europea, un sondaggio promosso dal Daily Mail, mostra che il 51% dei cittadini dell’Isola, se si andasse a votare domani, voterebbe “no” alla permanenza nell’Unione europea.

Questa indagine rappresenta una novità rispetto ai sondaggi precedenti, che nonostante la visione del governo Cameron, avevano sempre registrato un vantaggio dei filoeuropei.

Tra coloro che ancora si dichiarano contrari al cosiddetto Brexit, in molti affermano di poter cambiar idea se la crisi dei migranti dovesse peggiorare.

Il risultato, tenendo conto dei margini di errore statistici è di fatto un testa a testa, ma comunque manifesta un netto spostamento dell’opinione pubblica: lo stesso sondaggio ai primi di luglio vedeva il 54% favorevole a restare tra i Ventotto mentre il 45% voleva abbandonare Bruxelles.

Ho Chi Minh

Fonte: http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=2721&biografia=Ho+Chi+Minh

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Nguyen Tat Thanh, conosciuto nella storia come Ho Chi Minh, nasce a Han Nom, Vietnam, il 19 maggio del 1890. La sua famiglia non naviga nell’oro: il padre è un piccolo funzionario. La famiglia è inoltre abbastanza numerosa: ha una sorella, che si impiegherà presso l’esercito francese, un fratello erborista ed un altro fratello che morirà ancora piccolo. I problemi familiari aumentano quando il padre viene ufficialmente arrestato per abuso di potere. Il motivo reale della condanna è da ricercare però nell’attività anticoloniale dell’uomo, convinto anti-francese.

L’educazione che riceve Ho Chi Minh è, però, di stampo occidentale: studia in particolare la lingua e la letteratura francese, grazie alla convinzione paterna che per combattere una potenza come la Francia bisogna conoscerla. Le idee politiche del padre inducono la sorella a rubare delle armi da utilizzarsi per un’ipotetica rivoluzione. Scoperto il furto, la donna viene condannata al carcere a vita.

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Le conoscenze acquisite gli consentono di partire per la Francia nel 1911: la sua domanda però per lavorare nell’amministrazione coloniale viene respinta. Si ritrova così a fare i più disparati mestieri: dal cameriere al montatore cinematografico. Durante il duro periodo francese impiega tutto il tempo libero dal lavoro per migliorare la propria preparazione intellettuale leggendo nelle biblioteche pubbliche anche le opere di Marx.

Nel 1912 parte per gli Stati Uniti a bordo di una nave in cui è impiegato come cuoco. A New York vive facendo il panettiere e altri umili mestieri. Durante il periodo americano entra in contatto con molti fuoriusciti coreani nazionalisti e anticoloniali, e proprio queste frequentazioni saranno fondamentali per la formazione del suo pensiero politico. Intanto si specializza sempre di più nella professione di cuoco: diventa allievo del famoso chef Auguste Escoffier e lavora con lui a Londra.

Nel 1919 Ho Chi Minh torna a Parigi e comincia a lavorare come giornalista in un quotidiano di sinistra, abbraccia le idee comuniste, e inizia la sua attività politica. Si trasferisce prima a Mosca nel 1923 per avvicinarsi all’attività del Comintern e poi a Canton, in Cina, dove viene a contatto con un altro rivoluzionario, Phan Boi Chau. Spinto dalla necessità di raggranellare denaro per avviare il movimento comunista, denuncia il suo compagno. Nonostante la denuncia i rapporti tra i due rimarranno buoni. Nel 1926, intanto sposa una giovane cinese di quindici anni più giovane: il matrimonio dura appena un anno.

Nel frattempo, siamo nel 1927, viene lanciata la campagna cinese contro i comunisti, evento che lo costringe a diverse fughe. Si ammala di tubercolosi, ma riesce a cavarsela viaggiando clandestinamente tra Belgio, Svizzera, Italia, Germania e Thailandia. Arrivato ad Hong Kong fonda nel 1929 il Partito comunista indocinese. A causa delle sue attività politiche viene arrestato e poi rilasciato dopo due anni, nel 1933; si rifugia così a Milano dove svolge nuovamente l’attività di cuoco presso il ristorante l’Antica Pesa.

La sconfitta della Francia sotto i colpi nazisti lo induce a dirigere le prime rivolte contadine contro la Francia e il Giappone al fine di dichiarare nel 1941 l’indipendenza del suo paese. Viene perciò nuovamente arrestato e rilasciato nel 1943. Nel frattempo contrae la malaria, ma la malattia non influenza la sua attività politica né la sua vita privata: comincia infatti una relazione con una donna di etnia Tay.

Si fa promotore della famosa rivoluzione di Agosto e guida il movimento Viet Minh contro la Francia e il Giappone fino alla proclamazione di indipendenza del 2 settembre del 1945. Ma le cose non si rivelano semplici: il nuovo stato non gode del riconoscimento internazionale nonostante gli sforzi diplomatici di Ho Chi Minh. Inoltre, il mancato accordo con la Francia determina lo scoppio della guerra d’Indocina nel dicembre del 1946.

Grazie alle vittoria comunista in Cina, ottiene l’appoggio di Mao Tse-tung e di Stalin, e, nonostante la supremazia militare della Francia, riesce a portare al successo le proprie truppe. La guerra finisce ufficialmente ili 7 maggio del 1954. Nello stesso anno la convenzione di Ginevra riconosce lo stato del Vietnam, che viene diviso in due: Vietnam del Nord comunista e con presidente Ho Chi Minh, e Vietnam del Sud capitalista e filo-americano. Cerca di promuovere un referendum per l’unificazione dei due stati, ma ottiene solo la secca opposizione sia del Vietnam del Sud che degli Stati Uniti. Nel suo Nord inaugura intanto un governo di tipo comunista con la nazionalizzazione delle scuole e l’istruzione obbligatoria.

A lui si devono i tentativi più pacifici per riunire i due stati, nonché quello infruttuoso di bloccare la funesta Guerra del Vietnam scoppiata nel 1962. Una volta scoppiata la guerra investe però tutte le sue forze per la vittoria mettendo a capo delle operazioni il fidato Giap e servendosi delle truppe di guerriglieri del sud, i cosiddetti Viet Cong. Ottiene grande appoggio anche dalla Cina che, inviando i suoi aiuti per la ricostruzione, gli consente di spostare molti uomini sul fronte. Convinto della possibilità di sconfiggere il nemico, incita alla prosecuzione del conflitto per una completa e totale liberazione del Vietnam anche quando, nel 1969, cominciano le trattative di pace; non riesce a condurre fino in fondo le trattative perché viene colto da un attacco cardiaco. Ho Chi Minh Muore il 3 settembre del 1969.

Dopo la riunificazione, la città di Saigon è stata ribattezzata in suo onore Ho Chi Minh City.

La selezione dei pescatori sulle tartarughe malate di tumore

Scritto da: Eleonora Degano
Fonte: http://oggiscienza.it/2015/09/02/tartarughe-tumori-pesca-fibropapillomatosi/

Nell’arcipelago delle isole Turks e Caicos l’industria ittica sta involontariamente selezionando le tartarughe malate di fibropapillomatosi, catturando per uso alimentare solo quelle sane

AMBIENTE – Nell’arcipelago caraibico delle isole Turks e Caicos le tartarughe verdi (la specie Chelonia mydas) vengono catturate dai pescatori e consumate come fonte di cibo. Se la specie secondo la Lista Rossa IUCN è considerata oggi endangered, minacciata, ai Caraibi è ancora possibile catturarla legalmente, per il consumo alimentare, entro precisi limiti. Ma ora c’è un elemento di preoccupazione in più: i pescatori prelevano solamente gli individui sani, ributtando invece in acqua le tartarughe colpite dalla fibropapillomatosi (FP), un particolare tipo di tumore causato da herpesvirus, ed effettuando così una selezione importante sulla popolazione locale.

La fibropapillomatosi è stata scoperta negli anni Trenta del secolo scorso, e da allora ha attirato sempre di più l’attenzione, poiché è diffusa in tutto il pianeta e la sua epidemiologia è strettamente legata a fattori ambientali come l’inquinamento: è una malattia che colpisce prevalentemente gli individui giovani, in particolar modo quelli di maggiori dimensioni, affliggendo gli organi interni ed esterni delle tartarughe marine sotto forma di tumori rosa o di colore chiaro visibili sulla pelle. Nella sua progressione arriva a danneggiare la vista degli animali, la loro capacità di muoversi e quella di procacciarsi il cibo e nutrirsi. Sebbene questa neoplasia dei rettili non sia considerata pericolosa per gli esseri umani, come è prevedibile chi va per oceani sceglie comunque di riportare a riva con sé solamente gli esemplari sani, “scartando” quelli malati e selezionandoli così per la sopravvivenza.

In uno studio coordinato dall’Università di Exeter e pubblicato su Frontiers in Marine Science, una squadra di ricercatori ha monitorato per due anni la popolazione di tartarughe verdi dell’arcipelago Turks e Caicos, l’incidenza della malattia e la quantità di animali malati arrivati in porto nelle navi dei pescatori: hanno scoperto che su 239 delle tartarughe catturate il 13% era stato colpito dalla fibropapillomatosi, ma i pescherecci non avevano riportato indietro nessun animale malato. Nonostante si spingessero proprio nelle aree in cui la malattia era prevalente.

“La maggior parte dei pescatori con cui abbiamo parlato ha confermato che gli è capitato di catturare tartarughe malate, ma che non volendo mangiare animali con dei tumori le hanno ributtate in acqua. Siamo a conoscenza dei risultati dell’abbattimento selettivo delle creature malate, per rimuoverle da una popolazione, e questa pratica sortisce l’effetto opposto. Aumenta la proporzione di animali malati nella popolazione totale”, spiega Tom Stringell del Centre for Ecology and Conservation all’Università di Exeter.

“Nonostante le tartarughe verdi siano classificate come minacciate su scala mondiale, dopo secoli di catture selvagge, molte popolazioni sono ora in via di recupero e in futuro potrebbe diventare sempre più comune lo sfruttamento della specie come fonte di cibo”, commenta Annette Broderick, collega di Stringell e co-autrice dello studio. “Per questo è importante monitorare la fibropapillomatosi, sia per la conservazione della fauna selvatica che per tenere sotto controllo quelle che saranno le problematiche future legate alla salute umana e al cibo che mangiamo”.

La situazione è grave o uno spunto, gestibile, per ragionare sulla conservazione di questa specie marina? Fortunatamente, precisano i ricercatori, l’industria ittica dell’arcipelago Turks e Caicos è piccola e regolata in modo equilibrato. Inoltre le più ampie popolazioni caraibiche di tartarughe verdi contribuiscono a variegare quella dell’arcipelago, riducendo così l’impatto della selezione effettuata dai pescatori. Un aspetto interessante e cruciale da monitorare nei prossimi anni, concludono, sarà l’eventuale aumento di animali malati legato alle attività di cattura.

Brutale, odioso – e nemmeno breve: il minaccioso futuro dell’eurozona

Scritto da: Malachia Paperoga
Fonte: http://vocidallestero.it/2015/09/01/brutale-odioso-e-nemmeno-breve-il-minaccioso-futuro-delleurozona/

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Un articolo del Guardian guarda al futuro dell’eurozona dopo la conclusione della vicenda greca. Gli attori europei hanno solo dimostrato un’altra volta di non essere in grado di risolvere le contraddizioni di un’unione monetaria priva di unione politica. I problemi rimandati non potranno che ripresentarsi in futuro ulteriormente aggravati. Purtroppo le possibili soluzioni (una rottura dell’eurozona o un’unione politica – ammesso che essa sia mai stata possibile o auspicabile) diventano col passare del tempo sempre più difficili da attuare, condannando i cittadini dell’eurozona a un lungo periodo brutale e odioso.

Di Wolfgang Streeck, 17 agosto 2015

Ora che un po’ di polvere si è posata sopra le rovine dell’economia greca, val la pena di chiedersi se ci sia stato un breve istante in cui gli attori in gioco avessero trovato un sistema per tagliare il nodo Gordiano della crisi dell’eurozona. A un certo punto di luglio il ministro delle finanze tedesche, Wolfgang Schäuble, sembrava aver concluso che il suo sogno di un “nucleo europeo” con un’avanguardia franco-tedesca sarebbe svanita nell’aria se alla Grecia fosse stato permesso di rimanere all’interno dell’unione economica e monetaria. Riscrivere le regole dell’unione per mantenere la Grecia, aveva realizzato Schäuble, avrebbe messo l’euro nella direzione sbagliata, e la Francia, l’Italia e la Spagna con esso – distruggendo per sempre il nucleo europeo.

Il suo equivalente greco Yanis Varoufakis, per parte sua, avrebbe appreso da suoi incontri del terzo tipo con l’Eurogruppo che l’unico ruolo per la Grecia nell’Europa dell’Unione monetaria fosse quello di un percettore di sussidi scarsamente alimentato e sottoposto a una montagna di regole. Ciò non solo era incompatibile con l’orgoglio nazionale greco; ma ancora più importante, quello che i governatori dell’Europa erano disposti a offrire i Greci a titolo di “Solidarietà europea” sarebbe stato, nella migliore delle ipotesi, non sufficiente a sopravvivere.

L’offerta che Schäuble offrì all’ultima ora della euro-battaglia di luglio avrebbe meritato di essere esaminata in dettaglio: un’uscita volontaria (non essendo possibile sotto i trattati attuali una involontaria) che avrebbe dato alla Grecia la libertà di svalutare la sua moneta e tornare a una politica monetaria e fiscale indipendente, più l’assistenza d’emergenza e una parziale ristrutturazione del debito nazionale, al di fuori dell’Unione monetaria per evitare il rilassamento delle sue regole, creando un precedente. Anche una generosa stretta di mano sarebbe stata una buona idea, per proteggere la Germania dall’accusa di aver precipitato i greci nella miseria o di averli spinti tra le braccia di Vladimir Putin.

La politica può unire strani compagni di letto, ma a volte solo per una notte sola. Alla fine Varoufakis è stato prevaricato da Alexis Tsipras e Schäuble da Angela Merkel. Tsipras, mostrando un’abilità politica davvero straordinaria, è riuscito in un giorno o due a manipolare il clamoroso no del popolo greco alle richieste dei loro creditori in un sì all’”idea europea”, intesa come la valuta comune – permettendogli di firmare a condizioni ancora più crudeli di quelle respinte nel referendum (indetto, a quanto pare, su suggerimento di Varoufakis, che fu allontanato la sera stessa dei risultati). Spaventato dell’inimmaginabile disastro economico pubblicamente inculcato dai terroristi sostenitori dell’euro, e forse incoraggiato dalle promesse informali dei funzionari di Bruxelles di future iniezioni di denaro di altri popoli, Tsipras era pronto a dividere il suo partito e a governare con colore che, per decenni, avevano lasciato marcire la Grecia nel clientelismo e nella corruzione, offrendo ai partiti di Samaras e Papandreou un’occasione per riconquistare legittimità come europeisti sostenitori della “riforma”.

La Merkel, per parte sua, ha usato il piano di uscita di Schäuble come strumento di contrattazione, certa che Tsipras alla fine avrebbe ceduto e si sarebbe sbarazzato di Varoufakis. Il nuovo programma triennale di salvataggio la porterà oltre le prossime elezioni tedesche; inoltre evita, o almeno pospone, il conflitto con la Francia, che vuole la Grecia nell’euro per gli stessi motivi per cui Schäuble la vorrebbe fuori (la Merkel si aspetta meno dalla Francia rispetto a Schäuble, il che le rende più facile convivere con François Hollande). Inoltre le risparmia anche di doversi rimangiare il suo famoso motto del 2011: “Se l’euro fallisce, fallisce l’Europa” – come pure, per il momento, di dover lasciare che gli elettori tedeschi capiscano un fatto, banale per gli esperti ma ancora pietosamente nascosto al pubblico, che i soldi del salvataggio greco non saranno mai rimborsati. Inoltre, dopo che nei precedenti salvataggi Schäuble aveva convinto gli altri paesi EMU a condividere il debito pubblico greco, la Merkel poteva contare sul loro supporto per un rifiuto al considerare la ristrutturazione del debito. Cosa più importante, con la Grecia all’interno della valuta comune, lei può ora rassicurare il suo bacino elettorale, ossia il settore delle esportazioni tedesche, che nessuno dei membri prigionieri dell’eurozona sarà mai liberato, nemmeno in libertà vigilata – una cosa molto apprezzata anche dai sindacati tedeschi, dai socialdemocratici e dai suoi amici americani di mentalità geostrategica.

Naturalmente niente di tutto questo significa che l’euro-casino non continuerà. Al contrario, dopo che una finestra storica per un ripensamento fondamentale del sistema dell’euro è stata perduta, aspettiamoci gli stessi casini, e il prossimo atto del dramma sta già cominciando. Il problema con l’euro non è una mancanza di “Spirito europeo” da parte dei greci, o l’incapacità dei tedeschi di apprezzare le collaudate ricette di macroeconomia USA. È che l’Unione monetaria è un’istituzione fondamentalmente mal progettata, che nega ai paesi più deboli la possibilità di svalutare la loro moneta per sostenere l’aggiustamento economico mentre preserva altrimenti la sovranità degli Stati membri. In questo modo, tutto quello che può fare il nuovo accordo è guadagnare altro tempo, anche se non molto. Le “riforme” greche dovranno essere attuate, e la loro attuazione controllata; l’inevitabile ritardo di attuazione provocherà ritardate erogazioni dei fondi, mentre la ristrutturazione del debito tornerà all’ordine del giorno. Conflitti costanti, con al centro la Germania, sono già nelle carte.

Ancora più importante, come premio per aver dimostrato di essere buoni europei sbarazzandosi della versione originale di Syriza, i greci sperano in una crescita economica superiore alla media, chiaramente non come quella anemica spagnola che al momento è additata come la prova dei miracoli che può fare l’austerità. Dopo un decennio di miseria, la crescita dovrà innanzitutto rimettere il paese nella posizione che occupava prima del crollo e poi metterla sulla strada di qualcosa che somigli a una convergenza europea. Solo gli economisti neoliberali possono trovare realistico questo scenario e solo a condizione che tutte le loro ricette siano seguite alla lettera. Cioè, in pratica, mai.

Intanto, in un ambiente globale di bassa crescita che l’ex capo del tesoro americano Larry Summers chiama ristagno secolare, la solidarietà europea sarà chiamata a risarcire i greci. I termini tecnici con cui verranno effettuati i trasferimenti sarà una questione di pubbliche relazioni politiche: piano Marshall, piano Merkel, fondo di investimento Juncker, fondi strutturali, regionali o sociali – fate voi. Pochissime persone, o forse nessuna, credono che programmi di questo tipo possano rilanciare un’economia come quella della Grecia. Agli occhi degli elettori del Nord, in ogni caso, essi sembreranno quello che sembravano in passato: sovvenzioni politiche per mantenere al potere governi europeisti – come Syriza seconda versione? – permettendo loro di mantenere, a loro volta, le loro rispettive clientele “europeiste”.

Non che i limiti dell’assistenza allo sviluppo per le regioni arretrate di un’Unione monetaria con grandi differenze regionali fossero sconosciuti. La Germania e l’Italia hanno qui un’esperienza che è tutt’altro che incoraggiante: l’Italia nelle regioni del Mezzogiorno (Sud), la Germania nei suoi Nuovi Länder dell’ex Germania Est – con quest’ultima che è un altro caso di un’Unione monetaria mal costruita con disastrosi effetti economici. Entrambi i paesi oggi stanno trasferendo circa il 4% del loro PIL annuale alle loro regioni più povere solo per evitare che la differenza di reddito pro-capite divenga sempre più grande. I contribuenti tedeschi a malincuore continuano a pagare un “supplemento di solidarietà” oltre alla loro imposta sul reddito per gli aiuti alla Germania dell’est: una zona, per inciso, la cui intera élite economica e politica è stata sostituita dopo il 1990 con personale della Germania Ovest, portando con sé l’intero codazzo delle istituzioni dell’Ovest. Ma ancora, la differenza di reddito pro-capite tra Germania Ovest ed Est è stabile da anni intorno al 20%.

Niente di anche lontanamente paragonabile alle riforme istituzionali e personali applicate alla Germania dell’est succederà nell’Europa meridionale – come non è mai accaduto nel Mezzogiorno. La politica interna dell’eurozona, condotta attraverso relazioni internazionali, rimarrà bloccata e ostile. Dopo la parentesi Schäuble-Varoufakis non esiste alcuna prospettiva nel futuro prossimo di una ri-nazionalizzazione della sovranità monetaria. E nemmeno esiste alcun movimento verso una de-nazionalizzazione della sovranità politica e fiscale, con l’unione politica ad integrare quella monetaria.

Al contrario, ogni Stato membro custodisce oggi più che mai gelosamente le sue capacità nazionali per difendere i propri interessi contro gli altri. Inclusa la Germania e la sua mentalità di integrazione, che ora deve aver paura della ” unione sempre più stretta dei popoli europei” dei trattati che la mettono in una minoranza strutturale, e certamente incluse Francia e Grecia. La politica dell’integrazione europea consisterà in un braccio di ferro permanente riguardo agli obblighi conseguenti la moneta comune – di “riforma” da un lato, di “solidarietà” dall’altro – e il giusto rapporto tra sostegno finanziario e controllo politico.

I paesi del sud troveranno la compensazione economica per la loro adesione all’idea europea troppo esigua e la vigilanza collegata a essa troppo invadente; i paesi del nord troveranno le esigenze finanziarie dei loro partner del sud eccessive e il controllo offerto loro in cambio, inefficace. La vita europea nell’ambito dell’Unione monetaria sarà brutale e odiosa, e purtroppo nemmeno breve.

 

 

 

SEPTEMBER … HARD LANDING!

Fonte: http://icebergfinanza.finanza.com/2015/09/02/september-hard-landing/

Ormai in questa gabbia di matti che è diventata la finanza, nessuno si meraviglia più di nulla, figurarsi se in Cina alla televisione appare un povero giornalista che si assume tutte le colpe per il crollo del mercato cinese.

Cina, giornalista arrestato ‘confessa’ in diretta tv: ‘Crollo delle borse? Colpa mia’

Il colpevole si chiama Wang Xiaolu. E’ lui che ha fatto crollare a più riprese le borse asiatiche, trascinando giù lunedì scorso anche tutti i listini occidentali. Non il rallentamento dell’economia cinese, il timore che la transizione da un modello di crescita basato su investimenti ed esportazioni a uno centrato sui consumi interni fallisca e l’incapacità di Pechino di mettere in campo contromisure adeguate. Né i dubbi sull’efficacia degli interventi delle banche centrali di Ue e Usa.

Si è tutta colpa sua se l’industria manifatturiera cinese sta decisamente contraendosi ad essere buoni!

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Fermiamoci qui, perchè se ciò che intravvediamo all’orizzonte per l’inizio del 2017 è vero, rischiamo di essere portati davanti alla corte marziale.

Nel frattempo mentre i meteorologi della Fed segnalano bel tempo ovunque sull’economia americana l’indice ISM scende ai minimi da oltre due anni, maggio 2013 e i prezzi pagati dalle imprese crollano per il decimo mese consecutivo.

Giù nuovi ordini, produzione, occupazione e esportazioni, questa è la realtà, la verità uscirà solo tra qualche mese!

Il Canada è ufficialmente in recessione Canada in recessione tecnica, Pil -0,5% nel 2° trimestre e l’Australia, piano, piano si avvia incontro al suo destino. Australia: crescita del Pil sotto alle attese nel secondo trimestre

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L’ Europa è quello che è, tutto per uno, ognuno per se…

ImmagineAlla Francia ormai non fa più caso nessuno e credo sia un errore che pagheremo caro!

Ormai solo gli ottimisti di maniera, le banche centrali e le istituzioni fanno finta di non accorgersi della sensibile frenata dell’economia mondiale, oltre naturalmente al governo italiano aiutato dalle revisioni istituzionali dell’Istat. Certo che dopo la figuraccia di qualche giorno fa sulla crescita dei posti a tempo indeterminato, un minimo di prudenza non guasterebbe.

Eppure basterebbe un pò di buon senso per non uscire con simili fesserie come è accaduto a Jackson Hole…

Fischer ha dichiarato che a suo avviso le aspettative future ancorano a sufficienza previsioni di recuperi dell’inflazione verso il target ideale del 2 per cento.

Interruzione

Questi ormai sono come i giapponesi sperduti su isole deserte nel Pacifico che combattono ancora contro una guerra ormai persa, combattono contro il fantasma dell’inflazione, ignorando anche grafici, dati, la realtà.

Non tutti ovviamente ragionano così…

New York, 1 set. (askanews) – Eric Rosengren, presidente della Federal Reserve di Boston, sostiene che le incertezze sul fronte globale alimentano la tesi secondo cui serve essere cauti nell’iniziare la normalizzazione della politica monetaria della banca centrale americana, che è accomodante dal dicembre del 2008 (allora i tassi furono portati al minimo storico dello 0-0,25%).

“Indicazioni di un’economia globale più debole aumentano l’incertezza sulle stime di crescita dell’economia e dell’inflazione dei governatori” della Fed, ha detto in un discorso tenuto a New York. Ciò potrebbe condizionare la modalità con la Fed decide di procedere a un rialzo dei tassi.

Rosengren non ha fatto trapelare alcuna preferenza in merito alla tempistica di una stretta, ma ha spiegato che l’outlook della Fed “deve tenere conto dei recenti sviluppi, inclusi i dati che suggeriscono un rallentamento delle economie stranierie insieme a prezzi volatili dell’azionario e al calo di quelli delle materie prime”, due fattori, questi ultimi, che indicano “un’economia globale più debole”.

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Nessuno in Italia come noi si è preso la responsabilità di tenere da sei anni la barra sempre a dritta con rotta verso la deflazione.

E’ un po come Obama che fa il drammatico suggerendo che la terra è a rischio mentre di nascosto, ma non troppo, aiuta la Shell a trivellare l’artico, dopo quello che è accaduto nel golfo del Messico.

Ma oggi va così, bisogna farsene una ragione, questa è gente che sta semplicemente prendendoci per i fondelli.

Il greggio sembra diventato uno yoyo ma il suo destino di lungo termine è ormai segnato, servirebbe l’ultima disperata iniezioni di liquidità delle banche centrali che stiamo aspettando a partire dalle dichiarazioni di Mario Draghi domani, le solite frasi di circostanza spazzate via dalla disinflazione o come meglio volete chiamarla per non usare l’espressione deflazione.

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Questa è gente che ha provocato la crisi chiudendo gli occhi sulla deregulation e ora si travestono da salvatori della patria, salvando stati e banche fallite.

Gli ultimi dati relativi all’occupazione del settore privato di agosto segnalano debolezza solo 190.000 posti poco più del mese scorso e venerdi l’ultima indicazione per la Fed.

A breve anche produttività, costo del lavoro e ordinativi all’industria, la sensazione è che forniranno un assist alla Fed per non fare nulla a settembre.

UPDATE: Costo del lavoro 2 trimestre in USA rivisto da 0,5% a MENO 1,4 % pietra tombale per il rialzo dei tassi!

Esageriamo a prendere in seria considerazione quello che sta accadendo nei mercati emergenti ben dall’analisi di novembre ” Machiavelli 2015: Esplosione deflattiva”?

Questo grafico condiviso da Cullen Roche vi può aiutare a comprendere la dimensione temporale del problema attuale, ricordando che anche se la storia non si ripete, ama maledettamente fare la rima.

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Nel frattempo chi compra i treasuries che i cinesi stanno liquidando?

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Nelle prossime puntate la risposta!

Nel 2050, tutti gli uccelli marini avranno ingoiato plastica

Scritto da: Andrea Barolini
Fonte : http://www.valori.it/ambiente/nel-2050-uccelli-plastica-9323.html

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Già oggi, la stragrande maggioranza degli uccelli marini presenti sul pianeta Terra ha ingoiato dei frammenti di plastica. Ma entro il 2050 sarà la quasi totalità dei volatili ad essere colpita da tale materiale inquinante: il 99% degli albatros, dei pinguini e dei gabbiani. A lanciare l’allarme è uno studio del Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) degli Stati Uniti, che spiega come la quantità di materie plastiche presenti nei mari sia aumentata ancora, fino a toccare il dato record di 580 mila frammenti per chilometro quadrato.

Ciò, evidentemente, rappresenta un pericolo enorme per gli uccelli, che spesso confondono tali materiali con il cibo di cui si alimentano, anche a causa del fatto che essi sono spesso colorati. Il rischio è che essi sviluppino malattie a causa dell’ingestione: patologie che in alcuni casi possono rivelarsi letali.

Gli scienziati autori dello studio sottolineano inoltre le responsabilità dell’uomo nella vicenda: «Una corretta gestione dei rifiuti potrebbe contenere la minaccia. Per la prima volta abbiamo a disposizione una previsione globale che mostra a quale scala i materiali plastici possano generare ripercussioni sulle specie marine», ha spiegato all’agenzia AFP Chris Wilcox, ricercatore dell’Agenzia nazionale australiana per la scienza.

Il PNAS aggiunge che la minaccia è geograficamente estesa, generalizzata ed in rapido aumento: le zone più a rischio sono quelle tra l’Australia e la Nuova Zelanda, in ragione del forte tasso di inquinamento e della grande presenza di uccelli marini.

Aiuto, le foreste boreali stanno cuocendo!

Fonte: http://www.salvaleforeste.it/reddd/4071-aiuto,-le-foreste-boreali-stanno-cuocendo.html

• S. Gauthier, P. Bernier, T. Kuuluvainen, AZ Shvidenko, DG Schepaschenko. Salute foresta boreale e il cambiamento globale. Scienza, 2015; 349 (6250): 819 DOI: 10.1126 / science.aaa9092 http://www.sciencemag.org/content/349/6250/819Boreal forests challenged by global change

La foresta boreale è uno dei più grandi biomi della Terra, e fornisce servizi impagabili tanto alle comunità locali che al pianeta. Circa i due terzi di queste foreste sono in qualche modo gestiti, prevalentemente per la produzione di legno, mentre d’altro canto i servizi ambientali, dal controllo del clima alla protezione della biodiversità, non sono gestiti né contabilizzati. Fino ad oggi, la maggior parte delle foreste boreali a mantenuto la capacità di affrontare i fattori di disturbo, ma la velocità del cambiamento climatico e la sua ampiezza senza precedenti rappresentano ora una minaccia inquietante alla loro sopravvivenza. Per questo gli scienziati insistono sulla necessità di misure di gestione volte a contenere le minacce. Gli studiosi dell’Istituto Internazionale per analisi dei sistemi applicati (IIASA), del Natural Resources (Canada), e dell’Università di Helsinki (Finlandia) in un nuovo articolo pubblicato questa settimana sulla rivista Science, sostengono la necessità di incentivi economici e di una maggiore attenzione al bioma boreale nelle sedi internazionali.

“Le foreste boreali possono rappresentare il punto di svolta di questo secolo”, sostiene Anatoly Shvidenko, ricercatore presso l’ IIASA Ecosystems Services e Program Management. “Lamitigazione dei cambiamenti climatici e l’adattamento di queste foreste, deve necessariamente ricevere una maggiore attenzione internazionale.”

Le foreste boreali si estendono lungo le regioni settentrionali del Canada, della Russia, dell’Alaska, della Scandinavia, e costituiscono circa il 30% della superficie totale delle foreste del pianeta. Queste foreste svolgono un ruolo fondamentale nel sistema climatico terrestre, sequestrando l’anidride carbonica dall’atmosfera. Sono inoltre un importantissimo habitat mer numerose specie animali e vegetali, oltre a sostenere la vita nu molte comunità indigene.

Queste foreste però sono tra gli ecosistemi più colpiti dai cambiamenti climatici, con le temperature artiche e boreali in progressivo riscaldamento che oramai raggiunge il mezzo grado ogni decennio e rischiano di incrementare le proprie temperature tra i sei e gli undici gradi entro il 2100, secondo quanto delineato dallo scenario più pessimistico dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change).

Diversi studi hanno dimostrato come le zone climatiche nelle foreste boreali si stiano muovendo verso nord ad una velocità dieci volte superiore rispetto la capacità degli alberi di migrare. L’aumento della temperatura, della siccità e la maggiore variabilità del clima potrebbero essere tra i principali fattori della diffusione degli incendi nell’ultimo decennio, oltre che della diffusione di insetti pericolosi. Lo scongelamento del permafrost pone nuove minacce per il sistema idrologico a scala continentale, così come il potenziale di rilasciare enormi quantità di CO2 e metano fino ad oggi intrappolate dal suolo ghiacciato. A livello locale, l’aumento dello sviluppo industriale, accompagnato dall’inquinamento dell’aria, del suolo e dalla contaminazione dell’acqua, potrebbe peggiorare i già gravi impatti dei cambiamenti climatici. Il rischio è che le foreste boreali is trasformino progressivamente in praterie aride. “Queste foreste sono evolute in un clima di freddo, e non sappiamo abbastanza circa gli impatti del riscaldamento sulla loro capacità di resilienza”, ha aggiunto Shvidenko.

Nell’articolo, i ricercatori si appellano ai governi e alla società, chiedendo di dare maggiore attenzione alla salute delle foreste boreali, e aiutarle a superare la crisi. Si rende in pratica necessaria una transizione verso una gestione forestale oculata, in grado di assicurare per il futuro uno sviluppo sostenibile delle foreste boreali.