Gli USA dichiarano la loro egemonia sull’Asia

Fonte: http://sakeritalia.it/est-asiatico/gli-usa-dichiarano-la-loro-egemonia-sullasia/
Traduzione a cura di Raffaele Ucci per SakerItalia.it
Articolo di Tony Cartalucci pubblicato su Land Destroyer Report e New Eastern Outlook il 10 Giugno 2016

Gli USA dichiarano la loro egemonia sull’Asia

Le intenzioni americane in Asia non sono mai state così ovvie. I tentativi per ritrarre il ruolo dell’America nella regione come costruttivo o necessario sono andati avanti dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, tuttavia, di recente, con l’Asia capace di cominciare a determinare il proprio destino da sola, il tono da Washington è diventato sempre più conciso e diretto.

Le osservazioni del Segretario alla Difesa americano Ashton Carter durante il Dialogo Shangri-La a Singapore sono state una vera e propria proclamazione dell’egemonia americana sull’Asia – una regione del pianeta lontana letteralmente un oceano da Washington.

Nell’articolo della Reuters “Gli Stati Uniti mostrano i muscoli mentre l’Asia si preoccupa della lite nel Mar Cinese Meridionale“, il Segretario Carter ha detto:

Gli Stati Uniti rimarranno la forza armata più potente e il principale assicuratore della sicurezza nella regione [asiatica] per decenni a venire – e non ci dovrebbe essere alcun dubbio riguardo a ciò.

Gli USA, a parte l’eccezionalismo implicito, non spiegano mai completamente perché pensino che sia in qualche modo giustificato assicurare la sicurezza ad un’intera regione del pianeta oltre i propri confini.

La Reuters avrebbe anche riportato (grassetto aggiunto):

Qualunque azione da parte della Cina per reclamare terra nella Secca Scarborough, un affioramento nel tratto di mare disputato, avrà conseguenze, ha detto Carter.

“Spero che questo sviluppo non avvenga, perché risulterebbe nell’intraprendimento di azioni sia da parte degli Stati Uniti che … da altri paesi nella regione che avrebbero l’effetto non solo di far crescere la tensione ma anche di isolare la Cina”, ha detto Carter durante il Dialogo Shangri-La, un forum sulla sicurezza regionale a Singapore.

Il termine, “isolamento”, è chiave – e ha definito la politica estera degli USA nei confronti delle potenze emergenti in Asia fin da prima della Seconda Guerra Mondiale.

I politici americani non fanno segreto delle aspirazioni di primato in Asia

Robert Blackwill, ex ambasciatore americano, membro di lunga data del Consiglio sulle Relazioni Estere (CFR), lobbista e Delegato Nazionale per l’Iraq del Consiglio per la Sicurezza Nazionale americano durante l’invasione e la nuova occupazione nel 2003, ha scritto l’anno scorso un documento per il CFR intitolato “Rivedere la Strategia Americana nei Confronti della Cina” (file .pdf), nel quale non viene fatto alcun segreto dei progetti americani verso l’Asia Pacifica.

Il documento dice esplicitamente che (grassetto aggiunto):

Poiché lo sforzo americano per “integrare” la Cina nell’ordine liberale internazionale ha ora generato nuove minacce al primato americano in Asia – e potrebbe alla fine risultare in una conseguente sfida alla potenza americana a livello globale – Washington ha bisogno di una nuova strategia verso la Cina incentrata sul bilanciamento dell’ascesa della potenza cinese piuttosto che sul continuare ad assistere alla sua ascesa.

Il documento fornisce altri particolari enumerando in modo preciso come questo verrà fatto (grassetto aggiunto):

…preservare il primato americano nel sistema globale deve rimanere l’obiettivo centrale della strategia americana nel ventunesimo secolo. Sostenere questo status nonostante il potere crescente della Cina richieda, tra le altre cose, la rivitalizzazione dell’economia statunitense per incentivare quelle dirompenti innovazioni che permettono agli Stati Uniti vantaggi economici asimmetrici sugli altri paesi; creare nuovi accordi commerciali preferenziali tra gli amici e gli alleati americani per accrescere i loro guadagni reciproci attraverso strumenti che escludono consapevolmente la Cina; ricreare un regime di controllo della tecnologia col coinvolgimento degli alleati americani che impedisca alla Cina di acquisire capacità militari e strategiche che le permettano di infliggere “gravi danni strategici” agli Stati Uniti e ai suoi partner; incrementare di concerto le capacità politiche e potenziali degli amici e alleati americani ai confini della Cina; e migliorare le capacità delle forze militari americane per proiettarsi con efficacia lungo le aree periferiche dell’Asia nonostante qualsiasi opposizione cinese – il tutto continuando a lavorare con la Cina nei diversi modi che sono adatti alla sua importanza per gli interessi nazionali americani.

Andrebbe notato che in particolare, il punto riguardante l’“incrementare di concerto le capacità politiche e potenziali degli amici e alleati americani ai confini della Cina” non è innocuo come sembra. Lo stesso Blackwill in qualità di lobbista ha rappresentato uno di questi “amici e alleati ai confini della Cina”, il regime cliente di Thaksin Shinawatra in Thailandia.

Quando Shinawatra era al potere, inviò truppe thailandesi in aiuto all’invasione e occupazione illegale dell’Iraq, ospitò il ripugnante programma della CIA di estradizioni segrete all’interno del territorio thailandese, e ha tentato di far approvare con la forza un accordo di libero scambio USA-Thailandia – il tutto a spese dei migliori interessi della Thailandia. I tentativi di Shinawatra di trasformare la Thailandia in uno stato cliente degli interessi di Wall Street e Washington alla fine si sono trasformati in un sanguinoso conflitto politico che continua ancora oggi.

Shinawatra alla fine sarebbe stato esautorato dal potere, ma gli interessi americani hanno continuato a lavorare per mantenere al potere lui o un sicario simile, minando e tentando di distruggere le istituzioni e l’ordine politico esistente della Thailandia.

In realtà “incrementare le capacità politiche e potenziali degli amici e alleati americani ai confini della Cina” significa rovesciare i governi sovrani e rimpiazzarli con obbedienti regimi clienti da usare nella guerra per procura di Washington con Pechino – al prezzo della pace, della stabilità e della prosperità del regime cliente.

Il documento di Blackwill pone l’accento anche sull’importanza dell’usare la tensione nel Mar Cinese Meridionale al servizio della “strategia americana” in Asia. Il documento constata:

A causa del comportamento della Cina, gli stati asiatici hanno già cominciato a controbilanciare la Cina attraverso una maggiore cooperazione intra-asiatica – azioni che sono assolutamente in armonia con la nostra strategia americana e possono solo rinforzarla.

Infatti, in tutta l’Asia, la comprensione pratica della necessità di bilanciare il potere tra una Cina in ascesa e il resto dell’Asia ha guidato l’espansione militare ed economica dei vicini della Cina. Il tutto compiuto, comunque, indipendentemente dalle ambizioni americane e mantenendo le buone relazioni con Pechino. Gli USA hanno apertamente affermato che il loro obiettivo è mantenere il primato in Asia – e mirano ad isolare e contenere l’ascesa della Cina. Questo non corrisponde affatto con i migliori interessi di ciascuna delle nazioni che si trova ai confini della Cina.

La lunga guerra di Washington a Pechino

Le ammissioni del Segretario Ashton Carter e Robert Blackwill riguardo alla politica americana in Asia sono solo le più recenti affermazioni di una lunga politica di contenimento che risale agli anni ’50, è proseguita con la Guerra del Vietnam, ed è continuata fino ai giorni nostri.

L’”Ufficio Storico” del Dipartimento di Stato americano ha pubblicato un “Rapporto sullo Status delle Operazioni Tibetane” del 1968, facendo venire alla luce il supporto della Central Intelligence Agency americana al 14° Dalai Lama e ai militanti armati tibetani per lo scopo esplicito del “contenimento dell’espansione Comunista cinese”.

Il rapporto avrebbe aspettato:

Il programma tibetano della CIA, parte del quale è iniziato nel 1956 con la messa al corrente del Comitato, è basato sugli impegni del Governo americano presi col Dalai Lama nel 1951 e nel 1956. Il programma consiste di azioni politiche, di propaganda, paramilitari e di intelligence, adeguatamente coordinate con e supportate da [quasi una riga del testo fonte non è stata desecretata].

Il rapporto afferma anche che (grassetto aggiunto):

Nel campo delle azioni politiche e di propaganda, gli obiettivi del programma tibetano sono mirati ad affievolire l’influenza e le capacità del regime cinese attraverso il supporto, fra i Tibetani e le nazioni estere, del concetto di un Tibet autonomo sotto la leadership del Dalai Lama; alla creazione di una capacità di resistenza contro possibili sviluppi politici all’interno del Tibet; e al contenimento dell’espansione Comunista Cinese – in virtù degli obiettivi della politica americana inizialmente affermati nel documento NSC 5913/1.2 [6 linee del testo fonte non sono state desecretate].

Gli infami “Pentagon Papers” trapelati al pubblico, uno studio segreto del Dipartimento della Difesa sul coinvolgimento dell’America in Vietnam dal 1945 al 1967, messo insieme dall’allora Segretario della Difesa Robert McNamara nel 1967, rivelerebbero che le forze militari americane vennero usate in modo più diretto nei continui tentativi dell’America per contenere la Cina.

Tre importanti citazioni da questi documenti rivelano questa strategia. La prima afferma che:

…la decisione di Febbraio di bombardare il Vietnam del Nord e l’approvazione a Luglio delle implementazioni alla Fase I hanno senso solo se in supporto di una politica statunitense a lungo termine per contenere la Cina.

Il documento afferma anche:

La Cina – come la Germania nel 1917, la Germania ad ovest e il Giappone ad est a fine anni ’30, e come l’URSS nel 1947 – si profila come un’importante potenza che minaccia di far affievolire la nostra importanza ed efficacia nel mondo e, in modo più remoto ma più minaccioso, di organizzare tutta l’Asia contro di noi.

Infine, delinea l’immenso teatro regionale che gli USA hanno impegnato all’epoca contro la Cina affermando:

…ci sono tre fronti per uno sforzo a lungo termine per contenere la Cina (sapendo che l’URSS “contiene” la Cina a nord e nordovest): (a) il fronte Giappone-Corea; (b) il fronte India-Pakistan; e (c) il fronte del Sudest asiatico.

È chiaro che dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino ad oggi, l’obiettivo di contenere la Cina ha dominato la politica estera dell’America in Asia. Ha incluso guerre per procura come quella ammessa dal Dipartimento di Stato americano negli anni ’50 in Tibet, guerre in grande scala come quella vista in Vietnam durante gli anni ’60, e la creazione di regimi clienti con i quali affrontare la Cina, il più recente è stato quello del 2001-2006 al comando di Thaksin Shinawatra, e che ora è risultato in una costosa crisi politica che sta ancora oggi minando la pace e la stabilità in Thailandia.

Un regime cliente simile sta prendendo il potere in Myanmar al comando di Aung San Suu Kyi – letteralmente una creazione e una perpetuazione del supporto politico e dei finanziamenti americani e inglesi. La Malaysia è stata bersagliata dall’instabilità politica per mezzo del burattino americano Anwar Ibrahim, e le Filippine sono state da tempo subordinate alla politica estera americana per oltre un secolo.

In Asia orientale, sia il Giappone che la Corea del Sud ospitano truppe rispettivamente dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e dalla Guerra di Corea.

Piazzando tutto questo su una mappa, e includendo l’occupazione americana dell’Afghanistan – che confina con la Cina occidentale – e gli sforzi perfino all’interno dei confini della Cina per sovvertire l’ordine e la stabilità politica, un anello geopolitico circonda virtualmente la Cina da ovest ad est.

Il primato americano al prezzo della pace e della prosperità asiatica

Vale la pena ripetere che l’Asia sta già controbilanciando come conseguenza la crescente influenza regionale della Cina. Comunque, si può anche vedere come le nazioni ai confini della Cina stiano già beneficiando di questa ascesa. Il lavoro con la Cina in un ampio numero di aree dall’economia alla cooperazione militare sta beneficiando direttamente i vicini della Cina. La regione – a quanto pare – cerca di trovare un equilibrio di potere, ma all’interno di un ordine regionale non conflittuale e cooperativo.

Gli Stati Uniti – in quanto opportunisti – cercano di far credere che stanno aiutando la creazione di questo ordine regionale, ma con i loro recenti proclami, mirano chiaramente ad isolare la Cina innescando deliberatamente tensioni ovunque, dal Myanmar riguardo agli attuali progetti di infrastrutture di costruzione cinese, al Mar Cinese Meridionale e alla Penisola di Corea.

Il processo per isolare e ostacolare l’ascesa della Cina non danneggerà solo Pechino – danneggerà tutta l’Asia – anche se i rischi e i costi degli scontri che gli USA stanno coltivando in Asia non sono chiari. Tuttavia, considerando questi confronti organizzati ed incoraggiati dagli USA – le nazioni vengono spronate a spendere risorse e gentilezze politiche per realizzare le ambizioni regionali utili alla stessa Washington.

È piuttosto semplice. Gli Stati Uniti non risiedono in Asia. Trasformare l’Asia in una zona di conflitto si adatta perfettamente bene. Un’Asia in ascesa si pone come un competitore diretto degli interessi di Wall Street e dei politici che li servono a Washington. Gli USA non hanno nulla da guadagnare da un’Asia forte che non capitola più davanti ad accordi commerciali svantaggiosi, coercizione politica e minacce. Contenere la Cina a costo della pace e della e della prosperità di tutta l’Asia è un bonus aggiuntivo per i politici americani – assicurando che di fatto gli USA mantengano il primato in tutta l’Asia “per decenni a venire”.

Per i leader dell’Asia è importante continuare a cercare con mezzi costruttivi e cooperativi l’equilibrio di potere tra una Cina in ascesa e il resto dell’Asia. Questo deve essere fatto rimpiazzando sempre di più l’ingiustificata e maliziosa influenza americana sulla regione. Questo non significa isolare gli Stati Uniti come loro cercano di isolare la Cina – ma solo isolandoli al punto che gli USA si accontentino di mantenere normali legami con l’Asia basati sull’uguaglianza, non l’egemonia.

La sicurezza asiatica non spetta agli Stati Uniti più di quanto all’Asia non spetti la sicurezza americana. Rendere chiaro questo ai politici americani e agli interessi particolari di cui sono al servizio è essenziale per stabilire il fatto che nessuna nazione è “eccezionale” e che non esiste alcun vero “ordine internazionale”, devono essere applicati a tutti standard imparziali e obiettivi per tutti – sia che si risieda a Washington o a Pechino o altrove.

 

Ancora una diga per affogare l’Amazzonia

Fonte: http://www.salvaleforeste.it/15-documentazione/indigeni/4191-ancora-una-diga-per-affogare-l-amazzonia.html

E’ la diga di São Luiz do Tapajós, un progetto devastante, che inonderà parte delle loro terre distruggendo una vasta area della foresta amazzonica. La diga di São Luiz do Tapajós, la più grande delle 43 dighe previste sul fiume Tapajos, avrebbe un bacino di 729 chilometri quadri (circa l’estensione di New York!) e sommergerebbe 400 chilometri quadri di foresta pluviale incontaminata, portando inoltre alla deforestazione di un’area di 2.200 chilometri quadrati!
Il fiume Tapajós scorre nel cuore dell’Amazzonia brasiliana. Nelle sue acque nuotano i delfini rosa, mentre le sue rive sono l’habitat di centianaia di uccelli, rettili, angibi e mammiferi, come il giaguaro e l’ocelot. Queste sono anche le terre del popolo indigeno dei Munduruku che da più di trent’anni si battono per difendere la valle del Tapajós dalla minaccia dei megaprogetti idroelettrici. Lo scorso aprile l’Agenzia brasiliana per le popolazioni indigene (FUNAI) ha riconosciuto i territori dei Munduruku, fornendo la base legale per richiedere la sospensione della costruzione della mega diga. Si tratta però solo di una sospensione temporanea che non equivale alla cancellazione del progetto: questa avverrà infatti solo nel caso in cui il governo brasiliano confermi la decisione del FUNAI di tutelare le terre Munduruku.
Greenpeace ha simbolicamente fornito i Munduruku di pannelli solari per dimostrare che non è necessario distruggere l’Amazzonica per portare elettricità nelle aree remote. E chiede alle multinazionali di abbandonare il progetto. Ad esempio, l’azienda tedesca Siemens negli ultimi anni da un lato ha rafforzato la sua presenza nel settore delle rinnovabili, ma d’altra parte ha partecipato anche alla realizzazione della diga di Belo Monte, sul fiume Xingu, che ha devastato un ampio tratto di foresta amazzonica.Chiediamo a Siemens di confermare che non sarà coinvolta in alcun modo nella realizzazione della diga di São Luiz do Tapajós, un’operazione che sarebbe in netto contrasto con l’immagine “green” che pretende di mostrare.

LUTTO

OGGI  LA REDAZIONE NON PUBBLICHERA’ NESSUN ARTICOLO IN SEGNO DI LUTTO  NEI CONFRONTI DELLE VITTIME DELLA BARBARIE ISLAMISTA (NON DIMENTICHIAMO GLI ASSASSINI CHE LI FINANZIANO…)

Antonio Rosmini

Fonte: http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=3111&biografia=Antonio+Rosmini

Antonio Rosmini

Antonio Rosmini (il cui nome completo è Antonio Francesco Davide Ambrogio Rosmini Serbati) nasce il 24 marzo del 1797 a Rovereto (località che all’epoca appartiene all’Impero austro-ungarico), secondogenito di Giovanna dei Conti Formenti di Biacesa e Pier Modesto. Cresciuto con Giuseppe, suo fratello più piccolo, e Margherita, sorella maggiore entrata a far parte delle Suore di Canossa, Antonio, dopo aver concluso l’Imperial Regio Ginnasio della sua città natale, prosegue gli studi teologici e giuridici all’Università di Padova, prima di ricevere l’ordinazione sacerdotale a ventiquattro anni, a Chioggia.

Nel corso degli anni, incoraggiato da papa Pio VII, comincia a crescere in lui una inclinazione molto accentuata verso gli studi di filosofia: le sue tesi, in particolare, sono volte a contrastare tanto il sensismo quanto l’illuminismo, ma polemizzano anche con il comunismo e socialismo. Egli, infatti, ritenendo che i diritti naturali della persona, incluso il diritto alla proprietà privata, siano inalienabili, pensa a uno Stato ideale il cui intervento è il più possibile ridotto all’osso.

Nel 1826 Rosmini si sposta a Milano, dove ha l’occasione di conoscere Alessandro Manzoni, con cui instaura una profonda amicizia (l’autore dei “Promessi Sposi” lo definirà “una delle intelligenze che più onorano l’umanità”). Due anni più tardi, lascia definitivamente il Trentino a causa di una pesante ostilità manifestata nei suoi confronti dal vescovo austriaco di Trento Giovanni Nepomuceno de Tschiderer (futuro beato) in virtù delle sue posizioni anti-austriache; e così, decide di fondare la congregazione religiosa dell’Istituto della Carità al Sacro Monte Calvario di Domodossola, la cosiddetta congregazione dei Rosminiani, le cui Costituzioni vengono approvate nel 1839 da papa Gregorio XVI.

Dopo aver scritto “Il nuovo saggio sull’origine delle idee” (nel 1830), i “Principi della scienza morale” (l’anno successivo), la “Filosofia della Morale” e l'”Antropologia in servizio della scienza morale” (rispettivamente nel 1837 e nel 1838), la “Filosofia della politica” (nel 1839), la “Filosofia del diritto” e “Teodicea” (tra il 1841 e il 1845), nel 1848 pubblica “Sull’unità d’Italia” e “Le cinque piaghe della santa Chiesa”, composta sedici anni prima: un’opera in cui l’autore mostra di allontanarsi dall’ortodossia del tempo, e che per questo motivo verrà messa all’Indice poco tempo dopo, dando vita a una polemica conosciuta come “questione rosminiana” (il libro sarà riscoperto solo in occasione del Concilio Vaticano II, e grazie al vescovo Luigi Bettazzi).

Suddiviso in cinque capitoli (ognuno dei quali corrisponde a una piaga della Chiesa, paragonata a una piaga di Cristo), tutti con la medesima struttura (a un ottimistico quadro della Chiesa antica seguono una novità che determina la piaga e i possibili rimedi), il libro mette all’indice, tra l’altro, la divisione del clero dal popolo nel culto pubblico, in passato mezzo di formazione e catechesi, e ai tempi di Rosmini ormai distaccato dalle persone comuni, complici la povera istruzione del popolo e la scomparsa della lingua latina.

Lo studioso trentino, inoltre, segnala un’educazione insufficiente del clero (si tratta di una critica severa ai catechismi, oltre che alla scolastica) e la disunione tra i vescovi, dovute all’ambizione, alle occupazioni politiche che distolgono dal ministero sacerdotale, alla preoccupazione di proteggere i beni ecclesiastici e al servilismo verso il governo. La quarta e la quinta piaga, invece, sono rappresentate rispettivamente dal potere laicale che si occupa della nomina dei vescovi e la servitù dei beni ecclesiastici, per risolvere la quale l’autore indica l’opportunità di rinunciare alle richieste economiche imposte, affidandosi invece alle offerte libere e ai possedimenti statali del papa.

Dopo la pubblicazione dell’opera, Antonio Rosmini segue Papa Pio IX, che dopo la proclamazione della Repubblica Romana era riparato a Gaeta. Tuttavia, la sua posizione improntata al cattolicesimo liberale lo induce a spostarsi a Stresa, sul Lago Maggiore. Richiamato a Roma nel 1849 (anno di composizione dell’opera “Il comunismo e il socialismo”) per prendere parte a una commissione (istituita dal Pontefice) il cui compito è quello di preparare il testo per la definizione dell’Immacolata Concezione come Dogma, torna in Piemonte, dove perfeziona il proprio sistema filosofico nelle opere “Logica”, composta nel 1853, e “Psicologia”, nel 1855.

Dopo essere stato in missione diplomatica presso la Santa Sede, svolta per conto di Carlo Alberto, Re di Sardegna, Rosmini muore il 1° luglio 1855 a Stresa, assistito da Manzoni sul letto di morte (lo scrittore vi trarrà “Adorare, tacere, gioire”, suo testamento spirituale). Viene sepolto nella stessa città, nel Santuario del Santissimo Crocifisso (dove verrà seppellito, per altro, anche Clemente Rebora).

Antonio Rosmini viene beatificato dalla Chiesa cattolica il 18 novembre del 2007.

Interessato alla filosofia kantiana (pur non condividendone l’innatismo), Antonio Rosmini ritiene che il problema filosofico consista nell’assicurare oggettività alla conoscenza: la soluzione si trova in una ricerca ontologica che sia in grado di illuminare l’intelligenza. È questa l’idea dell’essere possibile, che si fa da indeterminato a determinato nel momento in cui viene applicato dall’intelligenza ai dati messi a disposizione dai sensi. L’idea dell’essere, per Rosmini, rappresenta il solo contenuto della mente non proveniente dai sensi, e quindi inn