Deficit pubblico: perché entro il 3%? Perché suonava bene

Scritto da : Debora Billi
Fonte: http://crisis.blogosfere.it/2012/10/deficit-pubblico-perche-entro-il-3-perche-suonava-bene.html

Clamorosa rivelazione del quotidiano francese Le Parisien (in italiano su PressEurop). Qualcuno si è mai chiesto coma mai il deficit pubblico non può superare il 3% del PIL? Un limite talmente ferreo da costringere governi e cittadini a manovre lacrime e sangue, a sacrifici inenarrabili, all’obbedienza a parametri d’acciaio che ripetono il sacro mantra del 3%.

Nessuno se lo è mai chiesto, ma si dà per scontato che sia frutto di menti eccelse, illustri economisti europei che in anni e anni di studi hanno stabilito tale regola aurea come unica soluzione ai problemi economici. Ebbene: manco per niente. E’ tutto nato per caso.

Le Parisien intervista Guy Abeille, ex funzionario della direzione del Bilancio del governo Mitterrand, che racconta:

Abbiamo stabilito la cifra del 3 per cento in meno di un’ora. È nata su un tavolo, senza alcuna riflessione teorica. Mitterrand aveva bisogno di una regola facile da opporre ai ministri che si presentavano nel suo ufficio a chiedere denaro […]. Avevamo bisogno di qualcosa di semplice. Tre per cento? È un buon numero, un numero storico che fa pensare alla trinità.

Il 3 è il numero perfetto, suona bene, così i due hanno stabilito la regola del 3% a caso e scarabocchiandola su un tovagliolo per togliersi di torno i ministri che chiedevano quattrini. Quei ministri, nel 1981, se la sono bevuta, e con loro per i decenni successivi se l’è poi bevuta tutta l’Europa. E’ stata scolpita nei Parametri di Maastricht senza che un cane degli autorevoli redattori a Bruxelles si sia domandato se era sensata, se stava in piedi o no, e da quali studi provenisse.

Oggi vi trovate a sputare sangue per “restare in Europa”, ma sappiate che lo dovete solo al trucchetto di un funzionario francese per far risparmiare il suo Presidente.

(Grazie a Stefano per la segnalazione)

Foto – Flickr

Banchieri Centrali gonfiano le Fiat, mentre si Finalizza il Piano per una Valuta Mondiale

Fonte: http://occupycorporatism.com/central-bankers-inflate-fiat-while-plans-for-one-world-currency-are-finalized/
Traduzione: http://www.gamerlandia.net

Susan PoselSecondo gli analisti di Deutsche Bank – Daniel Brebner e Xiao Fu – in realtà,  l’oro “non è per niente un bene“.

Berbner e Fu spiegano: “Mentre viene incluso nel paniere delle materie prime, è infatti un mezzo di scambio riconosciuto ufficialmente (se non pubblicamente, usato come tale). L’oro, lo vediamo riconosciuto come forma ufficiale di danaro per il seguente motivo: viene detenuto dalla maggior parte delle più grandi banche centrali del mondo come componente delle riserve “. L’oro è considerato “una buona moneta” mentre la moneta a corso forzoso (Fiat) è rappresentata come “cattiva moneta” perché i cartelli delle banche centrali confondono il valore della carta sui metalli preziosi per tenere la popolazione all’oscuro e per rivendicare un monopolio sul valore stesso e sulla circolazione, tanto quanto i metalli preziosi accumuleranno a fini di consumo.Berbner e Fu elaborano ulteriormente: “Fisicamente, le valute Fiat non hanno altro scopo se non quello prescritto loro dal governo ed accettato dal pubblico. Che le valute fiat costino poco nel senso della loro stampa, è un problema secondario e – crediamo – abbastanza irrilevante rispetto allo scopo primario“.

Questo mese, il Vaticano ha annunciato il proprio sostegno per una nuova banca globale. Hanno approvato lo sforzo delle Nazioni Unite nei confronti della governance globale su tutta la moneta fiat – fintanto che sono consacrati a partecipare ai poteri sovrani di una tale istituzione.

Il Vaticano ritiene che la Bibbia li permei di ”autorità super” su un qualsiasi sistema finanziario globale emergente. Questo potrebbe spiegare il modo in cui hanno usato una banca di comodo come la JPMorgan Chase ed altre società private banking come luogo di riciclaggio di denaro sporco. Queste azioni – da parte dei lacchè – per i cartelli delle banche centrali hanno eluso la persecuzione e la condanna su morti misteriose come quella del cardinale Paul Marcinkus nel 2009 in Arizona, dopo essere stato coinvolto nel riciclaggio di denaro di organizzazioni criminali internazionali.

Attualmente, incarnando il sistema globale in una religione che pacifica milioni di persone in tutto il mondo, nel consiglio di amministrazione di una banca mondiale che controlla tutta la moneta fiat, sarebbe vantaggioso per l’Elite globale, così come per i banchieri papali.

La propaganda sostiene una valuta mondiale che pervade il mainstream. Paul Solman – corrispondente per la PBS NewsHourfa una propaganda positiva sulla valuta mondiale, affermando che: “Ah, che sogno: un mondo, un’economia, una moneta e – naturalmente – un sistema politico globale… una moneta comune, una politica economica comune… “.  Allo stesso modo, lInstitute of International Finance (IIF) – un gruppo di tecnocrati che rappresenta 420 cartelli bancari e banche finanziarie – si sono uniti al grido per una moneta mondiale.

Charles Dallara – amministratore delegato della IIF – ha detto: “Un gruppo delle principali economie mondiali ha bisogno di riunirsi e di martellare la comprensione. Le azioni strettamente mirate sulle politiche unilaterali e bilaterali viste negli ultimi mesi – tra cui le molte misure proposte e le attuali misure reali sul commercio, gli interventi sulla moneta e sulle politiche monetarie – hanno contribuito al peggioramento sottolineando gli squilibri macroeconomici. Questi han portato anche a crescenti pressioni protezionistiche dei paesi corsa per i mercati di esportazione come fonte di crescita“.

Nel mese di maggio, la Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e sviluppo (UNCTAD), ha pubblicato un rapporto dove propone che l’attuale sistema di valute mondiali e le regole di capitale che governano l’economia mondiale, devono essere modificate al fine di stabilizzare la nostra crisi economica.

UNCTAD vuole vedere i Paesi BRIC – conosciuti come paesi non allineati, nazioni considerate in eccedenza – tagliare i loro squilibri, assumendo così l’onere finanziario fuori dal Regno Unito e dagli Stati Uniti, come – ad esempio – difendere la moneta di riserva globale. Un sistema monetario globale che andrà a sostituire il dollaro come valuta di riserva globale, raggiungerà questo obiettivo.

L’ONU propone una revisione completa. Nel rapporto: “L’adattamento del sistema monetario internazionale per affrontare le sfide del 21° secolo”. Chiedono di: ”un più intenso ed acceso dibattito e le riforme del sistema monetario internazionale implica che il sistema attuale non è in grado di rispondere nel modo più appropriato ed adeguato alle sfide che sono apparse o che si sono aggravate negli ultimi anni. Questo documento si concentra su quattro queste sfide: garantire un’uscita ordinata dagli squilibri mondiali, facilitando le regolazioni complementari tra il surplus e tra i paesi in deficit senza impatti di recessione, meglio sostendo il commercio internazionale mediante la riduzione della volatilità delle valute e miglior sviluppo del clima dei finanziamenti. Dopo averli descritti, si propongono le riforme per consentire al sistema monetario internazionale di rispondere meglio a queste sfide. “

Raccomandano un movimento verso una valuta globale che andrà a sostituire tutte le valute correnti. La rivalutazione sarà accessibile ed il valore del denaro sarebbe ridistribuito con la supervisione della FMI, WTO ed – infine – delle Nazioni Unite.

Nel mese di aprile, in occasione del vertice BRIC a Nuova Delhi, i leader presenti hanno discusso su come abbandonare il dollaro come valuta di riserva globale. Vladimir Putin, presidente della Russia, spiega: “Una delle priorità del BRIC per gli anni a venire, dovrebbe essere il rafforzamento ed il ruolo fondamentale del Consiglio di sicurezza dell’ONU nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Garantendo anche che le Nazioni Unite non siano utilizzate come copertura per un cambiamento di regime e per le azioni unilaterali per risolvere le situazioni di conflitto.

BRIC ipotizza che una “moneta paniere” consentirebbe ai paesi non allineati gli scambi tra loro, senza i timori che le banche centrali e la loro moneta fiat comportano. Questo servirebbe come alternativa al dollaro USA e l’Euro. Potenzierebbe le altre nazioni nel sollevarsi economicamente. In una presa di posizione nei confronti del dollaro, i paesi BRIC hanno già iniziato a commerciare tra loro utilizzando valute approvate che vengono supportate dai metalli preziosi. Il FMI e la Banca Mondiale sono allarmate da questa mossa e la stanno disapprovando altamente.

Allo stesso tempo, la Cina accumulava uno stock di oro per un back-up della loro moneta Fiat. Lo scopo è quello di assicurare il futuro del loro paese convertendo la valuta Fiat in valuta convertibile, oltre ad usarla come strumento di leveraggio per aiutare le nazioni come assicurazione per un favore in una date successive.

Sovversiva, l’amministrazione Obama ha reso più facili per la Cina gli investimenti in America. La Cina ha potuto acquistare il 35% su ogni asta di buoni del tesoro statunitensi. Ciò è stato possibile attraverso il proxy. Con l’intento di Ben Bernanke – presidente della Federal Reserve Bank (Fed) – la Cina potrebbe esser stata fatta fallire finanziariamente attraverso l’inflazione causata dalla FED.

Poiché Bernanke valuta il dollaro USA, sa in anticipo quanto dovrà pagare e così potrà impostare la situazione ideale per far sì che paghi ciò che vuole.

L’inflazione è una conseguenza diretta delle azioni da parte della FED. Stampano dollari Fiat in eccesso rispetto ai fondi disponibili, inondando il sistema monetario. Questo spinge a prezzi più elevati perché ci vorranno più dollari per eguagliare il valore di un dollaro statunitense. Attualmente, il dollaro USA è seduto su un valore di $ 03.8 centesimi.

In una riunione del Senate Budget Committee nel mese di aprile, Bernanke ha usato la paura per costringere i legislatori a Capitol Hill. Egli ha affermato: “Sostenendo alti tassi di debito pubblico, si drenerebbero i fondi da investimenti privati e si aumenterebbe il nostro debito agli stranieri, con effetti negativi a lungo termine sulla produzione degli Stati Uniti, sui redditi e sul tenore di vita. Inoltre, diminuendo la fiducia degli investitori, il deficit sarà – in ultima analisi – sotto controllo, portando i tassi di interesse in forte aumento sul debito pubblico e – potenzialmente – ad una più ampia turbolenza finanziaria. Come in un circolo vizioso, i tassi di interesse elevati e crescenti causerebbero una crescita ancor più veloce al servizio del debito sui pagamenti dello stesso debito federale, con ulteriore e conseguente aumento del debito in rapporto al PIL: fare un aggiustamento di bilancio sarà ancor più difficile“.

Proprio la scorsa settimana, Bernanke annuncia QE3: un acquisto indefinito di titoli garantiti da ipoteca a $ 40MLD al mese che devastano il valore del dollaro degli Stati Uniti attraverso la stampa infinita di fiat ed un “programma di ridistribuzione regressiva” (proprio simile al MES/ESM europeo).

I banchieri centrali stanno distruggendo intenzionalmente il dollaro USA: hanno programmato una fiat globale che andrà a sostituire tutte le fiat del mondo.

E questo è il percorso del NWO (Nuovo Ordine Mondiale).

Come sempre, Orwell ringrazia.

I Giorni dei Topi Reloaded

Fonte: http://www.mentecritica.net/i-giorni-dei-topi-reloaded/cuore-di-tenebra/border-zone/comandante-nebbia/30161/#more-30161

 

La collega Lameduck cita Pasolini, il geniale Blicero pure, ma nell’entusiasmo della giovenile età ci piazza pure Buñuel, Canetti e Henry Miller. Entrambi, probabilmente, per cercare di trovare un iceberg culturale contro il quale si sia schiantato il Titanic Italia. Ma non è necessario.
Il livello, infatti, non è così basso. Gli italiani comuni, quelli che campano di lavoro, pensione e non posseggono navi e aerei privati, non schiattano tutti davanti alla televisione persi tra le tette della Barbara D’Urso, le omelie di Saviano e la disinformazione dei programmi di “attualità” (tutti, la D’Urso, Saviano e l’attualità, con lo stesso obiettivo benzodiazepinico di imbrigliare una sia pur remotissima reazione nella melassa delle lacrime o della facile democrazia partecipativa basata sulla firma dell’appello). Qualcuno continua ad interessarsi di politica, economia e belle arti. Così, senza un fine preciso se non la soddisfazione personale di confrontarsi con qualcuno, evolvere le proprie idee, imparare.

Il problema, se un problema c’è ma non ne sono sicuro, è che questi italiani “normali” che sono stati capaci addirittura di finire di leggere un libro o che cercano di imparare una lingua straniera per leggersi un giornale su internet, non sono ammessi alle sante cose della politica.
Lo dico anche per esperienza personale. Recentemente ho provato a dare un contributo ad una piccola organizzazione politica locale. Ingenuamente ho lasciato intuire di saper coniugare i verbi e di avere una certa autonomia critica. Il risultato è stata la totale ed immediata emarginazione. Sono convinto che molti hanno avuto esperienze simili. Alla fine, dopo secoli di storia tormentata, in Italia il potere l’hanno preso i coglioni, gli ignoranti, i gretti e non lo mollano più.

Indipendentemente dalla bandiera dichiarata, fanno cartello e si coprono a vicenda perché sanno benissimo che dietro le scorte e i vetri blindati che li proteggono c’è il nulla assoluto. Lasciati da soli, senza lo schema che si sono cristallizzati intorno, probabilmente finirebbero a competere con i senegalesi per scaricare le cassette di frutta ai mercati generali.

Lucidamente, in questo c’è una grande equità. La natura e l’universo non hanno una finalità culturale. Il loro scopo non è produrre un superuomo che incarni in sé l’essenza del sapere e della virtute. Natura ed universo sono semplicemente senza finalità. Sono dominati da regole, leggi, interazioni di complessa interpretazione. Di fronte all’infinito, un uomo ed un batterio hanno esattamente le stesse possibilità. Entrambi possono diventare i signori dell’universo, la partita è aperta, ciascuno può giocare liberamente le sue carte. La Natura non giudica, non predilige, non incoraggia, si limita a selezionare.

E’ per questo che quello che accade in questo paese è perfettamente equo e naturale. Se si trascura l’igiene, i parassiti si moltiplicano a dismisura fino, addirittura, a distruggere ottusamente il loro stesso ospite.

I ratti, come si sa, sono destinati al dominio del mondo. Fiorito, nella sua cella, lo sa e, paziente, silenziosamente sorride.

 

Pazzo Giappone: ok alla carbon tax dal 2016, ma riprende la costruzione di una centrale nucleare

Scritto da: Umberto Mazzantini
Fonte: http://greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=18074

Sciolta l’Atomic energy commission.

Studio ventennale sul fallout radioattivo nelle foreste della no-entry zone di Fukushima

Il governo giapponese, fresco di rimpasto, ha istituito «Un tributo ambientale per contribuire a contenere l’uso di combustibili fossili e combattere il global warming». Si tratta di una carbon tax che colpirà i combustibili fossili, a partire da petrolio e gas naturale, che secondo le stime ufficiali costerà circa 1.200 yen in più ad ogni famiglia giapponese a partire dall’anno fiscale 2016.

L’introduzione della tassa è in linea con il programma del Partito democratico del Giappone e della coalizione di governo di centro-sinistra che punta a ridurre, entro il 2020, le emissioni di gas serra del 25% rispetto ai livelli del 1990. La Keidanren-Japan Business Federation, la Confindustria giapponese, si oppone ferocemente alla carbon tax e ha chiesto al governo di fermare il suo piano che prevede di aumentare ulteriormente il prelievo fiscale sulle imprese inquinanti a partire dall’aprile 2014.

Mentre il governo parlava di una futuribile carbon tax che dovrebbe essere applicata nel 2016 da un governo che probabilmente non avrà la stessa maggioranza, la Electric company power development (J-Power ) annunciava il riavvio dei lavori di costruzione di una centrale nucleare ad Ohma (Nella foto) nella prefettura di  Aomori, si tratta della prima decisione del genere dopo il disastro nucleare di Fukushima Daiichi dell’11 marzo 2011.

Ieri, durante una sessione speciale dell’assemblea cittadina Ohma il presidente della J-Power, Masayoshi Kitamura, ha annunciato che la sua compagnia ha deciso di riavviare il progetto grazie ad un recente chiarimento della posizione del governo sugli impianti nucleari non ancora completati prima del terremoto/tsunami del 2011. La J-Power ha iniziato a costruire l’impianto nucleare di Ohma nel 2008, ma ha interrotto i lavori  dopo il disastro di Fukushima Daiichi. La struttura è completata per quasi il  40%. L’assemblea municipale di Ohma ha accolto con favore la decisione e la J-Power ha inviato anche i consiglieri di Hakodate, una città di Hokkaido, per spiegare loro la decisione di riprendere la costruzione della contestata centrale nucleare. Hakodate è a circa 230 km dall’impianto nucleare e la sua popolazione è fortemente contraria al progetto nucleare. Il sindaco di Hakodate, Toshiki Kudo, ha detto: «La mia città non potrà mai accettare la decisione, in quanto il progetto ha ricevuto l’approvazione del governo Ohma basata sui criteri definiti prima dell’incidente di Fukushima. La città adirà alle vie legali per fermare il progetto».

Intanto è stato sciolto Il gruppo di lavoro governativo che stava tentando di formulare un quadro per una nuova politica nucleare giapponese, un compito che l’Atomic energy commission non era riuscita a svolgere in 50 anni, prigioniera delle pressioni della lobby nucleare.  Oggi si è deciso di eliminare la conferenza di esperti che dal 2010 doveva verificare la scurezza della struttura nucleare giapponese. Come risposta al disastro nucleare di Fukushima Daiichi, il governo centrale di Tokyo a settembre aveva annunciato che la nuova politica  nucleare del Paese sarebbe stata decisa da una conferenza ministeriale su energia ed ambiente, i membri dell’Atomic energy commission hanno detto che, «Data la nuova politica energetica, il ruolo della Commissione dovrebbe cambiare». Però tra loro c’è anche chi si è detto dispiaciuto dello scioglimento di una Conferenza di esperti di energia atomica. Dal 1956, l’Atomic energy commission doveva formulare ogni 5 anni le linee guida per l’energia atomica, ma gli innumerevoli incidenti e problemi nascosti che sono venuti alla luce dopo  l’11 marzo 2011  dimostrano che questo compito è stato svolto poco e male. In realtà l’Atomic energy commission giapponese era considerata un vero e proprio pilastro della potentissima industria nucleare e le sue decisioni del passato sono sotto esame della politica e della magistratura. Lo scioglimento dell’organizzazione era tra le opzioni possibili.  La nuova politica energetica del governo prevede di investire tutte le risorse disponibili negli sforzi per realizzare un Paese libero dal nucleare entro il 2030, ma intanto si permette il  riavvio delle attuali centrali nucleari, la ripresa della costruzione di impianti come  Ohma e il riciclaggio continuo di combustibile nucleare.

Mentre in Giappone riparte la discussione dal nucleare e sulla gattopardesca posizione di un governo che parla di uscirne mentre permette di costruire nuove centrali, il Paese fa i conti con la pesantissima eredità di Fukushima Daiichi. Oggi il network radiotelevisivo Nhk ha reso noto che «Un’agenzia di ricerca nucleare giapponese condurrà uno studio a lungo termine sul  fallout radioattivo sulle foreste di Fukushima, per vedere quali siano gli effetti della contaminazione sugli habitat umani».

La Japan Atomic Energy Agency, emanazione del governo, pensa di avviare lo studio entro ottobre, la ricerca riguarderà le foreste che coprono un’area di 20 km intorno alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi, cioè la no-entry zone istituita dopo la tragedia atomica. «Lo studio dovrà anche monitorare i fiumi sotterranei che raccolgono acqua delle sorgenti dell’area – spiega la Nhk – I ricercatori misureranno per circa 20 anni i livelli di cesio radioattivo e di altre sostanze  nel suolo e nell’acqua. Sperano che il monitoraggio a lungo termine consentirà loro di prevedere come i contaminanti vengano trasportati nelle foreste dall’acqua e dal vento e come influenzano gli habitat umani».

La tassa occulta della corruzione: l’Italia perde 10 miliardi di euro di Pil l’anno

Fonte: http://greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=18057

L’onere sui bilanci pubblici è di ulteriori 50-60 miliardi di euro annui

Libera, Avviso Pubblico e Legambiente: «Il 12% degli italiani ha subito la richiesta di una tangente. Tempo scaduto: subito la legge anti-corruzione»

Secondo il rapporto “Corruzione, le cifre della tassa occulta che impoverisce ed inquina il paese” presentato oggi a Roma, «la corruzione nel nostro Paese  è a livelli mastodontici e può crescere ancora, se non si contrasta in modo netto, senza mediazioni, con volontà politica concreta, che vada al di là delle parole». Libera, Legambiente e Avviso Pubblico hanno presentato dati e storie drammatici e inquietanti. Un dossier che arricchito di casistica, di storie e di fatti avvenuti negli ultimi vent’anni diventa un libro dal titolo “Atlante della Corruzione” a cura di Alberto Vannucci di Edizione Gruppo Abele presente nelle librerie.

Secondo le tre associazioni «è possibile tentare di provare una stima, per quanto grezza e approssimativa, dei costi economici della corruzione. Secondo la World Bank, nel mondo si pagano ogni anno più di 1.000 miliardi di dollari di tangenti e va sprecato, a causa della corruzione, circa il 3 per cento del Pil mondiale. Applicando questa percentuale all’Italia, si calcola che annualmente l’onere sui bilanci pubblici è nella misura di 50-60 miliardi di euro l’anno, come una vera e propria tassa immorale e occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei cittadini. Ma si può andare oltre: il peggioramento di un punto dell’indice di percezione della corruzione (Cpi) in un campione di Paesi determina una riduzione annua del prodotto interno lordo pari allo 0,39% e del reddito pro capite pari allo 0,41% e riduce la produttività del 4% rispetto al prodotto interno lordo. Visto che l’Italia nel decennio 2001-2011 ha visto un crollo del proprio punteggio nel Cpi da 5,5 a 3,9, si stima una perdita di ricchezza causata dalla corruzione pari a circa 10 miliardi di euro annui in termini di prodotto interno lordo, circa 170 euro annui di reddito pro capite ed  oltre il 6 per cento in termini di produttività».

Il costo diretto della corruzione, all’incirca in 60 miliardi di euro, è un fardello pesante per i disastrati bilanci dello Stato, ma per il rapporto «ancora più allarmanti sono i danni politici, sociali e ambientali: la delegittimazione delle istituzioni e della classe politica, il segnale di degrado del tessuto morale della classe dirigente, l’affermarsi di meccanismi di selezione che premiano corrotti e corruttori nelle carriere economiche, politiche, burocratiche, il dilagare dell’ecomafia, attraverso fenomeni come i traffici di rifiuti e il ciclo illegale del cemento, che si alimentano quasi sempre anche grazie alla connivenza della cosiddetta “zona grigia”, fatta di colletti bianchi, tecnici compiacenti, politici corrotti. È particolarmente significativo il dato relativo alle esperienze personali di tangenti, ossia alla corruzione vissuta sulla propria pelle dai cittadini dei 27 Paesi dell’Unione Europea».  I dati sono quelli neutri dell’ultima rivelazione di  Eurobarometero 2011: «Il 12% dei cittadini italiani si è visto chiedere una tangente nei 12 mesi precedenti, contro una media europea dell’8%. In termini assoluti, questo significa il coinvolgimento personale, nel corso di quell’anno, di circa 4 milioni e mezzo di cittadini italiani in almeno una richiesta, più o meno velata, di tangenti».

Al netto delle croniche problematiche inerenti una jungla legislativa che fomenta l’incertezza del diritto quanto quella del dovere (creando zone grigie pure per l’azione di chi avrebbe la volontà di operare alla luce del sole), anche parte dell’economia “green” soffre pesantemente il tarlo della corruzione. AvvisoPubblico, Libera e Legambiente sono particolarmente preoccupate da quella che chiamano “corruzione ambientale”: «Sempre più spesso, infatti, attività illegali come il traffico illecito di rifiuti o l’abusivismo edilizio, magari “rivestito” con il rilascio di concessioni illegittime, sono accompagnate da un sistematico ricorso alla corruzione di amministratori pubblici e rappresentanti politici, funzionari incaricati di rilasciare autorizzazioni o di effettuare controlli. I numeri parlano chiaro: dal 1 gennaio 2010 al 30 settembre 2012 sono state 78 le inchieste relative ad episodi di corruzione connessi ad attività dal forte impatto ambientale. Le inchieste analizzate hanno riguardato il ciclo illegale dei rifiuti (dai traffici illeciti agli appalti per la raccolta e la gestione dei rifiuti fino alle bonifiche); il ciclo illegale del cemento (dall’urbanistica alle lottizzazioni, dalle licenze edilizie agli appalti pubblici); le autorizzazioni e la realizzazione di impianti eolici e fotovoltaici; le inchieste sulle grandi opere, le emergenze ambientali e gli interventi di ricostruzione. La “corruzione ambientale”, nel senso del suo impatto sul patrimonio naturale, sul territorio e sul paesaggio, è un veleno che attraversa il Paese: sono 15 le regioni coinvolte nelle inchieste, con 34 procure impegnate, omogeneamente distribuite tra Nord (13), Centro (11) e Sud Italia (10). Il maggior numero d’inchieste, invece, si è concentrato in Lombardia (15) seguita a pari merito, con 8 inchieste ciascuna da Calabria, Campania e Toscana. Le persone arrestate complessivamente, per reati che vanno dalla corruzione all’associazione a delinquere, dal traffico illecito di rifuti al riciclaggio, dal falso in atto pubblico alla truffa aggravata, sono state 1.109».

In testa a questa vergognosa classifica, per numero di arresti (442, pari al 39,9%), ci sono le regioni dell’Italia Nord Occidentale, ma l’incidenza delle regioni a tradizionale presenza mafiosa (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) è rilevante: 409 ordinanze di custodia cautelare, il 36,9% del totale nazionale. Numeri che dimostrano quanto sia stretto il legame tra corruzione e mafie. A guidare la classifica nazionale per numero di persone arrestate è la Calabria (224), seguita da Piemonte (210) Lombardia (209), Toscana (154) e Campania (130).

Il settore più esposto e vulnerabile alla corruzione e quello dell’edilizia e delle costruzioni, un fenomeno che inesorabilmente si ripercuote sulla capacità di resistenza degli edifici agli eventi sismici. «Ci si può chiedere quante tra le 27 vittime del sisma in Emilia Romagna nel 2012, le 308 vittime del terremoto in Abruzzo del 2009 (considerato dagli esperti “di magnitudo moderata”), le 30 di San Giuliano di Puglia nel 2001 (evento di modesta intensità), 2914 in Irpinia nel 1980, 989 in Friuli nel 1976, 370 nel Belice nel 1968, per citare solo gli episodi più gravi degli ultimi decenni, abbiano perso la vita anche a causa delle tangenti che avevano dequalificato le scelte urbanistiche, dissuaso un serio controllo sui processi di costruzione, permesso l’impiego di materiali scadenti»si legge nel rapporto.

Ma non si muore solo per corruzione ambientale: «È stata dimostrata una forte correlazione tra il tasso di mortalità infantile, riferito a bambini fino a 5 anni, e la diffusione della corruzione, misurata attraverso l’indice di percezione di Transparency International. Una stima molto prudenziale conduce a ipotizzare che “circa l’1,6% dei decessi di bambini nel mondo possa essere spiegata dalla corruzione, il che significa che, delle 8.795.000 morti annuali di bambini, più di 140.000 possono essere indirettamente attribuite alla corruzione”. Il rapporto causa-effetto tra tangenti e morti infantili è evidente, visto che la corruzione ridistribuisce nelle tasche di corrotti e corruttori quote di quei fondi che sarebbero altrimenti destinate a finanziare programmi di cura, assistenza e prevenzione della malattie. In Italia nel 2010 il tasso di mortalità infantile è stato del 3,7 per mille, pari all’incirca a 12.638 bambini deceduti in quella fascia d’etàApplicando la fatidica percentuale dell’1,6% di vittime infantili della corruzione, soltanto in quell’anno in Italia si arriva a stimare la perdita di 202 bambini a causa delle tangenti».

Una Tangentopoli infinita, che, come dimostrano anche le ultime vicende laziali, campane, lombarde e piemontesi,  cambia aspetto e si rigenera anno dopo anno e che «Non scava soltanto voragini nei bilanci pubblici ma genera un pericoloso deficit di democrazia e devasta l’ambiente in cui viviamo. La corruzione ci ruba il futuro, in  tutti i sensi – dicono le tre associazioni – Una mega tassa occulta che impoverisce il paese sul piano economico, politico, culturale e ambientale. Un male che comporta rischi per la credibilità della nostra economia, per la tenuta della nostra immagine all’estero, per gli investimenti nel nostro Paese. E che crea disuguaglianze, massacra le politiche sociali, avvelena l’ambiente, tiene in ostaggio la democrazia, inquina l’economia. In alcuni appalti la rendita della corruzione è pari al 40-50% del prezzo pagato per opere pubbliche, servizi o forniture, in altri persino superiore».

Ma c’è anche un altro aspetto che abbiamo tutti davanti agli occhi: «È naturale che le probabilità di corruzione aumentino quanto meno trasparente risulta l’esercizio del potere pubblico, meno incisivi i controlli. Anche negli appalti banditi dalla Protezione civile, tramite strutture di missione costruite ad hoc per gestire emergenze spesso posticce, le inchieste condotte a Firenze, Perugia e Roma hanno documentato una successiva sostanziosa lievitazione di prezzo. Su 33 grandi opere oggetto di indagine nel triennio 2007-2010, il costo sostenuto dalle casse pubbliche è passato dai 574 milioni di euro dell’assegnazione iniziale, già in affidamento diretto senza gara, presumibilmente più elevata rispetto agli standard di mercato, a 834 milioni di euro. Un onere aggiuntivo per i cittadini quantificato con precisione in 259.895.849 euro, pari al 45 per cento del valore iniziale di aggiudicazione».

Allora non sorprende che nel 2010 per il 56,5% degli italiani i partiti fossero “estremamente corrotti”, (54% nel 2007 e 44% nel 2006) una cifra da Paese sottosviluppato o dittatoriale. Nel 2011 il 67% degli italiani ritiene che dare e ricevere tangenti e abusare del proprio ruolo per fini privati sia pratica diffusa tra i politici di livello nazionale (la media europea è il  57%). Per il 57 e il 53% degli italiani le tangenti sono prassi corrente anche per i politici di livello regionale e locale.

Libera, Legambiente e Avviso Pubblico sottolineano che «davanti a queste cifre catastrofiche la classe politica di questo paese è chiamata a fare delle scelte chiare, nette e concrete. Non ci sono più alibi. Il tempo è scaduto, come dimostra anche questo dossier. Bisogna approvare il disegno di legge anticorruzione. Bisogna dire basta a chi ruba. E’ quello che hanno chiesto a viva voce oltre un milione e mezzo di italiani firmando le cartoline con cui Libera ed Avviso pubblico hanno sollecitato l’effettivo recepimento delle convenzioni internazionali contro la corruzione. Cartoline consegnate al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che anche in questi giorni ha richiamato più volte le forze politiche presenti in Parlamento all’adozione di provvedimenti legislativi attesi da troppo tempo. Il disegno di legge attualmente in discussione al Senato cerca di attuare un’importante riforma, ma viene fortemente ostacolato: a parole tutti sono contro la corruzione, tutti si sono indignati in questi giorni per alcune vicende veramente disgustose, ma non basta più indignarsi. Bisogna muoversi. Con il disegno di legge anti corruzione, per la prima volta a vent’anni dalle inchieste di “Mani pulite”, la classe politica affronta il problema della repressione penale e alcuni profili di prevenzione dei reati di corruzione. Nel testo approvato alla Camera verrebbero introdotte nel nostro ordinamento fattispecie già previste dalla Convenzione di Strasburgo firmata dall’Italia nel 1999, ma mai applicate, come la corruzione privata e il traffico di influenze illecite (ossia le attività di intermediazione a fini di corruzione). Il reato di corruzione per atto d’ufficio verrebbe convertito in “corruzione per l’esercizio della funzione”, coprendo così i frequenti casi di funzionari o politici “a libro paga” dei corruttori. E’ possibile, insomma migliorare il testo approvato alla Camera e farlo in tempi brevi, introducendo, ad esempio, il reato di autoriciclaggio, inasprendo le pene per la nuova formulazione del reato di concussione per induzione, accelerando quanto più possibile i tempi per l’introduzione di norme che prevedono l’incandidabilità di chi è condannato per corruzione».

Le tre associazioni sono però preoccupate: «Vanno evitati “colpi di spugna” ad personam e soprattutto tattiche dilatorie, che facciano perdere altro tempo. Libera, Legambiente e Avviso Pubblico chiedono, in particolare, che venga definitivamente applicata la confisca dei beni ai corrotti  già presente nella Finanziaria del 2007. Come i mafiosi, i corrotti devono restituire tutto alla collettività. Venga tolto il bottino ai ladri di futuro. C’è bisogno di un segnale importante nel nostro paese dove siamo ancora molto lontani dal riconoscere la contiguità delle forme di corruzione con quelle della criminalità organizzata».

Il mito dell’insolvenza del Giappone

Fonte: http://webofdebt.wordpress.com
Traduzione: http://fantpolitik.blogspot.it/

Il più grande “debitore” del mondo è adesso il più grande creditore del mondo L’enorme debito pubblico del Giappone nasconde un enorme beneficio per il popolo giapponese, il che insegna molto sulla crisi debitoria degli USA. In un articolo pubblicato su Forbes nell’aprile del 2012, intitolato “Se il Giappone È insolvente, Come Mai Sta Soccorrendo Economicamente l’Europa?””, Eamon Fingleton faceva notare come il Giappone sia il paese, al di fuori dell’Eurozona, che abbia dato di gran lunga il maggior contributo all’ultima operazione di salvataggio finanziario dell’Euro. Si tratta, scrive, dello “stesso governo che è andato in giro facendo finta di essere in bancarotta (o perlomeno, che ha evitato di opporsi sul serio quando ottusi commentatori americani e britannici hanno dipinto le finanze pubbliche giapponesi come un totale disastro).” Osservando che fu sempre il Giappone, praticamente da solo, a salvare il FMI al culmine del panico globale del 2009, Fingleton domanda: “Com’è possibile che una nazione il cui governo si suppone sia il più indebitato tra i paesi avanzati si permetta tanta generosità? (…) L’ipotesi è che la vera finanza pubblica del Giappone sia molto più solida di quanto la stampa occidentale ci abbia fatto credere. Quello che non si può negare è che il Ministero delle Finanze giapponese sia uno dei meno trasparenti del mondo…” Fingleton riconosce che i passivi del governo giapponese sono ingenti, ma dice che dovremmo guardare anche all’aspetto patrimoniale del bilancio: “[I]l Ministero delle Finanze di Tokyo ottiene sempre più prestiti dai cittadini giapponesi, ma non per pazze spese statali in patria, bensì all’estero. Oltre a rimpolpare il piatto per far sopravvivere il FMI, Tokyo è ormai da tempo il prestatore di ultima istanza sia del governo statunitense sia di quello britannico. E intanto prende in prestito denaro con un tasso di appena l’1% in dieci anni, il secondo tasso più basso del mondo dopo quello svizzero.” Per il governo giapponese è un buon affare: può farsi prestare denaro all’1% in dieci anni, e prestarlo agli USA a un tasso dell’1,6 (il tasso attuale dei titoli USA a dieci anni ), con un discreto margine di guadagno. Il rapporto debito/PIL del Giappone è quasi del 230% , il peggiore tra i più grandi paesi del mondo. Eppure il Giappone resta il maggior creditore del mondo, con un netto di bilancio con l’estero di 3.190 miliardi di dollari. Nel 2010 il suo PIL pro capite era superiore a quello di Francia, Germania, Regno Unito e Italia. Inoltre, anche se l’economia della Cina è arrivata, a causa della sua popolazione in progressivo aumento (1,3 miliardi contro 128 milioni), a superare quella del Giappone, i 5.414 dollari di PIL pro capite dei cinesi è solo il 12% dei 45.920 dei giapponesi. Come si spiegano queste anomalie? Un buon 95% del debito pubblico giapponese è detenuto all’interno del paese, dagli stessi cittadini. Oltre il 20% del debito è in possesso della Japan Post Bank [1], dalla Banca centrale e da altre istituzioni statali. La Japan Post è la più grande detentrice di risparmio interno del mondo, e gli interessi li versa ai suoi clienti giapponesi. Anche se in teoria è stata privatizzata nel 2007, è pesantemente influenzata dalla politica, e il 100% delle sue azioni è in mano pubblica. La Banca centrale giapponese è posseduta dallo stato per il 55%, ed è sotto il suo controllo per il 100%. Del debito rimanente, oltre il 60% è detenuto da banche giapponesi, compagnie assicurative e fondi pensione. Un ulteriore porzione è in mano a singoli risparmiatori. Solo il 5% è detenuto all’estero , per lo più da banche centrali. Come osserva il New York Times in un articolo del settembre 2011: “Il governo giapponese è pieno di debiti, ma il resto del Giappone ha denaro in abbondanza.” Il debito pubblico giapponese è il denaro dei cittadini. Si possiedono l’un l’altro e ne raccolgono insieme i frutti. I Miti del Rapporto Debito/PIL in Giappone Il rapporto debito pubblico/PIL del Giappone sembra davvero pessimo. Ma, come osserva l’economista Hazel Henderson , si tratta solo di una questione di procedura contabile – una procedura che lei e altri esperti ritengono fuorviante. Il Giappone è leader mondiale in parecchi settori della produzione di alta tecnologia, inclusa quella aerospaziale. Il debito che compare sull’altra colonna del suo bilancio rappresenta il premio riscosso dai cittadini giapponesi per tutta questa produttività. Secondo Gary Shilling in un suo articolo su Bloomberg del giugno 2012, più della metà della spesa pubblica giapponese va in servizi al debito e previdenza sociale. Il servizio al debito viene erogato sotto forma di interessi ai “risparmiatori” giapponesi. La previdenza e gli interessi sul debito pubblico non vengono inclusi nel PIL, ma in realtà si tratta della rete di sicurezza sociale e dei dividendi collettivi di un’economia altamente produttiva. Sono questi, più dell’industria bellica e dei “prodotti finanziari” che costituiscono una grossa parte del PIL degli USA, i veri frutti dell’attività economica di una nazione. Per quel che riguarda il Giappone, rappresentano il godimento da parte dei cittadini dei grandi risultati della loro base industriale ad alta tecnologia. Shilling scrive: “Il deficit statale si suppone serva a stimolare l’economia, eppure la composizione della spesa pubblica giapponese, sotto questo aspetto, non sembra molto utile. Si stima che il servizio al debito e la previdenza – in genere non uno stimolo per l’economia – consumeranno il 53,5% della spesa per il 2012…” Questo è quello che sostiene la teoria convenzionale, ma in realtà la previdenza e gli interessi versati ai risparmiatori interni stimolano, eccome, l’economia. Lo fanno mettendo denaro in tasca ai cittadini, incrementando così la “domanda”. I consumatori che hanno soldi da spendere riempiono i centri commerciali, incrementando così gli ordini di ulteriori merci, e spingendo in su produzione e occupazione. I Miti sull’Alleggerimento Quantitativo Una parte del denaro destinato alla spesa pubblica viene ottenuto direttamente “stampando moneta” per mezzo della banca centrale, procedura nota anche come “alleggerimento quantitativo” [Quantitative easing]. Per più di un decennio la Banca del Giappone ha seguito questa procedura; e tuttavia l’iperinflazione che secondo i falchi del debito si sarebbe dovuta innescare non si è verificata. Al contrario, come osserva Wolf Richter in un articolo del 9 maggio 2012: “I giapponesi [sono] infatti tra i pochi al mondo a godersi una vera stabilità dei prezzi, con periodi alternati di piccola inflazione o piccola deflazione – l’opposto di un’inflazione al 27% su dieci anni che la Fed si è inventata chiamandola, demenzialmente, ‘stabilità dei prezzi’”. E cita come prova il seguente grafico diffuso dal Ministero degli Interni giapponese: Com’è possibile? Dipende tutto da dove va a finire il denaro prodotto con l’alleggerimento quantitativo. In Giappone, il denaro preso in prestito dallo stato torna nelle tasche dei cittadini sotto forma di previdenza sociale o interessi sui loro risparmi. I soldi sui conti bancari dei consumatori stimolano la domanda, stimolando la produzione di beni e servizi, facendo aumentare l’offerta. E quando domanda e offerta aumentano insieme, i prezzi restano stabili. I Miti sul “Decennio Perduto” La finanza giapponese si è a lungo ammantata di segretezza, forse perché quando il paese era maggiormente disposto a stampare denaro per sostenere le proprie industrie, si è fatto coinvolgere nella II Guerra Mondiale . Nel suo libro del 2008, In the Jaws of the Dragon, Fingleton suggerisce che il Giappone abbia simulato l’insolvenza del “decennio perduto” degli anni 90 per evitare di incorrere nell’ira dei protezionisti americani a causa delle sue fiorenti esportazioni di automobili e altre merci. Smentendo le pessime cifre ufficiali, durante quel decennio le esportazioni giapponesi aumentarono del 75%, ci fu un incremento delle proprietà all’estero, e l’uso di energia elettrica aumentò del 30%, segnale rivelatore di un settore industriale in espansione. Arrivati al 2006, le esportazioni del Giappone erano diventate il triplo rispetto al 1989. Il governo giapponese ha sostenuto la finzione di adeguarsi alle norme del sistema bancario internazionale, prendendo “in prestito” il denaro invece di “stamparlo” direttamente. Ma prendere in prestito il denaro emesso da una banca centrale proprietà dello stesso governo è l’equivalente pratico di un governo che il denaro se lo stampi, in particolare quando il debito continua a rimanere nei bilanci ma non viene mai ripagato. Implicazioni per il “Precipizio Fiscale” [2] Tutto questo ha delle implicazioni per gli americani preoccupati per un debito pubblico fuori controllo. Adeguatamente guidato e gestito, a quanto pare, il debito non deve far paura. Come il Giappone, e a differenza della Grecia e degli altri paesi dell’Eurozona, gli USA sono gli emittenti sovrani della propria valuta. Se lo volesse, il Congresso potrebbe finanziare il proprio bilancio senza ricorrere a investimenti esteri o banche private. Potrebbe farlo emettendo direttamente moneta o facendosela prestare dalla propria banca centrale, a tutti gli effetti a zero interessi, dato che la Fed versa allo stato i suoi profitti dopo averne sottratto i costi. Un po’ di alleggerimento quantitativo può essere positivo, se il denaro arriva allo stato e ai cittadini piuttosto che nelle riserve bancarie. Lo stesso debito pubblico può essere una cosa positiva. Come testimoniò Marriner Eccles , direttore della Commissione della Federal Reserve, in un’audizione davanti alla Commissione Parlamentare Bancaria e Valutaria [ House Committee on Banking and Currency] nel 1941, il credito dello stato (o il debito) “è ciò in cui consiste il nostro sistema monetario. Se nel nostro sistema monetario non ci fosse il debito, non ci sarebbe nemmeno denaro”. Adeguatamente gestito, il debito pubblico diventa il denaro che i cittadini possono spendere. Stimola la domanda, finendo per stimolare la produttività. Per mantenere il sistema stabile e sostenibile, il denaro deve avere origine dallo stato e i suoi cittadini, e finire nelle tasche del medesimo stato e dei medesimi cittadini. di Ellen Brown Ellen Brown è avvocato a Los Angeles e autrice di 11 libri. In Web of Debt: The Shocking Truth about Our Money System and How We Can Break Free,mostra come un monopolio bancario abbia usurpato il potere di emettere valuta, sottraendolo alla sovranità del popolo, e come il popolo possa riappropriarsene. Altri articoli di Ellen Brown. Il suo sito personale.