DAL FASCIO ALLO SFASCIO Conoscere l’Italia per sapere cosa sta accadendo

Scritto da: Antonella Randazzo
Fonte: http://lanuovaenergia.blogspot.com/

Le parole ricorrenti sui giornali stranieri che puntano l’attenzione sull’Italia non sono affatto lusinghiere: c’è chi scrive “Berlusconi buffone”, chi parla di un pericolo “bancarotta dello Stato” , e chi invoca il “salvataggio”.
Cosa sta accadendo in Italia?
Perché ci troviamo così bersagliati?
Perché gli italiani sono sempre più poveri?
Perché l’Italia dovrebbe svendersi ai cinesi?

Questo libro nasce per capire meglio la situazione in cui ci troviamo, e soprattutto per far emergere i modi possibili per uscire dalla situazione attuale.

Per affrontare una situazione bisogna prima capirla bene. Per dirla con il giornalista e scrittore Domenico Bartoli: “Faccia piacere o no… nella Storia bisogna restare… Così facendo più facilmente capiremo perché dal regime soffocante del fascio siamo alla confusione… dello sfascio”.  Il libro considera la migliore produzione editoriale sulla Storia d’Italia, mirando a dare una panoramica chiara e semplice di quello che gli italiani hanno vissuto dall’avvento del fascismo fino all’epoca attuale, dal punto di vista sociale, politico, economico e finanziario.
L’obiettivo è quello di andare oltre la propaganda, trovando gli elementi che determinano i fatti dei nostri giorni e i potenziali per uscirne.

Per maggiori approfondimenti: http://lanuovaenergia.blogspot.com/2010/03/dal-fascio-allo-sfascio-conoscere.html

Cesare Lombroso l’inventore dell’Antropologia criminale

Fonte:http://cronologia.leonardo.it/lombroso/lombroso.htm

Cesare Lombroso nasce a Verona il 6 novembre 1835 da un’agiata famiglia ebraica. Sofferente di angina pectoris, morirà il 19 ottobre 1909 nella sua casa torinese.

Nel 1852 si iscrive alla facoltà di medicina dell’Università di Pavia, dove si laurea nel 1858.
La fama di Lombroso è legata soprattutto alla teoria dell’uomo delinquente nato o atavico, individuo che reca nella struttura fisica i caratteri degenerativi che lo differenziano dall’uomo normale e socialmente inserito.

Nel 1866 Lombroso è nominato professore straordinario dell’Università di Pavia.Nel 1871 Lombroso ottiene la direzione del manicomio di Pesaro dove vivrà una felice esperienza professionale, in quel periodo elabora una proposta che sottopone alle autorità ministeriali: la creazione di manicomi criminali destinati agli alienati che delinquono e agli alienati pericolosi. L’anno dopo rientra a Pavia e inizia gli studi che lo porteranno alla elaborazione della “teoria dell’uomo delinquente”.

Nel 1897 pubblica la quinta edizione dell’Uomo delinquente, in quattro volumi, di cui uno contenente un singolare “ATLANTE”. (qui in parte riportato e che possediamo in originale)
L’analisi dei caratteri somatici criminali nelle immagini dfi questo atlante si fa sempre più dettagliata e l’Autore propone le caratteristiche proprie dei tipi criminali, differenziati in base alle anomalie proprie della classe a cui appartengono. Si delinea quindi il profilo criminologico del pazzo morale e del pazzo epilettico, accomunando nella stessa classe degli epilettoidi i pazzi morali, i delinquenti epilettici e i delinquenti nati; segue l’analitica descrizione dei mattoidi, ovvero individui alienati che passano per geni, ma che in realtà sono persone comuni affette da un’ideazione patologica che li porta a dedicarsi ad attività estranee alle loro capacità.

Essi si improvvisano politici seduttori, ammalianti predicatori, venditori di fumo, e via di seguito e sono animati da una esagerata laboriosità oltre a sfoggiare un nascisistico culto della propria personalità.

Conscio che la teoria atavica del delinquente è stata messa in discussione dagli studi dei suoi stessi allievi e seguaci, fra i quali Enrico Ferri, Lombroso, pur restando fedele alla primitiva impostazione della teoria antropologica dell’uomo delinquente, introduce nuovi elementi nello studio del fenomeno criminale, nel tentativo di sfuggire alle critiche, talvolta acute.
Nella Funzione sociale del delitto, pubblicato nel 1897, infatti, la prospettiva si amplia e Lombroso tenta un’analisi sociale del delitto a vasto raggio, proponendo un’interpretazione della società e del delitto, riferito non più soltanto al criminale atavico, ma a settori della vita pubblica e politica, dove nuovi reati “nuovi rami di truffa o di intrigo politico, o di peculato” crescono “quanto più la civiltà si va avanzando”.
Lombroso osa sfidare il senso comune proponendo una visione della realtà del delitto che investe anche uomini di governo, parlamentari, che agiscono attraverso la menzogna, la truffa, il segno del vizio, dell’amoralità, della delinquenza (spesso legalizzata con leggi e norme fatte da loro stessi).

Oggi nessuno potrebbe sostenere la validità scientifica delle teorie lombrosiane, ma è doveroso mettere in evidenza lo sforzo e la novità del lavoro di Lombroso che, partendo dal dato bio-antropologico, ha aperto la strada ad un approccio multifattoriale che comprende anche gli aspetti sociali, su cui lavoreranno i suoi allievi Ferri e Garofalo.

Con Lombroso l’Italia ha cominciato a interrogarsi su aspetti fino ad allora trascurati, e lo studio del delitto è stato affrontato per la prima volta come fenomeno umano e sociale.

Con le teorie di Lombroso, all’insegna del consenso o del dissenso, si confrontano un po’ tutti gli studiosi che si occupano di criminologia ma per alcuni di questi il rapporto con Lombroso è particolarmente forte tanto che si usa parlare di scuola positiva.

Il museo creato da Lombroso, negli spazi messi a disposizione dall’Università, intanto, aveva assunto dignità scientifica e, nella nuova versione, fu inaugurato nel 1898, in occasione del Primo Congresso Nazionale di Medicina legale. Il ministero di Grazia e Giustizia l’anno dopo emanò una circolare con la quale dispose che le cancellerie penali consegnassero al museo di Torino armi o altri strumenti con i quali erano stati commessi delitti. La disposizione sarà riconfermata in data 21 giugno 1909 con la precisazione che fosse fatta un’equa ripartizione dei corpi di reato tra il museo di Torino e il museo di Roma, già istituito nel 1904 dal medico legale Salvatore Ottolenghi, ex allievo di Lombroso, nell’ambito della prima scuola di Polizia scientifica, situata nell’edificio delle Carceri Nuove, in via Giulia.

Sorsero poi, altri musei criminali, di Polizia scientifica e di antropologia criminale annessi, quasi sempre, ai gabinetti scientifici delle università e delle questure. Lo scopo principale era quello di esporre reperti anatomici e oggetti provenienti dalle carceri, manufatti di detenuti, testimonianze del mondo criminale, foto di “tipi” ripresi ai fini della classificazione e dell’identificazione di criminali, foto di tatuaggi, scritti vari per gli esami grafologici e quant’altro. La fisionomia del museo lombrosiano poi cambia assumendo sempre più quella di un museo di medicina legale. Superato il periodo della guerra, nel 1948 il museo subisce un nuovo trasferimento nei locali appositamente costruiti per l’Istituto di Medicina Legale in corso Galileo, destinato all’Istituto di Antropologia Criminale.
Mentre quasi tutti i suoi reperti sono oggi raccolti nel Museo di antropologia criminale di Torino, nell’ultima edizione della sua opera sull’Uomo Delinquente Lombroso aveva allegato – come abbiamo già detto – un ATLANTE fotografico e corredato di singolari tabelline, frutto di accurate catalogazioni delle varie tipologie nelle varie nazioni, e in particolare quella Italiana, suddivise in Regioni e anche in Province.

Come è stata svenduta l’Italia

Scritto da: Antonella Randazzo
Fonte: www.disinformazione.it

Era il 1992, all’improvviso un’intera classe politica dirigente crollava sotto i colpi delle indagini giudiziarie. Da oltre quarant’anni era stata al potere. Gli italiani avevano sospettato a lungo che il sistema politico si basasse sulla corruzione e sul clientelismo. Ma nulla aveva potuto scalfirlo. Né le denunce, né le proteste popolari (talvolta represse nel sangue), né i casi di connivenza con la mafia, che di tanto in tanto salivano alla cronaca. Ma ecco che, improvvisamente, il sistema crollava.
Cos’era successo da fare in modo che gli italiani potessero avere, inaspettatamente, la soddisfazione di constatare che i loro sospetti sulla corruzione del sistema politico erano reali?

Mentre l’attenzione degli italiani era puntata sullo scandalo delle tangenti, il governo italiano stava prendendo decisioni importantissime per il futuro del paese.
Con l’uragano di “Tangentopoli” gli italiani credettero che potesse iniziare un periodo migliore per l’Italia. Ma in segreto, il governo stava attuando politiche che avrebbero peggiorato il futuro del paese. Numerose aziende saranno svendute, persino la Banca d’Italia sarà messa in vendita. La svendita venne chiamata “privatizzazione”.

Il 1992 fu un anno di allarme e di segretezza. L’allora Ministro degli Interni Vincenzo Scotti, il 16 marzo, lanciò un allarme a tutti i prefetti, temendo una serie di attacchi contro la democrazia italiana. Gli attacchi previsti da Scotti erano eventi come l’uccisione di politici o il rapimento del presidente della Repubblica. Gli attacchi ci furono, e andarono a buon fine, ma non si trattò degli eventi previsti dal Ministro degli Interni. L’attacco alla democrazia fu assai più nascosto e destabilizzante.

Nel maggio del 1992, Giovanni Falcone venne ucciso dalla mafia. Egli stava indagando sui flussi di denaro sporco, e la pista stava portando a risultati che potevano collegare la mafia ad importanti circuiti finanziari internazionali. Falcone aveva anche scoperto che alcuni personaggi prestigiosi di Palermo erano affiliati ad alcune logge massoniche di rito scozzese, a cui appartenevano anche diversi mafiosi, ad esempio Giovanni Lo Cascio. La pista delle logge correva parallela a quella dei circuiti finanziari, e avrebbe portato a risultati certi, se Falcone non fosse stato ucciso.

Su Falcone erano state diffuse calunnie che cercavano di capovolgere la realtà di un magistrato integro. La gente intuiva che le istituzioni non lo avevano protetto. Ciò emerse anche durante il suo funerale, quando gli agenti di polizia si posizionarono davanti alle bare, impedendo a chiunque di avvicinarsi. Qualcuno gridò: “Vergognatevi, dovete vergognarvi, dovete andare via, non vi avvicinate a queste bare, questi non sono vostri, questi sono i nostri morti, solo noi abbiamo il diritto di piangerli, voi avete solo il dovere di vergognarvi”.
Che la mafia stesse utilizzando metodi per colpire il paese intero, in modo da spaventarlo e fargli accettare passivamente il “nuovo corso” degli eventi, lo si vedrà anche dagli attentati del 1993.

Gli attentati del 1993 ebbero caratteristiche assai simili agli attentati terroristici degli anni della “strategia della tensione”, e sicuramente avevano lo scopo di spaventare il paese, per indebolirlo. Il 4 maggio 1993, un’autobomba esplode in via Fauro a Roma, nel quartiere Parioli. Il 27 maggio un’altra autobomba esplode in via dei Georgofili a Firenze, cinque persone perdono la vita. La notte tra il 27 e il 28 luglio, ancora un’autobomba esplode in via Palestro a Milano, uccidendo cinque persone. I responsabili non furono mai identificati, e si disse che la mafia volesse “colpire le opere d’arte nazionali”, ma non era mai accaduto nulla di simile. I familiari delle vittime e il giudice Giuseppe Soresina saranno concordi nel ritenere che quegli attentati non erano stati compiuti soltanto dalla mafia, ma anche da altri personaggi dalle “menti più fini dei mafiosi”.[1]

Falcone era un vero avversario della mafia. Le sue indagini passarono a Borsellino, che venne assassinato due mesi dopo. La loro morte ha decretato il trionfo di un sistema mafioso e criminale, che avrebbe messo le mani sull’economia italiana, e costretto il paese alla completa sottomissione politica e finanziaria.
Mentre il ministro Scotti faceva una dichiarazione che suonava quasi come una minaccia: “la mafia punterà su obiettivi sempre più eccellenti e la lotta si farà sempre più cruenta, la mafia vuole destabilizzare lo stato e piegarlo ai propri voleri”, Borsellino lamentava regole e leggi che non permettevano una vera lotta contro la mafia. Egli osservava: “non si può affrontare la potenza mafiosa quando le si fa un regalo come quello che le è stato fatto con i nuovi strumenti processuali adatti ad un paese che non è l’Italia e certamente non la Sicilia. Il nuovo codice, nel suo aspetto dibattimentale, è uno strumento spuntato nelle mani di chi lo deve usare. Ogni volta, ad esempio, si deve ricominciare da capo e dimostrare che Cosa Nostra esiste”.[2]

I metodi statali di sabotaggio della lotta contro la mafia sono stati denunciati da numerosi esponenti della magistratura. Ad esempio, il 27 maggio 1992, il Presidente del tribunale di Caltanissetta Placido Dall’Orto, che doveva occuparsi delle indagini sulla strage di Capaci, si trovò in gravi difficoltà: “Qui è molto peggio di Fort Apache, siamo allo sbando. In una situazione come la nostra la lotta alla mafia è solo una vuota parola, lo abbiamo detto tante volte al Csm”.[3]
Anche il Pubblico Ministero di Palermo, Roberto Scarpinato, nel giugno del 1992 disse: “Su un piatto della bilancia c’ è la vita, sull’altro piatto ci deve essere qualcosa che valga il rischio della vita, non vedo in questo pacchetto un impegno straordinario da parte dello Stato, ad esempio non vedo nulla di straordinario sulla caccia e la cattura dei grandi latitanti”.[4]
Nello stesso anno, il senatore Maurizio Calvi raccontò che Falcone gli confessò di non fidarsi del comando dei carabinieri di Palermo, della questura di Palermo e nemmeno della prefettura di Palermo.[5]

Che gli assassini di capaci non fossero tutti italiani, molti lo sospettavano.
Il Ministro Martelli, durante una visita in Sudamerica, dichiarò: “Cerco legami tra l’assassinio di Falcone e la mafia americana o la mafia colombiana”.[6] Lo stesso presidente del consiglio Amato, durante una visita a Monaco, disse: “Falcone è stato ucciso a Palermo ma probabilmente l’omicidio è stato deciso altrove”.
Probabilmente, le tecniche d’indagine di Falcone non piacevano ai personaggi con cui il governo italiano ebbe a che fare quell’anno. Quel considerare la lotta alla mafia soprattutto un dovere morale e culturale, quel coinvolgere le persone nel candore dell’onestà e dell’assenza di compromessi, gli erano valsi la persecuzione e i metodi di calunnia tipici dei servizi segreti inglesi e statunitensi. Tali metodi mirano ad isolare e a criminalizzare, cercando di fare apparire il contrario di ciò che è. Cercarono di far apparire Falcone un complice della mafia. Antonino Caponnetto dichiarò al giornale La Repubblica: “Non si può negare che c’è stata una campagna (contro Falcone), cui hanno partecipato in parte i magistrati, che lo ha delegittimato. Non c’è nulla di più pericoloso per un magistrato che lotta contro la mafia che l’essere isolato”.[7]

L’omicidio di due simboli dello Stato così importanti come Falcone e Borsellino significava qualcosa di nuovo. Erano state toccate le corde dell’élite di potere internazionale, e questi omicidi brutali lo testimoniavano. Ciò è stato intuito anche da Charles Rose, Procuratore distrettuale di New York, che notò la particolarità degli attentati: “Neppure i boss più feroci di Cosa Nostra hanno mai voluto colpire personalità dello Stato così visibili come era Giovanni, perché essi sanno benissimo quali rischi comporta attaccare frontalmente lo Stato. Quell’attentato terroristico è un gesto di paura… Credo che una mafia che si mette a sparare ai simboli come fanno i terroristi… è condannata a perdere il bene più prezioso per ogni organizzazione criminale di quel tipo, cioè la complicità attiva o passiva della popolazione entro la quale si muove”.[8]

Infatti, quell’anno gli italiani capirono che c’era qualcosa di nuovo, e scesero in piazza contro la mafia. Si formarono due fronti: la gente comune contro la mafia, e le istituzioni, che si stavano sottomettendo all’élite che coordina le mafie internazionali.
Quell’anno l’élite anglo-americana non voleva soltanto impedire la lotta efficace contro la mafia, ma voleva rendere l’Italia un paese completamente soggiogato ad un sistema mafioso e criminale, che avrebbe dominato attraverso il potere finanziario.

Come segnalò il presidente del Senato Giovanni Spadolini, c’era in atto un’operazione su larga scala per distruggere la democrazia italiana: “Il fine della criminalità mafiosa sembra essere identico a quello del terrorismo nella fase più acuta della stagione degli anni di piombo: travolgere lo stato democratico nel nostro paese. L’obiettivo è sempre lo stesso:  delegittimare lo Stato, rompere il circuito di fiducia tra cittadini e potere democratico…se poi noi scorgiamo – e ne abbiamo il diritto – qualche collegamento internazionale intorno alla sfida mafia più terrorismo, allora ci domandiamo: ma forse si rinnovano gli scenari di dodici-undici anni fa? Le minacce dei centri di cospirazione affaristico-politica come la P2 sono permanenti nella vita democratica italiana. E c’è un filone piduista che sopravvive, non sappiamo con quanti altri. Mafia e P2 sono congiunte fin dalle origini, fin dalla vicenda Sindona”.[9]

Anche Tina Anselmi aveva capito i legami fra mafia e finanza internazionale: “Bisogna stare attenti, molto attenti… Ho parlato del vecchio piano di rinascita democratica di Gelli e confermo che leggerlo oggi fa sobbalzare. E’ in piena attuazione… Chi ha grandi mezzi e tanti soldi fa sempre politica e la fa a livello nazionale ed internazionale. Ho parlato in questi giorni con un importante uomo politico italiano che vive nel mondo delle banche. Sa cosa mi ha detto? Che la mafia è stata più veloce degli industriali e che sta già investendo centinaia di miliardi, frutto dei guadagni fatti con la droga, nei paesi dell’est… Stanno già comprando giornali e televisioni private, industrie e alberghi… Quegli investimenti si trasformeranno anche in precise e specifiche azioni politiche che ci riguardano, ci riguardano tutti. Dopo le stragi di Palermo la polizia americana è venuta ad indagare in Sicilia anche per questo, sanno di questi investimenti colossali, fatti regolarmente attraverso le banche”.[10]

Anni dopo, l’ex ministro Scotti confesserà a Cirino Pomicino: “Tutto nacque da una comunicazione riservata fattami dal capo della polizia Parisi che, sulla base di un lavoro di intelligence svolto dal Sisde e supportato da informazioni confidenziali, parlava di riunioni internazionali nelle quali sarebbero state decise azioni destabilizzanti sia con attentati mafiosi sia con indagini giudiziarie nei confronti dei leaders dei partiti di governo”.
Una delle riunioni di cui parlava Scotti si svolse il 2 giugno del 1992, sul panfilo Britannia, in navigazione lungo le coste siciliane. Sul panfilo c’erano alcuni appartenenti all’élite di potere anglo-americana, come i reali britannici e i grandi banchieri delle banche a cui si rivolgerà il governo italiano durante la fase delle privatizzazioni (Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers).

In quella riunione si decise di acquistare le aziende italiane e la Banca d’Italia, e come far crollare il vecchio sistema politico per insediarne un altro, completamente manovrato dai nuovi padroni. A quella riunione parteciparono anche diversi italiani, come Mario Draghi, allora direttore delegato del ministero del Tesoro, il dirigente dell’Eni Beniamino Andreatta e il dirigente dell’Iri Riccardo Galli. Gli intrighi decisi sulla Britannia avrebbero permesso agli anglo-americani di mettere le mani sul 48% delle aziende italiane, fra le quali c’erano la Buitoni, la Locatelli, la Negroni, la Ferrarelle, la Perugina e la Galbani.
La stampa martellava su “Mani pulite”, facendo intendere che da quell’evento sarebbero derivati grandi cambiamenti.
Nel giugno 1992 si insediò il governo di Giuliano Amato. Si trattava di un personaggio in armonia con gli speculatori che ambivano ad appropriarsi dell’Italia. Infatti, Amato, per iniziare le privatizzazioni, si affrettò a consultare il centro del potere finanziario internazionale: le tre grandi banche di Wall Street, Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers.

Appena salito al potere, Amato trasformò gli Enti statali in Società per Azioni, valendosi del decreto Legge 386/1991, in modo tale che l’élite finanziaria li potesse controllare, e in seguito rilevare.
L’inizio fu concertato dal Fondo Monetario Internazionale, che, come aveva fatto in altri paesi, voleva privatizzare selvaggiamente e svalutare  la nostra moneta, per agevolare il dominio economico-finanziario dell’élite. L’incarico di far crollare l’economia italiana venne dato a George Soros, un cittadino americano che tramite informazioni ricevute dai Rothschild, con la complicità di alcune autorità italiane, riuscì a far crollare la nostra moneta e le azioni di molte aziende italiane.
Soros ebbe l’incarico, da parte dei banchieri anglo-americani, di attuare una serie di speculazioni, efficaci grazie alle informazioni che egli riceveva dall’élite finanziaria. Egli fece attacchi speculativi degli hedge funds per far crollare la lira. A causa di questi attacchi, il 5 novembre del 1993 la lira perse il 30% del suo valore, e anche negli anni successivi subì svalutazioni.

Le reti della Banca Rothschild, attraverso il direttore Richard Katz, misero le mani sull’Eni, che venne svenduta. Il gruppo Rothschild ebbe un ruolo preminente anche sulle altre privatizzazioni, compresa quella della Banca d’Italia. C’erano stretti legami fra il Quantum Fund di George Soros e i Rothschild. Ma anche numerosi altri membri dell’élite finanziaria anglo-americana, come Alfred Hartmann e Georges C. Karlweis, furono coinvolti nei processi di privatizzazione delle aziende e della Banca d’Italia.
La Rothschild Italia Spa, filiale di Milano della Rothschild & Sons di Londra, venne creata nel 1989, sotto la direzione di Richard Katz. Quest’ultimo diventò direttore del Quantum Fund di Soros nel periodo delle speculazioni a danno della lira. Soros era stato incaricato dai Rothschild di attuare una serie di speculazioni contro la sterlina, il marco e la lira, per destabilizzare il sistema Monetario Europeo. Sempre per conto degli stessi committenti, egli fece diverse speculazioni contro le monete di alcuni paesi asiatici, come l’Indonesia e la Malesia. Dopo la distruzione finanziaria dell’Europa e dell’Asia, Soros venne incaricato di creare una rete per la diffusione degli stupefacenti in Europa.

In seguito, i Rothschild, fedeli al loro modo di fare, cercarono di far cadere la responsabilità del crollo economico italiano su qualcun altro. Attraverso una serie di articoli pubblicati sul Financial Times, accusarono la Germania, sostenendo che la Bundesbank aveva attuato operazioni di aggiotaggio contro la lira. L’accusa non reggeva, perché i vantaggi del crollo della lira e della svendita delle imprese italiane andarono agli anglo-americani.
La privatizzazione è stata un saccheggio, che ancora continua. Spiega Paolo Raimondi, del Movimento Solidarietà:

Abbiamo avuto anni di privatizzazione, saccheggio dell’economia produttiva e l’esplosione della bolla della finanza derivata. Questa stessa strategia di destabilizzazione riparte oggi, quando l’Europa continentale viene nuovamente attratta, anche se non come promotrice e con prospettive ancora da definire, nel grande progetto di infrastrutture di base del Ponte di Sviluppo Eurasiatico.[11]

Qualche anno dopo la magistratura italiana procederà contro Soros, ma senza alcun successo. Nell’ottobre del 1995, il presidente del Movimento Internazionale per i Diritti Civili-Solidarietà, Paolo Raimondi, presentò un esposto alla magistratura per aprire un’inchiesta sulle attività speculative di Soros & Co, che avevano colpito la lira. L’attacco speculativo di Soros, gli aveva permesso di impossessarsi di 15.000 miliardi di lire. Per contrastare l’attacco, l’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, bruciò inutilmente 48 miliardi di dollari.
Su Soros indagarono le Procure della Repubblica di Roma e di Napoli, che fecero luce anche sulle attività della Banca d’Italia nel periodo del crollo della lira. Soros venne accusato di aggiotaggio e insider trading, avendo utilizzato informazioni riservate che gli permettevano di speculare con sicurezza e di anticipare movimenti su titoli, cambi e valori delle monete.
Spiegano il Presidente e il segretario generale del “Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà”, durante l’esposto contro Soros:

È stata… annotata nel 1992 l ‘esistenza… di un contatto molto stretto e particolare del sig. Soros con Gerald Carrigan, presidente della Federal Reserve Bank di New York, che fa parte dell’apparato della Banca centrale americana, luogo di massima circolazione di informazioni economiche riservate, il quale, stranamente, una volta dimessosi da questo posto, venne poi immediatamente assunto a tempo pieno dalla finanziaria “Goldman Sachs & co.” come presidente dei consiglieri internazionali. La Goldman Sachs è uno dei centri della grande speculazione sui derivati e sulle monete a livello mondiale. La Goldman Sachs è anche coinvolta in modo diretto nella politica delle privatizzazioni in Italia. In Italia inoltre, il sig. Soros conta sulla strettissima collaborazione del sig. Isidoro Albertini, ex presidente degli agenti di cambio della Borsa di Milano e attuale presidente della “Albertini e co. SIM” di Milano, una delle ditte guida nel settore speculativo dei derivati. Albertini è membro del consiglio di amministrazione del “Quantum Fund” di Soros.

III. L’attacco speculativo contro la lira del settembre 1992 era stato preceduto e preparato dal famoso incontro del 2 giugno 1992 sullo yacht “Britannia” della regina Elisabetta II d’Inghilterra, dove i massimi rappresentanti della finanza internazionale, soprattutto britannica, impegnati nella grande speculazione dei derivati, come la S. G. Warburg, la Barings e simili, si incontrarono con la controparte italiana guidata da Mario Draghi, direttore generale del ministero del Tesoro, e dal futuro ministro Beniamino Andreatta, per pianificare la privatizzazione dell’industria di stato italiana. A seguito dell’attacco speculativo contro la lira e della sua immediata svalutazione del 30%, codesta privatizzazione sarebbe stata fatta a prezzi stracciati, a beneficio della grande finanza internazionale e a discapito degli interessi dello stato italiano e dell’economia nazionale e dell’occupazione. Stranamente, gli stessi partecipanti all’incontro del Britannia avevano già ottenuto l’autorizzazione da parte di uomini di governo come Mario Draghi, di studiare e programmare le privatizzazioni stesse. Qui ci si riferisce per esempio alla Warburg, alla Morgan Stanley, solo per fare due tra gli esempi più noti. L’agenzia stampa EIR (Executive Intelligence Review) ha denunciato pubblicamente questa sordida operazione alla fine del 1992 provocando una serie di interpellanze parlamentari e di discussioni politiche che hanno avuto il merito di mettere in discussione l’intero procedimento, alquanto singolare, di privatizzazione.[12]

I complici italiani furono il ministro del Tesoro Piero Barucci, l’allora Direttore di Bankitalia Lamberto Dini e l’allora governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi. Altre responsabilità vanno all’allora capo del governo Giuliano Amato e al Direttore Generale del Tesoro Mario Draghi. Alcune autorità italiane (come Dini) fecero il doppio gioco: denunciavano i pericoli ma in segreto appoggiavano gli speculatori.
Amato aveva costretto i sindacati ad accettare un accordo salariale non conveniente ai lavoratori, per la “necessità di rimanere nel Sistema Monetario Europeo”, pur sapendo che l’Italia ne sarebbe uscita a causa delle imminenti speculazioni.
Gli attacchi all’economia italiana andarono avanti per tutti gli anni Novanta, fino a quando il sistema economico- finanziario italiano non cadde sotto il completo controllo dell’élite. Nel gennaio del 1996, nel rapporto semestrale sulla politica informativa e della sicurezza, il Presidente del Consiglio Lamberto Dini disse:

I mercati valutari e le borse delle principali piazze mondiali continuano a registrare correnti speculative ai danni della nostra moneta, originate, specie in passaggi delicati della vita politico-istituzionale, dalla diffusione incontrollata di notizie infondate riguardanti la compagine governativa e da anticipazioni di dati oggetto delle periodiche comunicazioni sui prezzi al consumo… è possibile attendersi la reiterazione di manovre speculative fraudolente, considerato il persistere di una fase congiunturale interna e le scadenze dell’unificazione monetaria.[13]

Il giorno dopo, il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, riferiva che l’Italia non poteva far nulla contro le correnti speculative sui mercati dei cambi, perché “se le banche di emissione tentano di far cambiare direzione o di fermare il vento (delle operazioni finanziarie) non ce la fanno per la dimensione delle masse in movimento sui mercati rispetto alla loro capacità di fuoco”.
Le nostre autorità denunciavano il potere dell’élite internazionale, ma gettavano la spugna, ritenendo inevitabili quegli eventi. Era in gioco il futuro economico-finanziario del paese, ma nessuna autorità italiana pensava di poter fare qualcosa contro gli attacchi destabilizzanti dell’élite anglo-americana.

Il Movimento Solidarietà fu l’unico a denunciare quello che stava effettivamente accadendo, additando i veri responsabili del crollo dell’economia italiana. Il 28 giugno 1993, il Movimento Solidarietà svolse una conferenza a Milano, in cui rese nota a tutti la riunione sul Britannia e quello che ne era derivato.[14]
Il 6 novembre 1993, l ‘allora presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi scrisse una lettera al procuratore capo della Repubblica di Roma, Vittorio Mele, per avviare “le procedure relative al delitto previsto all’art. 501 del codice penale (“Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio”), considerato nell’ipotesi delle aggravanti in esso contenute”. Anche a Ciampi era evidente il reato di aggiotaggio da parte di Soros, che aveva operato contro la lira e i titoli quotati in Borsa delle nostre aziende.

Anche negli anni successivi avvennero altre privatizzazioni, senza regole precise e a prezzi di favore. Che stesse cambiando qualcosa, gli italiani lo capivano dal cambio di nome delle aziende, la Sip era diventata Telecom Italia e le Ferrovie dello Stato erano diventate Trenitalia.
Il decreto legislativo 79/99 avrebbe permesso la privatizzazione delle aziende energetiche. Nel settore del gas e dell’elettricità apparvero numerose aziende private, oggi circa 300. Dal 24 febbraio del 1998, anche le Poste Italiane diventarono una S.p.a. In seguito alla privatizzazione delle Poste, i costi postali sono aumentati a dismisura e i lavoratori postali vengono assunti con contratti precari. Oltre 400 uffici postali sono stati chiusi, e quelli rimasti aperti appaiono come luoghi di vendita più che di servizio.

Le nostre autorità giustificavano la svendita delle privatizzazioni dicendo che si doveva “risanare il bilancio pubblico”, ma non specificavano che si trattava di pagare altro denaro alle banche, in cambio di banconote che valevano come la carta straccia. A guadagnare sarebbero state soltanto le banche e i pochi imprenditori già ricchi (Benetton, Tronchetti Provera, Pirelli, Colaninno, Gnutti e pochi altri).
Si diceva che le privatizzazioni avrebbero migliorato la gestione delle aziende, ma in realtà, in tutti i casi, si sono verificati disastri di vario genere, e il rimedio è stato pagato dai cittadini italiani.

Le nostre aziende sono state svendute ad imprenditori che quasi sempre agivano per conto dell’élite finanziaria, da cui ricevevano le somme per l’acquisto. La privatizzazione della Telecom avvenne nell’ottobre del 1997. Fu venduta a 11,82 miliardi di euro, ma alla fine si incassarono soltanto 7,5 miliardi. La società fu rilevata da un gruppo di imprenditori e banche., e al Ministero del Tesoro rimase una quota del 3,5%.
Il piano per il controllo di Telecom aveva la regia nascosta della Merril Lynch, del Gruppo Bancario americano Donaldson Lufkin & Jenrette e della Chase Manhattan Bank.
Alla fine del 1998, il titolo aveva perso il 20% (4,33 euro). Le banche dell’élite, la Chase Manhattan e la Lehman Brothers,  si fecero avanti per attuare un’opa. Attraverso Colaninno, che ricevette finanziamenti dalla Chase Manhattan, l’Olivetti diventò proprietaria di Telecom. L’Olivetti era controllata dalla Bell, una società con sede a Lussemburgo, a sua volta controllata dalla Hopa di Emilio Gnutti e Roberto Colaninno.

Il titolo, che durante l’opa era stato fatto salire a 20 euro, nel giro un anno si dimezzò. Dopo pochi anni finirà sotto i tre euro.
Nel 2001 la Telecom si trovava in gravi difficoltà, le azioni continuavano a scendere. La Bell di Gnutti e la Unipol di Consorte decisero di vendere a Tronchetti Provera buona parte loro quota azionaria in Olivetti. Il presidente di Pirelli, finanziato dalla J. P. Morgan, ottenne il controllo su Telecom, attraverso la finanziaria Olimpia, creata con la famiglia Benetton (sostenuta da Banca Intesa e Unicredit).

Dopo dieci anni dalla privatizzazione della Telecom, il bilancio è disastroso sotto tutti i punti di vista: oltre 20.000 persone sono state licenziate, i titoli azionari hanno fatto perdere molto denaro ai risparmiatori, i costi per gli utenti sono aumentati e la società è in perdita.
La privatizzazione, oltre che un saccheggio, veniva ad essere anche un modo per truffare i piccoli azionisti.
La Telecom , come molte altre società, ha posto la sua sede in paesi esteri, per non pagare le tasse allo Stato italiano. Oltre a perdere le aziende, gli italiani sono stati privati anche degli introiti fiscali di quelle aziende. La Bell, società che controllava la Telecom Italia, aveva sede in Lussemburgo, e aveva all’interno società con sede alle isole Cayman, che, com’è noto, sono un paradiso fiscale.

Gli speculatori finanziari basano la loro attività sull’esistenza di questi paradisi fiscali, dove non è possibile ottenere informazioni nemmeno alle autorità giudiziarie. I paradisi fiscali hanno permesso agli speculatori di distruggere le economie di interi paesi, eppure i media non parlano mai di questo gravissimo problema.
Mettere un’azienda importante come quella telefonica in mani private significa anche non tutelare la privacy dei cittadini, che infatti è stata più volte calpestata, com’è emerso negli ultimi anni.

Anche per le altre privatizzazioni, Autostrade, Poste Italiane, Trenitalia ecc., si sono verificate le medesime devastazioni: licenziamenti, truffe a danno dei risparmiatori, degrado del servizio, spreco di denaro pubblico, cattiva amministrazione e problemi di vario genere.
La famiglia Benetton è diventata azionista di maggioranza delle Autostrade. Il contratto di privatizzazione delle Autostrade dava vantaggi soltanto agli acquirenti, facendo rimanere l’onere della manutenzione sulle spalle dei contribuenti.
I Benetton hanno incassato un bel po’ di denaro grazie alla fusione di Autostrade con il gruppo spagnolo Abertis. La fusione è avvenuta con la complicità del governo Prodi, che in seguito ad un vertice con Zapatero, ha deciso di autorizzarla. Antonio Di Pietro, Ministro delle Infrastrutture, si era opposto, ma ha alla fine si è piegato alle proteste dell’Unione Europea e alla politica del Presidente del Consiglio.

Nonostante i disastri delle privatizzazioni, le nostre autorità governative non hanno alcuna intenzione di rinazionalizzare le imprese allo sfacelo, anzi, sono disposte ad utilizzare denaro pubblico per riparare ai danni causati dai privati.
La società Trenitalia è stata portata sull’orlo del fallimento. In pochi anni il servizio è diventato sempre più scadente, i treni sono sempre più sporchi, il costo dei biglietti continua a salire e risultano numerosi disservizi. A causa dei tagli al personale (ad esempio, non c’è più il secondo conducente), si sono verificati diversi incidenti (anche mortali). Nel 2006, l ‘amministratore delegato di Trenitalia, Mauro Moretti, si è presentato ad una audizione alla commissione Lavori Pubblici del Senato, per battere cassa, confessando un buco di un miliardo e settecento milioni di euro, che avrebbe potuto portare la società al fallimento. Nell’ottobre del 2006, il Ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, approvò il piano di ricapitalizzazione proposto da Trenitalia. Altro denaro pubblico ad un’azienda privatizzata ridotta allo sfacelo.

Dietro tutto questo c’era l’élite economico finanziaria (Morgan, Schiff, Harriman, Kahn, Warburg, Rockfeller, Rothschild ecc.) che ha agito preparando un progetto di devastazione dell’economia italiana, e lo ha attuato valendosi di politici, di finanzieri e di imprenditori. Nascondersi è facile in un sistema in cui le banche o le società possono assumere il  controllo di altre società o banche. Questo significa che è sempre difficile capire veramente chi controlla le società privatizzate. E’ simile al gioco delle scatole cinesi, come spiega Giuseppe Turani: “Colaninno & soci controllano al 51% la Hopa, che controlla il 56,6% della Bell, che controlla il 13,9% della Olivetti, che controlla il 70% della Tecnost, che controlla il 52% della Telecom”.[15]
Numerose aziende di imprenditori italiani sono state distrutte dal sistema dei mercati finanziari, ad esempio la Cirio e la Parmalat. Queste aziende hanno truffato i risparmiatori vendendo obbligazioni societarie (“Bond”) con un alto margine di rischio. La Parmalat emise Bond per un valore di 7 miliardi di euro, e allo stesso tempo attuò operazioni finanziarie speculative, e si indebitò. Per non far scendere il valore delle azioni (e per venderne altre) truccava i bilanci.

Le banche nazionali e internazionali sostenevano la situazione perché per loro vantaggiosa, e l’agenzia di rating, Standard & Poor’s, si è decisa a declassare la Parmalat soltanto quando la truffa era ormai nota a tutti.
I risparmiatori truffati hanno avviato una procedura giudiziaria contro Calisto Tanzi, Fausto Tonna, Coloniale S.p.a. (società della famiglia Tanzi), Citigroup, Inc. (società finanziaria americana), Buconero LLC (società che faceva capo a Citigroup), Zini & Associates (una compagnia finanziaria americana), Deloitte Touche Tohmatsu (organizzazione che forniva consulenza e servizi professionali), Deloitte & Touche SpA (società di revisione contabile), Grant Thornton International (società di consulenza finanziaria) e Grant Thornton S.p.a. (società incaricata della revisione contabile del sottogruppo Parmalat S.p.a.).

La Cirio era gestita dalla Cragnotti & Partners. I “Partners” non erano altro che una serie di banche nazionali e internazionali. La Cirio emise Bond per circa 1.125 milioni di Euro. Molte di queste obbligazioni venivano utilizzate dalle banche per spillare denaro ai piccoli risparmiatori. Tutto questo avveniva in perfetta armonia col sistema finanziario, che non offre garanzie di onestà e di trasparenza.
Grazie alle privatizzazioni, un gruppo ristretto di ricchi italiani ha acquisito somme enormi, e ha permesso all’élite economico-finanziaria anglo-americana di esercitare un pesante controllo, sui cittadini, sulla politica e sul paese intero.
Agli italiani venne dato il contentino di “Mani Pulite”, che si risolse con numerose assoluzioni e qualche condanna a pochi anni di carcere.

A causa delle privatizzazioni e del controllo da parte della Banca Centrale Europea, il paese è più povero e deve pagare somme molto alte per il debito. Ogni anno viene varata la finanziaria, allo scopo di pagare le banche e di partecipare al finanziamento delle loro guerre. Mentre la povertà aumenta, come la disoccupazione, il lavoro precario, il degrado e il potere della mafia.
Il nostro paese è oggi controllato da un gruppo di persone, che impongono, attraverso istituti propagandati come “autorevoli” (Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea), di tagliare la spesa pubblica, di privatizzare quello che ancora rimane e di attuare politiche non convenienti alla popolazione italiana. I nostri governi operano nell’interesse di questa élite, e non in quello del paese.

Antonella Randazzo ha scritto Roma Predona. Il colonialismo italiano in Africa, 1870-1943, (Kaos Edizioni, 2006); La Nuova Democrazia. Illusioni di civiltà nell’era dell’egemonia Usa (Zambon Editore 2007) e Dittature. La Storia Occulta (Edizione Il Nuovo Mondo, 2007).

[1] http://www.reti-invisibili.net/georgofili/
[2] La Repubblica , 27 maggio 1992.
[3] La Repubblica , 28 maggio 1992.
[4] La Repubblica , 10 giugno 1992.
[5] La Repubblica , 23 giugno 1992.
[6] La Repubblica , 23 giugno 1992.
[7] La Repubblica , 25 giugno 1992.
[8] La Repubblica , 27 maggio 1992.
[9] La Repubblica , 11 agosto 1992.
[10] L’Unità, 12 agosto 1992.
[11] Solidarietà, anno IV n. 1, febbraio 1996.
[12] Esposto della Magistratura contro George Soros presentato dal Movimento Solidarietà al Procuratore della Repubblica di Milano il 27 ottobre 1995.
[13] Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica , Rivista N. 4 gennaio-aprile 1996.
[14] Solidarietà, anno 1, n. 1, ottobre 1993.
[15] La Repubblica , 5 settembre 1999.

Miele e cannella: la coppia vincente per una eco-dieta

Scritto da: Marina Marini
Fonte: www.yemaya.it

Miele e cannella: due ingredienti antichissimi che uniti formano una coppia di eccellenza per chi vuole migliorare il proprio stato di salute in modo semplice, naturale e quindi GREEN.

È dimostrato, infatti, che questo connubio è in grado di mitigare i dolori allo stomaco e derivanti da ulcere gastriche, secondo studi condotti in India e in Giappone l’uso quotidiano rafforza il sistema immunitario e proteggere l’organismo da attacchi virali e batteri (il miele contiene varie vitamine e ferro in grande quantità quindi rafforza il globuli bianchi), i ricercatori spagnoli hanno dimostrato che il miele contiene un ingrediente naturale che può uccidere germi influenzali e salvaguardare dall’influenza infine recenti studi dimostrano che lo zucchero del miele è utile in termini di rafforzamento del corpo e aiuta a combattere lo stress mentale e la fatica fisica.

Ma ecco altri utilizzi:

– DISTURBI CARDIACI: un impasto di miele e cannella in polvere da spalmare sul pane integrale o su alcune fette biscottate per la prima colazione – si possono ridurre i danni da colesterolo e si puà rafforzare il battito cardiaco, miele e cannella rivitalizzano la circolazione sanguigna.

– ARTRITE: bere una tazza di acqua calda con due cucchiai di miele e un cucchiaino di cannella in polvere due volte al giorno, lontano dai pasti – i ricercatori dell’Università Cophenhagen ne hanno verificato l’efficiacia contro il dolore artitrico.

– INFEZIONI DELLA VESCICA: bere un bicchiere di acqua tiepida con due cucchiai di cannella in polvere e un cucchiaino di miele – un ottimo rimedio per combattere i germi e i batteri presenti nella vescica.

– MAL DI DENTI: preparare una pasta con un cucchiaino di cannella in polvere e cinque cucchiai di miele da applicare sul dente dolente tre volte al giorno – è uno dei consigli dell’Associazione dei dentisti americani.

– COLESTEROLO: due cucchiai di miele e tre cucchiaini di cannella in polvere mescolato in mezzo litro di thè verde – si può ridurre il livello di colesterolo.

– RAFFREDDORE: un cucchiaio di miele con 1/4 di un cucchiaino di cannella in polvere al giorno per tre giorni – raffreddori e tosse cronica si attenuano.

– LONGEVITA’: quattro cucchiai di miele, un cucchiaino di cannella in polvere e di tre tazze di acqua, il tutto bollito, berne 1/2 tazza tre o quattro volte al giorno – presi regolarmente combattono i segni dell’invecchiamento mantenendo la pelle fresca e morbida.

– ACNE: tre cucchiai di miele e un cucchiaino di cannella in polvere, preparate una passta da applicare sulla zona interessata prima di andare a dormire risciacquandola solo il mattino seguente con acqua tiepida – i benefici sono evidenti dopo poche applicazioni.

– ECZEMI: applicare una pasta preparata come per l’acne sulle zone colpite – anche le infezioni della pelle migliorano con poche applicazioni.

Nell’uso della cannella (consigliamo quella di Ceylon, la più pregiata) devono prestare attenzione i soggetti allergici o intolleranti e i soggetti stressati od agitati perchè essa agisce come stimolante del sistema nervoso, per cui accelera le pulsazioni cardiache e la respirazione; un suo consumo incontrollato può determinare uno stato convulsivo, mentre il miele non è consiglianile ai diabetici in quanto è formato quasi esclusivamente da zuccheri.

Di contro l’autorevole Diabetes Care ha pubblicato una ricerca dell’US Department of Agriculture’s Human Nutrition Research Center di Beltsville (Maryland) in cui si evidenziava come mezzo cucchiaino di cannella al giorno è sufficiente per ridurre la quantità di zuccheri nel sangue di chi soffre di diabete di tipo 2, di colesterolo e trigliceridi, grazie allla presenza del polifenolo MHCP in grado di attivare i recettori dell’insulina e lavorare in sinergia con questo ormone nelle cellule che si occupano di bruciare o metabolizzare il glucosio.

Inoltre la cannella ha un ulteriore effetto benefico, abbassa il livello di colesterolo cattivo e i trigliceridi nel sangue: “Non suggerisco – ha dichiarato Anderson, il medico ricercatore che ha condotto l’indagine – di mangiare quantità maggiori di torta alle mele (piatto tipico americano che si prepara proprio con la cannella) o panini alla cannella, ma soltanto di aggiungere la spezia in polvere a ciò che si mangia normalmente”.
La cannella, Cynnamomum zeylanicum, fa parte della famiglia delle Lauracee e viene coltivata in Sri Lanka, in India, a Giava e in Brasile.

Viene utilizzata dai tempi più remoti: i cinesi sostengono che nel loro paese era impiegata già 2700 prima della nascita di Cristo; essa è citata nel Vecchio Testamento, precisamente nel Cantico dei Cantici.

I mieli di castagno ed eucalipto e di melata di abete sono in grado di combattere le infezioni come un vero e proprio “antibiotico”, questo è quanto emerge da una ricerca dell’Università di Pisa, presentata alla “Settimana del Miele” di Montalcino in cui si evidenzia come questi prodotti riescano a uccidere diversi batteri tra cui lo Stafilococco aureo, uno dei maggiori agenti patogeni dell’uomo.

Riguardo alle scelte, l’importante è che il miele sia artigianale, genuino e soprattutto italiano: infatti il nostro paese, con notevoli variazioni ambientali e climatiche tra una regione e l’altra, è in grado di produrre tantissime qualità di miele, ciascuna con proprietà e gusti diversi ma malgrado questo il consumo procapite si attesta su soli 400 grammi, molto meno che in altre nazioni come la Germania (1 kg e mezzo procapite), l’Inghilterra (800 grammi) o la Francia (600 grammi) dove il consumo di miele rappresenta una consolidata tradizione alimentare.


 

 

Alluminio, bauxite, inquinamento e Avatar: quale legame?

Fonte: http://www.howtobegreen.eu/greenreport.asp?title=334

Vi siete mai chiesti da dove arrivi l’alluminio che vediamo e utilizziamo tutti i giorni? Lo si trova già in natura “pronto per l’uso” o bisogna scomodare qualcosa e qualcuno per produrlo? E soprattutto, qual’è il suo impatto sull’ambiente e sull’uomo?

L’alluminio si estrae principalmente dai minerali di bauxite, è, come tutti sappiamo, presente i milioni di prodotti diversi, ed è molto importante per l’economia mondiale. Questo metallo è molto apprezzato per la sua leggerezza, duttilità e resistenza all’ossidazione. Un’altra caratteristica importante di questo metallo è la sua capacità di essere riciclato infinite volte senza mai perdere le proprie proprietà.

Purtroppo però l’impatto delle miniere di bauxite è altissimo sull’ambiente ed è per questo che il RICICLAGGIO DELL’ALLUMINIO è fondamentale. I motivi sono principalmente due:

1) l’alluminio può essere riciclato infinite volte e la sua “rinascita” costa, in termini energetici, il 7-9 percento dell’energia spesa per produrlo. In particolare per produrre 1 kg di alluminio pronto all’uso a partire da scarti costa meno di 1 kWh di energia contro 13-14 kWh circa della produzione dal minerale.

2) come già detto l’alluminio non esiste allo stato puro, bensì si trova mescolata ad altri minerali nella bauxite la cui estrazione è assolutamente impattante sull’ambiente. Val la pena ricordare il caso legato ad un giacimento di bauxite scoperto fra le colline di Niyamgiri, nello Stato Indiano di Orissa dove vivono però i Dongria Kondh, una tribù di circa 8.000 persone. In quell’area, ed in particolare nel luogo più sacro per la tribù, il colosso minerario “Vendata” (una società di 8 miliardi di dollari) aveva l’intenzione di sviluppare una gigantesca miniera di bauxite la quale avrebbe causato la distruzione della foresta, l’inquinamento delle falde e l’obbligo da parte degli abitanti di lasciare le proprie terre. L’area sacra contesa è la collina di Niyam Dongar, la sede della divinità Niyam Raja. Ma per la Vendata, proprio come nel caso di marines nel film Avatar, la stessa collina era semplicemente un giacimento di bauxite del valore di due miliardi di dollari. Nel 2003 il colosso minerario ha costruito una raffineria di bauxite vicino alle colline di Niyamgiri pur non avendo ancora ottenuto nè la concessione edilizia nè l’autorizzazione allo sfruttamento alla vicina miniera di bauxite. Dopo più di 6 anni di opposizione da parte delle tribù locali finalmente nel 2009 l’attuale ministro per l’Ambiente e le Foreste dello Stato di Orissa, Shri Jairam Ramesh, ha dichiarato che Vedanta Resources ha violato la Legge sulla Protezione Ambientale e la Legge sulla Protezione delle Foreste e ha deciso di bloccare la concessione per l’estrazione di bauxite. Inoltre, il ministro di Orissa ha sollevato dubbi sulla legittimità della raffineria già fabbricata e, infine, ha respinto la domanda di abbattimento della foresta del Niyamgiri per far posto alla miniera. Il gigante minerario, quindi, deve fare marcia indietro e rinunciare all’estrazione di bauxite dalle colline sacre ai Dongria Kondh.

Sicuramente il prezzo della bauxite non è mai stato caricato dei costi legati alla devastazione del suolo, all’inquinamento delle falde all’azzeramento perenne di foreste vergini. Allora, la prossima volta che abbiamo in mano una lattina di una bibita, la cornice di un quadro o un semplice oggetto di alluminio pensiamo che quel prodotto è il risultato di moltissime azioni che in molti caso posso aver comportato sfruttamento di persone, inquinamento dell’ambiente e distruzione di risorse naturali. Prendi allora quell’oggetto, riciclalo e spingi i tuoi amici a far lo stesso.

Un cittadino 18 archivi, due cittadini 36 archivi, tre cittadini…

Scritto da: Eduardo Lubrano
Fonte: http://www.iljournal.it/2011/un-cittadino-18-archivi-due-cittadini-36-archivi-tre-cittadini/267663

In Italia esistono un miliardo ed 80 milioni di archivi, 18 per ognuno dei circa 61 milioni di cittadini. Lo dice l’Istat con le parole del suo presidente, Enrico Giovannini, che dice anche che “questi archivi sono integrati, nel totale rispetto della privacy, sono chiusi e che nessuno vi ha accesso, se non per fini esclusivamente statistici o di ricerca e sotto il nostro stretto controllo”.

“Neanche le agenzie fiscali hanno accesso ai nostri archivi”, tuona Giovannini “e non possono essere utilizzati per la lotta all’evasione fiscale perché il rispetto della privay è uno dei fondamenti della democrazia”.

Tutto bene ma…Allora a che servono questi 18 archivi per ogni cittadino? Che c’è scritto in questo archivi? E perché 18? A parte di dati anagrafici e logistici, la condizione economica, le preferenze religiose, cos’altro? I gusti sessuali? I gusti alimentari? I gusti in fatto di macchine o di sport? Le preferenze politiche, gli orientamenti per le vacanze? Insomma chi e perché ha raccolto tutta questa messe di informazioni, sostanzialmente inutile nella sua gran parte, come dice lo stesso presidente dell’Istat.

Allora è vero che siamo spiati, controllati, osservati, analizzati, scannerizzati in ogni momento della nostra vita, solo che fino a ieri questo elemento veniva clamorosamente negato, oggi è alla luce del sole, perché per riempire 18 archivi integrati per ogni cittadino di materiale ce ne vuole.

Ecco allora da dove parte la macchina del fango, altro che intercettazioni telefoniche (che faranno parte anche quelle degli archivi) o le foto compromettenti, o le amicizie che tradiscono.

Una domanda : quanta gente lavora su ogni archivio di ogni cittadino e quanto ci costa?

La Nuova Polizia con Poteri Illimitati

Scritto da : A. Mannino
Fonte: www.ilribelle.com

Alzi la mano chi sa cos’è il trattato di Velsen. Domanda retorica: nessuno. Eppure in questa piccola città olandese è stato posto in calce un tassello decisivo nel mosaico del nuovo ordine europeo e mondiale. Una tappa del processo di smantellamento della sovranità nazionale, portato avanti di nascosto, nel silenzio tipico dei ladri e delle canaglie.

Il Trattato Eurogendfor venne firmato a Velsen il 18 ottobre 2007 da Francia, Spagna, Paesi Bassi, Portogallo e Italia. L’acronimo sta per Forza di Gendarmeria Europea (EGF): in sostanza è la futura polizia militare d’Europa. E non solo. Per capire esattamente che cos’è, leggiamone qualche passo.
I compiti: «condurre missioni di sicurezza e ordine pubblico; monitorare, svolgere consulenza, guidare e supervisionare le forze di polizia locali nello svolgimento delle loro ordinarie mansioni, ivi comprese l’attività di indagine penale; assolvere a compiti di sorveglianza pubblica, gestione del traffico, controllo delle frontiere e attività generale di intelligence; svolgere attività investigativa in campo penale, individuare i reati, rintracciare i colpevoli e tradurli davanti alle autorità giudiziarie competenti; proteggere le persone e i beni e mantenere l’ordine in caso di disordini pubblici» (art. 4).
Il raggio d’azione: «Eurogendfor potrà essere messa a disposizione dell’Unione Europea (UE), delle Nazioni Unite (ONU), dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE), della Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) e di altre organizzazioni internazionali o coalizioni specifiche» (art. 5).
La sede e la cabina di comando: «la forza di polizia multinazionale a statuto militare composta dal Quartier Generale permanente multinazionale, modulare e proiettabile con sede a Vicenza (Italia). Il ruolo e la struttura del QG permanente, nonché il suo coinvolgimento nelle operazioni saranno approvati dal CIMIN – ovvero – l’Alto Comitato Interministeriale. Costituisce l’organo decisionale che governa Eurogendfor» (art. 3).
Ricapitolando: la Gendarmeria europea assume tutte le funzioni delle normali forze dell’ordine (carabinieri e polizia), indagini e arresti compresi; la Nato, cioè gli Stati Uniti, avranno voce in capitolo nella sua gestione operativa; il nuovo corpo risponde esclusivamente a un comitato interministeriale, composto dai ministri degli Esteri e della Difesa dei paesi firmatari. In pratica, significa che avremo per le strade poliziotti veri e propri, che non si limitano a missioni militari, sottoposti alla supervisione di un’organizzazione sovranazionale in mano a una potenza extraeuropea cioè gli Usa, e che, come se non bastasse, è svincolata dal controllo del governo e del parlamento nazionali.

Ma non è finita. L’EGF gode di una totale immunità: inviolabili locali, beni e archivi (art. 21 e 22); le comunicazioni non possono essere intercettate (art. 23); i danni a proprietà o persone non possono essere indennizzati (art. 28); i gendarmi non possono essere messi sotto inchiesta dalla giustizia dei paesi ospitanti (art. 29). Come si evince chiaramente, una serie di privilegi inconcepibili in uno Stato di diritto.

Il 14 maggio 2010 la Camera dei Deputati della Repubblica Italiana ratifica l’accordo. Presenti 443, votanti 442, astenuti 1. Hanno votato sì 442: tutti, nessuno escluso. Poco dopo anche il Senato dà il via libera, anche qui all’unanimità. Il 12 giugno il Trattato di Velsen entra in vigore in Italia. La legge di ratifica n° 84 riguarda direttamente l’Arma dei Carabinieri, che verrà assorbita nella Polizia di Stato, e questa degradata a polizia locale di secondo livello.
Come  ha fatto notare il giornalista che ha scovato la notizia, il freelance Gianni Lannes (uno con due coglioni così, che per le sue inchieste ora gira con la scorta), non soltanto è una vergogna constatare che i nostri parlamentari sanciscano una palese espropriazione di sovranità senza aver neppure letto i 47 articoli che la attestano, ma anche che sia passata inosservata un’anomalia clamorosa. Il quartiere generale europeo è insediato a Vicenza nella caserma dei carabinieri “Chinotto” fin dal 2006. La ratifica è dell’anno scorso. E a Vicenza da decenni ha sede Camp Ederle, a cui nel 2013 si affiancherà la seconda base statunitense al Dal Molin che è una sede dell’Africom, il comando americano per il quadrante mediterraneo-africano.
La deduzione è quasi ovvia: aver scelto proprio Vicenza sta a significare che la Gestapo europea dipende, e alla luce del sole, dal Pentagono. Ogni 25 Aprile i patetici onanisti della memoria si scannano sul fascismo e sull’antifascismo, mentre oggi serve un’altra Liberazione: da questa Europa e dal suo padrone, gli Stati Uniti.

Generale Mini: “Afghanistan: missione fallita”

Scritto da: Enrico Piovesana
Fonte: http://it.peacereporter.net/articolo/30821

L’ex comandante della missione Nato in Kosovo, traccia un bilancio molto negativo della missione afgana ed esprime pessimismo per il futuro.

Generale Mini, che bilancio traccia di questi dieci anni di guerra in Afghanistan?
Un bilancio del tutto negativo, visto che non è stato conseguito nessuno dei grandi obiettivi con cui gli Stati Uniti e la comunità internazionale hanno giustificato l’intervento in Afghanistan: dalla sconfitta del terrorismo internazionale, che non è certo morto con Bin Laden, alla democratizzazione e ricostruzione del Paese, al contrasto al narcotraffico. Se la missione Isaf si fosse limitata al suo obiettivo iniziale stabilito a Bonn nel dicembre del 2001, ovvero alla stabilizzazione dell’area di Kabul e al supporto alla creazione di un governo transitorio, le cose sarebbero andate diversamente.

Quando e perché sono cambiati gli scopi della missione afgana?
Il fallimento afgano è iniziato quando nel 2003 gli Stati Uniti, per concentrarsi sull’Iraq, hanno lasciato la missione Isaf in mano alla Nato, che ne ha stravolto gli scopi allargandoli ai suddetti obiettivi di antiterrorismo, nation-building e antidroga, ma che poi non è stata in grado di gestire la situazione. La Nato ha voluto strafare, disperdendo le sue scarse forze su tutto il territorio e finendo così a fare da bersaglio senza riuscire a raggiungere nessuno di quegli ambiziosi convertiti. Il paradosso è che eravamo andati lì per difendere gli afgani, e oggi ci ritroviamo a difendere noi stessi dagli afgani.

Quali sono le sue previsioni sul futuro dell’Afganistan e della missione internazionale?
Riguardo al futuro sono altrettanto pessimista, perché in dieci anni non è stato affrontato nessuno dei problemi sociali e culturali che avrebbe potuto garantire un futuro diverso all’Afghanistan. In tutto questo tempo non abbiamo portato nessun miglioramento dal punto di vista dell’economia, dell’istruzione, delle leggi. Anzi, con la nostra inazione e i nostri errori abbiamo peggiorato le cose, allontanando sempre più la popolazione dal nuovo governo sostenuto dall’Occidente. Per riparare ai nostri danni dovremmo rimanere in Afghanistan per decenni!

Quindi non crede che l’occupazione dell’Afganistan finirà nel 2014?
Noi europei ce ne torneremo a casa nei prossimi anni senza aver risolto niente, ma gli americani rimarranno a tempo indeterminato, lasciando basi e forze speciali: loro non usciranno mai più dall’Afghanistan, esattamente come non usciranno mai più dall’Iraq. E già che ci sono, fanno di necessità virtù: dovendo rimanere per forza, ne approfittano per piantare degli avamposti contro potenziali nemici regionali e globali, Cina in primis, gettando i presupposti per nuove e ben più rischiose guerre globali. E per rimanerci sono prontissimi a scendere a patti con i talebani.

Mantenere i nostri soldati in Afganistan costa a noi italiani 800 milioni l’anno: in tempi di crisi non sarebbe il caso di riportarli a casa subito?
Se si considerano i pessimi risultati che abbiamo ottenuto finora potremmo andarcene anche domani, risparmiando un bel po’ di denaro. Ma per ragioni di politica interna italiana e di rapporti con gli alleati Nato, l’Italia non può permettersi un ritiro unilaterale.

Demofilo Fidani (1914-1994)

Fonte: http://www.vitadopovita.it/Fidani%20Demofilo%20%281914-1994%29%20-%20Biografia.pdf

“La morte fisica non mi fa paura. So perfettamente che il mio spirito continuerà a vivere nell’altra dimensione, ricco delle mie esperienze e con il bagaglio dei miei errori che dovrò correggere e rivedere.” (dal testamento spirituale di Demofilo Fidani, 1994) Demofilo Fidani.
Demofilo Fidani nasce l’8 febbraio 1914 su un piroscafo diretto in Sardegna.
E’ stato pittore – come più di ogni altra cosa amava definirsi – sceneggiatore e regista
cinematografico (chi non ricorda la serie di Sartana!). Amico di Federico Fellini, per la sua
lunga attività gli venne conferita, nel 1975, la medaglia d’oro “Una vita per il cinema”.
Appassionatosi allo studio del paranormale con l’amico Renato Piergili, scoprì nel 1936 la sua medianità.
Ha concluso la sua esperienza terrena nel 1994.
IL MEDIUM
fonte: http://www.demofilofidani.net/page3.html
Demofilo Fidani è un nome ormai noto a tutti gli appassionati e agli studiosi di medianità e di
fenomeni paranormali. Demofilo è forse l’ultimo dei grandi medium “ad effetti fisici”, l’ultimo
anello di una catena che si è allungata per generazioni e generazioni e che sembra ormai sul
punto di estinguersi. Introdotto da un amico medico (Renato Piergili) alle pratiche
spiritualistiche, scoprì di possedere grandi qualità medianiche, che affinò con umiltà e con
passione fino ad ottenere risultati stupefacenti. Dalle prime interrogazioni sulla veridicità delle
manifestazioni provenienti da un’altra dimensione, fino alla medianità vissuta in prima
persona, l’itinerario spirituale di questo grande personaggio si è arricchito di esperienze
straordinarie e illuminanti.
Nella sua abitazione, dove regolarmente si tenevano le sedute, le penne scrivevano da sole i
messaggi più svariati, si potevano ascoltare le rare “voci dirette”, si poteva assistere a
fenomeni di materializzazione. Per questo, come ha affermato Massimo Inardi che ebbe
occasione di partecipare ad alcune riunioni, la medianità di Fidani è una di quelle che
rimarranno nella storia della parapsicologia, sia per il modo con cui si estrinseca, sia per i
fenomeni che essa produce e che non hanno niente da invidiare ai celebri medium del passato.
Tutta la fenomenologia fu anche studiata a fondo da Ian Stevenson.
A parte i fenomeni fisici, che possono colpire l’attenzione e alzare il velo su possibili nuovi
orizzonti, quello che più conta è il contenuto intellettivo delle manifestazioni medianiche, una
serie di insegnamenti che si collegano alla morale universale. Dopo più di cinquant’anni di
attività nel mondo dello spiritualismo, Demofilo Fidani, che aveva a lungo difeso la sua
riservatezza, decise di divulgare le sue esperienze personali per comunicare ad altri il
significato della sua lunga ricerca.
Nei suoi lunghi anni di attività Demofilo Fidani ha ricevuto un’enorme quantità di lettere e di
richieste di persone che cercavano un contatto con i loro cari che si erano “manifestati”. Fidani
ha sempre cercato di esaudire ogni richiesta, di aiutare senza mai chiedere niente in cambio e
spesso ha portato serenità e consolazione, gioia e speranza.
Sulla medianità di Fidani andrebbero scritti interi volumi come ha rilevato Manuela Pompas,
ma ciò che più conta è l’esperienza interiore, il contatto che ciascuno, nel momento in cui vive
l’evento medianico, ottiene tra la coscienza e l’anima: vivere certe esperienze può cambiare
una vita.
Varcati i settant’anni, Demofilo accantonata la sua lunga attività di regista cinematografico ma
non quella di pittore, che lo aiutava ad esprimere la sua sensibilità artistica, continuò a
diffondere il suo messaggio con immutato impegno e rinnovata energia. Tutti ormai
conoscevano Demofilo Fidani. Era bello incontrarsi con lui e vederlo puntualmente arrivare con
il suo classico cappello di paglia ed il bastone, accompagnato dalla sua cara moglie Mila, a tutti
i convegni di parapsicologia e di spiritualismo

Alieni e Maya, le prove del contatto entro il 21 dicembre 2012

Fonte: http://astronews.myblog.it/archive/2011/10/03/contatto-tra-alieni-e-maya-le-prove-entro-il-21-dicembre-201.html#more

Un documentario che dimostra il contatto tra gli extraterrestri e i Maya, uscirà entro il 21 dicembre 2012…

In un documentario dal titolo “Rivelazioni dei Maya: 2012 e oltre”, il regista Juan Carlos Rulfo presenterà le prove “inconfutabili” dell’esistenza degli alieni e delle visite che questi extraterrestri hanno fatto al popolo Maya. Il governo messicano e quello del Guatemala hanno accettato di collaborare e di divulgare i documenti e materiali fin’ora tenuti segreti.
Il sito archeologico di Tonina, Messico

Gli extraterrestri sono tra noi!
O almeno sono stati tra noi e hanno lasciato tracce del loro passaggio.

Il documentario che il regista messicano Juan Carlos Rulfo è in procinto di girare rischia di fare parlare di lui. Il vincitore del Sundance Film Festival ha infatti l’ambizione di dimostrare, con tanto di prove che gli antichi Maya hanno accolto dei visitatori provenienti dallo spazio. Il film dovrebbe includere l’esplorazione del sito maya di Calakmul, nel sud-est del Messico, e diversi altri siti nel vicino Guatemala.

Il giovane produttore Raul Julia-Levy afferma, nella rivista Hollywood Wrap, aver incontrato alcuni membri del governo messicano nella fase di preparazione del documentario. “Il Messico svelera dei testi, degli oggetti e dei documenti importanti che forniranno la prova del contatto tra il popolo Maya e gli extraterrestri”, ha detto Raul Julia-Levy, le cui parole sono state riprese dal quotidiano britannico The Guardian. “Tutte queste informazioni saranno autentificate dagli archeologi. Il governo messicano non si accontentera di semplici dichiarazioni.
Tutto ciò che verrà detto nel documentario, sarà provato. ”

Il film uscirà pochi giorni prima del 21 Dicembre 2012

Per ora, dalla parte messicana, solo il Ministro del Turismo dello Stato di Campeche (dove si trova il sito di Calakmul) ha parlato sul tema. Luis Augusto Garcia Rosado ha confermato in un comunicato, “il contatto tra i Maya e gli alieni sono dimostrati dalle traduzioni di alcuni testi che il governo ha mantenuto segreti e al sicuro per molti anni.”

Il ministro ha parlato anche dell’esistenza di piste di atterraggio per i veicolo spaziale che risalgano ad almeno 3000 anni, scoperti nel profondo della giungla messicana. Tuttavia, non ha rivelato altri dettagli e ha rifiutato di specificare in quale parte del paese si trovavano queste aree di atterraggio.

Il Ministro del Turismo del Guatemala ha anch’egli promesso di cooperare alla realizzazione del documentario e di fornire al regista delle prove inconfutabili e originale. “Il Guatemala ha tenuto segreto alcune sorprendenti scoperte archeologiche”, ha detto Guillermo Quezada Novielli. “Adesso è arrivato il tempo di integrare velocemente queste informazioni nel documentario. “Il presidente Alvaro Colom Caballeros stesso avrebbe ordinato ai membri della sua coalizione di collaborare attivamente al progetto per il “bene dell’umanità “.

Il documentario uscirà nell’autunno del 2012, pochi giorni prima della temuta data del 21 dicembre.