Quanti Conoscono i Veri Problemi del Paese?

Scritto da: Marco Canestrari
Fonte: http://eccocosavedo.blogspot.com/

Spesso in rete si fanno strada ragionamenti del tipo: Questo ormai lo sanno tutti e divulgarlo non cambierà niente riguardo problemi fondamentali come la crisi mondiale, la forza della televisione nel creare le opinioni, la mancanza di una democrazia reale, il monopolio mediatico, economico e politico sempre più centralizzato e gestito da élite di potere, la sovranità monetaria non più in mano alla popolazione ecc.

E’ proprio vero che se le cause di un problema globale sono conosciute nel mondo del web allora anche l’italiano medio ne è consapevole? Assolutamente no! Infatti, oggigiorno, un’opinione, anche qualora fosse largamente condivisa in tutto il web italiano, potrebbe rappresentare approssimativamente il 10-20% del paese, quindi sempre un’esigua minoranza della totalità dei consensi. La realtà, invece, è che la maggior parte degli italiani, informandosi per mezzo della televisione, non ha affatto una conoscenza e una visione chiara delle questioni principali che attanagliano la società, ed è proprio questo uno dei primi problemi da risolvere.

Internet non rappresenta l’Italia, vediamolo con i numeri. La tv nel 2011 resta il mezzo in assoluto più diffuso: lo utilizza il 97,4% della popolazione italiana, i telegiornali sono usati dall’80,9% come fonte principale. La politica è star della tv: Quando va in onda un talk show politico, davanti alla televisione si siede esattamente la metà degli italiani e l’utente tipo è di sesso maschile e ultrasessantacinquenne. Certamente il numero degli utenti internet sta aumentando ma nel rapporto con Internet, la televisione è ancora stravincente (13 a 1 nel budget temporale). Sui siti d’informazione presenti su Internet ci si informa meno del 30%. Su Facebook il 26,8% del totale (contro il 3.4% degli over 65). Comparando questi dati con quelli dei 27 paesi dell’Unione Europea, l’Italia si trova al 22° posto per la penetrazione di Internet. Peggio di noi solo Bulgaria, Cipro, Grecia, Portogallo e Romania. Inoltre l’Italia è, tra i paesi del G7, all’ultimo posto per la diffusione di Internet. In riferimento all’uso di internet, emerge un dato che dovrebbe farci riflettere (age digital divide), in altre parole lo scarto basato sull’età nell’uso delle nuove tecnologie dell’informazione. Infatti, l’87,4% dei giovani usa internet a differenza del 15,1% degli anziani. L’accesso alle notizie di internet, riassumendo, non è per niente uniforme. Fra tutti quelli che hanno la possibilità di accedere c’è una grande diseguaglianza tra chi è giovane e chi no, tra chi ha le capacità tecniche e culturali e chi no.

Concludendo, se vogliamo avviare dei miglioramenti sulle questioni globali, allora abbiamo bisogno di consensi larghissimi. Impegniamoci quindi a esprimere il nostro favore verso la diffusione delle informazioni diverse da quelle imposte dall’alto. Contribuiamo a fare crescere la Rete promuovendo l’accesso a internet gratuito, i giovani, e la cultura. Più la Rete sarà diffusa, organizzata, informata e competente e più le sue iniziative metteranno radici anche nel mondo reale.

Non sono i vecchi politici che ci insegneranno come migliorare la società, sarà invece la società stessa, per mezzo della Rete, che svilupperà autonomamente gli strumenti per fare una nuova Politica .

Un procuratore militare polacco tenta il suicidio

Fonte: http://www.ilpost.it/2012/01/09/polonia-kaczynski/

Il procuratore militare polacco Mikolaj Przybyl si è sparato oggi dopo aver tenuto una conferenza stampa. Durante la conferenza stampa aveva criticato la fuga di notizie relativa all’indagine dell’incidente aereo del 10 aprile 2010, in cui morì l’allora presidente polacco Lech Kaczynski insieme ad altre 95 persone, perlopiù alti funzionari del governo.

Przybyl sosteneva la necessità di controllare i giornalisti che lavoravano sul caso e di sorvegliare i loro telefoni, per fermare le fughe di notizie. Dopo aver chiesto di fare una breve pausa, Przybyl è andato nel suo ufficio e si è sparato. I giornalisti hanno sentito lo sparo e si sono precipitati nel suo ufficio, trovandolo a terra. Przybyl è stato portato in ospedale da un’ambulanza: è vivo, ha ripreso coscienza e secondo i medici è in buone condizioni. Il presidente polacco Bronislaw Komorowski si è detto preoccupato dal tentativo di suicidio e ha chiesto alla sicurezza nazionale di tenere la situazione sotto controllo.

L’aereo in cui morì il presidente Kaczynski precipitò a Smolensk, in Russia. Stava portando una delegazione del governo polacco nel Paese per commemorare la strage di Katyn del 1940, quando 22mila polacchi furono sterminati dall’allora regime sovietico. Dopo mesi di indagini da parte di una Commissione internazionale per l’aviazione, gli esperti polacchi e russi si erano trovati discordi su alcuni aspetti della ricostruzione. Il rapporto redatto dalle autorità russe nel gennaio 2011 aveva attribuito tutta la responsabilità dell’incidente all’equipaggio dell’aereo, facendo infuriare il governo polacco che invece fin dall’inizio aveva sostenuto che le condizioni dell’aeroporto di Smolensk avessero notevolmente contribuito al disastro.

A luglio 2011 la commissione d’inchiesta del governo polacco ha reso note le conclusioni del suo rapporto, dopo quindici mesi di indagini. La commissione ha stabilito che il sistema d’illuminazione dell’aeroporto era difettoso e inadeguato, e che i russi diedero informazioni sbagliate al pilota dell’aereo, spingendolo a un errore di valutazione della distanza da terra che determinò l’impatto. Il rapporto ha anche criticato duramente le autorità polacche, dicendo che il pilota non era adeguatamente preparato per un atterraggio in condizioni d’emergenza e che, essendo l’unico membro dell’equipaggio in grado di parlare russo, doveva sia guidare che comunicare con il personale di controllo dell’aeroporto. Le inchieste penali, sia russe che polacche, sono ancora in corso.

Kiwi, frutto della salute

Fonte: http://www.italiasalute.it/10513/Kiwi-frutto-della-salute.html

Tre kiwi per abbassare la pressione. Lo dice uno studio presentato durante la consueta riunione dell’American Heart Association che si è svolta a Orlando, in Florida. Si tratta di una ricerca del Mette Svendsen University Hospital di Oslo, che ha evidenziato come il consumo di tre kiwi al giorno comporti un calo immediato della pressione sanguigna.
L’analisi ha coinvolto un totale di 118 soggetti con un’età media di 55 anni e una leggera ipertensione. La prima metà del gruppo ha integrato la propria dieta con l’aggiunta di tre kiwi, mentre il gruppo di controllo si è affidata alle proprietà della mela. Alla fine della sperimentazione, i medici hanno verificato una maggiore efficacia da parte del kiwi, dovuta alla luteina, sostanza dalle proprietà antiossidanti. Il beneficio per i soggetti che consumavano i kiwi in termini di pressione sanguigna sistolica era pari a 3,6 millimetri dimillimetri di mercurio in meno rispetto agli altri.
Il kiwi è un frutto originario della Cina ma ormai reperibile sui banchi dei nostri supermercati per tutto l’anno. L’Italia ne è infatti diventata il primo produttore mondiale.
Il frutto sembra essere un vero toccasana per la salute. La sua polpa soda, dolce e acidula contiene infatti più vitamina C di limoni, arance e peperoni. È poi ricco di potassio, vitamina E, rame e ferro, notevole in esso è anche la presenza di minerali e fibre. Un mix che conferisce al kiwi proprietà antisettiche e antianemiche. Un altro studio della Teikyo University di Tokyo, i cui ricercatori ne hanno pubblicato su Biological and Pharmaceutical Bulletin il resoconto, si concentra sui livelli di antiossidanti presenti nel frutto. Ne è emerso che il contenuto globale di polifenoli è superiore a quello di ogni altro frutto e che la varietà migliore è la Gold, più ricca di antiossidanti di quella verde, più comune.
Secondo uno studio condotto dell’Università di Oslo, invece, assumere un kiwi al giorno sarebbe equivalente a prendere un’aspirina giornaliera nella prevenzione delle malattie cardiovascolari, ma senza i danni collaterali all’apparato gastrointestinale che questa provoca. Questo perché il kiwi contrasterebbe l’accumulo di depositi e placche nelle arterie. Inoltre il frutto verde ha dimostrato la capacità di ridurre i livelli di trigliceridi nel sangue del 15%.
Un altro studio ha invece dimostrato che mangiare kiwi giova alla salute dei nostri occhi. Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista Opthalmology, mangiando 3 kiwi al giorno si ridurrebbe il rischio di degenerazione maculare, in quanto nel frutto ci sono due sostanze benefiche: la luteina, che filtra i raggi dannosi e previene la degenerazione maculare, il glaucoma e la cataratta, e la zeaxantina che potenzia le virtù della luteina, mantenendo l’occhio giovane.
Anche l’aspetto estetico migliora grazie ai kiwi, grazie proprio alle sue vitamine antiossidanti il frutto contrasta i segni del tempo neutralizzando i radicali liberi che uccidono le cellule. Rende la pelle elastica e giovane riducendo le rughe.
Il kiwi poi dovrebbe essere assunto regolarmente anche durante la gravidanza. È infatti una fonte di folato che è un elemento essenziale per la prevenzione dei disturbi dello sviluppo del tubo neurale del feto.
E non è finita qui, l’assunzione dei kiwi fornisce anche un aiuto per gli uomini con problemi di impotenza. I suoi livelli di amino arginina sono infatti efficaci nell’aiutare chi ha di questi problemi.
Insomma mille qualità racchiuse in un piccolo frutto, da considerare un vero alleato per la salute di tutto l’organismo. … 

Lo strano caso della morte di Albino Luciani, il papa che voleva moralizzare la Chiesa e le finanze vaticane

Fonte:http://www.cristianesimo.it/luciani.htm

Il 26 Agosto del 1978 Albino Luciani fu eletto Papa e successore di Paolo VI.

In Vaticano, parecchie persone non erano contente dell’elezione di Luciani al soglio pontificio ma, forse, il più scontento di tutti era monsignor Marcinkus che fino all’ultimo istante aveva sperato nell’elezione del candidato Giuseppe Siri. (Nella foto sotto: il cardinale Marcinkus con Giovanni Paolo II).

Ma chi era questo Marcinkus? Era una delle pedine fondamentali di quella partita a scacchi che da anni si giocava fra Vaticano e grandi banche e che metteva in palio la possibilità di vedere il proprio capitale aumentare sempre di più [1].

Marcinkus era il più alto in grado all’interno dello I.O.R., l’Istituto per le Opere Religiose. Egli intuì immediatamente i pericoli dell’elezione di questo pontefice che, sin dai suoi primi discorsi, aveva lasciato chiaramente intendere di voler far tornare la chiesa cattolica a quegli ideali di carità cristiana propri del cristianesimo antico, rinunciando alle ricchezze superflue che troppo avevano distolto gli uomini di chiesa dai propri sacri compiti. Figuratevi il capo della banca vaticana come avrebbe mai potuto vedere un tipo del genere sul più alto gradino del proprio stato…
Marcinkus diceva ai suoi colleghi: «Questo Papa non è come quello di prima, vedrete che le cose cambieranno»[2].
Su due punti Luciani sembrava irremovibile: l’iscrizione degli ecclesiastici alle logge deviate della massoneria, e l’uso del denaro della chiesa alla stregua di una banca qualunque [3]. E l’irritazione del Papa peggiorava al solo sentire nominare personaggi come Calvi e Sindona dei quali aveva saputo qualcosa facendo discrete indagini [4].
In coincidenza con l’elezione di Luciani venne pubblicato un elenco di 131 ecclesiastici iscritti alla P2, la massoneria deviata di Licio Gelli, buona parte dei quali erano del Vaticano. La lista era stata diffusa da un piccolo periodico «O.P. Osservatore Politico» di quel Mino Pecorelli destinato a scomparire un anno dopo l’elezione di Albino Luciani in circostanze mai chiarite.[5]
Secondo molti, O.P. era una sorta di «strumento di comunicazione» adoperato dai servizi segreti italiani per far arrivare messaggi all’ambiente politico. Pecorelli, tra l’altro, era legato a filo doppio con Gelli come lo erano Sindona e Calvi (nella foto qui sotto) [6].
Ma, tornando alla lista ecclesiastico-massonica, questa comprendeva, fra gli altri, i nomi di: Jean Villot (Segretario di Stato, matr. 041/3, iniziato a Zurigo il 6/8/66, nome in codice Jeanni), Agostino Casaroli (capo del ministero degli Affari Esteri del Vaticano, matr. 41/076, 28/9/57, Casa), Paul Marcinkus (43/649, 21/8/67, Marpa), il vicedirettore de «L’osservatore Romano» don Virgilio Levi (241/3, 4/7/58, Vile), Roberto Tucci (direttore di Radio Vaticana, 42/58, 21/6/57, Turo).[7]
Di Albino Luciani cominciò a circolare per la curia l’immagine di uomo poco adatto all’incarico, troppo «puro di cuore», troppo semplice per la complessità dell’apparato che doveva governare.

La morte subitanea, dopo trentatre giorni di pontificato, suscitò incredulità e stupore, sentimenti accresciuti dalle titubanze del Vaticano nello spiegare il come, il quando ed il perché dell’evento. In questo modo, l’incredulità diventò prima dubbio e poi sospetto. Era morto o l’avevano ucciso?[8]

Fu detto all’inizio che Luciani era stato trovato morto con in mano il libro «l’imitazione di Cristo», successivamente il libro si trasformò in fogli di appunti, quindi in un discorso da tenere ai gesuiti ed infine, qualche versione ufficiosa volle che tra le sue mani ci fosse l’elenco delle nomine che il Papa intendeva rendere pubbliche il giorno dopo.[9]

Dapprima, l’ora della morte fu fissata verso le 23 e, quindi, posticipata alle 4 del mattino. Secondo le prime informazioni, il corpo senza vita era stato trovato da uno dei segretari personali del Papa, dopo circolò la voce che a scoprirlo fosse stata una delle suore che lo assistevano. C’erano veramente motivi per credere che qualcosa non andasse per il verso giusto.

Qualcuno insinuò che forse sarebbe stato il caso di eseguire un’autopsia e questa voce, dapprima sussurrata, arrivò ad essere gridata dalla stampa italiana e da una parte del clero.
Naturalmente l’autopsia non venne mai eseguita ed i dubbi permangono ancora oggi. Di questo argomento si occuperà approfonditamente l’inglese David Yallop, convinto della morte violenta di Giovanni Paolo I.
Il libro dello scrittore inglese passa in rassegna tutti gli elementi di quel fatidico 1978 fino a sospettare sei persone dell’omicidio di Albino Luciani: il Segretario di Stato Jean Villot (foto a sinistra), il cardinale di Chicago John Cody, il presidente dello I.O.R. Marcinkus, il banchiere Michele Sindona, il banchiere Roberto Calvi e Licio Gelli maestro venerabile della Loggia P2.[10]
Secondo Yallop, Gelli decise l’assassinio, Sindona e Calvi avevano buone ragioni per desiderare la morte del Papa ed avevano le capacità ed i mezzi per organizzarlo, Marcinkus sarebbe stato il catalizzatore dell’operazione mentre Cody (strettamente legato a Marcinkus) era assenziente in quanto Luciani era intenzionato ad esonerarlo dalla sede di Chicago perché per motivi finanziari si era attirato le attenzioni non solo della sua chiesa ma addirittura della giustizia cittadina e della corte federale. Villot, infine, avrebbe facilitato materialmente l’operazione[11].
La ricostruzione fatta da Yallop degli affari di Sindona, di Calvi, di Gelli e dello I.O.R., conduce inevitabilmente all’eliminazione del Papa. Il lavoro investigativo di Yallop è buono e non si può non tener conto di tale lavoro soprattutto considerando il fatto che troppi sono i dubbi inerenti le ultime ore di vita del Papa.
Perché e soprattutto chi ha fatto sparire dalla camera del Papa i suoi oggetti personali? Dalla stanza di Luciani scompariranno gli occhiali, le pantofole, degli appunti ed il flacone del medicinale Efortil.

La prima autorità di rango ad entrare nella stanza del defunto fu proprio Villot, accompagnato da suor Vincenza (la stessa che ogni mattina portava una tazzina di caffè al Papa) che verosimilmente fu l’autrice materiale di quella sottrazione.

Perché la donna si sarebbe adoperata con tanta solerzia per far sparire gli oggetti personali di Luciani? Perché quegli oggetti dovevano sparire? Domande destinate a restare senza risposta anche in considerazione del fatto che la diretta interessata è passata a miglior vita.

Una curiosità per chiudere l’argomento: sulla scrivania di Luciani fu trovata una copia del settimanale «Il mondo» aperta su di un’inchiesta che il periodico stava conducendo dal titolo: «Santità…è giusto?» che trattava, sotto forma di lettera aperta al pontefice, il tema delle esportazioni e delle operazioni finanziarie della banca Vaticana. «E’ giusto…» recita l’articolo «…che il Vaticano operi sui mercati di tutto il mondo come un normale speculatore? E’ giusto che abbia una banca con la quale favorisce di fatto l’esportazione di capitali e l’evasione fiscale di italiani?»[12].

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[1] Matillò R.D., L’avventura delle finanze Vaticane,Ed.Pironti, Napoli, 1988 ;
[2] Ibidem
[3] Ibidem
[4] Ibidem
[5] Ardagna G., La scoperta della lista P2 nella stampa italiana,Napoli, 2004;
[6] Ibidem
[7] Matillò R.D., L’avventura delle finanze Vaticane, Ed.Pironti, Napoli, 1988;
[8] Ibidem
[9] Ibidem
[10] Yallop D., In God’s name, Ed.Pironti, Napoli, 1992;
[11] Ibidem
[12] Ibidem

La nascita degli Ultrà negli stadi

Scritto da: Nicola Nucci (Supertifo)
Fonte: http://www.pagine70.com/vmnews/wmview.php?ArtID=459

Tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta nascono in Italia i primi nuclei di ultrà, gruppi di sostenitori fra i 15 e i 20 anni che si distaccano nettamente dal modello “classico”, adulto, dello spettatore calcistico. Raccolti nei settori popolari degli stadi, dove le società stimolano l’afflusso giovanile tramite speciali campagne di abbonamenti a prezzo ridotto, gli ultrà manifestano immediatamente una serie di caratteristiche che li rende un fenomeno originale nel calcio italiano: dal senso di identificazione con il proprio “territorio”, ovvero quel settore di curva delimitato da uno o più striscioni con il nome e il simbolo del gruppo, a un look paramilitare ripreso da quello in voga nelle organizzazioni politiche estremiste: eskimo, anfibi, tute mimetiche e giacconi militari ricoperti di “toppe” della propria squadra, a cui si aggiunge la sciarpa con i colori sociali della squadra.

Ma gli ultrà si distinguono soprattutto per l’adozione di elementi del tutto innovativi nel modo di sostenere la squadra e, più in generale, di assistere alla partita. Dalle “torcidas” brasiliane viene ripreso l’uso di trombe e tamburi; dalle tifoserie inglesi la “sciarpata” (le sciarpe vengono alzate e distese dai tifosi, dando l’effetto ottico delle onde del mare) e l’accompagnamento corale delle azioni di gioco fino ad assumere un carattere ossessivo volto a incoraggiare i propri beniamini e a frastornare e intimidire i giocatori avversari.

Il tifo viene dunque considerato parte della strategia e della tattica adottate per vincere un incontro: diviene il cosiddetto “dodicesimo giocatore”. Si diffonde inoltre l’uso di articoli pirotecnici (fuochi a mano per segnalazioni marittime, candelotti fumogeni, razzi e bengala a luce colorata), destinati a dare un tocco di vivacità supplementare alle gradinate. Subentra così per la prima volta il concetto di “coreografia della curva”, una pratica del tutto originale che si evolverà di pari passo con il grado di organizzazione dei gruppi ultrà. La coreografia diviene il marchio dello stile italiano. Spettacoli e scenografie su vasta scala, di grande impatto, fantasmagoriche, enormi, multicromatiche. E’ la fantasia, tutta italiana, al potere. Dal sipario della Gradinata Nord di Genova che ha scomodato persino il quotidiano francese “Le Monde” alla curva Fiesole di Firenze che disegna i contorni dei monumenti fiorentini rifacendosi alla pianta topografica originaria. Il gruppo ultrà più antico è la Fossa dei Leoni del Milan, fondato nel 1968, che adotta il nome del vecchio campo d’allenamento dei rossoneri e trova posto nel settore dei popolari alla Rampa 17 (rettilineo centrale).

Anche già nel 1951 a Torino era sorto il club dei “Fedelissimi Granata” che ancora oggi è presente nello schieramento dei gruppi della curva Maratona. Nel 1969 nascono anche gli Ultras Tito Cucchiaroni della Sampdoria (primi a usare la denominazione “Ultras”) e, subito dopo, i Boys dell’Inter. Con gli anni Settanta si assiste a un processo di aggregazione degli innumerevoli microgruppi giovanili che popolano ormai le curve delle squadre maggiori: nascono le Brigate Gialloblu del Verona e, dal nome della piazza in cui si radunano, il Viola Club Vieusseux della Fiorentina (1971); gli Ultrà del Napoli (1972); le Brigate Rossonere del Milan, la Fossa dei Grifoni del Genoa e gli Ultrà Granata del Torino (1973); i Forever Ultrà del Bologna (1974); i Fighters della Juventus (1975); le Brigate Neroazzurre dell’Atalanta (1976); gli Eagles’ Supporters della Lazio e il Commando Ultrà Curva Sud della Roma (1977). Come si può notare anche solo dalle maggiori tifoserie, la diffusione del movimento è maggiore nell’Italia settentrionale. Se si escludono Napoli, Bari, Cagliari e Catanzaro, negli anni Settanta non esistono altre città del Sud in cui gli ultrà costituiscano un’entità davvero apprezzabile (a Palermo, Catania, Taranto, Foggia o Cosenza il movimento prenderà piede in misura sensibile solo negli anni Ottanta).

Alcuni si distaccano da club di tifosi già esistenti, sia per la diversa mentalità di fondo che per dissidi interni (i Boys prendono origine dall’Inter Club Fossati, mentre gli Ultrà Granata si scindono dal Club Fedelissimi; altri provengono da gruppetti durati pochi mesi e poi sciolti o riunificati (i Forever Ultrà del Bologna sono gli eredi delle Brigate Rossoblu; i Fighters lo sono dei Panthers Juve; il Commando Ultrà Curva Sud nasce dalla fusione di Boys, Guerriglieri Giallorossi, Fossa dei Lupi, Brigate Giallorosse e Pantere). Alla base di alcuni gruppi vi è la provenienza da una determinata area urbana (il nucleo originario degli ultrà sampdoriani viene dal quartiere di Sestri Ponente) o da un gruppo di coetanei che ha come luogo di ritrovo un bar, una scuola o una sala-giochi. Parecchi giovani, infine, risultano già aggregati in gruppi e movimenti politici.

E sono proprio alcune caratteristiche dei gruppi politici estremisti, quali il senso di coesione e di cameratismo, la sfida all’autorità costituita, il senso di conflittualità, a dare sostanza ai gruppi ultrà che in breve tempo riescono a radunare decine e decine di giovani. Un altro aspetto peculiare degli ultrà è il forte senso di territorialità. Le curve, infatti, vengono a poco a poco abbandonate dai club dei tifosi cosiddetti “normali”, che trasferiscono altrove i propri vessilli per lasciare spazio agli striscioni ultrà. Su queste nuove insegne campeggiano per lo più le teste di belve feroci (leoni, pantere e tigri in particolare), l’immancabile teschio bendato con le tibie incrociate (Jolly Rogers, emblema della pirateria), armi o elementi che richiamano comunque la violenza (il viso del Piccolo Alex, protagonista del film di Stanley Kubrick “Arancia meccanica”). I simboli politici veri e propri (bandiere con croci celtiche, immagini di Che Guevara) o i “bambulé” inneggianti alla marijuana fanno solo timide comparse, almeno nei primi anni del movimento. Le attività di gruppo, nei primi anni, vengono comunque finanziate quasi sempre da collette o autotassazioni e ogni membro ha dei compiti ben precisi: dall’organizzazione delle trasferte al seguito della squadra all’acquisto di stoffa, pelli per tamburi, aste da bandiera e barattoli di vernice. La spontaneità del precedente modo di tifare annega in questo senso di partecipazione collettiva all’evento sportivo, differenziandosi da quel modello inglese in cui la coesione del gruppo si registra soltanto nel momento dello scontro fisico, mentre l’incitamento – pur eseguendo i rituali inni di vittoria o di offesa ai rivali – non registra un livello di organizzazione altrettanto sofisticato.

Con l’avvento degli ultrà, anche le intemperanze del pubblico cambiano completamente aspetto. Pur resistendo nei primi anni del decennio, a partire all’incirca dal 1974 comportamenti quali l’invasione di campo (o la caccia all’arbitro) tendono a diminuire, mentre si moltiplicano gli scontri fra i giovani delle fazioni opposte. E’ il caso dei match Torino-Sampdoria e Roma-Lazio del marzo ’74: inizialmente gli spettatori iniziano a lanciare ogni sorta d’oggetto in campo, quindi scoppiano violente risse tra gruppi contrapposti di tifosi, che obbligano la polizia a intervenire con un fitto lancio di lacrimogeni sugli spalti. Gli incidenti si spostano quindi fuori dallo stadio, acquisendo le sembianze di una vera e propria guerriglia urbana: autobus distrutti, macchine ribaltate, ecc. Molti di questi disordini affondano le loro radici nelle rivalità tradizionali (i derby fra squadre della stessa città o le partite in cui rivivono antichi dissapori di campanile), altri dipendono dalle colorazioni politiche delle tifoserie (ad esempio la storica rivalità tra Red-White Panthers del Vicenza, di sinistra, e le fascistoidi Brigate Gialloblu di Verona).

La violenza rimane comunque circoscritta entro un ambito territoriale limitato, ossia lo stadio e le sue più immediate adiacenze. Gli scontri più duri avvengono infatti sugli spalti, anche perché non vi è ancora soluzione di continuità fra il settore riservato agli ospiti e il resto della folla. Anche in Italia compare il gioco inglese dello “holding the end” (occupa la curva): se la tifoseria ospite è numerosa e compatta, può tentare d’impossessarsi del territorio altrui invadendo il settore di stadio riservato agli ultrà locali e rubando bandiere e striscioni, che si trasformano in trofei di guerra. Non mancano, infine, i tafferugli fra gli ultrà e il pubblico comune, dovuti quasi sempre a motivi di visibilità del gioco. I giovani assistono alla partita rigorosamente in piedi; gli spettatori più anziani, abituati a sedersi sulle gradinate, mal si adattano a questo cambiamento tanto drastico. I primi episodi di reale gravità non tardano purtroppo a manifestarsi. (un accoltellamento a Lazio-Napoli, la scena si ripete nel 1975 durante Milan-Juventus. Nel 1977, durante Atalanta-Torino, gli ultrà si scontrano a colpi di spranghe di ferro, e per Inter-Milan si assiste a uno scontro al coltello tra Boys interisti e Brigate Rossonere.

L’anno successivo, a Vicenza-Verona, le due tifoserie si affrontano in maniera altrettanto violenta, lasciando sul campo diversi feritii). Il 28 ottobre 1979, durante il derby di Roma, un tifoso laziale, Vincenzo Paparelli, viene raggiunto alla testa da un razzo sparato da un Fedayn romanista della curva sud, morendo in pochi minuti.

Nella stessa domenica si verificano gravi incidenti ad Ascoli (Ascoli-Bologna, 7 feriti), Milano (Inter-Milan, 18 feriti) e Brescia (Brescia-Como, diversi feriti). La tragedia dell’Olimpico, aggravata dal clima di violenza che si manifesta contemporaneamente in molti altri stadi, scuote l’opinione pubblica.

Per la prima volta anche in Italia il fenomeno della violenza calcistica diviene al centro dell’attenzione della stampa e delle istituzioni. Vengono prese drastiche misure repressive: per alcuni mesi viene proibito l’ingresso allo stadio di aste di bandiera, tamburi e persino striscioni dai nomi bellicosi.

Film BEHIND THE LABEL, l’altra faccia del cotone indiano

Scritto da: Silvia Lorenzi
Fonte: http://www.howtobegreen.eu/greenreport.asp?title=554

Cotone da sementi geneticamente modificate, cotone Ogm, biotecnologie, il dramma dei contadini, dietro le quinte del mercato del cotone indiano, la multinazionale Monsanto. Il documentario Behind the Label propone un’inchiesta-racconto, con immagini ed interviste inedite, volta a capire se le biotecnologie sono davvero la soluzione a molti dei problemi del Terzo Mondo, a chi in realtà giova l’introduzione delle biotecnologie e cosa si nasconde dietro la diffusione di piante geneticamente modificate nella coltivazione del cotone in India, secondo produttore mondiale della fibra tessile più utilizzata al mondo.

Cosa è avvenuto nell’ultimo decennio in India? In appena nove anni il paese è stato conquistato dai semi prodotti dalla multinazionale Monsanto, indotto dal miraggio di un’inedita prosperità per i contadini coltivatori. Nel documentario l’ex-direttore commerciale di Monsanto India – Tiruvadi Jagadisan – racconta come la multinazionale, per affermarsi sul gigantesco mercato indiano, abbia negli anni 90 introdotto illegalmente semi con un gene in grado di rendere sterili le varietà locali, e poi – dal 2002 con semi geneticamente modificati – ha acquistato, passo dopo passo, un monopolio di fatto quasi totale del mercato del cotone.

Cosa avviene oggi in India? I semi di cotone Ogm sono distribuiti a carissimo prezzo da aziende indiane, che versano le royalties alla Monsanto: ciò che all’inizio costava 9 rupie al chilo, oggi viene comprato a 4000 rupie da contadini poveri o poverissimi. Leggi e regolamenti locali molto carenti e permissivi hanno fatto il resto, costringendo gli agricoltori ad una scelta quasi obbligata.

Quali sono le conseguenze per i contadini indiani? La conseguenza più devastante riguarda proprio l’indebitamento dei contadini. L’India, come molti altri produttori agricoli del terzo mondo, è alle soglie di una vera e propria crisi agraria, che colpisce soprattutto gli Stati centrali del paese dove, sotto gli occhi colpevolmente distratti dei paesi più sviluppati, si diffonde una inesorabile tragedia: 216.000 contadini morti suicidi in meno di dieci anni a causa della disperazione e vergogna indotta dai pesantissimi debiti contratti per la realizzazione delle loro coltivazioni.

Quali sono le conseguenze per l’ambiente? La diffusione incontrollata e l’abuso delle biotecnologie in agricoltura colpisce direttamente i già precari equilibri ambientali che di fatto sono la base della sopravvivenza di milioni di persone. I suoli agricoli si impoveriscono fino alla sterilità; si moltiplicano nuovi parassiti, non contrastati dalle sementi Ogm; animali domestici muoiono inspiegabilmente dopo aver pascolato tra i residui del cotone geneticamente modificato; spariscono le varietà vegetali native che avevano assicurato la pur fragile agricoltura locale. I semi Ogm sembrano fallire sempre più spesso e i raccolti miracolosi lasciano il passo a campi malati dove le coltivazioni hanno bisogno di interventi chimici sempre più costosi per debellare i parassiti.

La speranza concreta del cotone biologico. Il documentario intreccia le testimonianze del mito fallito del cotone Ogm con un’altra storia: quella di quanti hanno scommesso in un’alternativa radicale, imboccando il difficile percorso a favore della coltivazione biologica del cotone. Una strada che parte con il recupero dei semi tradizionali per conservare la biodiversità ed assicurare un futuro – forse meno “miracoloso”, ma più solido – per milioni di piccoli agricoltori.

I commenti scientifici sono affidati ad autorevoli esperti indiani. Le loro analisi si intrecciano con i racconti dei contadini, tutti raccolti in presa diretta. Donne derubate dagli intermediari, bambini al lavoro nei campi, giovani alle soglie del suicidio, vedove disperate, agricoltori ingannati dalla falsa promessa di un benessere a portata di mano. Volti indimenticabili che raccontano la storia del cotone Ogm, in paesaggi e contesti di un’India inedita e ancora poco conosciuta.

Bucegi: le montagne misteriose che celano un segreto

Scritto da : Federica Vitale
Fonte: http://www.nextme.it/rubriche/misteri/2951-bucegi-montagne-segreto

Era l’estate del 2003 quando, in un’area inesplorata delle Montagne Bucegi, in Romania, lo Zero Team Department (una sezione dell’intelligence rumena), fece una scoperta epocale con tutte le caratteristiche per riscrivere il destino dell’umanità.

Una strana struttura fu scovata nelle viscere di questi monti. Una struttura ben costruita che partiva dal centro principale della montagna e non dall’esterno, come fosse una grotta o una caverna. E un lungo tunnel da percorrere prima di riaffiorare alla luce del sole. Tuttavia, la scoperta più interessante la diedero i satelliti del Pentagono quando scoprirono due blocchi principali, posti in corrispondenza dell’entrata e dell’uscita della costruzione. Quasi ad impedire di penetrare all’interno dello spazio. Come se si volesse custodire gelosamente un segreto o qualcosa che non si vuol rendere noto. Solo più tardi, furono rilevate forti frequenze energetiche. E qui si concentrarono le ricerche.

Non molto tempo prima, anche in Iraq, nei pressi di Bagdad, era stata scoperta una struttura simile a quella di Bucegi. Anch’essa caratterizzata da frequenze di energia simili e del tutto impossibile da penetrare. Anche qui fu impossibile penetrare il muro energetico. Proseguendo con le indagini, si giunse all’ipotesi che entrambe le strutture, quella in Romania e quella in Iraq, potessero avere qualche legame con la storia del nostro pianeta e la sua formazione. Ipotesi che, come è logico pensare, suscitò scalpore tra le organizzazioni massoniche preoccupate soprattutto dal fatto che tale struttura fosse in qualche modo legata alla Romania.

Gli abitanti dei villaggi confinanti la montagna, a più riprese, sostennero di aver avvertito strani avvenimenti, piccoli terremoti, situazioni di sonnambulismo inspiegabili. Il segreto fu in parte svelato quando, sempre nel 2003, la montagna fu in parte perforata. Dentro vi si trovarono immense gallerie costruite ingegnosamente e blocchi di pietra sulle cui superfici si trovavano scolpite sequenze del DNA umano e non umano ed i possibili suoi incroci.

I servizi segreti americani si recarono subito in Romania per trattare con il governo romeno sulla diffusione di queste notizie e, dopo un lungo clima di tensione, il governo non dichiarò nulla di ufficiale. E pare fosse stato sostenuto dalla Chiesa. Le scoperte non finirono. Scavando nelle vicinanze della montagna, furono rinvenuti scheletri giganteschi. Ciò portò a pensare a esperimenti sul corpo umano o sulla possibile presenza di creature giganti, abitanti del luogo.

Combinazioni genetiche, scheletri titanici, onde magnetiche ad alto flusso di concentrazione e terremoti inusuali fecero delle montagne Bucegi un luogo dove il mistero penetra fin nelle viscere della terra. È il caso di dirlo.

Per i turisti, al contrario, le montagne Bucegi offrono anche altro. In romeno, “bucegi” significa scegliere e leggenda vuole che queste montagne siano le montagne “elette”. E i fatti appena narrati ne avvalorano la portata del significato del nome. Per quanti volessero visitare l’area, due attrazioni meritano il nome che gli è stato dato. A 2.200 metri di altitudine, una pietra è stata scalfita dal vento dandole le sembianze di una donna e attribuendole il nome di “the Sphinx”, la sfinge. Inoltre, l’erosione ha modellato delle formazioni rocciose che ricordano un gruppo di anziane donne, da cui il nome “the old women”, appunto.

Ancora oggi l’enigma di Bucegi è rimasto insoluto. E pare bizzarra la cortina di silenzio che avvolge tali luoghi. Di cui pochi conoscono l’esistenza. Un caso che riporta alla mente il ben più noto sito di Roswell che rimane un mistero riservato a pochi e un fascino inspiegabile per molti.

Libia. Jalil: preoccupato per possibile guerra civile

Fonte: http://www.agenziastampaitalia.it/index.php?option=com_content&view=article&id=6367:libia-jalil-preoccupato-per-possibile-guerra-civile-&catid=15:estere&Itemid=

(ASI) “Di fronte a queste violazioni che pongono la Libia in uno scontro militare che non dobbiamo accettare, rimane alto il rischio che ci si divida e che si vada incontro ad una guerra civile”. Così Mustafa Abdel Jalil, presidente del Consiglio nazionale di transizione, ha commentato gli scontri di ieri a Tripoli, tra forze di sicurezza ed alcune milizie, che hanno provocato la morte di 4 uomini.

Nel suo discorso, il presidente del Cnt si è mostrato molto preoccupato per una possibile ricaduta verso la guerra civile nel Paese, soprattutto a causa del gran numero di milizie rivali che hanno colmato il vuoto lasciato dopo la caduta di Gheddafi.

Venezuela: Respinta la tentata estorsione della EXXON

Fonte: http://selvasorg.blogspot.com/2012/01/venezuela-respinta-la-tentata.html#more

Pretendeva 10 miliardi, riceverá solo 908 milioni

Alla Exxon  Mobile corp é andata male. Il suo tentaivo di estorcere 10 miliardi di dollari allo Stato venezuelano é fallito. La multinazionale petrolifera USA si dovrá accontentare di $ 908 milioni come indennizzazione per la nazionalizzazione decretata nel 2007 dal governo di Caracas. Meno del 10%, l’ha stabilito la Camera di Commercio  Internazionale (ICC), come liquidazione per l’estromissione
della Exxon dalla Fascia Petroliefra dell’Orinoco, diventata attualmente la prima riserva mondiale di idrocarburi. Va ricordato che la multinazionale USA é stata l’unica ad impugnare i nuovi temini contrattuali approvati dal Parlamento venezuelano. Tutte le altre compagnie -dall’ENI a Repsol, da Petrobras alla statale cinese, dai russi all’India ecc- riconoscono ed accettano la compartecipazione con la maggioranza del 51% alla venezuelana PDVSA; cosí come accettano le aumentate imposte per il fisco del paese sudamericano.

Quando la crisi uccide. In Italia un suicidio al giorno tra i disoccupati già dal 2009

Fonte: http://www.adnkronos.com/IGN/News/Cronaca/Quando-la-crisi-uccide-In-Italia-un-suicidio-al-giorno-tra-i-disoccupati-gia-dal-2009_312816906747.html

Roma, 3 gen. – (Adnkronos) – Un suicidio al giorno tra i disoccupati e record di casi per motivi economici. Una ricerca dell’Eures, istituto di ricerche economiche e sociali, relativa al 2009, delineava già un aumento dei suicidi legati alla crisi economica.

Dallo studio sul fenomeno negli ultimi 30 anni, emerge l’aumento di suicidi tra i disoccupati e record di casi per motivi economici. A pagare sempre più sono gli uomini, come attestano anche gli ultimi casi di craonca che hanno visto imprenditori ma anche un pensionato con problemi economici, togliersi la vita.

Ciò che infatti sembra caratterizzare il fenomeno nel 2009 è la sua forte interdipendenza con la crisi economico-occupazionale: sono stati infatti 357 i suicidi compiuti da disoccupati nel 2009, con una crescita del 37,3% rispetto ai 260 casi del 2008 (sono stati 270 nel 2007, 275 nel 2006 e 281 nel 2005), generalmente compiuti da persone espulse dal mercato del lavoro (272 in valori assoluti, pari al 76%, a fronte di 85 casi di persone in cerca di prima occupazione).

Anche in termini relativi appare evidente come il lavoro costituisca un vero e proprio discrimine nella lettura del fenomeno suicidario: nel 2009 si registrano infatti 18,4 suicidi ogni 100 mila disoccupati (il valore sale a 30,3 tra gli uomini a fronte di 5,7 tra le donne), contro 4,1 suicidi tra gli occupati (6 tra gli uomini e 1,4 tra le donne), confermnado la centralita’ del lavoro nella possibilita’ di costruire e/o di portare avanti un progetto di vita, soprattutto nella componente maschile della popolazione.

Un ulteriore indicatore del rapporto diretto tra il fenomeno suicidario e la crisi è rappresentato dal numero dei suicidi per ragioni economiche (al di là di quanto sia effettivamente possibile stabilire una lettura univoca del ‘movente’), che raggiungono proprio nel 2009 il valore più alto degli ultimi decenni (198 casi, con una crescita del 32% rispetto ai 150 casi del 2008 e del 67,8% rispetto ai 118 casi del 2007). In termini relativi i suicidi per motivi economici arrivano a rappresentare nel 2009 il 10,3% del fenomeno ”spiegato” (non considerando cioè i casi di cui non si è stabilita una motivazione) a fronte di appena il 2,9% rilevato per il 2000.

Lo studio dell’Eures evidenzia inoltre come il suicidio per ragioni economiche rappresenti un fenomeno quasi esclusivamente maschile (95% dei casi nel 2009) a conferma di come questo si leghi alla acquisizione/perdita di identità e di ruolo sociale definita dal binomio lavoro/autonomia economica.