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Perchè non abbiamo i peli sui palmi delle mani e sulle piante dei piedi? Il motivo potrebbe farti… svoltare!

Fonte: https://www.greenme.it/vivere/salute-e-benessere/29638-palmi-senza-peli-perche

Vi siete mai chiesti perché i palmi delle vostre mani siano completamente prive di peli?

Palmi delle mani, unica parte glabra del nostro corpo, insieme alle piante dei piedi. Ma perché in alcune zone ci sono i peli e in altre no? La risposta potrebbe trovarsi a livello biologico in un inibitore che blocca la crescita di peli e capelli. E che potrebbe aprire nuove porte nelle cure per la calvizie e nella guarigione delle ferite.

Insomma, il perché gli umani abbiano i peli sulle braccia e sulle gambe, ma non sul palmo delle mani e sulle piante dei piedi pare essere una questione fondamentale nell’evoluzione umana che i ricercatori della Perelman School of Medicine dell’Università della Pennsylvania hanno riportato in evidenza.

Secondo il loro studio, esisterebbe in natura un inibitore secreto nello sviluppo della cute glabra che blocca una via di segnalazione, nota come Wnt, che controlla la crescita dei capelli.

Sappiamo che la segnalazione WNT è fondamentale per lo sviluppo dei follicoli piliferi, bloccandola provoca la pelle glabra e accenderla provoca la formazione di più peli”, spiega l’autrice dello studio Sarah E. Millar. In questo studio, abbiamo dimostrato che la pelle delle regioni senza pelo produce naturalmente un inibitore che impedisce al WNT di svolgere il suo lavoro”.

Questo inibitore naturale è il Dickkopf 2 (DKK2) – una proteina che si trova in specifici tessuti embrionali dove svolge una varietà di ruoli. Tramite alcuni test, i ricercatori hanno scoperto che il DKK2 era altamente espresso sulla pelle plantare e che, una volta rimosso, i pelli ricominciavano a crescere nelle zone della pelle che ne erano normalmente prive.

Alcuni mammiferi, come conigli e orsi polari, sviluppano naturalmente i capelli nella loro pelle plantare. Il gruppo di ricerca di Millar ha scoperto che l’inibitore DKK2 non è espresso ad alti livelli nella cute plantare di coniglio, per esempio, spiegando perché i peli possono svilupparsi lì. Questi risultati suggeriscono che la produzione di DKK2 in specifiche regioni cutanee si sarebbe alterata durante l’evoluzione per consentire la formazione di diversi modelli di pelle glabra o pelosa in base alle esigenze dell’animale.

I follicoli piliferi si sviluppano durante la vita fetale, ma la loro produzione si ferma dopo la nascita. Di conseguenza, i follicoli piliferi non riescono a ricrescere dopo gravi ustioni o ferite estese e profonde nella pelle. Millar e il suo team stanno ora studiando se inibitori WNT secreti sopprimono lo sviluppo del follicolo pilifero in questi casi.

Mentre alcune regioni del corpo umano sono naturalmente glabre, altre diventano così dovute a una varietà di malattie. Secondo l’American Academy of Dermatology, oltre 80 milioni di persone in America hanno l’alopecia androgenetica, detta anche calvizie maschile o femminile. Gli studi di associazione su tutto il genoma hanno identificato DKK2 come possibile gene candidato associato a questa condizione, suggerendolo come potenziale bersaglio terapeutico.

Speriamo che queste linee di indagine rivelino nuovi modi per migliorare la guarigione delle ferite e la crescita dei capelli, e contiamo di continuare a perseguire questi obiettivi andando avanti”, concludono gli studiosi.

Le biomasse, che delusione pericolosa, dicono 120 associazioni ambientaliste

Fonte: https://www.salvaleforeste.it/it/reddd/4434-le-biomasse-sono-un-delirio,-dicono-120-associazioni-ambientaliste-2.html

Oltre di 120 associazioni ambientaliste da circa 30 paesi hanno denunciato la truffa delle biomasse forestali, incentivate come energie rinnovabili al fine di proteggere il clima. In realtà la produzione delle biomasse crea più problemi di quanti ne risolva. La dichiarazione, intitolata “La delusione delle biomasse” (The Biomass Delusion), sottolinea come la combustione su larga scala delle foreste per produrre energia danneggia il clima, le foreste, le comunità locali e ostacola la transizione verso l’energetica pulita.
Secondo i firmatari, la protezione delle foreste è essenziale ad abbassare le temperature del pianeta, non certo bruciarne il legno.
Presentato dall’industria come la soluzione più economica per mitigare mitigazione i cambiamenti climatici, in realtà l’impiego di biomassa forestale per produrre energia o riscaldamento  rischia di compromettere ancor più il clima planetario.
Da dichiarazione è firmata da oltre 120 associazioni, tra cui Greenpeace, NRDC (Consiglio per la difesa delle risorse naturali), BankTrack e la Federazione delle della comunità forestali del Nepal.
La dichiarazione viene pubblicata nell giorno scelto dalla lobby dell’industria delle biomasse per promuovere la combustione di legna, ed evidenzia diversi rischi:

Rischio legislativo – Sempre più prove scientifiche indicano gli impatti negativi della combustione di biomassa, incluso il fatto che emette più CO2-equivalente del carbone (per unità di energia). Lo scorso agosto, il governo britannico ha già compiuto un primo passo verso l’abolizione dei sussidi alle biomasse. Senza sussidi, la redditività economica di questo business aziende è discutibile, e gli investitori rischiano di imbarcarsi in imprese fallimentari.

Rischio climatico – La combustione della biomassa legnosa contribuisce al cambiamento climatico aumentando le emissioni e distruggendo i “pozzi” di carbonio, le foreste. A loro volta, i cambiamenti climatici possono influire sulla disponibilità di acqua, che ha un impatto diretto sulla produttività delle foreste e delle piantagioni. Il clima più torrido rende anche le foreste e le piantagioni più vulnerabili agli incendi, che possono mandare in fumo a centinaia di migliaia di ettari, come è successo negli ultimi anni in Indonesia, Cile e Portogallo. Un processo che rischia di causare causa perdite finanziarie, per non parlare degli impatti sulla vita delle popolazioni, sulla biodiversità e, di nuovo, sul clima.

“Con l’uso di biomasse forestali di perdono tutti. I rischi sono evidenti e hanno portato un gran numero di associazioni a unirsi per fronteggiarli. Facciamo appello ai governi e alle amministrazioni locali,, agli investitori e ai consumatori per togliere ogni sostegno alla produzione di energia su larga scala dalle foreste”, ha dichiarato Peg Putt, coordinatore del gruppo di lavoro della rete Environmental Paper Network che ha coordinato  la dichiarazione.

La grotta di Chauvet, bella e impossibile. Eppure le datazioni dicono: 36.000 anni fa

Fonte: http://storia-controstoria.org/paleolitico/la-grotta-di-chauvet-bella-e-impossibile-eppure-le-datazioni-dicono-36-000-anni-fa/

Ci sono tornata. La tentazione era troppo forte. La grotta di Chauvet attira gli appassionati come la luce le falene. È perfetta e al contempo misteriosa. È bella e impossibile, perché lo stile delle pitture, dei disegni e delle incisioni parietali si presenta incredibilmente moderno, tanto attuale da aver fatto pensare dapprima agli studiosi che si trattasse di un’evoluzione artistica più “recente”. Si collocarono le opere di Chauvet nel Magdaleniano (ca. 18.000- 11.000 B.P.) ipotizzando uno sviluppo seguito all’arte della grotta di Lascaux. Oggi, grazie alle tante datazioni estremamente accurate, sappiamo che i maestri dell’Età della Pietra hanno operato nella grotta 36.000 anni or sono. Davvero nella notte dei tempi.

La grotta meglio datata al mondo

E così la scoperta di Chauvet ha cambiato il concetto dell’evoluzione artistica. L’idea che quest’ultima abbia seguito un percorso cronologicamente lineare è ora sfatata. I risultati delle tante analisi effettuate all’interno della grotta hanno contraddetto il concetto di sviluppo lineare dell’arte in modo evidente e inderogabile. Infatti non soltanto le raffigurazioni di Chauvet si presentano stilisticamente e tecnicamente superiori a tante altre eseguite decine di migliaia di anni dopo, non è solo questo il punto. A ciò si aggiunge il fatto che gli artisti di Chauvet hanno adottato tecniche e metodi sconosciuti anche ai pittori del Medioevo e “riscoperti” soltanto molto più tardi dagli artisti del Rinascimento. Lo dice la scienza.

La scoperta di Chauvet è stata quindi una rivoluzione e ci invita ad abbandonare i vecchi schemi mentali e ad aprirci a nuove realtà, a concezioni diverse. L’esistenza di Chauvet ha avuto un impatto decisivo sul nostro modo di interpretare il passato. Tuttavia, come sempre accade, alcuni scettici (altresì una sparuta minoranza) continuano ad opporsi all’evidenza e le discussioni sulle datazioni continuano ancora oggi, nonostante Chauvet sia attualmente la grotta meglio datata al mondo.

La grotta di Chauvet è situata nel Midi della Francia, dipartimento Ardèche, presso la pittoresca località di Vallon-Pont-d’Arc. È stata scoperta nel dicembre del 1994 dai tre speleologi Jean Marie Chauvet, Éliette Brunel Deschamps e Christian Hillaire. Oggi la grotta originale è chiusa ai visitatori, una misura di sicurezza assolutamente necessaria per proteggere le opere dai batteri che possono causare la proliferazione di alghe e funghi sulle pitture, le incisioni e i disegni e portare al deterioramento e alla sparizione dell’importante patrimonio artistico. Dopo l’esperienza negativa della grotta di Lascaux, che fu per decenni aperta al pubblico e seriamente danneggiata, si è pensato bene di tutelare la grotta di Chauvet fin dall’inizio.

Tuttavia è possibile visitare un facsimile della caverna (le sale sono più piccole di quelle originali in rapporto 1:3, mentre le dimensioni delle pitture, dei disegni e delle incisioni corrispondono agli originali), la “Caverne du Pont d’Arc”, per farsi un’idea dell’eccezionale bellezza di questo patrimonio dell’umanità (attenzione: si deve però prenotare la visita per tempo, è ammesso soltanto un determinato numero di persone al giorno).

Come scritto più sopra, la grotta è stata sottoposta a numerosissime datazioni, ben 350, sia radiometriche che al C14, dirette e indirette, eseguite sulle rocce, sulle stalattiti, sulle pareti, sui focolari e anche sui pigmenti di colore, sulle ossa di animali recuperate nella caverna, sulle tracce lasciate dalla fuliggine delle fiaccole dell’Età della Pietra. Soprattutto va sottolineato che sono state effettuate numerose datazioni dirette su campioni prelevati da alcuni disegni eseguiti a carbone e dallo strato di calcite che ricopriva altre opere.

Ora sappiamo che la caverna dell’Ardéche è stata frequentata in più fasi e durante un lasso di tempo enorme, a partire da 36.000 sino a circa 29.000 anni or sono. Le opere artistiche risalgono quindi all’Aurignaziano (40.000-30.000) e le ultime tracce dei visitatori al Gravettiano (30.000 –22.000). La certezza che nessuno, sino al 1994, sia potuto penetrare nella caverna, è dato dal fatto che un crollo dei massi avvenuto sull’entrata preistorica ostacolò l’accesso a partire da 29.500 anni fa. Il crollo degli ultimi massi avvenuto circa 7000 anni dopo sigillò definitivamente l’entrata. Ciò significa che la tradizione culturale (e forse cultuale?) legata a tale luogo è perdurata per millenni. Oggi i pochissimi studiosi autorizzati ad entrare nella caverna per motivi di preservazione e ricerca, utilizzano l’accesso che fu utilizzato dai tre speleologi scopritori, mentre quello preistorico originario è ancora ostruito dai massi litici.

Dunque la perfezione era all’inizio? Gli artisti di Chauvet sembrano aver conosciuto la tecnica di una prospettiva ante litteram, il metodo sintetico di rappresentare gli animali in movimento, la tecnica dello sfumato per conferire agli animali raffigurati la corposità di un altorilievo, la rappresentazione tridimensionale ottenuta avvalendosi di profondità e contorni per mostrare gli animali come se uscissero dalle fessure delle pareti rocciose per poi avventurarsi nel cuore della grotta. A tutto ciò si aggiunge la mano sicura e geniale degli artisti che testimonia una padronanza indiscutibile di linee e forme, la conoscenza intrinseca del comportamento animale propria degli antichi cacciatori, la bellezza della spontaneità delle immagini e della forza espressiva racchiusa in pochi tratti.

Rinoceronti, leoni e mammut nella fauna di Chauvet

Chauvet è un miracolo. Non è facile descriverne lo splendore. C’è solo una possibilità: recarsi sul posto e ammirare di persona il bestiario incredibile che emerge dalle ombre e dagli anfratti e che un tempo sembrava muoversi alla luce tremolante delle torce per perdersi poi, irraggiungibile, nell’universo del mito. Nelle prime sale rocciose domina il colore rosso dell’ocra. Poco distante dall’entrata si stagliano i profili di orsi delle caverne: fantasmi meravigliosi, perfetti, essenziali. Orsi che non hanno occhi, come spiriti, anime della terra.

Una pioggia di cerchi rossi esplode su una parete rocciosa: i palmi delle mani di chi passò in quella caverna 36.000 anni fa e, dopo aver immerso le mani nel colore rosso, impresse il suo marchio sulla pietra. Forse un gesto di culto. Gli esperti hanno individuato mani di donna, uomo, bambino. Forse tra esse ci sono anche quelle degli artisti. In una galleria della caverna un dito sconosciuto ha tracciato nell’argilla morbida uno splendido cavallo, un po’ più in là un altro artista ha usato la medesima tecnica per immortalare una civetta.

Un mammut emerge dall’ombra, una coppia di leoni cammina fianco a fianco. In un angolo si vede un piccolo rinoceronte solitario, poi altri orsi di diversi colori. Segni. Dappertutto. Tanti simboli ricorrenti e misteriosi il cui significato a noi estraneo rimane racchiuso nel silenzio della grotta. Uno ricorda una farfalla, un altro un gigantesco insetto. Nelle sale più interne è la volta del colore nero, ricavato dalla polvere di manganese e, per i disegni, dal carbone. Se nel passato le sale dipinte in rosso erano parzialmente illuminate dalla luce del giorno, quelle in nero sono appartenute invece da sempre al regno della notte.

Una parete cattura l’attenzione dell’osservatore, incatena il suo sguardo a quattro splendidi cavalli. Verso il fondo della grotta si susseguono i grandi pannelli, quelli davvero sublimi che hanno cambiato il nostro concetto di evoluzione artistica. Si vedono un branco di leoni, una mandria di rinoceronti, dei mammut, bisonti, ancora cavalli. Gli animali raffigurati in maggior numero a Chauvet sono i leoni, i rinoceronti, i mammut e gli orsi delle caverne. Animali pericolosi che appariranno di rado nelle raffigurazioni di epoca più tarda e sembrano invece dominare l’universo dell’Aurignaziano. Sono gli stessi protagonisti dell’arte mobiliare tedesca, quella del Giura svevo, che ha portato alla creazione della Venere di Hohle Fels e dello splendido Uomo-Leone di Hohlenstein, due capolavori di ben 40.000 anni fa.

Dunque anche le specie di animali rappresentati parlano per un’epoca estremamente remota, in barba alla fantastica modernità dello stile adottato dagli artisti. Perché “artisti”? Perché gli studiosi pensano che delle mani diverse abbiano operato nella grotta di Chauvet. Sconosciuti che dovevano fruire di un’esperienza profonda in materia, di un esercizio pluriennale probabilmente effettuato su materiale deperibile, come pelli oppure legno. Le altre opere di questi maestri sono andate perdute, le raffigurazioni parietali di Chauvet sono rimaste a testimoniare la loro passata esistenza.

 Il regno dell’orso delle caverne: un culto del Paleolitico?

E poi Chauvet è il regno dell’orso delle caverne. Un gigante erbivoro di quasi due metri al garrese che non appare soltanto sulle raffigurazioni parietali. La grotta era la sua tana. Fino a 30.000 anni or sono questo impressionante visitatore ibernava tra le rocce di Chauvet, lo testimoniano gli avvallamenti lasciati dal suo corpo nel terreno originale, i graffi prodotti dalle sue unghie lungo le pareti, i numerosi resti fossili all’interno della grotta. Ma c’è di più. Un altro mistero si aggiunge alle tante domande senza risposta. In una delle sale più interne, una di quelle da sempre preda della notte, gli speleologi hanno scoperto un grosso masso di pietra di forma triangolare su cui poggiava un teschio di orso delle caverne.

Il masso era precipitato dal soffitto della caverna più di 30.000 anni fa e i frequentatori della grotta, gli uomini dell’Aurignaziano, vi avevano poggiato sopra il cranio di orso, seguendo la geometria della pietra, sistemandolo proprio sul vertice del triangolo litico. Come fosse un altare. Tutto intorno al masso hanno poi disposto altri crani ed ossa di orsi delle caverne. Una scena bizzarra, quasi irreale, che ha portato molti studiosi ad ipotizzare una sorta di culto dell’orso nel Paleolitico.

L’archeologo francese Jean Clottes, esperto di Chauvet, parla di sciamanismo. Identifica nelle grotte francesi dei luoghi di culto in cui le genti del Paleolitico si recavano per ristabilire quel legame invisibile con l’altro mondo, forse con gli spiriti degli animali, con le forze della natura. L’antropologo Alain Testart ipotizza che lo spazio delle caverne abbia costituito un microcosmo mitico, la rappresentazione dello stato del mondo alle origini. Non è da escludersi che anche una strana raffigurazione situata nella sala più profonda della grotta di Chauvet faccia parte di questo universo magico: su una roccia triangolare che pende dal soffitto l’artista ha dipinto in colore nero un triangolo pubico, una vulva, e le estremità inferiori di questo stralcio di donna si fondono con l’immagine di un bisonte.

Entrata attualmente utilizzata dagli studiosi per accedere all’interno della grotta di Chauvet. Foto: Thilo Parg CC BY SA 4.0

La donna e il bisonte, la donna e il mammut: questo tema ritorna spesso, come un leitmotiv, nell’arte rupestre del Paleolitico. Parte dall’Aurignaziano per poi attraversare il Gravettiano e raggiungere il Magdaleniano, l’ultima tappa dell’arte delle caverne che finisce, inspiegabilmente, intorno a 11.000 anni fa. Non conosciamo il motivo che portò a questo epilogo improvviso. Forse la fine dell’Era Glaciale con i grandi cambiamenti di vegetazione e fauna ad essa collegati scatenò una crisi profonda che sconvolse il mondo dei cacciatori-raccoglitori. Sappiamo soltanto che quest’epoca segnò la fine di una lunghissima tradizione di decine di millenni, una delle più lunghe tradizioni della preistoria, quella che ispirò i nostri lontani antenati europei a tracciare disegni, pitture, incisioni e simboli nel cuore della terra.

Oggi sappiamo che le genti del Paleolitico non abitavano nel profondo delle grotte. Non erano “uomini delle caverne” nel vero senso del termine. Anche quest’immagine è figlia di preconcetti e false supposizioni dei secoli scorsi, dettati dalla mancanza di informazioni più precise. Preferivano invece allestirsi delle tende in accampamenti all’aperto, oppure occupare dei ripari in riva ai fiumi sotto speroni di roccia, talvolta allestivano ad abitazione l’entrata delle caverne, magari nella stagione fredda.

Ma le sale più profonde delle grotte, spesso difficilmente accessibili, non erano abitate. Gli ambiti più reconditi erano esclusivamente destinati all’arte e forse a culti sconosciuti. Di sovente non c’era luce laggiù, i frequentatori dovevano illuminare le pareti con lampade a grasso animale oppure fiaccole. Non di rado gli artisti operavano in posizioni impossibili, accucciati, distesi supini in ambienti estremamente angusti. Spesso tracciavano le loro opere più belle proprio là, dove nessuno poteva vederle. Perché? Forse per loro l’azione contava più del risultato.

Sconfitto il partito della guerra alle elezioni di metà mandato

Fonte: http://movisol.org/sconfitto-il-partito-della-guerra-alle-elezioni-di-meta-mandato/

L’”ondata blu” di voti per il Partito Democratico, che era stata preannunciata e promossa dai media dominanti negli Stati Uniti, non si è materializzata alle elezioni di metà mandato del 6 novembre. I democratici hanno ripreso la maggioranza alla Camera, ma a un livello ben inferiore a quelli generalmente raggiunti dal partito di opposizione nel corso di tutte le elezioni di metà mandato. Quanto al Senato, i repubblicani hanno incrementato la maggioranza conquistando tre o quattro seggi in più, a seconda dell’esito del conteggio dei voti ancora in corso. Per contrasto, i democratici di Bill Clinton avevano perso otto seggi al Senato nel 1994, e quelli di Obama sei nel 2010.

Il fatto che Donald Trump e i repubblicani a lui fedeli ce l’abbiano fatta, dopo due anni di calunnie e vituperii, a partire dalla falsa accusa che Trump si fosse fatto aiutare dalla Russia per vincere le elezioni del 2016, è dovuto in larga parte al fatto che il Presidente sia sceso in campo personalmente nella campagna per il Senato. Trump ha condotto la campagna elettorale per undici candidati repubblicani e, finora, otto di loro hanno vinto. La campagna personale di Trump viene accreditata, perfino dai suoi oppositori, come l’elemento determinante che ha arginato l’ondata blu dei democratici.

Anche se si potrebbe dire molto di più nell’analizzare il risultato del voto, due aspetti risaltano. La vittoria al Senato rende molto improbabile un tentativo di impeachment, che richiede due terzi dei voti, ovvero 67. Che l’inchiesta dell’inquirente speciale Mueller non abbia prodotto prove serie di interferenze russe o della collusione di Trump con la Russia nel 2016, garantisce che Trump resterà Presidente per il resto del mandato di quattro anni.

In secondo luogo, una volta completato il conteggio dei voti, Trump ha teso la mano ai democratici, invitandoli a lavorare con lui invece di proseguire fanaticamente la campagna per un cambiamento di regime. Ha telefonato a Nancy Pelosi, che probabilmente diventerà la Presidente della Camera, per congratularsi con lei e suggerirle sforzi comuni su temi cruciali, come la ricostruzione delle infrastrutture e la riduzione dei prezzi troppo alti dei farmaci da prescrizione. Alcuni nell’Amministrazione hanno indicato che Trump potrebbe tornare alla promessa, fatta durante la campagna per le presidenziali, di ripristinare la legge Glass-Steagall, sostenuta da molti democratici. Pur offrendo un rametto d’ulivo, ha ammonito i democratici che se proseguiranno con le inchieste contro di lui, la sua famiglia e le sue imprese, la risposta “sarà simile a una guerra” e gli elettori daranno la colpa ai democratici per non aver affrontato i problemi reali del Paese.

Durante la campagna elettorale Trump aveva chiarito la sua intenzione di attenersi ai temi che portarono alla sua vittoria nel 2016, inclusi quello di cercare la cooperazione con Vladimir Putin e con la Russia, quello di difendere la sovranità americana e quello di porre fine agli accordi di “libero scambio” della globalizzazione che hanno portato al quasi smantellamento del settore industriale americano. Se insisterà nell’offerta di collaborare sulla politica economica, i democratici si troveranno di fronte al momento della verità: lavoreranno con lui, nell’interesse di quello che Franklin D. Roosevelt definiva il “forgotten man”, l’uomo dimenticato, o continueranno a essere il partito di Wall Street e della City di Londra, difendendo un sistema finanziario in bancarotta e promuovendo il cambiamento di regime e la guerra, in particolare contro Russia e Cina?

L’eruzione del Vesuvio avvenne il 24 ottobre del 79 d.C.

Fonte: https://ilfattostorico.com/2018/10/22/leruzione-del-vesuvio-avvenne-il-24-ottobre-del-79-d-c/

MiBAC

Repubblica

L’iscrizione che recita “XVI (ante) K(alendas) NOV(embres)” (MiBAC)

Un’iscrizione scoperta nel sito archeologico di Pompei confermerebbe la data dell’eruzione del Vesuvio il 24 ottobre del 79 d.C. L’iscrizione è stata portata alla luce nella “Casa con giardino” e riporta la data del 17 Ottobre, dunque una settimana prima della grande catastrofe. Finora si pensava che fosse avvenuta il 24 agosto, nonostante le prove archeologiche e letterarie a favore della data autunnale.

La Casa con giardino (MiBAC)

 

 

 

 

 

 

 

La Casa con giardino

L’iscrizione è scritta col carboncino, un materiale fragile ed evanescente. Siccome non avrebbe potuto resistere a lungo nel tempo, risale verosimilmente all’anno dell’eruzione. Recita “XVI K Nov”, ovvero “sedici (giorni prima) delle calende di novembre. In altre parole il 17 ottobre, una settimana prima dell’eruzione, che sappiamo essere il 24 ottobre grazie a Plinio il Giovane. La casa era in corso di ristrutturazione: accanto agli stupendi affreschi nel portico e alle vivaci megalografie nelle camere, alcune stanze erano addirittura senza pavimento, come l’atrio dove è stata trovata l’iscrizione. Probabilmente sarebbe stata ricoperta di intonaco poco dopo.

Plinio aveva torto?

La teoria dell’eruzione il 24 agosto deriva dall’unica testimonianza oculare dell’evento, descritta da Plinio il Giovane a Tacito molti anni dopo. Lo scrittore romano, all’epoca 17enne, osservò l’eruzione dall’altra parte del golfo di Napoli. Molti studiosi fanno riferimento alla versione più antica di questa lettera, il codice Laurenziano Mediceo, ma altre come il codice Oratorianus riportano la data di ottobre. Inoltre nelle case sono stati rinvenuti dei bracieri usati per scaldarsi, tracce di vestiti pesanti, segni della conclusione della vendemmia e frutti autunnali (bacche di alloro, castagne, noci, datteri, melegrane, prugne e fichi secchi).

Testo ambiguo

Secondo la prima interpretazione, dopo la data c’è scritto “IN[D]ULSIT / PRO MASUMIS ESURIT[IONI]”, ovvero “[Il 17 ottobre] lui indulse al cibo in modo smodato”. Tuttavia Giulia Ammannati, docente di paleografia latina alla Scuola Normale di Pisa, ha proposto la seguente interpretazione: “IN OLEARIA / PROMA SUMSERUNT”, “hanno preso nella dispensa olearia”. Cosa? Non si sa, visto che «qualcosa è stato cancellato, forse il complemento oggetto», aggiunge Massimo Osanna, direttore del Parco archeologico di Pompei. «Ora bisogna scoprire la cella olearia!».

(ANSA/Ciro Fusco)

 

The Week – La Guerra autodistruttiva dell’Europa all’Italia

Scritto da: Malachia Paperoga
Fonte: http://vocidallestero.it/2018/10/31/the-week-la-guerra-autodistruttiva-delleuropa-allitalia/

Anche sul sito americano The Week, si sottolinea come la manovra economica proposta dal Governo Italiano sia perfettamente ragionevole e in linea sia con la volontà di abbandonare le fallimentari politiche di austerità, sia con il notissimo parametro del 3% (deficit/PIL) imposto da Bruxelles. La BCE dovrebbe sostenere le politiche nazionali di aiuto alle economie in difficoltà, fino a quando non si raggiunge la piena occupazione e l’inflazione non minaccia di salire eccessivamente. Invece, gli euroburocrati stanno dichiarando guerra al Governo Italiano, col probabile risultato di far ripiombare l’intera eurozona in una crisi esistenziale. 

Di Jeff Spross, 25 ottobre 2018

L’Italia e l’Unione europea si avviano verso uno scontro frontale. Il nuovo governo italiano vuole aiutare i suoi cittadini, dopo anni di pesante impoverimento economico. Ma l’UE è determinata a fermarlo, nel nome della disciplina fiscale neoliberista.

Si tratta di uno spettacolo incredibile, che mette a nudo la sconfinata stupidità e l’autodistruttiva prepotenza della leadership UE.

L’Italia è stata colpita duramente dalla crisi economica globale del 2008 e dalla seguente crisi dell’eurozona. La disoccupazione italiana ha raggiunto il 13%, e dopo anni di sofferenza sotto le misure di austerità imposte dall’Europa, la disoccupazione si trova ancora intorno al 10%. Non sorprende quindi che gli Italiani si siano infine stancati dello status quo; in giugno, si sono ribellati votando un’improbabile coalizione di populisti di destra e di sinistra perché andasse al governo.

Questo nuovo governo ha prontamente proposto un ambizioso bilancio nazionale, che include un reddito minimo garantito, la cancellazione dei tagli effettuati in precedenza al sistema pensionistico, una serie di tagli della pressione fiscale, e altro. Non occorre dire che questo notevole pacchetto di spese, insieme alla riduzione delle entrate fiscali, richiederebbe l’aumento del deficit. L’Italia prevede una differenza tra entrate ed uscite fiscali del 2,4% del PIL nel 2019.

Perché farlo? Molto semplicemente, il governo italiano vuole ridurre la povertà e offrire ai suoi cittadini un po’ di aiuto mentre l’economia continua ad arrancare. Ma si tratta anche di una buona politica economica: con una disoccupazione del 10% e il PIL che è sceso – da quasi 2.400 miliardi di dollari nel 2008 a 1.900 miliardi di dollari oggi – l’Italia sta chiaramente soffrendo una grossa carenza di domanda aggregata. La maniera per risolvere la carenza è che il governo spenda più di quanto tassi; in particolare spenda in programmi che mettano soldi nelle tasche dei consumatori. Gli italiani di conseguenza spenderebbero questi soldi aggiuntivi, creando così nuovi posti di lavoro.

I Baroni tecnocrati dell’Unione Europea non sono a favore di questo piano, per usare un eufemismo.

La UE proibisce alle sue nazioni di avere deficit di bilancio superiori al 3% del PIL. Questa limitazione è già folle, ma tuttavia l’Italia la rispetta. La complicazione è questa: la Commissione Europea ha ottenuto nel 2013 il potere di porre il veto ai bilanci degli Stati membri della UE. Il debito pubblico italiano è già intorno al 132% del PIL. Inoltre, lo scorso luglio, il Consiglio dei Ministri UE ha emesso una raccomandazione vincolante all’Italia di tagliare il proprio deficit strutturale dello 0,6% del PIL (il deficit strutturale è il deficit di bilancio escludendo gli effetti del ciclo economico e altri eventi estemporanei). Al contrario, il bilancio proposto dall’Italia aumenterà il deficit strutturale dello 0,8% del PIL.

Tutto considerato, la Commissione Europea ha concluso che i progetti dell’Italia costituiscono una “grave inosservanza degli obblighi di politica di bilancio previsti dal Patto di Stabilità e Crescita”. La Commissione vuole che l’Italia riscriva il suo bilancio, altrimenti applicherà multe e sanzioni.

Il Consiglio dei Ministri UE è formato dai ministri degli Stati membri UE – in qualche modo è equivalente ai segretari di gabinetto negli Stati Uniti. La Commissione Europea invece, è un organo di governo i cui membri sono nominati dal Parlamento Europeo (è il Parlamento Europeo che opera nel modo classico degli organi legislativi, con i paesi membri UE che eleggono i loro rappresentanti). Per quale strano motivo, se non l’esistenza delle regole bizantine della UE, queste persone dovrebbero poter dire al governo italiano democraticamente eletto di affossare il proprio piano e imporre più austerità ai propri cittadini?

Come spesso in questi casi, la risposta sono i soldi.

Se il governo italiano controllasse la propria moneta, la sua banca centrale potrebbe semplicemente comprare il debito governativo creato dal suo deficit e tenere bassi i tassi di interesse. Ma l’Italia è un membro dell’Unione monetaria dell’eurozona. E la quantità di euro emessa è controllata dalla Banca centrale europea (BCE), che a sua volta ha la supervisione delle banche centrali nazionali dell’eurozona. Il sistema della BCE prevede ogni sorta di regole e limiti sui casi in cui può  acquistare i titoli di debito emessi dagli Stati membri dell’eurozona e sulla quantità che è possibile comprarne.

Perciò sono gli investitori privati a dare al Governo Italiano gli euro di cui ha bisogno per coprire il suo deficit. Non sorprende che i battibecchi politici li rendano scettici, quindi i tassi di interesse sul debito italiano stanno salendo.

Ma i tassi di interesse in salita dell’Italia sono il risultato di decisioni politiche arbitrarie che sono sia congenite alla struttura di governo della UE sia imposte dai tecnocrati al governo della UE. La BCE potrebbe semplicemente dare il mandato alla Banca Centrale Italiana di iniziare a fornire euro freschi e usarli per comprare il debito italiano, sostenendo così la spesa a deficit del governo. L’unico vero limite economico a questo tipo di politica è il tasso di inflazione. Al momento, il tasso è intorno al 2%, che è il valore che piace alla BCE (in realtà l’ultimo valore registrato in Italia è addirittura dell’1,4%, ed in calo,  NdVdE). Ma perché l’aiuto monetario all’Italia inizi a far crescere l’inflazione, non solo la disoccupazione  italiana dovrebbe prima diminuire drasticamente, ma la disoccupazione dovrebbe diminuire drasticamente in tutta l’eurozona.

In breve, l’Unione europea e la BCE hanno entrambe uno spazio enorme di manovra per sostenere la spesa a deficit italiana, senza alcuna ripercussione economica. Il problema è solo che non vogliono farlo.L’Italia, nel frattempo, sembra pronta a giocare duro contro i baroni UE. “Questi provvedimenti non servono a sfidare Bruxelles o i mercati, ma devono compensare il popolo italiano di molti torti” ha detto all’inizio di questo mese il Vice Primo Ministro Italiano Luigi Di Maio. “Non c’è un piano B perché non ci arrenderemo”.

In passato, la Commissione europea in realtà non si era mai spinta a rigettare il bilancio di uno Stato membro. Ha tempo fino al 29 ottobre per decidere se prendere questa decisione formale. Se lo fa, e la lotta conseguente finisce per distruggere le fondamenta del Progetto Europeo, i leader della UE non avranno altri da incolpare se non sé stessi.

Samhain: l’antica festa celtica da cui deriva Halloween

Scritto da: Chiara Boracchi
Fonte: https://www.lifegate.it/persone/stile-di-vita/samhain_la_fine_dell_estate

zucche halloween

l’usanza di scolpire le zucche con volti di mostri, o di abbigliarsi con costumi terrificanti appare quasi un esorcismo per allontanare le cattive presenze.

Shamain è un antica festa celtica. Si festeggiava a inizio novembre e serviva per prepararsi ai mesi freddi e a celebrare gli spiriti delle persone care.

Zucche vuote con sorrisi mostruosi, cavalieri senza testa, costumi sintetici per finte streghe e aspiranti zombi, fantasmi, lupi mannari, e ancora feste a tema, coriandoli, caramelle, dolci e scherzetti a volontà. Un secondo carnevale per grandi e piccini. Halloween, insomma. O, se preferite, la vigilia di Ognissanti.

Ma dietro la festività ludica si nasconde una tradizione pagana antica di secoli e ricca di significati, materiali e spirituali, che tuttora viene ricordata e celebrata. È la festa celtica di Samhain.

Quando si festeggiava Samhain

I Celti celebravano questa festa all’inizio del “periodo buio” dell’anno, all’incirca verso i primi giorni di novembre, quando la presenza in cielo delle Pleiadi, costellazione invernale, annunciava la supremazia della notte sul giorno e del buio sulla luce, dando così inizio ufficiale all’inverno. Dal punto di vista letterale, infatti, il termine Samhain significa “festa di fine estate”.

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Cosa significava la festa di Samhain

Come ogni festività celtica, anche Samhain aveva un doppio significato. Dal punto di vista prettamente materiale, rappresentava la preparazione “fisica” ai mesi freddi: si macellava la carne, si metteva da parte l’ultimo raccolto. I frutti della Terra che rimanevano nei campi dopo Samhain venivano lasciati lì come offerta agli dei per propiziarsi l’inverno. Zucche e mele erano interrate appositamente per lo stesso motivo.

Dal punto di vista spirituale, rappresentava il momento il cui la linea sottile tra i vivi e i defunti veniva oltrepassata.  In un’epoca in cui la realtà della morte era spesso tragica, legata a guerre o epidemie, questa festività era particolarmente importante.

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Samhain è anche l’inizio del nuovo anno iniziatico: dal punto di vista dell’antica tradizione celtica, infatti, è da considerare come il momento in cui è più facile mettersi in contatto con la nostra identità più profonda e autentica.

Da Samhain a Halloween

I primi cristiani ritenevano che, a Samhain, i Celti evocassero gli spiriti maligni. La nuova religione, tuttavia, non riuscì ad estirpare del tutto l’usanza, ben radicata, di festeggiare Samhain, che dovette essere assimilata ed adattata al cristianesimo, divenendo così la notte della vigilia di Ognissanti, All Hallow’s Eve, ovvero Halloween. La credenza negativa, che associava questa festività agli spiriti maligni, è però rimasta, divenendo preponderante nei paesi anglosassoni.

11 novembre 2018: il mondo sull’orlo della Terza Guerra Mondiale

Fonte: https://www.nibiru2012.it/11-novembre-mondo-orlo-terza-guerra-mondiale/

L’11 novembre 2018 si terrà a Parigi un incontro molto particolare tra Putin e Trump, il presidente russo recapiterà un messaggio capace di sconvolgere il pianeta stesso.

Circa tre giorni fa il consigliere per la sicurezza nazionale americana John Bolton ha incontrato Putin. Il meeting non è andato bene, per nulla. Così raccontano i siti cospirazionisti americani sul possibile scontro USA-RUSSIA dell’11 novembre. Vediamo i dettagli:

Durante il colloquio Putin ha detto personalmente a Bolton che se gli USA non smetteranno di effettuare operazioni “clandestine” in Siria sarà la volta della Russia di iniziare a compiere “operazioni”.

Putin ha specificato che questo avvertimento verrà dato un ultima volta da lui stesso, direttamente al Presidente Trump l’11 di novembre a Parigi. Il leader russo vuole essere sicuro che il messaggio arrivi forte e chiaro a Trump, e sarà l’ultimo avvertimento.

11 novembre terza guerra mondiale
L’incontro tra Putin e Bolt

America regina di sotterfugi?

Bolton ha replicato che qualsiasi azione di guerra contro l’esercito americano sfocerà in un conflitto aperto. Putin ha ricordato agli Stati Uniti d’America quello che hanno fatto di recente:”Voi avete costruito basi missilistiche tutto intorno alla Russia anche se avevate promesso di non muovervi di un passo verso Est quando è crollata l’Unione Sovietica. State giocando a fare esercitazioni di guerra in Finlandia lungo i nostri confini proprio in questi giorni. Avete rovesciato il governo Ucraino perchè Yanukovich (l’ex presidente) aveva scelto di rimanere vicino alla Russia piuttosto che all’Unione Europea, continuate a rifornire gli Ucraini con armi e munizioni per esasperare ancora di più la situazione. Voi avete causato tutti i problemi siriani a causa del gasdotto che collega il Qatar all’Europa. Avete inserito sistemi missilistici in Romania e Polonia per difendervi dagli stati “canaglia” come Iran e Nord Corea anche se tutti i radar di quei complessi puntano unicamente verso la Russia. Tutto quello che gli USA e la NATO hanno fatto negli ultimi 20 anni punta direttamente allo scontro con noi. Se è la guerra che volete, l’avrete”.

Quando i due leader si incontreranno l’11 di novembre a Parigi le cose potrebbero cambiare in modo drammatico, non ci resta che aspettare e verificare se queste informazioni sono l’ennesima bufala o hanno un fondamento di verità.

CNBC: Lasciate in pace l’Italia! L’UE vuole l’austerità fiscale da un’economia che affonda

Scritto da: Henry Tougha
Fonte:http://vocidallestero.it/2018/10/18/cnbc-lasciate-in-pace-litalia-lue-vuole-lausterita-fiscale-da-uneconomia-che-affonda/

CNBC, uno dei media mainstream americani, dà spazio a un articolo aspramente polemico verso i vertici UE, colpevoli di aver fomentato un inutile dissidio col governo italiano che propone una manovra economica appena moderatamente espansiva. Contrariamente alla nostra vulgata giornalistica, questo articolo addita proprio la commissione UE come colpevole dello “spread” che ha fatto seguito al braccio di ferro sulla manovra. È infatti inconcepibile, per gli americani, che nelle circostanze attuali la UE si ostini sull’applicazione di un’austerità fiscale che si è già dimostrata irrimediabilmente fallimentare. Nel frattempo altri grandi paesi, come la Francia e la Spagna, continuano ad accumulare deficit di bilancio tranquillamente maggiori di quello italiano senza dare adito ad alcun dibattito. L’articolo parteggia apertamente per l’Italia, nonostante nel finale proponga un’immagine idealizzante del “progetto” europeo.

di Michael Ivanovitch, 14 ottobre 2018

Un attacco ridicolmente feroce, diretto contro la politica fiscale timidamente espansiva presentata dall’Italia nella legge di bilancio per il prossimo anno, sta scatenando il panico sui mercati e offrendo uno spettacolo poco edificante sulle relazioni intra-europee, eternamente malgestite.

L’acrimonia manifestata dalla commissione UE nella sua revisione della legge di bilancio italiana è già costata ai contribuenti italiani un aumento – evitabile – del peso del debito sulle generazioni future. Solo nel corso degli ultimi due mesi, il già elevato costo del debito a dieci anni è aumentato di oltre 100 punti base – un duro colpo per un paese che ha già 2.400 miliardi di euro di debito pubblico. Si tratta di un debito pari a quasi il 150 percento del prodotto interno lordo italiano.

Qual è il problema che il governo italiano deve affrontare

Già nell’impossibilità di operare una politica monetaria indipendente con cui gestire la domanda e l’occupazione, l’Italia ha cambiato un po’ rotta rispetto alla precedente politica fiscale restrittiva, al fine di dare qualche sostegno all’attività economica e di prevenire ciò che appare già chiaramente come l’inizio di una nuova recessione ciclica, di ampiezza e durata ancora sconosciute.

La crescita economica del paese nel secondo trimestre di quest’anno ha continuato a indebolirsi, raggiungendo a stento un aumento dello 0,2 percento, e proveniva da una crescita già fiacca all’inizio dell’anno. Con l’eccezione delle esportazioni, tutti le più importanti componenti della domanda appaiono deboli.

La follia dell’austerità fiscale pro-ciclica

I consumi delle famiglie – che rappresentano circa i due terzi del PIL – sono frenati dalla elevata disoccupazione e dall’assenza di aumento dei redditi reali. Il volume delle vendite al dettaglio nei primi sette mesi dell’anno è diminuito con un tasso su base annuale dello 0,7 percento, a causa della stagnazione dei salari reali e del terzo più elevato tasso di disoccupazione (dopo Grecia e Spagna) dell’eurozona.

Lo scorso agosto il 9,7 percento della forza lavoro italiana era disoccupata, con uno spaventoso 31 percento di forza lavoro giovanile disoccupata e senza futuro. Oltre a questo, 6,5 milioni di italiani, l’11 percento della popolazione totale, vive sotto la soglia di povertà.

Sfortunatamente c’è anche di peggio. La UE riporta che il 30 percento della popolazione italiana è a rischio di povertà ed esclusione sociale.

Di fronte a prospettive così cupe per la domanda interna, alcuni si chiedono se la ricetta tedesca che viene suggerita possa davvero funzionare. Le esportazioni, certo, sono l’ingrediente principale della panacea tedesca, poiché rappresentano il 30 percento dell’economia italiana.

Purtroppo però questa ricetta sarà un altro fallimento, ed è un tentativo spudorato di manipolazione. Nel corso degli ultimi tre anni le esportazioni nette rappresentavano uno 0,5 percento della già quasi stagnante crescita italiana dell’1,1 percento del PIL. E sebbene le esportazioni nei primi sette mesi dell’anno crescessero di 4 punti percentuali rispetto all’anno precedente, questo non ha fatto assolutamente niente per rivitalizzare la produzione industriale del paese. La produzione industriale durante il periodo tra gennaio e luglio è crollata di un tasso annuale di 0,5 punti.

Questo naturalmente fa presagire esiti negativi per gli investimenti aziendali, perché la debolezza del settore manifatturiero suggerisce una grande abbondanza di capacità produttiva inutilizzata. In altre parole le aziende italiane non hanno bisogno di nuovi macchinari o di impianti più grandi: hanno già quello che gli serve per soddisfare la domanda attuale e attesa per il futuro.

Quindi cosa resta per sostenere i posti di lavoro e i redditi in Italia? Nulla – assolutamente nulla – continua a gridare in modo enfatico questa UE tedesca: l’Italia non ha una politica monetaria indipendente e, secondo la Commissione UE, la sua posizione fiscale deve restare solida e dura come il ghiaccio in modalità restrittiva a tempo indeterminato.

Il momento “whatever it takes” dell’Italia

L’Italia sa cosa tutto ciò significhi. Prima dell’inizio della crisi finanziaria dello scorso decennio, prima che venisse imposta l’austerità fiscale tedesca, il deficit di bilancio italiano del 2007 era stato ridotto a -1,5 percento del PIL (a confronto di quasi -3 percento in Francia). L’avanzo primario (cioè il bilancio prima di sottrarre gli interessi sul debito) era dell’1,7 percento del PIL, e aiutava ad abbassare il debito pubblico fino al 112 percento del PIL, rispetto a una media del 117 percento dei sei anni precedenti.

Ma poi si è scatenato l’inferno non appena i tedeschi – che rifiutavano sprezzantemente gli appelli di Washington alla ragione – hanno deciso di impartire la loro lezione ai “miscredenti fiscali”, imponendo le politiche di austerità alle economie dell’eurozona che già stavano affondando.

L’Italia non deve permettere che questo accada mai più

Allora cosa dovrebbe fare l’Italia? La risposta è semplice: esattamente ciò che ha detto di voler fare nel suo progetto di bilancio per il 2019, approvato lo scorso martedì da un’ampia maggioranza in Senato (61 percento di voti a favore) e alla Camera (63,4 percento di voti a favore).

L’Italia sta comodamente dentro i parametri di bilancio dell’eurozona. Il suo deficit di bilancio previsto al 2,4 percento del PIL per il prossimo anno fiscale è inferiore al limite del 3 percento imposto dall’unione monetaria.

E allora perché tutto questo trambusto? Perché nessuno sembra voler obiettare il fatto che la Francia e la Spagna avranno deficit maggiori dell’Italia?

La Francia ha appena aumentato la propria stima sul deficit per il prossimo anno portandola al 2,8 percento del PIL, rispetto alla precedente stima del 2,6 percento, sulla quale si era impegnata. E non è tutto. Sono ancora da definire le stime al ribasso sulla crescita, non c’è consenso politico su cosa bisogna tagliare, e un governo sempre più debole e impopolare potrebbe non riuscire nemmeno a mantenere il deficit di bilancio sotto il 3 percento del PIL.

L’instabile governo di minoranza spagnolo è alle prese con lo stesso problema. L’economia sta rallentando e Madrid ha una lunga storia in fatto di sforamento delle previsioni del deficit di bilancio. Il deficit di quest’anno, per esempio, è previsto per il 2,7 percento del PIL, ma la stima ufficiale fornita l’anno scorso era del 2,2 percento. Per come stanno le cose adesso, mantenere il deficit spagnolo sotto il limite del 3 percento del PIL sembra già un’impresa epica.

Perché tutto questo viene accolto da Bruxelles con un assordante silenzio? Forse l’accondiscendenza della UE verso la Francia e la Spagna ha molto a che fare con il loro livello più basso di debito pubblico?

È possibile, ma se fosse vero sarebbe un grosso errore. Quei paesi hanno un debito più basso con una tendenza di bilancio che va in peggioramento. Il debito pubblico della Francia è al 122 percento del PIL. Il fatto che la Francia abbia un deficit primario significa che il debito continuerà ad aumentare. Il debito pubblico della Spagna è al 115 percento del PIL, sostanzialmente senza alcun avanzo primario. Entrambi i paesi sono sulla strada di un aumento delle passività pubbliche a seguito dell’ampliamento dei loro disavanzi fiscali.

Nessuna sorpresa se qualcuno si domanda: l’attacco della UE contro la politica fiscale dell’Italia fa forse parte di un programma diverso? Ve ne accennerò, ma un’altra volta.

Idee di investimento

L’austerità fiscale in un’economia Italiana che rallenta – su cui pesa l’elevata disoccupazione, pla overtà in crescita e le infrastrutture che crollano – dovrebbe essere considerata una follia totale.

Lo spazio per un sollievo fiscale è molto ridotto, ma questo è il momento del “whatever it takes” italiano: Roma deve sostenere la propria attività economica, la crescita dell’occupazione e la spesa per le infrastrutture.

I leader del governo italiano potrebbero non apprezzare molto alcuni dei propri vicini, ma questo non è un buon motivo per denigrare la UE. Gli italiani non li hanno votati per questo.

I padri fondatori della UE – come Alcide de Gasperi e Altiero Spinelli – hanno messo l’Italia lì dove deve stare. La Grecia e l’Italia sono la culla della civiltà europea.

Il processo di unificazione europeo ha portato pace, un gigantesco e sempre più omogeneo mercato unico, l’euro e la Banca Centrale Europea – certamente i maggiori risultati dell’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale. Si può ben dire che l’Italia ha ragione di restare al centro di questo progetto epocale.

DEPISTAGGIO BORSELLINO / LE RIMEMBRANZE DI NINO DI MATTEO, E IL PROCESSO COMINCIA Il 5 NOVEMBRE

Scritto da: Andrea Cinquegrani
Fonte: http://www.lavocedellevoci.it/2018/09/30/depistaggio-borsellino-le-rimembranze-di-nino-di-matteo-e-il-processo-comincia-il-5-novembre/

Neanche il tempo di una sentenza (quella sulla ‘Trattativa’) e la super toga antimafia, l’icona del popolo delle agendine rosse si trova in libreria con un già cult, “Il patto sporco. Il processo Stato-Mafia nel racconto di un suo protagonista: Nino Di Matteo”. Non poteva che essere Chiarelettere l’editrice a pubblicare la lunga (oltre 200 pagine) intervista all’Eroe dei due Mondi raccolta da Saverio Lodato, per una vita inviato dell’Unità a Palermo e firma di punta del plotone di penne antimafia.

Non abbiamo letto il prestigioso volume, ma scorrendo il reportage che firma Corrado Stajano per il Corriere della Sera sembra di saperne molto, ma molto meno di prima. Soprattutto eclissando letteralmente dei fatti di sostanza che – vivaddio – in questi maledetti 35 anni sono stati acquisiti. Invece sembra di volteggiare, leggendo il libro, in una bolla perfetta, in un nulla metafisico e metastorico: una vertigine che ti può dare il senso del più totale spaesamento.

TRA I RICORDI DI NINO DI MATTEO

Il libro di Lodato. In apertura Giancarlo Caselli e sullo sfondo il covo di Totò Riina

Qualche cenno ai 200 chili di tritolo che Cosa nostra aveva ordinato per far fuori Di Matteo, le imprecazioni carcerarie di Totò Riina (che certo sapeva bene di essere ‘ascoltato’ da chi doveva sentire). E poi i soliti interrogativi senza risposta, e che il libro non contribuisce certo a darne neanche una briciola: “chi fece sparire – scrive Stajano – quasi del tutto i file informatici di Giovanni Falcone dopo la sua morte? Quali furono i motivi dell’accelerazione dell’assassinio di Paolo Borsellino? Che cosa avrà scoperto il magistrato nei tragici 57 giorni dopo Capaci?”.

Quindi uno dei punti bollenti: “La cattura di Riina nel gennaio ’93, poi la mancata perquisizione del covo sono smaccate prove dell’accordo tra le parti per ‘evitare che saltassero fuori atti e documenti compromettenti proprio su quella fase della trattativa’”.

C’è da augurarsi che nel libro ci sia qualche elemento in più su quel maxi buco nero del covo di Riina (che si collega alla mancata cattura di Bernardo Provenzano). Cosa c’era veramente in quel covo trovato ritinteggiato e messo a nuovo dopo due settimane di mancato controllo? E la cassaforte portata via in tutta tranquillità? Quell’archivio dei 3000 nomi di cui parla addirittura il capitano Ultimo – il braccio destro del capo Ros Mario Mori – che potrebbe essere finito nella mani di Matteo Messina Denaro per ricattare mezza Italia?

Beh, qualche spiegazionicina in più ce la saremmo aspettata dalla nostra Icona antimafia. Come anche sullo scarso controllo operato dal neo procuratore capo Giancarlo Caselli, arrivato da appena due settimane. Per non parlare della improvvisa, misteriosa e soprattutto mai indagata  morte (ecco un altro buco nero della nostra malastoria di cui nessuno parla) del procuratore Gabriele Chelezzi, che su quelle connection stava lavorando da mesi.

 

ARCHIVI & AGENDE

Da un archivio a un’agenda, quella rossa di Paolo Borsellino, il passo non è poi così lungo. Come mai nessun elemento in più – da parte di uno degli inquirenti di punta per la strage di via D’Amelio – viene partorito? Nessuna nuova pista per quel passaggio di mano della bollente agendina – quasi un’azione rugbistica – dal carabiniere accusato, processato e assolto, fino a Giuseppe Ayala e poi a chissà chi?

Come mai nessun cenno a quel famigerato Castel Utveggio che sovrasta Palermo e che domina sul palcoscenico di via D’Alemio? Non interessa sapere chi lo usava? Per chi non lo ricordi, è stato per anni un centro studi che faceva capo ai gesuiti di padre Pintacuda, poi s’è trasformato nel Cerisdi, un altro centro studi, ma stavolta per questioni militari, di sicurezza, tanto da essere riconducibile – secondo alcune attendibili fonti della procura di Palermo – ai Servizi Segreti. Per alcuni anni è stato presieduto da uno degli uomini più potenti della Sicilia: Elio Adelfio Cardinale, per anni rettore di Medicina a Catania, radiologo di fama, marito di Anna Maria Palma.

Ecco che un primo cerchio si chiude: il magistrato che per primo ha avuto in mano il fascicolo ancora fumante delle indagini sul tritolo di via D’Amelio è la consorte di Cardinale, il quale – va rammentato – è stato sottosegretario alla Salute nel governo Monti. Uno che quindi se ne intende.

E siamo al domandone? Come mai Nino Di Matteo, nel suo lungo sfogo con l’amico giornalista, non fornisce uno straccio di spiegazione (stando almeno all’articolo di Stajano) sul più grande depistaggio della nostra storia giudiziaria, di cui si è appena discusso davanti al Csm e che sarà oggetto dell’ennesimo processo che comincia il 5 novembre a Caltanissetta, dedicato proprio al Depistaggio?

Quel depistaggio è cominciato prima, con l’agendiana rossa e via dicendo, sostiene Di Matteo.

Ma sta di fatto che qualcuno l’avrà pure pensato, ideato, organizzato, messo in pratica, o no?

I tre poliziotti oggi accusati non possono che essere di tutta evidenza l’ultimo anello della catena, lo capirebbe anche un bambino. Fabrizio Mattei, Michele Ribaudo e Mario Bò non possono che essere i burattini che qualcuno o alcuni hanno manovrato. Elementare.

E allora? Tutti – o molti – hanno scaricato la montagna delle responsabilità sull’allora capo della Squadra Mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, morto oltre 15 anni fa, nel 2002 e che difficilmente può più difendersi né fornire lumi.

C’è solo da sperare che qualcuno parli, come si augura Fiammetta Borsellino? “Ci sono grossi pezzi dello Stato – sottolinea – implicati nella strage che ha ucciso mio padre e i ragazzi della scorta”. E rivolta ai poliziotti, in occasione delle sedute davanti al Csm, tormentata ha continuato a chiedersi: “Perchè non parlano, perchè non dicono da chi ebbero l’ordine di ammaestrare Scarantino (Vincenzo Scarantino, il teste taroccato, ndr) con degli appunti molto dettagliati? E come è possibile che nessun magistrato si sia accorto del depistaggio messo in atto da un gruppo di poliziotti?”.

Perfino Nino Caleca, il legale di uno dei poliziotti oggi sotto accusa, Mario Bò, afferma: “Il mio assistito era convinto di avere fatto la cosa più bella dellla sua vita con quella indagine. Agì alle dipendenze dei superiori e di chi coordinava l’inchiesta”.

 

MA CHI ERANO I VERI DIRETTORI D’ORCHESTRA

Ma chi erano i ‘superiori’? Chi ‘coordinava’? Semplice come bere un bicchier d’acqua: i magistrati inquirenti. Quindi Anna Maria Palma poi affiancata da Carmelo Petralia e, 5 mesi dopo, da Nino Di Matteo. Questo il tris d’assi che ha diretto l’orchestra. Ma attenzione al nome del procuratore capo di allora: Giovanni Tinebra, il cui ruolo – in questa vicenda – è ancora tutto da scoprire

Possibile che Palma, Petralia e Di Matteo abbiano perso la memoria? Che tutti   contemporaneamente non sappiano e non ricordino?

Possibile che dei poliziotti abbiano pensato un bel giorno di rovinarsi la vita e la carriera per inventare un falso pentito? E’ mai credibile?

L’abbiamo scritto diverse volte: la Palma era una toga ‘rossa’, ai tempi di quelle militanze, ed era anche molto amica di Borsellino, secondo quanto ricordano i cronisti siciliani. Anni dopo l’inversione a U, quando viene chiamata dal berlusconiano Renato Schifani a dirigerne il Gabinetto ai tempi della sua presidenza del Senato.

Come mai tutti minimizzarono le parole di giudici come Ilda Boccassini e Roberto Sajeva i quali avevano messo in guardia da Scarantino, giudicandolo un teste del tutto inaffidabile e inattendibile? Come mai, invece, nelle mani di Palma, Petralia e Di Matteo diventa l’Oracolo di Delfo? La fonte di tutte le Verità sulla strage di via D’Amelio? Perchè cadono tutti in trappola?

Forse l’ennesimo processo sul depistaggio che si apre a Caltanissetta potrà darci qualche lume in più per arrivare a che – come implora Fiammetta Borsellino – Verità e Giustizia dopo tanti anni siano fatte, e uno dei buchi più neri e vergognosi dello Stato venga cancellato per sempre.

Verranno interrogati, oltre evidentemente i poliziotti, tutti i magistrati che hanno gestito il fascicolo e quindi ordinato e coordinato l’inchiesta e poi il primo processo che ha mandato all’ergastolo 6 innocenti? I quali, poi, hanno trascorso in carcere ‘solo’ 16 anni e adesso ovviamente si sono costituiti parte civile chiedendo un ovvio risarcimento. Per la serie: mafiosi parti civili contro dei poliziotti dello Stato. Il mondo capovolto.

Mentre – udite udite – fino ad oggi non si è costitutito parte civile il ministero degli Interni: per la serie, Matteo Salvini se ne frega. Si costituirà, invece, quello della Giustizia.

Nell’iniziare formalmente il  processo (che decollerà come detto il 5 novembre) il pm, Stefano Luciani, ha tuonato: “Non fu per ansia di giustizia che venne costruito ad arte il falso pentito Vincenzo Scarantino”. Nè per fare in fretta e sbattere il mostro in prima pagina, come furono le prime accuse lanciate contro La Barbera.

“Qualcuno dei miei amici mi ha tradito”, disse alla moglie Agnese Paolo prima di essere trucidato.

Il giallo continua.