Iran: parte la borsa petrolifera di Kish, nuovi interrogativi sul dollaro

Scritto da: Federico Dal Cortivo
Fonte:http://europeanphoenix.com/

A dare l’annuncio storico è stato il Ministro del petrolio iraniano a interim Alì Abadì, che ha definito la cosa “una seconda nazionalizzazione del petrolio iraniano”.

In effetti creare una borsa petrolifera e del gas alternativa e in concorrenza con New York e Londra, che detengono dalla fine della Seconda Guerra Mondiale il monopolio delle contrattazioni petrolifere, è quanto mai rivoluzionario, ma al tempo stesso lo è fortemente destabilizzante in chiave anglosassone.

La Repubblica Islamica dell’Iran è oggi il secondo possessore di riserve petrolifere  e il quarto produttore a livello mondiale, il che ne fa una potenza in chiave energetica di primo piano. Introdurre un nuovo “marker petrolifero”, che è lo strumento attraverso il quale  si definisce il prezzo del petrolio, in alternativa al West Texas Intermedie Crude, United Arab Emirates Dubai Crude e al Norvay Brent Crude, rappresenta una sfida anche contro la moneta sovrana delle transazioni petrolifere, il dollaro.

Non è un mistero che un’eventuale futura sostituzione totale della moneta americana, ad esempio con l’euro, innescherebbe una serie di reazioni a catena che in breve potrebbero portare all’adozione della moneta europea da parte di altri grandi produttori di petrolio, gas e vari consumatori.

La Russia, la Cina, l’India ma anche il Venezuela e altre nazioni dell’America Latina, non hanno mai nascosto la loro insofferenza di fronte al monopolio Usa e alla sua moneta, che sarebbe carta straccia  a causa dell’imponente deficit statunitense, ma ancor oggi ancora capace di condizionare il mondo proprio grazie a questa sua prerogativa di moneta di scambio per l’oro nero.

La domanda da porsi oggi è: quale sarà la reazione degli Stati Uniti all’iniziativa iraniana?

Ancora oggi gran parte del loro potere, oltre che militare, è dato dall’aver imposto al mondo la propria moneta. L’attacco di questi mesi all’Europa, Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia, è un attacco al ventre molle dell’euro, e l’obiettivo è proprio la valuta europea, contro cui la speculazione finanziaria anglosassone con le proprie agenzie di rating si è scatenata, ne è la prova più chiara.

Nel recente passato a farne le spese, per avere osato mettere in dubbio il predominio del petrodollaro, fu l’Iraq di Saddam, quando nel 2000 decise di staccare l’economia irachena dalla moneta Usa, convertendo in euro il “Fondo Iracheno presso le Nazioni”, che faceva parte del programma “Oil For Food”. In pratica i ricavati dalla vendita del petrolio  iracheno erano fatturati in dollari in un fondo della banca francese Bnp Paribas, e il denaro era diviso in parti, sia per riparare i danni di guerra, sia per il governo iracheno: si parla di circa 65 miliardi di dollari. In seguito l’Iraq aprì un conto in euro presso la stessa banca francese ,e successivamente tutti i proventi della vendita del petrolio iracheno finirono nel Fondo delle NU e poi depositati in Bnp Paribas in euro, come rilevava William R.Clark (Hopkins University School of Medicine- con ricerche sull’esaurimento del petrolio, problemi valutari e geostrategia degli Stati Uniti) autore di ”Petrodollar Warfare”, in cui l’autore arriva alla conclusione che “i veri motivi dell’attacco all’Iraq non siano state le mai trovate Armi Distruttive di Massa, né la lotta al terrorismo, ma sia stato più che il petrolio stesso “il mezzo finanziario per il controllo del suo prezzo a livello mondiale”. I petroeuro di Saddam furono individuati come il pericolo maggiore per gli Usa, anche in vista di una probabile adesione dei Paesi dell’Opec,  e quindi  la successiva reazione militare fu devastante. Poi la normalizzazione, con tutti i conti petroliferi iracheni riconvertiti in dollari.

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