Cannibalismo minerario in Afghanistan…

Autore: Pino delle Donne – stampa libera
Scritto da  Umberto Mazzantini

Il nuovo tesoro afghano nella polveriera dell’Asia centrale (ma i russi sapevano già tutto)

LIVORNO. Gli occupanti-liberatori americani dell’Afghanistan hanno rivelato che quello strategico scatolone di polvere e montagne, quello che è attualmente un narco-stato occupato dalla Nato, amministrato da un governo asserragliato a Kabul e dai talebani dilaganti, è in realtà un vasto ed ancora inesplorato giacimento di materie prime rare, un vero e proprio forziere medievale al servizio della green economy e della post-modernità.

Secondo quanto scriveva ieri il New York Times, un piccolo gruppo di ricercatori del Pentagono e di geologi americani avrebbe scoperto che i giacimenti di ferro, rame, cobalto, oro e di materiali ricercatissimi come il litio presenti in Afghanistan avrebbero un valore di quasi mille miliardi di dollari.

Secondo una nota del Pentagono l’ Afghanistan potrebbe diventare «L’Arabia Saudita del litio», contendendo probabilmente alla Bolivia india e socialista di Evo Morales il primato dei giacimenti di una materia essenziale per costruire le nuove batterie ad alta efficienza dei computer portatili dei telefonini e soprattutto quelle delle auto elettriche.

In realtà gli americani il tesoro lo hanno riscoperto, visto che nel 2004 trovarono nella biblioteca del Geological Survey afgano a Kabul una serie di dati su grandi giacimenti minerari che erano stati raccolti dagli esperti minerari sovietici durante l’occupazione dell’Afghanistan, documenti che i talebani avevano stranamente risparmiato (probabilmente perché per loro erano incomprensibili), ma che erano stati dimenticati quando i sovietici si ritirarono nel 1989. E’ più che probabile che i russi quei dati se li ricordassero bene e che siano stati zitti per non dare un “vantaggio” agli americani. «Le mappe c’erano – spiega al New York Times l’ingegnere afghano Ahmad Hujabre – ma non c’è stato uno sviluppo perché abbiamo avuto 30 – 35 anni di guerra».

Da quelle mappe sovietiche sono partite nel 2006 una serie di indagini aeree delle risorse minerarie dell’Afghanistan, effettuate da super attrezzati aerei Old Navy Orion P-3 aerei che hanno sorvolavano circa il 70% del Paese. I dati erano così buoni che nel 2007 i geologi Usa hanno realizzato uno studio ancora più sofisticato, utilizzando un vecchio bombardiere britannico dotato di strumenti che hanno fornito un profilo tridimensionale di depositi minerali sotto la superficie terrestre. Ma quei risultati sono stati ignorati fino al 2009, quando una task force del Pentagono che aveva lavorato ai programmi di sviluppo del business in Iraq è stata trasferita in Afghanistan e ha compreso l’enorme potenziale economico di quelle ricerche: l’Afghanistan potrebbe diventare il più grande produttore mondiale di rame e ferro ma avrebbe anche a disposizione grandi depositi di niobio, un metallo usato nella produzione di superconduttori, terre rare e depositi di oro di grandi dimensioni nelle problematiche zone pashtun del sud dell’Afghanistan.

Il litio invece si troverebbe in grandi quantità nei laghi salati dell’Afghanistan occidentale e le prime analisi in un’area della provincia di Ghazni hanno svelato la presenza di litio a livelli di quelli della Bolivia.

Forse non a caso, subito dopo l’annuncio della scoperta mineraria, è rispuntato immediatamente il fantasma di Osama bin Laden per minacciare gli invasori statunitensi e Barack Obama, ma certamente non a caso l’annuncio della scoperta dell’immenso tesoro minerario è stato dato direttamente dal generale David H. Petraeus, comandante in capo del comando centrale Usa, che ha detto al New York Times: «Qui c’è un potenziale impressionante. Ci sono molti “se”, ma penso che sia potenzialmente estremamente importante».

Secondo i ricercatori statunitensi «L’Afghanistan potrebbe alla fine essere trasformato in uno dei centri minerari più importanti del mondo», la scoperta potrebbe far uscire dalla miseria atavica un Paese devastato dalle guerre infinite e che ha attualmente un Pil di 12 miliardi di dollari. Se è vero che lo sviluppo dell’industria mineraria potrebbe richiedere molti anni, il potenziale è così grande che le multinazionali minerarie potrebbero anche correre il rischio della guerra e fare pesanti investimenti e dare posti di lavoro a migliaia di afghani, una vera e propria boccata di ossigeno per gli Usa e la Nato in cerca disperatamente di notizie positive e che non riescono a mettere fine all’economia dell’oppio che è gestita sia dai talebani che dal corrotto governo filo-occidentale.

Ma il problema è quello di chi utilizzerà davvero queste enormi ricchezze e come verranno divise, cioè se all’occupazione occidentale seguirà l’occupazione delle multinazionali occidentali (e russe e cinesi), non è un caso se sul New York Times gli stessi americani dicono che «Le scoperte dei minerali avrà quasi certamente un impatto a doppio taglio. Invece di portare la pace, la ricchezza minerale ritrovata potrebbe portare i talebani a combattere anche più ferocemente per riprendere il controllo del paese».

Chi non ha dubbi è Jalil Jumriany, un consigliere del ministro afghano delle miniere: «Questa diventerà la spina dorsale dell’economia afghana», ma è difficile credere alla buona fede di un funzionario del governo Karzai che sta trattando con i talebani e che tollera, quando non incoraggia e gestisce con la sua cricca, una corruzione dilagante: l’anno scorso l’ex ministro delle miniere di Kabul è stato accusato dagli statunitensi di aver preso una tangente da 30 milioni dollari dai cinesi in cambio dei diritti per lo sfruttamento di una miniera di rame.

I giacimenti minerari sono sparsi in tutto il Paese, anche nelle regioni meridionali e orientali lungo il confine con il Pakistan dove ci sono stati alcuni dei combattimenti più violenti tra occidentali e talebani. Intanto ai confini settentrionali, in quella che fu l’Asia centrale sovietica, le stesse etnie presenti anche in Afghanistan si stanno scannando in Kirghizistan in una sanguinosa guerra tribale e decine di migliaia di uzbeki varcano i confini alla ricerca di una disperata salvezza dai progrom. Molto probabilmente i signori della guerra afghane delle due etnie, nemiche in Asia centrale e alleate a Kabul, si attrezzeranno e tra il debole governo centrale di Kabul e i leader tribali potrebbero scoppiare scontri per il controllo delle aree ricche di minerali che servirebbero anche a foraggiare le guerriglie etniche, il traffico di droga ed i movimenti integralisti islamici oltre-confine.

Il Tesoro é custodito in una polveriera che sta esplodendo ed anche Paul A. Brinkley a capo del team del Pentagono che lo ha scoperto e sottosegretario alla difesa per il business, é preoccupato: «Nessuno ha verificato questa legge (quella Afghana sulle miniere, ndr), nessuno sa come riuscirà a restare in piedi con una lotta tra il governo centrale e le provincie».

Quello che più temono gli americani è un arrivo in forze dei vicini cinesi, pronti ad investire cifre iperboliche nelle ricchezze minerarie afghane e che si sono già accaparrati la miniera di rame di Aynak nella provincia di Logar. Sembra la nemesi di una storia sbagliata: le bandiere con la falce e il martello che gli occidentali hanno scacciato dall’Afghanistan finanziando i signori della guerra e i mujaheddin integralisti (poi diventati talebani e Al Qaeda) ritornerebbero in Afghanistan sulle ali del turbo-capitalismo cinese e Pechino si sta appropriando delle ricchezze (e dei corridoi del petrolio e del gas) che sono state la vera ragione dell’invasione sovietica, della cacciata dei russi e della guerra di “liberazione” della Nato che si è impantanata tra i campi di papaveri e le strade minate dell’Afghanistan.

Brinkley teme non poco gli sbrigativi metodi dei compagni cinesi applicati ad un Paese ambientalmente fragile, socialmente arretrato e che non ha mai conosciuto l’industria pesante: «La big question è: tutto questo può essere sviluppato in modo responsabile, in un modo che sia ecologicamente e socialmente responsabile?. Nessuno sa come andrà a finire». E Jack Medlin, un geologo dell’international affairs program dell’ United States geological survey sottolinea: «Questo é un Paese senza cultura mineraria. Hanno avuto qualche piccola miniera artigianale, ma ci potrebbero essere diverse grandi miniere, molto grandi, che richiederanno molto più di un setaccio per l’oro»

«Il Ministero delle Miniere non è pronto a gestire questa situazione – dice Brinkley – Stiamo cercando di aiutarli a prepararsi». Sperando che l’Afghanistan non scoppi prima e che i fuochi dell’Asia centrale non diventino un incendio.