Seveso 1976: la nube tossica

Scritto da: Marina Rossi
Fonte: http://www.pagine70.com/vmnews/wmview.php?ArtID=584

Io non so come funziona uno stabilimento chimico, ma se provo ad immaginarlo mi sembra di vedere centinaia di metri di tubature collegate a silos giganteschi dove si miscelano sostanze chimiche. A volte è necessario combinare e far legare le sostanze tra loro per ottenere il prodotto finito, ed il prodotto finito può essere qualsiasi cosa: saponi, profumi, diserbanti, medicinali, plastiche, vernici, insetticidi.. In questo impianto, così come la vedo io nella mia fantasia, si aggirano operai, tecnici, e chimici ricoperti da capo a piedi di tute bianche e maschere protettive per evitare pericolose contaminazioni Ed è questo, quello che immagino io. Ma già il fatto di vedere le persone racchiuse in quegli scafandri ermetici m’inquieta.

Il pensiero che uno di quei prodotti possa fuoriuscire da quei tubi o dai quei silos per un qualsiasi motivo o accidente mi terrorizza. Penso: sicuramente ci saranno centinaia di sistemi di sicurezza per far si che ciò non accada. Ma ciò non mi tranquillizza affatto perchè mentre proseguo nella mia immaginaria visita in questo impianto immaginario, mi accorgo che c’è poco personale a controllare. Ma è luglio ed è sabato. E mi accorgo anche che proprio alla base di un di quei silos c’è un manometro la cui lancetta sta salendo verso il quadrante rosso e nessuno sembra accorgersene. Il silos si sta surriscaldando e comincia a vibrare forte. So che l’aumento della temperatura è pericolosissimo. ma penso: ci sono i sistemi di sicurezza, tra un po’ tutto tornerà normale. Ma così non è perchè il sistema di sicurezza pare non abbia funzionato quel giorno a Seveso…

Seveso 10 luglio 1976 ore 12.37

Nello stabilimento chimico dell’ ICMESA una valvola di sicurezza del reattore A-101 esplode provocando la fuoriuscita di alcuni chili di diossina nebulizzata. (la quantità esatta non è quantificabile, qualcuno dice 10-12 chili, altri di appena un paio). Il vento disperde la nube tossica verso est; nella Brianza. Il giorno dopo, domenica 11 luglio, nel pomeriggio, due tecnici dell’ICMESA si recano dal sindaco di Seveso, Emilio Rocca, per metterlo al corrente di ciò che è accaduto nello stabilimento e rassicurandolo che la situazione non desta preoccupazioni perché è già tutto sotto controllo. Dopo 4 giorni dall’incidente inizia la moria degli animali, muoiono galline, uccelli, conigli. Le foglie degli alberi ingialliscono e cadono, e gli alberi in breve tempo muoiono come tutte le altre piante. Nell’area interessata vivono circa 100.000 persone. E solo dopo pochi giorni si verificano i primi casi d’intossicazione nella popolazione. Il giorno 15 il sindaco emana un ordinanza di emergenza: divieto di toccare la terra, gli ortaggi, l’erba e di consumare frutta e verdure, animali da cortile, di esporsi all’aria aperta. Si consiglia un’accurata igiene della persona e dell’abbigliamento. Ci sono i primi ricoveri in ospedale e gli operai dell’ICMESA si rifiutano di continuare a lavorare. Soltanto il 17 luglio appaiono i primi articoli sul “Giorno” e sul “Corriere della Sera”.

L’accaduto diviene di dominio pubblico. Il 18 luglio parte un indagine dei carabinieri del comune di Meda ed il pretore decreta la chiusura dello stabilimento. Si procede all’arresto del direttore e del vicedirettore della fabbrica per disastro colposo. Ma ancora il 23 luglio dalla prefettura non viene ancora presa nessuna decisione su come far fronte all’emergenza. I casi d’intossicazione aumentano, i più colpiti sono i bambini. Si da nome ad una malattia finora quasi sconosciuta: la Cloracne. La cloracne è il sintomo più eclatante dell’esposizione alla diossina, colpisce la pelle, soprattutto del volto e dei genitali esterni, se l’esposizione è prolungata si diffonde in tutto il corpo. Si presenta con comparsa di macchie rosse che evolvono in bubboni pustolosi giallastri, orribili a vedersi e di difficile guarigione, e la pelle cade a brandelli. Può essere compromessa seriamente la funzionalità epatica. L’inalazione del composto crea problemi respiratori. Il 23 luglio dopo 13 giorni dall’incidente la verifica incrociata delle analisi effettuate dalle strutture sanitarie italiane e dei Laboratori Givaudan dell’ICMESA confermano una presenza notevole di TCDD nella zona maggiormente colpita dalla nube tossica. Il 10 agosto una commissione tecnico-scientifica stila una mappatura della zona contaminata. Si decide di evacuare l’area circostante l’impianto per circa 15 ettari, e le famiglie residenti nelle zone più colpite sono invitate ad abbandonare le proprie abitazioni. Reticolati sono posti per delimitare le zone pericolose. La commissione classifica il terreno contaminato in 3 zone a seconda della quantità della diossina presente sul terreno: “zona A” molto inquinata, “zona” B poco inquinata, “zona C” di rispetto. Continuano i casi d’intossicazione e aumentano i ricoveri ospedalieri tra la popolazione di Seveso, Meda, Desio e Cesano Maderno.

Tra la popolazione colpita ci sono parecchie donne incinte e si diffonde la preoccupazione per gli effetti della contaminazione sui futuri nascituri. Ma gran parte degli “esperti” tendono a tranquillizzare tutti sminuendo gli effetti della diossina. Si fanno migliaia di analisi del sangue e delle urine, ma non si arriva a capo di nulla. Ulteriori controlli dei terreni fanno estendere la zona A suddividendola in 7 sotto sezioni. Intanto la televisione ed i giornali continuano a mostrare filmati e foto di bambini ricoverati in ospedale con i piccoli volti coperti da estese macchie rosse e le zone contaminate dove si aggirano uomini in tute bianche sigillate che raccolgono campioni di terreno e bruciano carcasse di animali. L’11 ottobre dopo 3 mesi, gli abitanti evacuati dalla zona A rientrano nei loro terreni e indicono una protesta bloccando la strada Meda-Milano. Vogliono rientrare nelle loro case e riprendere possesso della loro vita. Protestano contro il progetto della Provincia e della Regione di costruire un inceneritore a Seveso. Ritorna l’esercito per controllare la zona inquinata ed impedirne l’accesso. Sale la tensione e il malcontento verso le istituzioni che sembrano non voler prendere provvedimenti adeguati. Si chiede la bonifica dell’area come era stato promesso e si suggerisce l’asportazione del terreno inquinato e la collocazione in siti adeguati. Proprio per la tutela degli abitanti nel 1977 viene istituito l’Ufficio Speciale per Seveso.

ICMESA

Lo stabilimento ICMESA comincia la sua attività nel territorio del Comune di Meda nel 1947. Lo stabilimento produce prodotti farmaceutici ed è di proprietà della multinazionale GIVAUDAN. Nel 1963 la ICMESA diventa di proprietà della Hoffman-La Roche. Da subito iniziarono le proteste degli abitanti della zona e le denunce per gli effetti che l’impianto aveva sull’eco-sistema della zona: gas maleodoranti che fuoriuscivano dai camini, l’inquinamento del torrente Certosa o Tarò. Ma tutte le denunce sugli effetti nocivi della fabbrica e le varie accuse furono rigettate dai dirigenti dello stabilimento e non vennero mai presi provvedimenti. Al momento dell’esplosione del reattore chimico si era già al corrente tra gli addetti, che con il surriscaldamento dei materiali di lavorazione si sarebbe formata diossina, ma si sapeva anche, che aumentando la temperatura i tempi di reazione chimica dei prodotti sarebbe diminuita (da 5 a 1 ora) e si avrebbe avuto più prodotto in meno tempo. Gli addetti sapevano che altri incidenti da codesti impianti, erano avvenuti nel tempo in altre nazioni, e sapevano anche dei loro effetti catastrofici sull’ambiente. Sapevano anche che il camino sopra il tetto dell’impianto era privo di abbattitore. Sapevano che i termometri per controllare la temperatura degli impianti erano insufficienti a controllare la reazione. Perciò l’incidente fu provocato dalla omissione delle più elementari norme di sicurezza per un impianto del genere situato vicino al centro abitato E nonostante questo “la fabbrica dei profumi” ( così come la chiamavano gli a abitanti del luogo), ha continuato a funzionare per anni celando la sua pericolosità anche agli stessi operai che vi lavoravano.
La Diossina
“Diossina è un nome generico che indica vari composti tossici; il più noto, indicato con la sigla TCDD, si forma come sottoprodotto nella preparazione del triclorofenolo, sostanza utile a produrre erbicidi e battericidi.”
“La diossina è una sostanza altamente tossica in grado di provocare seri danni al cuore, ai reni, al fegato, allo stomaco e al sistema linfatico”.

Il composto si deposita sui terreni è non assolutamente biodegradabile né l’intaccano i microrganismi presenti nel terreno. Penetra nell’organismo attraverso la respirazione, per contatto con l’assunzione di cibo, soprattutto carne, pesce e latticini. Nei casi di esposizione a concentrazioni e poiché si deposita nei grassi, è soggetta ad accumulo biologico. Nei topi da laboratorio provoca tumori, disturbi al sistema nervoso, anomalie genetiche . Ancora non è stato accertato quali possano essere gli effetti a lungo termine sull’uomo. Gli abitanti di Seveso e zone limitrofe sono ancora oggi soggetti da laboratorio per lo studio degli effetti della diossina. La diossina non uccise nessun essere umano al momento, ma distrusse l’equilibrio eco-biologico di una vasta aera di territorio e decretò la morte civile di un’intera popolazione. Si sospetta che a 30 anni di distanza il terreno sia ancora intriso di diossina nonostante lo stabilimento chimico sia stato interrato ed al suo posto ci sia ora
il ” Bosco delle Querce” impiantato in seguito nella zona, con flora e fauna importata a segnare con un itinerario della memoria un evento da non dimenticare.
Il disastro provocò una destabilizzazione socio-economica di tutta l’area con enorme disagio per gli abitanti che dovettero abbandonare la loro terra, le loro case, il loro lavoro, gli animali. Rinunciare a tutto quello che avevano costruito o progettato per il loro presente e per il futuro. Non si coltivò più Molte donne in gravidanza in quel periodo preferirono abortire e le coppie smisero di fare figli. Famiglie intere furono sradicate delle proprie radici e subirono, nei trasferimenti coatti, anche l’umiliazione di sentirsi emarginati dall’ignoranza della gente che non sapeva cos’era la diossina, e vedeva in loro un pericolo per la propria salute. 80.000 gli animali morti o abbattuti, 158 gli operai esposti alla contaminazione. Un numero imprecisato di bambini rimarranno sfigurati dalla cloracne e porteranno sulla propria pelle gli effetti di questa micidiale sostanza con problemi psicologici che mineranno la loro vita. La responsabilità ricadde in sede processuale sui dirigenti dell’impianto che vennero condannati nel 1983 per disastro colposo e lesioni. I 200 milioni in vecchie lire pagate dalla multinazionale svizzera per il risarcimento furono usati per la bonifica dei terreni più contaminati come la zona A di Seveso dove tutto era stato raso al suolo perché irrecuperabile. I danni materiali e morali di questo disastro ecologico provocato dall’uomo restano incalcolabili.

Discariche speciali

Tutti i materiali contaminati asportati vengono depositate in due discariche speciali: la vasca A, a sud di Seveso, dove finiscono le macerie dello stabilimento ICMESA, tutti i terreni oggetto della scarifica e i materiali usati per la bonifica del territorio di Seveso per un volume di circa 200.000 m3. Nell’altra vasca la B, posta più a nord nel Comune di Meda finiranno tutti i materiali contaminati della zona nord e i fanghi del depuratore di Seveso per un volume di circa 80.000m3.
“In seguito all’incidente di Seveso ed altri dovuti all’incuria dell’uomo in proposito di sistemi di sicurezza di impianti chimici e consimili, la Comunità Europea emanò nel 1982 la direttiva n° 82/501 relativa ai rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali.
La direttiva prevedeva determinati obblighi amministrativi e sostanziali riguardo all’atteggiamento da seguire nella gestione dell’esercizio di attività ritenute pericolose sulla base della tipologia di pericolosità dei materiali, e del quantitativo detenuto.
La direttiva viene recepita dall’Italia 6 anni più tardi con il DPR 175/88.”

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