Aiuti: la mano che strangola l’Africa

Autore: Lino Bottaro

Finalmente un pò di verità per spezzare il velo dell’ipocrisia e dello strozzinaggio occidentale

fonte:peacereporter.net
Un libro-pamphlet di una brillante economista rovescia un luogo comune

L’hanno definita l’anti-Bono per il pragmatismo ai limiti del cinismo, per il messaggio antibuonista che va diffondendo: basta aiuti, basta donazioni, basta soldi a pioggia e basta con gli “aiuti glamour” sponsorizzati dal cantante degli U2 e altri vip.

Si può dare di più?
E’ Dombisa Moyo, giovane e brillante economista autrice di un libro pamphlet che sta facendo discutere perché sostiene che l’Africa non è povera nonostante gli aiuti ma proprio a causa di questi ultimi. Nelle 230 pagine di La carità che uccide, destreggiandosi tra le mille iniziative e i tanti programmi messi in piedi, l’autrice spiega spiega perché la terapia che avrebbe dovuto salvare il continente dimenticato si è trasformata in una iniezione letale. Sull’Africa sub-sahariana, in 50 anni sono piovuti oltre mille miliardi di dollari eppure, sostiene l’autrice, il 50 per cento dei poveri di tutto il mondo si concentra lì; “Tra il 1981 e il 2002, il numero di africani che vivono in povertà è raddoppiato”, scrive a pagina 30, l’aspettativa di vita non è miglorata, l’alfabetizzazione degli adulti è precipitata sotto i livelli del 1980 mentre indicatori come quelli sanitari e quelli sulla distribuzione del reddito sono ancora da incubo. “L’Africa non sta soltanto tendendo verso il basso, sta completamente scollegandosi dai progressi raggiunti nel resto del mondo”.

Un ciclo devastante. Colpa di una politica assistenzialista, spiega la Moyo, modellata sul piano Marshall, che dall’inizio degli anni Sessanta ha fatto fluire aiuti nella forma di prestiti concessionali (da rimborsare) e sovvenzioni (a fondo perduto). Cento milioni di dollari all’inizio degli anni Sessanta, che erano diventati 950 già nel 1965 e così via: più si dava e più si doveva dare. In parte perché i tassi d’interesse, molto bassi all’inizio, negli anni Settanta avevano cominciato a salire, strangolando molti Paesi: nel 1982 Angola, Camerun, Costa D’Avorio, Gabon, Gambia, Mozambico, Niger, Nigeria, Tanzania, Zambia si dichiararono inadempienti. In parte perché, soprattutto durante la Guerra Fredda, gli aiuti dell’Occidente servivano più che altro a comprare fedeltà. E questo ha generato il vero mostro che si è mangiato il futuro del continente: la corruzione, il killer silenzioso del continente. Scoraggia investimenti interni ed esteri, rende il Paese più debole e più bisognoso, ma soprattutto impedisce la formazione di un mercato interno. In Niger, ad esempio, si muore di fame ma sulle bancarelle la merce resta invenduta: la popolazione non la può comprare. Una conferma la si avrà guardando ai recenti tumulti per il pane in Mozambico. Non lo dice solo la Moyo; basta leggere un report della World Bank intitolato Silent and Lethal: How Quiet Corruption Undermines Africa’s Development Efforts. Economie deboli, troppo legate all’export di materie prime e quindi vulnerabili di fronte alla volatilità dei prezzi, con governi corrotti e rapaci: qui c’è a causa del male africano. Un altro economista, Garf Lambdorff, ha calcolato che un punto percentuale sulla scala da 1 (massima corruzione) a 10 (corruzione inesistente) di Trasparency International, corrispondono a quattro punti percentuali di Pil. Gli aiuti sono una delle cause principali della corruzione e del fallimento economico. Infine, non alleviano la povertà, la peggiorano; i Paesi più dipendenti sono quelli che hanno mostrato i tassi di crescita inferiori (- 0,2 per cento in media) mentre quelli che si sono smarcati dall’assistenza, come Botswana e Malawi, hanno registrato una crescita miracolosa. Ma a New York già si è capito che mancherà una riflessione su questo aspetto e si continuerà a chiedere uno sforzo in più, sull’onda delle prediche di Bono e di altri samaritani glamour.

Alberto Tundo